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Minime. 243
- Subject: Minime. 243
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 15 Oct 2007 00:43:37 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 243 del 15 ottobre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Giulio Vittorangeli: Humanitas, felicitas, libertas 2. David Usborne: Il lavoro del diavolo 3. Raffaella Mendolia: L'organizzazione del Movimento Nonviolento (parte terza e conclusiva) 4. Maria G. Di Rienzo: Guerre stellari 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: HUMANITAS, FELICITAS, LIBERTAS [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dellíAssociazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Questi tempi odierni cosi' vili, in cui sembrano smarrite "humanitas, felicitas, libertas", possono essere facilmente e superficialmente paragonati al Medioevo dello scontro tra arabi e cristiani, delle crociate. Pensiamo alle parole usate un anno fa da papa Ratzinger, per condannare la diffusione della fede con la spada, riprendendo una frase del 1391 pronunciata da un imperatore, Manuele II Paleologo, che da bambino era stato prigioniero dei turchi, che vedeva il suo impero spazzato via dagli ottomani. Ma a quale Medioevo ci si riferisce, quando si ricorre a questo paragone con il passato? Perche' esiste un Medioevo ufficiale degli specialisti, degli accademici; ed esiste un Medioevo della cultura comune, tradotto, decodificato, volgarizzato, spesso deformato. Un Medioevo dei medievalisti ed un Medioevo della letteratura, del cinema, del teatro, della televisione, del giornalismo. Basta ricordare, in questo senso, i film di Monicelli su Brancaleone. Come dire, un Medioevo filtrato, trasformato per essere adattato al consumo di massa. In effetti i mezzi di larga comunicazione ci proiettano due grandi categorie di immagini. Il Medioevo inferno, bistrattato, come luogo di ogni nefandezza: primitivo, barbarico, rozzo, violento. Lo possiamo definire una sorta di mister Hyde. E poi c'e' il dottor Jekill. Il Medioevo paradiso idealizzato, allora e' ecologico, sano, non inquinato; la sua societa' funziona; ha istituzioni perfette e poeti raffinati. Il passato e' pero' meno semplice, piu' complesso di questo Medioevo da infantili terrori e paure, da fiaba per bambini. Il Medioevo purgatorio ci pare piu' credibile, piu' umano, piu' storico. Rappresenta il crogiuolo dal quale e' nato il mondo moderno e dal quale vengono periodicamente al pettine i nodi irrisolti. E' stato una cultura che non e' rimasta sconfitta, tanto da rappresentare oggi il nostro passato prossimo; e' stato il calderone dove ha preso forma la cultura occidentale, tanto che ritroviamo li' il nostro modo di essere uomini e donne del ventesimo e ventunesimo secolo; non e' stato omogeneo o indifferenziato nel tempo, ne' riconducibile ad un cliche'. dal momento che con esso ci si riferisce a fette diverse di storia dell'Occidente ed a mille anni di storia, quasi tanti Medioevi diversi, intrecciati e talvolta sovrapposti. * Allora, invece di ricorrere a paragoni con un passato cosi' complesso, conviene guardare direttamente la drammaticita' della nostra realta' che ha visto la rilegittimazione della guerra come risoluzione delle controversie internazionali e la conseguente messa in crisi del diritto internazionale. La guerra permanente: nelle sue due versioni militare e terroristica e' diventata la principale forma della politica ridotta ad esercizio o lotta per il potere. Dopo la seconda guerra mondiale, le Nazioni si unirono nel 1945 per decidere di mettere al bando la guerra, di affermare i diritti, di proclamare l'uguaglianza di tutti gli uomini e le donne e di tutte le nazioni grandi e piccole, di costruire una comunita' democratica delle nazioni. Vietare la guerra come soluzione di conflitti internazionali non era un pio desiderio delle anime belle, ma la condizione per una convivenza non mortifera una volta raggiunte le capacita' distruttive del ventesimo e ventunesimo secolo. Oggi davanti alla "guerra infinita", alla realpolitik degli Stati che sui temi internazionali - al di fuori dell'impiego degli eserciti - e' impotente o silenziosa, sono sufficienti le manifestazioni, grandi e piccole, il riempire le piazze? Oppure, tutto questo, per quanto doveroso e necessario, non e' piu' sufficiente