Minime. 266



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 266 del 7 novembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Adriano Paolella e Zelinda Carloni: Riscaldamento globale e controllo
sociale (2002) (parte prima)
2. La "Carta" del Movimento Nonviolento
3. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. ADRIANO PAOLELLA E ZELINDA CARLONI: RISCALDAMENTO GLOBALE E
CONTROLLO SOCIALE (2002) (PARTE PRIMA)

[Da "A. rivista anarchica", anno 32, n. 279, marzo 2002, riprendiamo il
seguente dossier dal titolo "Riscaldamento globale e controllo sociale" a
cura di Adriano Paolella e Zelinda Carloni, parte della serie sul tema
"Globalizzazione. Idee per capire, vivere e opporsi al nuovo modello di
profitto" (disponibile anche nel sito www.arivista.org)]

Il riscaldamento globale
La temperatura del pianeta continua ad aumentare.
Negli ultimi 140 anni la temperatura media della superficie terrestre ha
subito un innalzamento medio globale di 0,6°C, con il maggior incremento di
circa lo 0,2°C per l'ultimo decennio.
Il 1998 e' stato l'anno piu' caldo rilevato nella storia e i dieci anni piu'
caldi negli ultimi 120 sono tutti successivi al 1981, tra di essi sei sono
successivi al 1990.
Dal 1948 al 1998 la temperatura degli oceani e' aumentata di 0,31°C fino ai
300 metri di profondita' e di 0,06°C fino ai 3000 metri.
Il cambiamento delle temperature non e' uniforme; le aree che hanno subito
la massima variazione sono state quelle terrestri (che si riscaldano piu'
velocemente di quelle marine) e quelle situate tra i 40°N e i 70°N.
In Italia la temperatura e' aumentata negli ultimi 100 anni di 0,7°C al nord
e di 0,9°C al sud.
Queste variazioni delle temperature, che a livello assoluto sembrano di
ridotta entita', in realta' comportano effetti sconvolgenti sui sistemi
naturali che hanno possibilita' di esistere in ambiti di variazione molto
ridotti. Il pianeta vive in uno spessore di pochi chilometri, tra le
profondita' dei mari e la parte alta dell'atmosfera, ed e' biologicamente
attivo in maniera significativa in una pellicola spessa, nel mare, poche
decine di metri e sulla terra poche decine di centimetri.
Questa pellicola puo' esistere solo se le temperature ed il loro andamento
giornaliero e stagionale rimangono molto simili a quelle attuali: la loro
modificazione anche di pochi decimi di grado ne comporta prima la
modificazione e poi la scomparsa.
Le registrate variazioni delle temperature hanno modificato la quantita' e
l'andamento dei venti, della nuvolosita' e delle precipitazioni. Interi
habitat si sono modificati e solo in alcuni casi potranno essere sostituiti
da sistemi naturali maggiormente adatti alle condizioni createsi.
La velocita' dei cambiamenti rende, infatti, traumatica e spesso impossibile
l'evoluzione degli ecosistemi, favorendo situazioni di degrado diffuso dei
suoli superficiali, erosioni, perdita del terreno vegetale,
desertificazione, con una situazione particolarmente grave per gli
ecosistemi in condizioni gia' limite.
Le modificazioni delle temperature avranno effetti anche sull'assetto
sociale del pianeta. Ad esempio, gia' si sta modificando la localizzazione e
la produttivita' delle aree agricole: dove storicamente si praticava
l'agricoltura, e dunque in massima parte dove si e' concentrata la
popolazione mondiale, e' gia' in atto una riduzione della produttivita';
dove non vi sono popolazioni insediate (aree maggiormente prossime al
circolo polare artico) stanno aumentando le potenzialita' agricole a seguito
del manifestarsi di situazioni climatiche piu' favorevoli.
E' come se si stesse riazzerando un gioco: nello sfruttamento delle risorse
si riducono i vincoli derivanti dalle abitudini consolidate, dalla gestione
diretta della produzione da parte delle comunita', dalla richiesta e
conflittualita' sociale.
Un incubo di pioggia, fango, siccita', calore, che interessera' una buona
meta' del territorio planetario, creera' un'emergenza in cui le societa'
saranno costrette a soffrire e cambiare (quando potranno), e questo incubo
rendera' possibile l'accrescersi e il consolidarsi di nuovi interessi non
condivisi, privati, di mercato.
Tutto cio' non deve essere pensato come uno scenario futuro: e' gia' in
essere. Tra le innumerevoli situazioni possibili si cita solamente l'aumento
del fenomeno dell'acqua alta a Venezia, che e' direttamente connesso
all'innalzamento del livello del mare, e che manda sott'acqua parti sempre
piu' estese della citta', per un tempo sempre piu' lungo, per una frequenza
annuale sempre maggiore.
