Minime. 215



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 215 del 17 settembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Giulio Vittorangeli: Continua l'emergenza in Nicaragua
2. Il migrante e l'assassino
3. Gianpasquale Santomassimo ricorda Gaetano Arfe'
4. Alessandro Portelli ricorda Grace Paley e Annie Napier
5. Riletture: Susan Bassnett, La traduzione. Teoria e pratica
6. Riletture: Siri Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella
storia
7. Riletture: Siri Nergaard (a cura di), Teorie contemporanee della
traduzione
8. Ostaggi
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. APPELLI. GIULIO VITTORANGELI: CONTINUA L'EMERGENZA IN NICARAGUA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it)
per questo appello, invitando chi ci legge ad aderire.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Ci sono popoli ai quali siamo stati, e siamo, profondamente legati, per
quello che comunque hanno rappresentato nel processo di liberazione
dell'umanita' oppressa.
Una sorta di vera empatia etico-politica, non solo "semplice" conoscenza ed
interscambio culturale, ma soprattutto e fondamentalmente partecipazione e
coinvolgimento nella stessa direzione.
Il popolo del Nicaragua e' uno di questi.
Chi ha vissuto il degrado degli anni '80 italiani, che sarebbe imploso nei
successivi anni '90 con effetti devastanti fino ai nostri giorni, non puo'
non ricordare cosa felicemente ha rappresentato la rivoluzione popolare
sandinista di quel piccolo grande paese centroamericano.
Ha scritto recentemente Pedro Casaldaliga, Vescovo di Sao Felix do Araguaia,
Mato Grosso - Brasile: "Abbiamo accompagnato il processo di
democratizzazione del Nicaragua e abbiamo ricevuto molte comunicazioni
amiche, addirittura inviti ufficiali. Non faremo un'analisi delle
opportunita' del Nicaragua. Scriviamo come appassionati di questo popolo e
delle speranze che ha suscitato, speranze alle quali non vogliamo
rinunciare. Continuiamo a stare vicini a molte persone profondamente
amate... Non siamo qui per dare consigli a un popolo; ma per amicizia, per
una militanza comune, per una speranza, che e' anche molto cristiana,
riaffermiamo la nostra comunione con il Nicaragua profondo, con il
sandinismo vero, con il contributo che il Nicaragua puo' e deve dare a
questa 'patria grande' [l'America Latina - ndr], che Sandino, Bolivar e
Marti' sognarono e per la quale diedero la loro vita. Alle comunita'
cristiane del Nicaragua, con le quali abbiamo vissuto momenti piacevoli
rinnoviamo la testimonianza del nostro affetto e solidarieta'... Abbracciamo
queste comunita' con il piu' grande affetto e rinnoviamo la promessa
fraterna di continuare a camminare verso il nuovo Nicaragua che si forma
giorno per giorno, partendo da tutti i dolori, dalla realta', dalla
possibilita' di trasformazioni radicali e dall'aiuto disinteressato. Il
Nicaragua puo' e deve essere il Nicaragua, il piccolo Nicaragua che il "Dio
dei poveri" vuole, e che sogna tutto il continente. Un forte abbraccio,
nell'utopia di Sandino e nella pace militante del Vangelo".
*
Sorprende allora, in senso fortemente negativo, la totale disinformazione da
parte dei nostri mass-media sulla distruzione causata dall'Uragano Felix in
Nicaragua; tristemente ignorato anche da gran parte della stampa europea.
Riproponiamo quindi l'appello lanciato dall'Associazione Italia-Nicaragua
per una campagna di raccolta di fondi destinata all'emergenza e
successivamente alla ricostruzione della zona atlantica colpita.
L'uragano ha investito zone gia' poco protette e allo stesso tempo molto
povere, in cui le deboli case fatte di legno e lamiera hanno ceduto
immediatamente a venti che hanno raggiunto i 270 kilometri orari.