a ridare senso alla politica, a ridare efficacia e senso a scelte concrete per la pace e la convivenza tra i popoli? * Quella che abbiamo davanti e' una strada tutta da inventare, o rrinventare, ed in salita. Ma e' l'unica che ci puo' permettere di riscoprire humanitas, felicitas, libertas. Ettore Masina (nella sua "Lettera" n. 118) analizza questa ricerca di speranza e felicita' (ma si': usiamo questa parola scomparsa e temuta) da parte dei giovani. "Chi ha visto in anni recenti masse di giovani circondare Arturo Paoli, Pietro Ingrao o padre Zanotelli per ascoltare non appelli retorici, ma necessita' etiche testimoniate in una lunga vita, sa quanti e quante giovani hanno fame e sete di speranze, difficili e testarde. Chi ha contemplato con commossa attenzione i forum sociali convocati in nome della speranza ("Un altro mondo e' possibile") sa che esistono ancora nel nostro tempo fonti di chiarita', di generosita', di disponibilita' a non arrendersi alla crisi di civilta' che sembra dominarci". 2. ARGENTINA. DAVID USBORNE: IL LAVORO DEL DIAVOLO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo apparso su "The Indipendent" dell'11 ottobre 2007. David Usborne e' giornalista del quotidiano britannico "The Independent"] Fuori dal tribunale di La Plata, a cinquanta miglia da Buenos Aires, martedi', la folla attendeva accadesse cio' che era sicura sarebbe accaduto. Infine, e' filtrata la notizia che un verdetto era stato emesso, e che era quello giusto. La gente ha preso a battere i tamburi, le donne sventolavano in aria fazzoletti bianchi, fuochi d'artificio sono stati accesi... E' stata un'incredibile esplosione di emotivita', che si e' replicata nei caffe' e nelle case di tutto il paese, al termine di un processo trasmesso anche in tv e che e' durato tre mesi, tenendo agganciata l'intera popolazione. Ma se c'e' stata gioia ieri in Argentina, e persino sollievo, i sentimenti restano di gran lunga piu' complicati. Questo verdetto e' stato un momento di pulizia e di risoluzione. Ma e' stato anche il ricordo di un dolore profondo, incomprensibile. L'imputato, con il colletto tipico dei sacerdoti della chiesa cattolica, il reverendo Christian von Wernich, sessantanovenne, ex cappellano di polizia, e' stato condannato all'ergastolo per aver collaborato con la polizia di Buenos Aires durante i bui giorni della "sporca guerra", tra il 1976 ed il 1983, quando i militari governavano il paese con una dittatura crudele e spietata. Von Wernich, che indossava un giubbotto antiproiettile, si e' paragonato a Gesu' Cristo durante la sua testimonianza resa davanti ad una giuria composta da tre magistrati, i quali lo hanno giudicato colpevole di coinvolgimento in sette omicidi, trentun casi di tortura e quarantadue rapimenti. Il sacerdote ha partecipato, hanno detto i giudici, a crimini classificabili come "genocidio": von Wernich ha risposto alla corte che lui stava facendo il "lavoro di Dio". Sin dal ritorno della democrazia nel 1983, fare i conti con gli orrori della dittatura e' stata una lotta condivisa, in Argentina, cosi' come lo e' stato il processo di scoperta di cio' che era esattamente successo. Un esplicito e sconvolgente rapporto realizzato nel 1984 dalla Commissione nazionale sulle persone scomparse, intitolato "Nunca Mas" (Mai piu'), attesto' che 9.000 individui erano morti o "scomparsi" perche' percepiti dalla giunta militare come comunisti o simpatizzanti della sinistra, e percio' "sovversivi" e nemici dello stato. Il documento, che e' stato ripubblicato di recente, si apre con queste parole: "A molti degli eventi descritti in questo rapporto e' difficile credere, perche' gli uomini e le donne della nostra nazione hanno sentito parlare di tali orrori solo da articoli che provenivano da luoghi distanti". I gruppi per i diritti umani stimano la cifra finale vicina alle 30.000 persone. Le vittime venivano rapite di notte dalle loro case, incappucciate e portate in celle dalla polizia, per essere interrogate e spesso torturate. Di solito i loro cari non le rivedevano piu' e, in quello che e' diventato uno dei simboli piu' infami dell'orrore, molte di esse venivano caricate su aerei, drogate, e lasciate cadere nelle acque del Rio de la Plata o dell'Atlantico. Le donne che sventolavano i loro fazzoletti erano in maggioranza Madri di Plaza de Mayo, le donne