La risoluzione di questa nuova situazione climatica e' molto impegnativa da
risolvere, perche' comporterebbe il cambiamento dell'intero sistema
produttivo, di mercato, insediativo. Ed e' ulteriormente difficile perche'
se anche oggi, subito, ora, si cambiasse il modello subiremmo gli effetti di
quanto gia' fatto per almeno altri cento anni prima di stabilizzare,
modificate, le condizioni del pianeta.
*
Alcune conseguenze gia' riscontrabili
Il diverso riscaldamento, delle diversi latitudini e delle aree marine
rispetto a quelle terrestri, ha comportato una modificazione dell'intero
sistema meteo climatico del pianeta. Vi sono zone in cui le precipitazioni
sono aumentate (settentrione degli Stati Uniti +10-15%, Europa
settentrionale) e zone in cui sono diminuite (Europa del sud, Sahel, Africa
occidentale).
A partire dal 1950 l'atmosfera che sovrasta gli oceani e' diventata piu'
nuvolosa ed all'altezza dei tropici vi e' stato un aumento dei temporali;
sulle regioni tropicali e sub-tropicali dell'Africa e dell'Indonesia le
piogge sono diminuite gia' dagli anni Sessanta.
Vi e' stato un incremento della percentuale delle precipitazioni durante
forti nubifragi (il 10% del totale delle precipitazioni nel 1997 contro l'8%
dell'inizio secolo).
La maggior parte dei disastri ambientali provocati dai cambiamenti climatici
e' causata da comportamenti ecologicamente distruttivi e da scelte politiche
pericolose che interessano maggiormente i paesi piu' disagiati e
sottosviluppati. L'Asia e' il continente piu' colpito: le catastrofi per
eventi climatici hanno provocato il 77% del totale delle perdite di vite
umane, il 90% delle persone rimaste senza casa e il 45% dei danni economici.
Negli ultimi cinquant'anni eventi denominati come "grandi catastrofi
naturali" hanno conosciuto un aumento vertiginoso passando dalle 20 "grandi"
catastrofi degli anni '50, alle 47 degli anni '70, alle 86 degli anni '90.
Nel biennio 1998-'99 ci sono stati oltre 120.000 morti legati ad eventi
meteoclimatici eccezionali, e milioni di persone sono state costrette ad
abbandonare le proprie abitazioni in seguito a calamita' naturali. Negli
ultimi vent'anni quasi 1,5 miliardi di persone sono state colpite da
alluvioni, tempeste di vento, frane.
Tale aumento e' attribuibile, oltre che alla variazione dei fattori
meteorologici, anche ad una gestione errata del territorio. Ad esempio, le
alluvioni causate dallo Yangtze nel 1998 hanno provocato piu' di 4.000
vittime, colpito 223 milioni di persone, inondato 25 milioni di ettari di
terre coltivate, causato danni per oltre 36 miliardi di dollari. A parte
l'eccezionalita' delle precipitazioni, un fattore che ha determinato la
portata catastrofica dell'evento e' costituito dalla massiccia opera di
deforestazione degli argini collinari attuata nei decenni precedenti (prima
del disastro il bacino dello Yangtze aveva visto scomparire l'85% della sua
copertura forestale). La scomparsa delle foreste, che normalmente fanno da
scudo alle piogge consentendo alla terra di assorbirle, lascio' scorrere le
acque che trascinarono gli strati superficiali del terreno: la massa di
fango precipito' a valle attraversando zone ormai completamente spoglie.
Il taglio delle foreste rende i fenomeni di siccita' piu' gravi anche negli
anni piovosi, poiche' favorisce il processo di inaridimento del terreno;
sono stati eventi di questo genere ad alimentare i violentissimi incendi che
nel '97-'98 devastarono Indonesia e Brasile.
Circa 20 milioni di kmq, pari al 15% della superficie emersa del pianeta,
sono gia' affetti da qualche grado di desertificazione (i deserti coprono
attualmente il 30% della superficie emersa).
Il livello del mare si e' innalzato di circa 10-12 cm negli ultimi 100 anni.
L'aumento della temperatura del mare aumenta il volume dello strato delle
acque superficiali (circa 1 cm per ogni 0,1°C, quindi a 0,6°C di aumento
corrispondono 6 cm) cui si aggiungono 2-5 cm derivati dallo scioglimento dei
ghiacciai.
Nell'ultimo secolo i ghiacciai sul monte Kenya hanno perso il 92% della loro
massa e quelli sul Kilimanjaro il 73%; il numero dei ghiacciai in Spagna e'
passato dai 27 del 1980 ai 13 del 1999; i ghiacciai dell'Europa alpina hanno
perso il 50% del loro volume nell'ultimo secolo.
I ghiacciai marini nell'emisfero settentrionale sono diminuiti, dal 1978 al
1998, di 370.000 kmq ogni dieci anni. Complessivamente l'estensione dei
ghiacci artici si riduce del 2,9% per decennio, con una riduzione diffusa
anche significativa del loro spessore.