Nella citta' di Bilwi (Puerto Cabezas) il 90% delle case e l'80% delle
scuole sono rimaste senza tetto, la rete elettrica e telefonica
inutilizzabile, e l'ospedale e' stato evacuato prima che venisse reso
inagibile dal passaggio dell'uragano. A Sandy Bay non c'e' stata pieta', la
distruzione di case e' stata quasi totale, sono rimaste in piedi solo 15
case: quelle che non erano di legno.
Le famiglie danneggiate sono 24.891, per un totale di 150.542 persone. 67 i
morti confermati, 138 gli scomparsi e 135 le persone che sono state
ritrovate e tratte in salvo. La maggior parte delle persone che si trovavano
nei centri di accoglienza a Bilwi (Puerto Cabezas) sono ritornate nelle loro
case ed attualmente sono 1.277 quelle che si trovano ancora nei 13 rifugi
rimasti.
Anche se il dato ancora non e' ufficiale, alle 67 persone decedute se ne
potrebbero aggiungere nelle prossime ore altre 67 gia' riportate come morte,
il dato non e' ancora stato verificato dalla Defensa Civil.
Indipendentemente da quelle che saranno le cifre finali di questo disastro,
e' evidente che ancora una volta saranno le popolazioni piu' povere ed
emarginate a soffrire le conseguenze di una politica governativa dei
precedenti governi che storicamente ha abbandonato ampi settori della
popolazione nicaraguese, in special modo quelli delle popolazioni autoctone
(miskitos, ramas, sumos y magagna) della Costa Atlantica.
*
Nonostante l'assenza totale di questa tragedia dai nostri media ci auguriamo
che la solidarieta' non manchi.
I versamenti vanno effettuati sul conto corrente bancario n. 19.990 Banca
Popolare di Milano, agenzia 21 -  Intestato: Coordinamento Nazionale
Associazione Italia-Nicaragua, Via Mercantini 15 - 20158 Milano, Abi:
05584 - Cab: 01621 (Causale: "Emergenza Uragano Felix").

2. EDITORIALE. IL MIGRANTE E L'ASSASSINO

Quei migranti che muoiono annegati nel canale di Sicilia, non muoiono per le
avverse condizioni atmosferiche, per l'infelicita' della condizione umana,
per la crudelta' del destino cinico e baro.
Muoiono perche' i governi europei e gli accordi di Schengen tra loro stretti
li condannano a morte, li appaltano alle mafie, li vogliono schiavi, carne
in vendita, negano la loro umanita' cui ineriscono diritti inalienabili, li
privano del piu' semplice, basilare, indispensabile dei diritti: il diritto
alla vita.

3. MEMORIA. GIANPASQUALE SANTOMASSIMO RICORDA GAETANO ARFE'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 settembre 2007, col titolo "Un occhio
morale sull'epopea del socialismo italiano" e il sommario "E' morto ieri
mattina a Napoli lo storico ed ex parlamentare socialista. Aveva diretto a
lungo l''Avanti!' e nei suoi libri, come nell'attivita pubblica, era stato
testimone di un riformismo fondato su un impegno concreto e su una
concezione della politica naturalmente classista e antimperialista".
Gianpasquale Santomassimo e' docente di Storia della storiografia
contemporanea presso il Dipartimento di storia dell'Universita' di Siena; e'
membro della direzione delle riviste "Italia contemporanea" e "Passato e
presente"; dirige il Laboratorio di Storia dell'Istituto Gramsci Toscano; ha
studiato tematiche collegate al corporativismo fascista, alla storia della
societa' italiana tra le due guerre, alla tradizione culturale del movimento
comunista in Italia e alla storia della storiografia italiana e inglese del
Novecento. Fra i suoi ultimi lavori un libro sulla Marcia su Roma (Giunti,
Firenze 2000); la cura di un volume su La notte della democrazia italiana
(Il Saggiatore, Milano 2003; una raccolta di saggi dal titolo Antifascismo e
dintorni (manifestolibri, Roma 2004).