che hanno protestato chiedendo giustizia davanti al palazzo presidenziale di Buenos Aires ogni settimana. Il loro movimento ha poi generato una campagna similare, quella delle Nonne di Plaza de Mayo, che si concentro' sui bambini di coloro che erano spariti. Le madri degli infanti venivano infatti uccise, e i loro figli dati in adozione ad ufficiali dell'esercito. Sino ad ora, le Nonne hanno ritrovato 80 di questi bambini, ed il loro lavoro continua. Sebbene alcuni processi siano stati iniziati subito dopo la restaurazione della democrazia, nei primi anni '80, in seguito vennero lasciati cadere, perche' i susseguenti governi civili, inclusi quelli di Carlos Menem e Raul Alfonsin, "perdonarono" gli ufficiali e chiesero al paese di muoversi semplicemente in avanti. Chiaramente, il paese lo sta facendo, ma non va verso l'amnesia collettiva. Il governo di sinistra di Nestor Kirchner, eletto quattro anni fa, ha deciso rapidamente di seguire le Madri e gli altri gruppi per i diritti umani. Una precedente amnistia e' stata revocata perche' anticostituzionale. Uno degli uomini che ha perso la sua protezione e' proprio von Wernich, che percio' era fuggito dall'Argentina e si era rifugiato in una citta' costiera cilena. Un gruppo di attivisti e giornalisti lo scopri', e l'uomo venne estradato in Argentina. Von Wernich, un uomo dai capelli bianchi che non ha mostrato alcun pentimento durante tutto il processo, e' il primo sacerdote ad essere riconosciuto colpevole di crimini relativi alla "sporca guerra". Non si trattava solo del processo a lui, in effetti. Per molti in Argentina, e nell'America Latina, era la chiesa cattolica ad essere in tribunale a La Plata. Il fallimento della chiesa in Argentina, o almeno di alcuni suoi membri, nel proteggere gli innocenti contrasta nettamente con il ruolo che essa ha giocato sotto le dittature in Brasile ed in Cile. In questi paesi, i sacerdoti hanno resistito e condannato. In Argentina, collaboravano. La repulsione mostrata da molti nel paese verso von Wernich non e' difficile da capire. Il ritratto che e' emerso dai racconti dei testimoni dell'accusa, resi spesso in lacrime, lo dipinge come un uomo che ha usato la sua posizione per tradire coloro che si fidavano di lui. Il sacerdote e' stato riconosciuto colpevole non solo di essere stato presente alle sessioni di tortura, ma anche, il che e' persino piu' scioccante, di aver estorto confessioni dai detenuti, talvolta in presenza di ufficiali di polizia, e di aver passato le informazioni (inclusi i nomi di compagni dei prigionieri) agli inquisitori. Quelle che dovevano essere conversazioni private con Dio sono divenute spionaggio, ed usate per ottenere piu' arresti, piu' torture, piu' omicidi. Gli avvocati di Von Wernich sembrano aver trattato il processo come se si trattasse di una farsa; non hanno prodotto alcun testimone a discarico ed hanno a stento fatto domande a quelli dell'accusa. Quando la sentenza e' stata letta, von Wernich e' rimasto privo di espressione, prendendo alcuni appunti e parlando brevemente con i suoi difensori. Quando e' stato condotto al furgone che lo avrebbe trasportato in prigione, la folla ha di nuovo mostrato tutto il suo entusiasmo. Le reazioni della societa' argentina sono state rapide, inclusa quella delle Madri: "Giustizia e' stata fatta", ha dichiarato Tati Almeyda, "La chiesa cattolica era complice". * Le conseguenze del verdetto promettono di avere ulteriori sviluppi. Lo svelamento dei crimini del regime precedente resta un fenomeno complesso, con lo scontro tra i gruppi per i diritti umani e le Madri da un lato e dall'altro le famiglie di coloro che erano nell'esercito al tempo della giunta, e che sostengono di essere ingiustamente perseguitati poiche' hanno solo obbedito agli ordini. Per quanto concerne la Chiesa, la sentenza ha rotto un tabu', e sicuramente dara' luogo ad una nuova fase di autoanalisi. "Il caso di von Wernich e' senza precedenti e potrebbe avere ramificazioni nel continente", dice Jose' Miguel Vivanco, direttore della Divisione delle Americhe di Human Rights Watch, "Non ho memoria di un altro singolo caso di un prete o di un religioso condannato in America Latina per partecipazione criminale a violazioni di diritti umani". Tra i testimoni al processo c'era padre Ruben Capitano, che fu compagno di seminario di von Wernich