Effetti sono riscontrabili nella fauna. Gran parte degli insetti, per la
loro maggiore capacita' adattativa e lo smisurato "arsenale" genetico,
aumenterebbero i loro areali e la loro presenza temporale nel corso delle
stagioni. Ad esempio, il riscaldamento dell'Alaska e' probabilmente alla
base dei danni al fogliame provocati da un verme parassita dell'abete rosso
su 20 ml di ettari di foresta; sempre a titolo esemplificativo tra gli
insetti i tarli nel 2020 potranno iniziare i loro voli migratori 25 giorni
prima, il che vuol dire che potrebbero colonizzare zone nell'Europa
settentrionale che hanno in passato raggiunto raramente con effetti
dirompenti sul patrimonio forestale.
1/4 delle specie oceaniche conosciute e almeno il 65% della fauna ittica
marina trovano rifugio nel sistema corallino; se la temperatura del mare
supera i 28°C i polipi che vivono nel corallo espellono le alghe presenti
nei loro e il corallo sbianca; se tale condizione persiste i coralli muoiono
in quanto si alimentano con la fotosintesi attuata dalle alghe. In tutte le
barriere coralline del mondo all'inizio degli anni '90 vi erano aree
sbiancate; nella seconda meta' degli anni '90 in un vasto tratto dell'Oceano
Indiano, dove la temperatura delle acque aveva anche superato i 30°C, il 70%
delle barriere erano morte.
*
Le cause e i motivi
L'innalzamento della temperatura del pianeta e' causato da una serie di
fattori concomitanti di diversa incidenza.
Nel modello di societa' occidentale lo svolgimento delle attivita'
produttive comporta l'emissione, diretta o indiretta, nell'atmosfera di
sostanze che provocano il fenomeno chiamato "effetto serra" la cui presenza
ed incremento provoca l'innalzamento della temperatura.
Principale, ma non unico, gas-serra e' l'anidride carbonica, emessa in
grandissima parte dall'uso dei combustibili fossili. Tale uso libera
attualmente nell'aria circa 6 miliardi di tonnellate di carbonio ogni anno,
aggiungendo ogni anno 3 miliardi di tonnellate ai 170 miliardi accumulati a
partire dalla rivoluzione industriale. Dal periodo pre-industriale il
biossido di carbonio e' aumentato da 280 a 360 parti per milione in volume
(ppmv), a cui si aggiungono l'aumento della concentrazione di molte altre
sostanze tra cui il metano da 700 a 1720 ppvm, e il protossido di azoto da
275 a 3103.
La quantita' di emissioni non e' ugualmente ripartita tra tutta la
popolazione del pianeta: nel 1995 il 20% della popolazione mondiale,
residente nei paesi a maggiore emissione, ha prodotto il 63% delle emissioni
e il 20% della popolazione, residente nei paesi a minima emissione, ha
prodotto il 2% del totale delle emissioni.
Come si vede dalla tabella, le emissioni procapite degli Stati Uniti sono 20
volte superiori a quelle dell'India e 2 volte superiori a quelle del Regno
Unito.
*
Emissioni pro capite di carbonio da utilizzo di combustibili (1994)
Nazione Tonnellate
Stati Uniti 5,26
Australia 4,19
Canada 3,97
Russia 3,08
Germania 2,89
Regno Unito 2,62
Ucraina 2,43
Giappone 2,39
Sudafrica 2,07
Cina 0,71
India 0,24
*
Le emissioni sono direttamente connesse principalmente alla quantita' di
energia elettrica consumata, alla quantita' di merci e di processi
produttivi e di smaltimento connessi e alla mobilita', ambiti questi che
bruciano le maggiori quantita' di combustibili fossili e caratterizzano il
modello consumistico globalizzato. Ma altri settori, apparentemente non
incisivi, come quello delle comunicazioni, consumano quantita' significative
di energia: in Italia, il cliente che richiede la maggiore quantita' di
energia elettrica e' la Telecom con il 4% del totale nazionale.
*
Aumento delle attivita' che scaldano
Al di la' delle emissioni, quasi tutte le attivita', proprio per le
modalita' con cui si svolgono, per il costante uso di strumentazioni
energivore e per l'abituale sovradimensionamento, producono calore.
Il calore emesso da un contadino che vanga il terreno non e' confrontabile
con quello di un trattore, ne' il calore emesso da una persona che cammina
con quello di un autoveicolo.
Proprio l'enorme abuso di strumenti comporta la presenza diffusa di un
numero infinito di fonti di calore (una fila di macchine in una strada di
campagna e' paragonabile ad una fila di termosifoni che riscalda
l'atmosfera).