Gaetano Arfe', figura illustre della sinistra italiana, e' deceduto alcuni
giorni fa. Dal sito della Fondazione Turati (www.pertini.it/turati)
riprendiamo alcune stralci della scheda a lui dedicata: "Gaetano Arfe' e'
nato a Somma Vesuviana (Napoli) il 12 novembre 1925. Si e' laureato in
lettere e filosofia all'Universita' di Napoli nel 1948. Si specializzo' in
storia presso l'Istituto italiano di studi storici presieduto da Benedetto
Croce, con cui entro' in contatto fin dal 1942. Nel 1944 si arruolo' in una
formazione partigiana di "Giustizia e Liberta'" in Valtellina. Nel 1945 si
iscrisse al Partito socialista e divenne funzionario degli Archivi di Stato
intorno al 1960. A Firenze era gia' entrato in contatto con Calamandrei,
Codignola e il gruppo de "Il Ponte" e aveva collaborato con Gaetano
Salvemini alla raccolta dei suoi scritti sulla questione meridionale. Nel
1965 ottenne la libera docenza in storia contemporanea e insegno' a Bari e a
Salerno. Nel 1973 divenne titolare della cattedra di storia dei partiti e
dei movimenti politici presso la facolta' di Scienze Politiche
dell'Universita' di Firenze. Nel 1959 venne nominato condirettore della
rivista "Mondo Operaio", carica che conservera' fino al 1971. Dal 1966 al
1976 fu direttore dell' "Avanti!". Dal 1957 al 1982 fu membro del comitato
centrale e della direzione del Psi. Nel 1972 venne eletto senatore... Nel
1976 venne eletto deputato... Nel 1979 venne eletto deputato al Parlamento
europeo... Nel 1985 lascio' il Psi, motivando la sua scelta nel volumetto La
questione socialista (1986). Nel 1987 venne eletto senatore per la sinistra
indipendente. Ha scritto numerosi libri e saggi, tra cui la Storia
dell'"Avanti!" (1958) e la Storia del socialismo italiano 1892-1926 (1965)"]

Negli ultimi anni della sua lunga vita, resi piu' dolorosi dalla malattia e
forse ancor piu' dal degrado della vita politica e culturale italiana,
Gaetano Arfe' ha lasciato molte memorie, molte ricapitolazioni
autobiografiche, quasi con la volonta' di fissare il ricordo di uomini, di
momenti, di storie individuali e collettive per sottrarle all'oblio. "Scrivo
non gia' nelle vesti di storico - si legge in uno dei suoi ultimi scritti -
ma di chi e' stato partecipe, tra gli ultimi e i piu' modesti, di una storia
che ha avuto i colori dell'epopea e l'andamento di una chanson de geste".
Coltivava una vena memorialistica volta a ribadire il legame indissolubile
con "i suoi maggiori" e a tramandare il senso di un impegno che rischiava di
smarrirsi o di venire frainteso ed edulcorato: la tradizione concreta,
storicamente determinata nella rete intricata di fondamenti, apporti e
suggestioni, di un riformismo italiano.
*
Moralita' e concretezza
Un riformismo di cui e' stato lo storico piu' assiduo e tenace, nell'impegno
diretto come nella promozione di studi, e che richiede - purtroppo e
paradossalmente - qualche precisazione terminologica. Per la tradizione a
cui Arfe' si collegava il riformismo era molto lontano da quella parola
ormai impronunciabile, sinonimo di moderatismo o peggio di restaurazione
sociale, che tiene banco ormai da troppo tempo nel dibattito italiano. Era
una concezione della politica effettivamente sovvertitrice senza essere
sovversiva, senza fraseologia apocalittica, "naturalmente" classista e
antimperialista.