negli anni '70. Durante la sua testimonianza, ha pregato la Chiesa di affrontare il proprio passato: "Lo dico con dolore. Sino a che la Chiesa non riconoscera' i propri errori, sara' una Chiesa in cui non si puo' avere fede". Un secondo testimone, Adolfo Perez Esquival, premio Nobel per aver fondato "Paz y Justicia", ha ricordato davanti alla corte come ai tempi della repressione avesse inutilmente implorato la Chiesa di intervenire. Un'inchiesta interna alla Chiesa potrebbe avvenire. Subito dopo il verdetto, nel frattempo, un breve comunicato e' stato rilasciato dal cardinale Jorge Bergolio, vescovo di Buenos Aires: "Crediamo che i passi intrapresi dalla giustizia per chiarificare questi atti dovrebbero servire a lasciarsi alle spalle, assieme all'impunita', l'odio ed il rancore". Un'altra dichiarazione ufficiale della Chiesa dice questo: "Se qualsiasi membro della chiesa (...) per contiguita' o complicita', e' stato coinvolto nella repressione violenta, lo ha fatto sotto la sua propria responsabilita', allontanandosi da Dio e peccando gravemente contro di lui, contro l'umanita' e contro la sua stessa coscienza". Nel prologo dell'edizione originale di "Nunca Mas", lo scrittore argentino Ernesto Sabato scrisse: "Solo la democrazia puo' salvare il popolo da orrori di tale portata. Solo con la democrazia saremo certi che mai piu' eventi come questi, che hanno reso l'Argentina tristemente famosa in tutto il mondo, si ripeteranno nella nostra nazione". La ricerca dell'anima del paese non e' ancora terminata, ma l'Argentina sta rispondendo all'appello di Ernesto Sabato. La democrazia ha messo radici da piu' di vent'anni e il paese andra' alle elezioni presidenziali tra solo due settimane. La democrazia richiede un inflessibile impegno rispetto alla giustizia. Il processo di cui si parla e' stato il processo ad un solo uomo, ma il messaggio e' chiaro. Anche la giustizia ora si sta riassestando. 3. STUDI. RAFFAELLA MENDOLIA: L'ORGANIZZAZIONE DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Ringraziamo Raffaella Mendolia (per contatti: raffamendo at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente estratto dalla sua tesi di laurea su "Aldo Capitini e il Movimento Nonviolento (1990-2002)" sostenuta presso la Facolta' di Scienze politiche dell'Universita' degli studi di Padova nell'anno accademico 2002-2003, relatore il professor Giampietro Berti. Raffaella Mendolia fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento, ed ha a suo tempo condotto per la sua tesi di laurea una rilevante ricerca sull'accostamento alla nonviolenza in Italia] 3. La Carta ideologico-programmatica La prima formulazione dei principi fondamentali del Movimento Nonviolento viene elaborata al momento della sua fondazione, nel 1962. Essa viene presentata nel primo numero della rivista "Azione nonviolenta": "Il Movimento nonviolento per la pace e' costituito da pacifisti integrali, che rifiutano in ogni caso la guerra, la distruzione degli avversari, l'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Il Movimento sostiene il disarmo unilaterale (come primo passo verso quello generale), ed affida la difesa unicamente al metodo nonviolento" (10). Si puo' riconoscere in questa versione la prima sintetica affermazione della scelta per il pacifismo integrale, che, nel ripudio assoluto di qualsiasi forma di violenza, pare dimostrare la necessita' dell'associazione di distinguersi dalla generica aspirazione alla pace diffusa all'epoca in parte dell'opinione pubblica. Essa indica nell'antimilitarismo uno dei campi privilegiati di azione: viene assunto come obiettivo prioritario il disarmo unilaterale, strumento necessario al raggiungimento della pacificazione mondiale, e contemporaneamente si individua nel metodo nonviolento la migliore forma di difesa. Sebbene non vengano ancora esplicitate le concrete modalita' di sviluppo di tali principi, in queste poche righe sono riassunte molte delle tematiche che hanno guidato l'iniziativa del movimento per quarant'anni. Tale formula viene mantenuta fino al 1968 quando, con la scomparsa di Aldo Capitini, il movimento subisce inevitabilmente una fase di sbandamento. Il confronto interno in quel periodo evidenzia l'esistenza di numerosi dubbi riguardanti la caratterizzazione del Movimento e l'indirizzo di lavoro pratico da seguire. Nella