*
Riduzione dei "captatori"
La diffusa e gigantesca deforestazione in corso ha eliminato quei "polmoni
naturali", rappresentati da boschi e foreste, che fungevano da captatori di
CO2 e da riduttori dell'effetto serra, oltre che da stabilizzatori diretti
delle temperature.
*
Riduzione degli "ammortizzatori"
Gli ecosistemi sono stati alterati in modo cosI' profondo che la loro
resilienza, cioe' la capacita' intrinseca di assorbire gli effetti delle
avversita' climatiche e ristabilirsi in nuovo equilibrio, e' drasticamente
diminuita. La deforestazione, oltre a ridurre la capacita' di assorbimento
del CO2 del pianeta, danneggia i bacini idrici, fa aumentare i rischi di
incendio e contribuisce all'innesco di mutamenti climatici, mentre, per
esempio, la distruzione di paludi costiere, dune e mangrovie, elimina gli
"ammortizzatori naturali" in grado di proteggere le coste dai tifoni marini.
I periodi di siccita' - e le carestie che spesso li seguono - sono innescati
in parte da variabilita' climatica globale, ma vengono peggiorati da scelte
sbagliate quali la deforestazione, lo sfruttamento intensivo delle terre da
pascolo, e l'utilizzo indiscriminato dei fiumi e pozzi per l'irrigazione.
*
Aumento delle merci e della parcellizzazione delle attivita'
La societa' di mercato continua a produrre merci. La loro produzione
richiede una grande quantita' di energia e gran parte dei prodotti per
funzionare ha bisogno di energia.
La domanda di energia, e quindi di consumi di combustibili fossili per la
sua produzione, e' direttamente connessa al consumo delle merci ed al
sostegno fornito al modello di mercato e consumistico. Inoltre l'energia
stessa e' una merce che viene prodotta e venduta da soggetti che hanno
interesse ad aumentare i loro profitti e quindi ad aumentarne i consumi.
Gran parte delle merci viene prodotta attraverso l'uso di parti di natura
(petrolio, carbone, legna ecc.); questa selvaggia spoliazione non si
interrompe in presenza di interessi comuni e si attua esclusivamente in
ragione di un profitto privato.
Cio' e' facilitato della mancanza di controllo, da parte delle comunita',
delle risorse e dei consumi. Inoltre le attivita' si svolgono in una elevata
frammentazione delle varie fasi in cui si compongono, sistema tipico
dell'industrializzazione, frammentazione che determina una profonda
inconsapevolezza, da parte sia dei produttori diretti sia dei consumatori,
degli effetti ambientali e sociali apportati e parcellizza le
responsabilita'.
Prendere la legna nel bosco, tagliarla, portarla presso l'abitazione,
ritagliarla, sistemarla, portarla alla stufa, pulire la stufa. Queste azioni
erano svolte da una sola persona che, comprendendo la fatica del suo agire,
cercava soluzioni economiche di riscaldamento (stufe efficienti), soluzioni
che rendessero necessaria la minore quantita' di calore (ottimizzazione
dell'edificio), soluzioni che rendessero possibile la permanenza delle
risorse negli anni successivi (mai fare deperire il bosco).
L'uomo lavorava su un sistema e non su una sua parte e ne gestiva la
complessita'.
Oggi accendere il riscaldamento, per l'individuo che ne usufruisce, e'
un'azione semplice ma incosciente del fatto che questo utilizzo comporta una
serie di azioni complesse e di grande portata per gli effetti che produce
(estrazione del gasolio, oleodotto, raffineria, trasporto, stoccaggio,
trasporto e vendita al dettaglio, produzione impianto riscaldamento, messa
in opera, manutenzione ecc).
Ognuna di queste azioni ha un soggetto promotore che da queste trae lucro e
che ha interesse ad aumentare la quantita' e il prezzo per ottenere i
massimi profitti: ciascuno di questi soggetti diviene di fatto promotore di
un maggiore consumo.
Questa modalita' di agire non e' piu' semplice e conveniente ne' per la
comunita' ne' per l'ambiente, e' solo piu' funzionale alla produzione e alla
vendita dei prodotti e piu' funzionale all'aumento dei consumi dai quali la
produzione e la commercializzazione trae profitti.
*
L'effetto serra
In circostanze normali, quando i raggi solari riscaldano la Terra, una
percentuale di tale calore viene di nuovo riflessa nello spazio mentre
oceani e terreni assorbono il resto. Ma la recente intensificazione della
concentrazione di biossido di carbonio nell'atmosfera trattiene il calore
che verrebbe riflesso e che, a sua volta, si spande nelle acque dell'oceano
e provoca l'innalzamento del livello del mare. Il riscaldamento accelera
anche l'evaporazione, mentre dilata l'aria perche' possa contenere piu'
acqua. Il vapore acqueo risultante, sospeso nell'aria, a sua volta cattura
altro vapore, perpetuando il ciclo. Piu' e' il calore trattenuto, piu'
intenso sara' l'effetto serra.