La duplice origine giellista e socialista, comune a tanti altri esponenti
del socialismo italiano in eta' repubblicana (Lombardi e De Martino fra gli
altri, per citare i dirigenti politici a cui si senti' piu' vicino) veniva
rivendicata da Arfe' nel suo impasto originale di moralita' e concretezza.
Esponente di quella che definiva la "seconda generazione giellista", quella
dei giovani che non avevano avuto esperienza della cospirazione ma un
ingresso diretto nelle file della Resistenza (muovendo, nel caso di Arfe' e
di molti altri, da una generica formazione crociana), aveva "saltato"
l'esperienza del Partito d'Azione per approdare direttamente al partito
socialista, per uscirne e rientrare poi nel volgere di pochi anni.
*
Una proposta rivoluzionaria
"Seguii Saragat nella sua scissione e a darmi la spinta decisiva fu un
discorso di Tristano Codignola, fortemente critico nei confronti del
comunismo, che prendeva le mosse dal libro di Koestler, Buio a mezzogiorno.
Presto, pero', giunsi alla convinzione che alla rivendicata e conquistata
autonomia dal Partito comunista corrispondeva una non voluta, ma
ineluttabile, subalternita' alla Democrazia Cristiana e rientrai cosi' nella
casa madre in coincidenza con la confluenza in essa della maggioranza del
Partito d'Azione, guidata da Riccardo Lombardi".
Di quella origine giellista teneva a rivendicare il carattere libertario:
Carlo Rosselli non era il "precursore di un liberal-socialismo pudibondo
alla Giuliano Amato", ma l'interprete di "una proposta, rivoluzionaria,
classista, sovietista, per l'unificazione politica del proletariato italiano
nel quadro di una europeizzazione della lotta antifascista". Che propugnava
un "partito unico del proletariato" - come scriveva poco prima di morire -
inteso quale "forza innovatrice autentica... piu' che un partito in senso
stretto, una larga forza sociale, una sorta di anticipazione della societa'
futura, di microcosmo sociale, con la sua organizzazione di combattimento,
ma anche con la sua vita intellettuale dal respiro ampio incitatore".
L'opera di Rosselli era stata evoluzione e revisione critica necessaria di
una tradizione, quella di Filippo Turati - che Arfe' piu' di ogni altro
"rivaluto'" da sbrigative liquidazioni, ma senza le beatificazioni
dogmatiche di molti improvvisatori - che era comunque "esperienza
irripetibile perche' irreversibile e' il mutamento avvenuto nei moduli della
lotta sociale, politica, ideologica".
L'impegno concreto di Arfe', storico e politico, si mosse comunque tutto nel
solco della tradizione del socialismo italiano, rinnovato dopo l'esperienza
della dittatura fascista. Appartenne a quella generazione di storici -
socialisti e comunisti - che posero le basi per una storia del movimento
operaio italiano, impresa nella quale partivano quasi da zero e che nel
volgere di pochi anni produsse una ricchissima fioritura di studi; che parve
quasi eccessiva a molti, gia' al volgere della meta' degli anni Cinquanta,
con i rischi di "corporativismo", di chiusura settaria, di assenza di
respiro complessivo, denunciati da Cantimori e Saitta. Sono i termini della
polemica che lacero' l'esperienza di "Movimento Operaio" (e in parte anche
dell'Istituto Feltrinelli che ne era all'origine) e che provoco' la chiusura
di quella rivista. Una parte dei promotori di essa (Bosio e Arfe' tra gli
altri) non condivisero la piattaforma di "superamento" di quella fase di
studi che venne adottata.
*
Ferite non rimarginate
Per quanto valide fossero molte delle esigenze prospettate, i termini
particolari di quello scioglimento, con la confusione di piani che si
determino' tra istanze politiche e storiografiche, dovuta anche alla
pesantezza e alla dissennatezza della politica culturale del Pci in quel
frangente, lascio' come una ferita non rimarginata nella memoria di molti, e
come tale e' stata rievocata anche in anni recenti da Arfe' come da Luigi
Cortesi.