generale concordanza sul riferimento al principio della nonviolenza, infatti, emergono disparita' e incertezze sul modo stesso di intendere tale principio. Diventa dunque indispensabile stabilire in modo definitivo uno sfondo comune che rappresenti un punto di partenza per tutti coloro che operano nell'ambito del movimento, e un elemento discriminante verso altri gruppi apparentemente ad esso affini in quanto allo scopo, ma profondamente discordi riguardo all'ispirazione e al metodo. Gia' nel convegno "Nonviolenza e politica" dell'autunno 1968 si era manifestata la necessita' di specificare, nei termini piu' chiari ed espliciti, il carattere rivoluzionario della nonviolenza, per allontanare definitivamente l'accusa che con la sua generica aspirazione alla pace consentisse indirettamente il protrarsi dell'ingiustizia, dell'oppressione e dello sfruttamento. E' in quella sede che si definiscono i tratti minimi distintivi della posizione nonviolenta del Movimento, che vengono adottati dal congresso nazionale del 1970: "rifiuto assoluto dell'uccisione o di gravi lesioni fisiche e psichiche; rifiuto dell'odio e del disprezzo, della menzogna e dell'impedimento della liberta' di informazione e di espressione delle proprie idee; rifiuto che si scenda sotto livelli minimi di decoro umano quanto alle esigenze fondamentali di vita, ossia vitto, alloggio, vestiario, salute, istruzione" (11). Accanto a questa definizione, si avverte l'esigenza di dotarsi di una nuova Carta ideologico-programmatica, piu' adeguata di quella precedente per esprimere l'estensione dell'impegno del movimento, comprendente ora il campo sociale, oltre che quello antimilitarista. Si organizza a tal fine un comitato per la predisposizione di uno schema di dichiarazione da presentare al Congresso nazionale e si avvia al contempo il dibattito specifico su "Azione nonviolenta". Le proposte che emergono sono diverse, ad esempio c'e' chi non ritiene necessario esplicitare l'antimilitarismo come azione specifica del movimento, facendolo rientrare nella lotta contro tutte le forme di oppressione (12), e chi ritiene piu' importante sottolineare che la nonviolenza e' opera di servizio, e propone di introdurre l'idea di superamento della sovranita' nazionale come causa di guerra (13). Il confronto comunque prosegue in base alla traccia proposta dal comitato (14). Al Congresso dopo un appassionato dibattito viene concordato il testo definitivo della nuova Carta ideologico-programmatica (15). La sua sottoscrizione da quel momento diventa lo strumento per contraddistinguere la formale adesione al Movimento, comportante una definita piena partecipazione e corresponsabilita' politica e finanziaria di ciascun membro. Il documento approvato nel 1970 ha il pregio di saper esprimere la posizione specifica del Movimento rispetto alla nonviolenza e al contempo di non chiudere in schemi rigidi le infinite possibilita' di applicazione che questa contiene. Tale capacita' di guardare al futuro ha permesso a questo testo di resistere alla prova del tempo ed essere attualissimo anche oggi. La nuova Carta affronta tre questioni fondamentali: il fine del movimento, le direttrici d'azione, il metodo. Il fine del Movimento Nonviolento consiste nel contrastare la violenza strutturale che, in quanto strumento del potere, e' radicata in tutti gli ambiti della vita sociale e praticata tanto al livello individuale che collettivo. Per superare tale situazione di ingiustizia, vengono assunte integralmente le indicazioni di Capitini. Egli individua nella rivoluzione nonviolenta l'unica via d'uscita dal circolo vizioso della violenza, attraverso la costruzione di una realta' nuova, liberata dai vecchi pregiudizi, dove possa affermarsi la comunita' mondiale, in cui il potere sia distribuito a tutti e ciascuno possa realizzare se stesso nell'aspirazione al bene collettivo. La prospettiva della comunita' liberata diventa il fondamento di ogni azione del Movimento. Qui emerge con tutta la sua forza il carattere rivoluzionario della nonviolenza, che non consiste in un atteggiamento di mero rifiuto o di rassegnazione di fronte a una realta' oppressiva, ma e' in grado di individuarne le cause e agisce qui ed ora per il suo cambiamento. Questo fondamentale obiettivo si svolge attraverso quattro direttrici d'azione, che possono essere distinte