Un certo tipo di gas, nominati gas serra (anidride carbonica CO2, metano
CH4, protossido di azoto N2O, idrofluorocarburi HFC, perfluorocarburi FFC,
esofluoruro di zolfo SF6), prodotti per gran parte dalle emissioni di
combustione, favoriscono per le loro caratteristiche fisiche e di
comportamento lo svilupparsi dell'effetto serra.
La concentrazione dei gas serra trattiene nell'atmosfera una quantita' di
calore pari a quella prodotta in 300.000 impianti nucleari.
*
Le previsioni
Le emissioni globali dal 1990 al 1996 sono aumentate del 7%.
Se non si modifica l'attuale tendenza e' possibile prevedere che le
emissioni globali di carbonio da combustibile fossile saranno nel 2010
superiori del 40% a quelle del 1990, raggiungendo cosi i 9 miliardi di
tonnellate annue.
Per riportare il clima terrestre in una situazione di equilibrio nel giro di
poche centinaia di anni, le emissioni di carbonio dovrebbero essere
riportare al valore che oceani e foreste sono in grado di assorbire, cioe'
1-2 miliardi di tonnellate annue, pari all'80% in meno delle attuali
emissioni.
Se si volesse stabilizzare entro il 2100 la concentrazione di CO2 a livello
doppio dell'attuale (le previsioni indicano che sara' il triplo) i livelli
correnti dovrebbero calare a meno del 30% rispetto a quelli attuali.
I possibili scenari futuri elaborati dall'Ipcc, elaborazione in cui
convergono le ricerche e le tesi di oltre duemila scienziati mondiali e dei
principali enti di ricerca, e' cosi' sintetizzabile:
- Incremento della temperatura di 2°C per l'anno 2100;
- Oltre 50 cm di innalzamento del livello dei mari per il 2100;
- Significativa perdita di specie animali e vegetali;
- Aumento delle patologie a carico degli umani (ampliamento dell'areale
della malaria, della febbre gialla, della febbre Dengue, delle malattie
cardiorespiratorie); incremento delle malattie e delle morti a causa delle
"onde di calore", diffusione anche nelle zone temperate di malattie
infettive tipiche delle zone tropicali;
- Modifiche significative dei cicli climatici con l'intensificazione dei
fenomeni esterni (forti precipitazioni con eventi alluvionali alternate a
lunghi periodi di siccita'), alterazione degli ecosistemi terrestri e
acquatici, degradazione e aridificazione dei suoli, modificazioni delle
produzioni agricole;
- Migrazioni di massa delle popolazioni e creazione di "profughi
dell'ambiente";
- Estinzione di culture;
- Nuova minaccia per la stabilita' e la sicurezza internazionale.
Sulla base dell'andamento dei fenomeni meteorologici, la caratteristica
assunta dall'attuale situazione e' quella di un "caos climatico", in cui
freddo, caldo, pioggia, vento, maree e correnti hanno un andamento non
rispondente a quello storicamente mantenuto e nel lungo periodo
difficilmente prevedibile.
Periodi, intensita', dimensioni degli eventi sono un continuo susseguirsi di
anomalie che si situano ai massimi livelli rilevati dalle informazioni
disponibili.
Se il riscaldamento procede nell'attuale direzione lo scenario a breve
termine potrebbe avvantaggiare l'Europa settentrionale e l'America del Nord:
le stagioni agricole si allungherebbero e sorgerebbero aziende piu' vicine
al Circolo polare artico. L'Europa meridionale, gran parte dell'Africa
tropicale e l'America centrale e meridionale soffrirebbero una riduzione
della produttivita' agricola, maggiori ondate di caldo, carenze idriche.
Circa mezzo miliardo di persone nelle zone tropicali piu' aride troverebbe
difficolta' ad adattarsi.
Nell'agricoltura industrializzata del nord del mondo le variazioni non
dovrebbero portare scompensi, ma per tutti coloro, e sono la stragrande
maggioranza della popolazione mondiale, che aspettano piogge e sole e da
loro dipendono, la variazione sara' un dramma e per tantissimi una tragedia.
Se invece si ipotizzano scenari a lungo termine, considerando che le riserve
di combustibili fossili esistenti sono sufficienti a provocare un
innalzamento ininterrotto dei livelli di CO2 fino al XXI secolo inoltrato,
essi sono assolutamente negativi per tutti.
*
Alcune conseguenze previste
Secondo il rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change -
Commissione d'esperti costituita nel 1988 dal Programma sull'Ambiente
dell'Onu e dall'Organizzazione Meteorologica mondiale) del 1995 "si prevede
che la frequenza di inondazioni, siccita', incendi e ondate di calore
aumentera' in alcune regioni" all'aumentare della temperatura.