Ben presto comunque i motivi di contrasto e divaricazione tra socialisti e
comunisti si fecero evidenti e corposi per ben altri e piu' gravi motivi.
Arfe' divenne negli anni successivi il massimo promotore nella costruzione
di un campo di studi "socialista", autonomo e distinto, fatto di grande
operosita' documentaria e passione identitaria. Il risvolto negativo di
questa lacerazione fu una difficolta' di dialogo e di confronto effettivo
nella cultura storica della sinistra protrattosi a lungo nel tempo.
Dirigente politico del suo partito, con incarichi prestigiosi e impegnativi
(rimane soprattutto nella memoria la sua direzione dell'"Avanti!" in una
delle stagioni piu' felici di quel giornale) fu uno dei protagonisti di
quella che divenne la sinistra socialista negli anni del centrosinistra.
Come molti galantuomini del socialismo italiano, Arfe' soffri' moltissimo
gli anni di Craxi e del craxismo, da lui con piu' cognizione di causa che da
altri vissuto come effettiva mutazione genetica delle connotazioni stesse
del socialismo italiano. Dietro lo schermo della rivendicazione di autonomia
socialista, che conquistava molti nel partito, emergeva una "offensiva
ideologica ideata condotta con grande rozzezza culturale ma con superiore
intelligenza tattica".
´Craxi precorre Occhetto - scrivera' molti anni dopo - epurando la storia
del partito socialista, fino a oscurare Turati sotto la grande ombra di
Garibaldi: il tutto nel segno di un anticomunismo postumo che sembrava non
avere piu' alcun senso nel momento in cui i motivi della insidia comunista
alla democrazia e della minaccia sovietica al mondo libero erano ormai
venuti a mancare. In realta', l'obiettivo perseguito e conseguito e' quello
di dare motivazione ideologica al passaggio dalla repubblica nata dalla
Resistenza a quella che ha ancora i tratti di un identikit confuso e
incompiuto, vagamente minaccioso".
*
L'autolesionismo degli ignari
Come si evince dall'accostamento iniziale, vi era una sostanziale
convergenza in questo sradicamento da parte del "nuovo gruppo dirigente del
partito comunista in via di metamorfosi", che dal suo canto "con
l'autolesionismo proprio degli ignari e degli ignavi, procede alla
liquidazione di una eredita' troppo pesante per le sue gracili spalle".
L'approdo del grosso della sinistra italiana era in una informe ma corposa
"sovraideologia" che caratterizzava tutto l'Occidente negli ultimi anni del
Novecento, fatta di un misto di liberismo acritico, di culto del mercato e
del "nuovismo", di intimo disprezzo nei confronti della politica alta.
In quella che e' forse la sua ultima intervista, nel giugno scorso, si
richiamava al ricordo di "uomini che non vinsero e non trionfarono mai, ma
non furono mai vinti e del loro operare hanno lasciato un segno incancellato
e incancellabile: l'attrazione per l'eresia, il gusto per l'avventura
intellettuale e politica". "Ecco - concludeva - di cosa c'e' bisogno per il
futuro".

4. MEMORIA. ALESSANDRO PORTELLI RICORDA GRACE PALEY E ANNIE NAPIER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 settembre 2007, col titolo "La
scommessa di Grace Paley e Annie Napier contro il silenzio" e il sommario
"Grace Paley. La struttura profonda di tutto cio' che scriveva era quella
ebraica del midrash: un viaggio attraverso i significati. Annie Napier
Raccontare, per lei, come per Sheherazade, era un modo di lottare contro
l'onnipresenza della morte".
Alessandro Portelli, studioso della cultura americana e della cultura
popolare, docente universitario, saggista, storico, militante della sinistra
critica, per la pace e i diritti. Dal sito alessandroportelli.blogspot.com
riprendiamo la seguente scheda autobiografica: "Sono nato a Roma nel 1942.