in azioni di contrasto, verso tutte le forme di violenza, dalla guerra allo sfruttamento economico, alle discriminazioni in genere; di sviluppo di forme associative e di democrazia popolare che permettano la gestione del potere da parte di tutti; e di protezione del patrimonio culturale dell'umanita' e dell'ambiente naturale. Sono implicitamente comprese in esse tutte le esperienze di lotte nonviolente di sempre e molte altre, ancora non sperimentate, potrebbero essere ricondotte in questo insieme. Questo dimostra la straordinaria capacita' creativa della nonviolenza, che trova nel tempo sempre nuovi settori di sviluppo. La prospettiva della nonviolenza in questo modo si estende notevolmente fino a comprendere le battaglie per la difesa dei diritti fondamentali dell'uomo che si sono sviluppati solo successivamente. Anche i temi del multiculturalismo e dell'ecologia vengono fatti rientrare nel progetto nonviolento, eppure nel 1970 essi non sono ancora considerati importanti dall'opinione pubblica. Nella descrizione del metodo nonviolento infine vengono rifiutati non solo l'uccisione e la lesione fisica, ma anche l'odio, la menzogna, l'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica, ritenuti ugualmente fondamentali per lo sviluppo della solidarieta' tra i membri della comunita' mondiale. Tali indicazioni tuttavia sono utili prima ancora che per la realizzazione del fine ultimo, per il miglioramento graduale della realta' attuale. E' interessante sottolineare come queste implicazioni del metodo nonviolento coinvolgono tematiche tuttora attualissime. C'e' da chiedersi quale significato assumano il concetto di nonmenzogna e di liberta' di informazione oggi, di fronte alla constatazione che il potere esercita un pressante controllo delle informazioni e strumentalizza i mezzi di comunicazione per i propri scopi, non solo nei regimi dittatoriali ma anche, e non sempre in modo occulto, nei paesi democratici, dove tali diritti sono costituzionalmente tutelati. Ancora una volta la nonviolenza si propone come strumento per cambiare totalmente una realta' che in ogni settore risulta votata agli interessi specifici e non piu' costruita sui valori. Nella parte finale del documento si enumerano infine le tecniche dell'azione nonviolenta, tratte naturalmente dall'elencazione capitiniana: esse sono l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. Nel 1994 la Segreteria del Movimento, allora composta da Alfredo Mori, Stefano Benini e Giuseppe Barbiero, afferma che dopo trent'anni dalla sua formulazione, il Movimento si trova ad aver messo in pratica appena le prime quattro fasi del programma. Cio' ha accompagnato la chiusura su se stesso del Movimento, che ritenendo prioritaria la funzione formativa e di testimonianza, ha rinunciato di fatto alla partecipazione alla vita pubblica. Proprio da questa constatazione in quell'anno scaturisce la volonta' di chiudere questa prima fase della storia del movimento e organizzare l'entrata dell'alternativa nonviolenta nell'ambito politico. Essa viene sancita, come abbiamo visto, nel Congresso nazionale di Venezia. Ma lo sviluppo delle direttrici di azione non si e' arrestato nel 1994. La noncollaborazione e' stata attuata attraverso la quasi ventennale esperienza della Campagna di obiezione alle spese militari (1982-2000), esempio di noncollaborazione con la macchina bellica; il boicottaggio e' uno degli strumenti maggiormente utilizzati negli anni Novanta per le lotta all'ingiustizia e allo sfruttamento nel settore economico (per esempio la Campagna di boicottaggio contro la Nestle'); infine la disobbedienza civile e' ancora oggetto di contestazione come strumento di azione del movimento no-global di questi ultimi anni. E' bene puntualizzare che il Movimento Nonviolento ha preso le distanze dall'utilizzo improprio di questa tecnica nonviolenta da parte di certe frange del movimento no-global, ma in questa sede e' preferibile fermarsi alla constatazione che essa e' tornata ad essere utilizzata in diversi settori anche per scopi congruenti con lo spirito nonviolento. Da ultimo viene prevista l'istituzione di organi di governo paralleli. A mio parere questo e' il punto in cui viene maggiormente espressa la tensione rivoluzionaria, direi sovversiva, del movimento. Essa cancella l'ipotesi che il Movimento Nonviolento