L'aumento calcolato al 2100 varia tra il minimo di 1,3°C e i 4,0°C, con
l'emisfero nord si scaldera' due volte di piu' rispetto alla media e quindi
tra i 2,5°C e gli 8°C.
Le precipitazioni complessive medie aumenteranno dal 4 al 20%, anche in
questo caso non uniformemente; nell'area dell'Europa meridionale e'
possibile ipotizzare periodi di siccita' piu' frequenti superiori ai 30
giorni (fattore di aumento da 2 a 5 volte) e la diminuzione delle
precipitazioni del 22%.
L'aumento medio del livello del mare e' previsto tra i 17 e i 99 cm per il
2100 e proseguira' anche a stabilizzazione delle concentrazione di gas-serra
avvenuta fino al 2300 tra i 50 e i 200 cm.
Effetti connessi alla modificazione della circolazione dell'atmosfera (El
Nino, cicloni extra-tropicali, concentrazioni delle piovosita' ecc.): sono
oggi poco attendibilmente valutabili nei loro futuri caratteri ma
sicuramente saranno presenti con un'entita' accresciuta rispetto a quella
gia' manifestatasi nell'ultimo decennio.
Altri effetti previsti sono connessi alla modificazione della grande
corrente oceanica che oggi si muove, portando caldo nell'Europa del nord,
proprio in ragione di una diversa temperatura tra le acque fredde del nord e
quelle calde del sud. Se la temperatura delle acque del nord aumenta si
potrebbe arrivare ad un ristagno della corrente che non riscalderebbe piu'
il nord Europa, trasformando il suo clima e rendendolo simile a quello del
Labrador (stessa latitudine ma non interessato alla corrente del Golfo).
Entro il 2050 potrebbe scomparire 1/4 dei ghiacci montani ed entro il 2100
la meta'; si stima che i ghiacciai himalayani si ridurranno nei prossimi 35
anni del 20%, compromettendo le disponibilita' d'acqua per 500 ml di indiani
che vivono lungo gli affluenti dell'Indo e del Gange.
Entro il 2050 si verifichera' un cambiamento nel tipo della vegetazione
predominante delle aree protette che interessera' il 24% della loro
superficie. 1/3 delle foreste subira' un enorme cambiamento; in particolare
le foreste tropicali, molto sensibili all'umidita', si modificheranno in
ragione dell'aumento della temperatura che aumentera' l'evaporazione e
ridurra' l'umidita'.
L'aumento della temperatura di 28C sposta le fasce climatiche latitudinali
di circa 400 km e quella altitudinali di circa 400 metri di quota. Tutti i
sistemi montani saranno colpiti e molti scompariranno.
*
Gli accordi internazionali
Nonostante la messe di dati sperimentali a disposizione ci sono soggetti che
ancora sostengono la naturalita' del cambiamenti climatici, ovvero la
marginalita' dell'incidenza del fattore umano.
Tali posizioni, sostenute per gran parte dagli esperti consulenti delle
grandi multinazionali del settore energetico e petrolifero statunitensi,
hanno indirizzato la politica degli Stati Uniti, i maggiori responsabili
delle emissioni planetarie ed hanno, attraverso di essa, operato un freno
all'individuazione di soluzioni alternative.
Ancora oggi, al di la' di ogni ragionevole ipotesi, campagne informative,
evidentemente pilotate da interessi precisi, tendono a mantenere l'opinione
pubblica nel dubbio. Il problema non e' da sottovalutare. Infatti se venisse
riconosciuta la responsabilita' dei comportamenti umani sulle modificazioni
del clima, sarebbe poi difficile negare l'attuazione di misure
"riparatrici".
In realta' e' stata ormai chiaramente stabilita la dipendenza tra variazioni
climatiche ed emissioni serra, e questo non solo per le risoluzioni finali
dell'Ipcc ma anche per le decisioni che hanno investito la comunita'
internazionale. Inoltre e' comunque intuitivo che non possa essere
indifferente alle condizioni complessive del pianeta l'immissione in
atmosfera di milioni di tonnellate annue di anidride carbonica.
Alcuni paesi hanno avviato azioni finalizzate alla riduzione delle emissioni
attraverso la promozione di tecnologie innovative e di comportamenti che
riducano gli sprechi energetici.
Il protocollo di Kyoto partendo dal riconoscimento dell'incidenza dei gas
serra sui cambiamenti climatici impegna i paesi industrializzati e quelli ad
economia di transizione (Est europeo) a ridurre complessivamente del 5% nel
periodo 2008-2012 le principali emissioni antropiche dei gas serra.
Il protocollo e' stato siglato da oltre 160 nazioni nel dicembre del 1997,
appunto a Kyoto, nell'ambito della Convenzione quadro sui Cambiamenti
climatici definita a Rio de Janeiro nel 1992.
Taglio dei gas serra previsti da Kyoto: -5,2%
Taglio di fatto senza gli Usa: -3,8%
Tagli accettati dall'Unione Europea: -8,0%
Tagli accettati dall'Italia: -6,5%
Incremento di CO2 in Italia nel decennio 1990-2000: +5,4%
Tagli accettati dall'Italia per il 2008: -12,0%
Incremento dei gas serra negli Usa dal 1999 al 2000: +3,1%
Gas serra emessi dagli Usa sul totale delle emissioni: 25,0%
*
La globalizzazione, un acceleratore di riscaldamento
L'energia pro capite consumata in un anno da un abitante del Nord America
(Canada e Usa) e' pari a 7.947 kg petrolio equivalente; quella di un
abitante dell'Europa (inclusi paesi dell'Est Europa e Russia) di 3.507 kg
petrolio equivalente (Italia 2.846, Francia 4.233, UK 3.894); di un abitante
dell'Asia 1.635; di un abitante del Nord Africa e Medio Oriente 1.388; del
Congo Democratico 303; del Sud America 1.202.
Gli Stati Uniti consumano energia in misura 26 volte superiore a quella
consumata nel Congo Democratico, 6,6 volte superiore a quella nel Sud
America e 2,7 superiore a quella in Italia.
Questi dati, che corrispondono ai risultati sulle analisi delle emissioni,
mettono in diretto collegamento l'energia consumata, e quindi il modello di
vita, alla quantita' di emissioni, gravando la prima, in maniera
indiscutibile, sulle seconde.
Il fatto che il consumo degli Stati Uniti sia doppio di quello dell'Europa,
visti i livelli di benessere materiale simili, indica come vi sia nei primi
come minimo la meta' dell'energia impiegata basata su sprechi di merci e
prodotti, e questo rappresenta di fatto un abuso di consumo. Tutto cio' a
prescindere dalla necessaria verifica degli sprechi e degli abusi energetici
europei che ridurrebbero ancor piu' la richiesta energetica di questi paesi.
E' dunque questo modello perseguito e proposto dai paesi occidentali che e'
fortemente energivoro in quanto basato sul mercato e dunque finalizzato alla
produzione e commercializzazione, una volta garantito il benessere
materiale, del superfluo.
Se tutti i paesi si uniformassero ai paesi maggiormente energivori la
gravita' della situazione ambientale acquisterebbe proporzioni da disastro
ambientale, ma in realta' e' a questo che si sta tendendo: obiettivo
dichiarato e' portare i consumi (e quindi i consumi energetici e la
produzione di gas serra e di calore) a livelli simili a quelli statunitensi,
in quanto questo permette l'allargamento dei mercati. Indipendentemente dal
benessere effettivo dei singoli e delle comunita', in questo modello globale
e consumistico il benessere si produce con le merci.
In questo modello la merce non e' strumento ma fine, in quanto attraverso di
essa si produce lucro; dunque gli sprechi non sono intesi come un limite del
sistema ma come una sua forza, e attraverso di essi si aumenta la grandezza
e la consistenza del mercato.
Cio' a cui si assiste e' dunque il continuo incremento dei consumi
energetici promossi appunto dal modello consumistico attraverso la
globalizzazione.
Confrontando quali siano stati i maggiori incrementi si nota che i "paesi in
via di sviluppo" hanno registrato una crescita di emissioni nel periodo
1990-'95 del 25% e i paesi sviluppati dell'8%. I tassi di incremento sono
spaventosi: i paesi industrializzati sono responsabili del 76% delle
emissioni complessive di carbonio in tutto il pianeta a partire dal 1950, ma
dal 1990 al 1996 le emissioni sono aumentate in Indonesia del 150%, in India
del 140%, in Cina del 130%, in Brasile del 120%.
L'atteggiamento da parte dei produttori e' quello di creare mercati al di
la' di ogni ragionevolezza nell'attuazione esclusiva di un parametro
economico.
Tipico e' il caso degli autoveicoli: tra i principali responsabili delle
emissioni e fonte di inquinamento con il piu' rapido accrescimento negli
ultimi vent'anni (il parco autovetture e' passato da 50 a 500 milioni di
unita' negli ultimi cinquant'anni) sono oggetto di promozione anche in paesi
con sistemi di mobilita' alternativa a ridotte emissioni.
Le politiche di globalizzazione del commercio hanno aperto mercati finora
impermeabili: recentemente la General Motors ha firmato con la Cina un
contratto da un miliardo di dollari per la produzione di 100.000 veicoli di
media cilindrata l'anno; nuove frontiere del commercio dell'auto si aprono
anche nei confronti della Russia; l'incremento delle automobili nei primi
anni '90 nella Corea del Sud ed in Thailandia e' stato rispettivamente del
25 e del 40%.