si occupi solo di risolvere problemi contingenti, di migliorare la qualita' della vita, riconoscendo l'irrealizzabilita' del messaggio di rinnovamento di cui si e' fatto portatore. Al contrario la Carta programmatica in questa frase esprime la concretezza del progetto di rifondazione radicale della realta' elaborato da Capitini. Egli individua nella affermazione dell'omnicrazia il superamento non solo del concetto di democrazia, i cui limiti erano per lui evidenti, ma della stessa funzione dello Stato come custode dell'ordine costituito. E' proprio il sistema tradizionale, che lega l'affermazione e il mantenimento del potere alla violenza, a dover essere abbattuto, e cio' deve avvenire anche attraverso la creazione di strutture nuove, che rendano possibile il controllo diretto del potere da parte del popolo. Capitini allora individua la strada migliore per la rivoluzione nella sostituzione degli organi dello Stato attraverso i Centri di orientamento sociale (Cos), che non assumono solo la funzione di rendere possibile l'informazione e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, ma diventano organi decentrati del potere decisionale del popolo. A prescindere dalla condivisione o meno di tale prospettiva, non si puo' non riconoscere la portata dell'elaborazione teorica di Aldo Capitini e di conseguenza la fecondita' che imprime al programma del Movimento Nonviolento. Essa non puo' essere liquidata con l'accusa di utopismo, perche' fornisce un impianto teorico saldamente ancorato alla realta'. Stupisce come questo progetto, per quanto presenti lo stesso grado di radicalita' di altri movimenti, come ad esempio il movimento anarchico, ma propugni un metodo piu' eticamente accettabile come la nonviolenza, sia stato costretto ad essere rinviato indeterminatamente a "tempi migliori", non essendo finora riuscito ad ottenere l'attenzione delle masse e ad aggregare di conseguenza una forza umana consistente per tentare il suo compimento. Ma in fondo Capitini come i membri del Movimento non si sono mai illusi di poter raggiungere il fine ultimo in breve tempo. La nonviolenza di per se' prospetta una lunga strada da percorrere, fatta di sacrifici e di retrocessioni, ma e', infine, vincente. * Note 10. vedi "Azione nonviolenta", anno I, n. 1, gennaio 1964, p. 1. 11. Movimento Nonviolento, Nonviolenza in cammino, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1998, p. 26. 12. A. Bonelli, Per una carta programmatica del Movimento nonviolento, "Azione Nonviolenta", anno VI, n. 1, gennaio 1969, pp. 2-4. 13. E. Nobilini, Dibattito sulla carta programmatica del Movimento nonviolento, "Azione Nonviolenta", anno VI, n. 7-8, luglio-agosto 1969, pp. 1-2. 14. Per un resoconto completo delle varie posizioni, vedi il resoconto del V Congresso nazionale del Movimento Nonviolento, in "Azione Nonviolenta", anno VII, n. 5-6-7, aprile-maggio-giugno 1970. 15. La Carta ideologico-programmatica del Movimento Nonviolento, approvata nel 1970 e tutt'ora vigente e' riprodotta in appendice (alla tesi di laurea). 4. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: GUERRE STELLARI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81] Negli ultimi anni, "multiculturalismo" e "sensibilita' alle diverse culture" sono diventati termini che spuntano come funghi nelle agende, nei programmi, nelle dichiarazioni d'intenti di attori statali e non statali, organizzazioni non profit e consigli consultivi vari. Spesso si ha pero' l'impressione che chi li usa non sappia cosa significano, ne' da dove vengono. Personalmente ho il vago sospetto che quanto sto per svelare a costoro li fara' star male, perche' sono concetti che hanno preso forma e si sono sviluppati negli Usa, e senza null'altro scopo, inizialmente, che migliorare la produttivita' delle aziende (il che, per carita', mi sta benissimo, ma la vernice dorata che riveste i termini comincia, almeno ai miei occhi, a scrostarsi un pochino). Gia' negli anni '80 dello scorso secolo, teorici "aziendali" americani postulavano: "set di comportamenti congruenti, attitudini e politiche che permettano ad un sistema, agenzia o gruppo di professionisti di lavorare efficacemente in presenza di diverse culture". Nel decennio successivo, i testi diretti al perfetto manager parlano di "competenza culturale" o di "consapevolezza culturale" come di