Ma l'incremento dei consumi e delle emissioni interessa anche soggetti che
hanno gia' livelli di consumi insostenibili: dal 1990 al 1996 gli Stati
Uniti hanno aumentato del 9% le emissioni (si veda anche la politica
energetica praticata dall'attuale governo, tutta tesa a garantire ed
aumentare gli attuali consumi attraverso gli stessi strumenti) quando, con
il 23% dell'energia mondiale, gia' sono il paese con il maggiore consumo di
energia nel mondo.
Il rifiuto degli Usa di sottoscrivere la convenzione di Kyoto (gli europei
sono sempre stati piu' positivi e disponibili ad una modificazione dei
comportamenti) ha portato ad alleggerire ulteriormente i contenuti e gli
impegni del paese che e' il maggiore inquinatore dell'atmosfera (Marrakesh
2001) fino ai livelli compatibili con il modello di mercato esistente, ed il
protocollo di Kyoto, e successive modificazioni, e' divenuto esso stesso un
ulteriore mezzo per rafforzare la politica statunitense, ponendo opzioni sul
futuro di numerosi paesi: in sintesi anche attraverso Kyoto si sostengono i
grandi produttori, non si individuano i responsabili, si mantengono le
distanze tra ricchi e poveri, si fa mercato.
Gli Stati Uniti sono i paladini di un interesse economico che per gran
parte, ma non solo, ha sede in quello stato, propugnatore di un modello
basato sulla necessita' del continuo allargamento del mercato e praticato
nella grande autonomia dell'economia nei confronti della societa' e
dell'ambiente.
Ed e' proprio questo modello che rappresenta un ostacolo oggettivo alla
riduzione delle emissioni.
I governi liberisti non regolamentano le attivita' in quanto il prelievo e
il consumo indiscriminato delle risorse e l'abuso di merci sono lo strumento
ottimale per ottenere i massimi profitti.
Se uno stato aderisce alla convenzione di Kyoto, ad esempio, si pone
l'obiettivo di raggiungere una riduzione delle emissioni. Per ridurre le
emissioni puo' agire sui produttori di energia, che bruciano grandi
quantita' di combustibili fossili e quindi emettono grandi quantita' di CO2,
fino a riconvertire gli impianti esistenti in impianti a maggiore efficienza
produttiva.
Ma le centrali che producono energia rispondono alle leggi del mercato e
quindi hanno l'obiettivo principale di fornire energia a prezzi
concorrenziali ed ottenere il massimo profitto sulle loro produzioni. Essi
dunque sceglieranno non i combustibili a minore emissione ma quelli a
maggiore rendimento e a minore costo seppure maggiormente inquinanti,
seppure con effetti negativi nell'ambiente e nelle societa'.
Lo scenario paradossale e' stato in un recente passato quello dei governi
occidentali che per non ledere gli imprenditori intervenivano per rifondere
il danno provocato dalla riduzione di proventi. In questo caso la
collettivita' si trovava a pagare tre volte un prodotto: una volta
acquistandolo, una volta sovvenzionandolo, e una volta subendo i danni
ambientali e sociali connessi alla produzione. Ma questo stesso scenario,
certo non risolutivo e comunque prudente, non e' assolutamente praticato dai
governi liberisti che lasciano l'iniziativa nelle mani delle stesse imprese
produttrici.
Il lasciare all'unica variabile del profitto la soluzione dei problemi della
comunita' planetaria e' la motivazione per cui, anche in presenza di
soluzioni tecnologiche migliorative dell'efficienza ambientale, nessun
miglioramento significativo e' stato apportato ai prodotti o alla maniera di
utilizzarli. Come visto, se dallo spreco di materiali e di energia si
ottiene il massimo profitto, non si modificano gli strumenti che ad esso
conducono anche se cio' ha come conseguenza lo sconsiderato abuso delle
risorse naturale ed il sacrificio della popolazione.
Ma il modello globale proposto e' ulteriormente incapace di risolvere il
problema del riscaldamento del pianeta. Infatti la soluzione dei problemi,
sia per la globalita' delle manifestazioni, sia per l'impossibilita' di
affrontarli localmente, non puo' essere che internazionale.
In realta' il problema puo' essere risolto, o comunque seriamente
affrontato, solo da una comunita' internazionalista ancor piu' che
internazionale, che non escluda soluzioni anche drastiche per l'attuale
assetto mondiale della politica e dell'economia, ovvero che attui un'azione
congiunta e diffusa di riduzione delle emissioni e di individuazione di
soluzioni a minore consumo energetico e di minore emissione diretta di
calore.
E proprio in questo il modello dei consumi globalizzato, che si presenta
come sistema di benessere universale, mostra i suoi limiti nell'affrontare i
problemi che riguardano tutti e la sua predisposizione a dare vantaggi agli
interessi dei singoli.
*
(Parte prima - segue)

2. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

3. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 266 del 7 novembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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