familiarizzazione con caratteristiche culturali selezionate: storie, valori, credenze e comportamenti di un altro gruppo etnico, il che condurrebbe alla "sensibilita' culturale". Non vi e' nulla di intrinsecamente sbagliato in questi concetti, intendiamoci. Alcune delle cose che sottendono sono in effetti importanti. Noi abbiamo bisogno di conoscere altre culture, oltre alla nostra, e se vogliamo vivere insieme a persone che ad esse appartengono, abbiamo bisogno di capirle. Quello che urta me, tuttavia, non e' cosa queste definizioni dicono, ma quello che non dicono. L'avete presente il sig. John Gray? Forse no, ma e' un altro tizio statunitense, uno che ha fatto un sacco di soldi con un libro sommamente idiota (ma citato, nel nostro paese, nei corsi sul "genere") in cui arguisce, simbolicamente, che gli uomini vengono da Marte e le donne vengono da Venere e che se i "marziani" e le "venusiane" si comprenderanno meglio reciprocamente (a partire dal disconoscere la loro comune origine umana, come si puo' notare) tutti i problemi dei due sessi si risolveranno. Il che sembra la scoperta dell'acqua calda, ma in realta' e' un falso. Cio' che Gray omette di includere nella sua zuccherosa tesi e' che i "marziani" hanno un accesso al potere sproporzionatamente piu' alto delle "venusiane", e che queste ultime stanno ancora sopportando ad un tempo gli strascichi di un sistema di oppressione che i primi hanno creato e sostenuto per secoli, e le "nuove" recrudescenze di tale sistema che pero', dipinte di "multiculturalismo" e di grande "sensibilita' culturale" dovrebbero essere piu' facili da trangugiare. Tuttavia vi assicuro che parecchie restano nella strozza, come quella di ieri 11 ottobre 2007: in un processo per violenza sessuale, ad Hannover, ad un uomo e' stata riconosciuta l'attenuante di essere sardo. Proprio cosi': il giudice, multiculturale e di rara consapevolezza, gli ha concesso le "attenuanti etniche e culturali". Il giovane immigrato italiano, convinto che la fidanzata lituana lo tradisse, l'ha tenuta prigioniera per tre settimane, seviziandola e sottoponendola anche a violenze sessuali di gruppo. I reati, inoltre, sempre secondo la sentenza, "sono stati un efflusso di un esagerato pensiero di gelosia dell'imputato". Dieci e lode in logica, direi: visto che sono geloso di lei, e penso che mi tradisca, chiamo i miei amici perche' la stuprino. Non fa una grinza, eh, anche se alcuni sardi in patria ed io, meno sensibili del giudice tedesco, siamo un po' inorriditi. Trasportando la metafora di Gray all'Italia, con gli italiani e gli europei in genere che vengono da Giove (tranne i sardi che a questo punto devono essere di Mercurio), gli asiatici da Saturno, gli africani da Nettuno, i latino-americani da Urano e i clandestini di qualsiasi tipo confinati nel Cpt di Plutone, tutti convinti di volersi capire meglio, ecco che abbiamo messo fine alle "Guerre stellari", con le uniche condoglianze da fare dirette a George Lucas. Ma un momento. Qualcuno di questi pianeti ha forse mai tentato di sfruttare e dominare gli altri? Qualche gioviano e' per caso andato a colonizzare Nettuno? Le venusiane sono considerate non-persone e possono essere battute, stuprate e uccise allegramente in tutta la galassia? La risposta e' ovvia, e tutte le definizioni "culturali" summenzionate la evitano: non c'e' un terreno "piano", su cui tutti e tutte stiamo agendo allo stesso livello, con le stesse opportunita'. Per il meglio e per il peggio, le relazioni fra generi, fra etnie, fra gruppi non possono essere capite senza un'analisi critica di che impatto ha su di esse l'oppressione, il privilegio e l'accesso al potere, con la consapevolezza costante che i dislivelli sono anche interni ai gruppi stessi. E' necessario uscire da questa ambiguita', in caso contrario non stiamo affrontando i problemi, stiamo spargendo su di essi uno strato di polvere di stelle per non affrontarne la parte piu' dura e difficile. Altrimenti, se domani l'ex fidanzata impugna una Magnum 357 e fredda il sardo "multiculturalmente" compreso, non abbiamo titolo per sdegnarci moralmente. Ci tocchera' darle una medaglia al valor lituano? 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 243 del 15 ottobre 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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