Di mestiere, insegno letteratura americana alla Facolta' di scienze
umanistiche dell'Universita' 'La Sapienza' di Roma. Ho svolto l'incarico di
consigliere delegato del sindaco di Roma per la tutela e la valorizzazione
delle memorie storiche della citta'; ho fondato e presiedo il Circolo Gianni
Bosio per la conoscenza critica e la presenza alternativa delle culture
popolari; faccio parte del consiglio direttivo dell'Irsifar (Istituto Romano
per la Storia d'Italia dal Fascismo alla Resistenza) e ho la tessera
dell'Anpi. Collaboro al 'Manifesto' fin dal 1972, e ho scritto spesso anche
su 'Liberazione' e 'l'Unita''. Ho studiato, insegnato e diffuso la cultura
dell'America a cui vogliamo bene - quella di Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob
Dylan, Bruce Springsteen, di Malcolm X, Martin Luther King, Cindy Sheehan,
Mark Twain, Don DeLillo, Spike Lee, Woody Allen. Ho raccolto le canzoni
popolari e politiche e la memoria storica orale di Roma e del Lazio,
collaborando con il Canzoniere del Lazio, Giovanna Marini, Sara Modigliani,
Piero Brega, Ascanio Celestini. Ho conosciuto i partigiani e le partigiane
di Roma e i familiari degli uccisi delle Fosse Ardeatine, e dai loro
racconti ho messo insieme la loro storia. Ho ascoltato i racconti delle
borgate e dei quartieri popolari, dalle occupazioni delle case degli anni
'70 alla storia orale di Centocelle. Ho cercato di non limitarmi a studiare
e a scrivere, ma anche di organizzare cultura: mettere in piedi strutture
(dal Circolo Bosio alla Casa della Memoria); fondare e far vivere riviste;
condividere con gli altri, attraverso dischi e libri, quello che ho
imparato; coinvolgere persone piu' giovani e aprirgli spazi; organizzare
eventi, concerti, incontri. Ho accompagnato gli studenti romani ad
Auschwitz, ho girato decine di scuole per parlare della memoria, della
democrazia, dell'antifascismo. E ho voglia di continuare a farlo. Le mie
passioni sono l'uguaglianza, la liberta', l'insegnamento, la musica
popolare, la memoria, ascoltare i racconti delle persone, i libri e i film,
e il rock and roll". Tra le opere di Alessandro Portelli: Il re nascosto.
Saggio su Washington Irving, Bulzoni, Roma 1979; Taccuini americani,
Manifestolibri, Roma 1991, 2000; Il testo e la voce, Manifestolibri, Roma
1992; La linea del colore, Manifestolibri, Roma 1994; L'aeroplano e le
stelle, Manifestolibri, Roma 1995; Biografia di una citta', Einaudi, Torino
1997; (con Cesare Bermani e Silverio Corvisieri), Guerra civile e Stato,
Odradek, Roma 1998; L'ordine e' gia' stato eseguito, Donzelli, Roma 1999;
America, dopo, Donzelli, Roma 2003; Canzone politica e cultura popolare in
America, DeriveApprodi, 2004; Canoni americani, Donzelli, Roma 2004.
Grace Paley (New York, 1922 - Thetford Hill, 2007), poetessa, scrittrice,
militante pacifista e per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Dopo
aver esordito come poetessa (in italiano e' stata tradotta la raccolta di
versi In autobus e altre poesie, Empiria 1993), si e' affermata con i
racconti brevi: Piccoli contrattempi del vivere, Giunti, 1986, Enormi
cambiamenti all'ultimo minuto, La Tartaruga, 1982, Piu' tardi nel
pomeriggio, La Tartaruga, 1987. Nel 2003 Einaudi ha riunito in un unico
volume tutti i suoi racconti, Piccoli contrattempi del vivere. Tutti i
racconti; nel 2007 per Einaudi e' apparso L'importanza di non capire tutto.
Su Annie Napier si veda quanto scrive Portelli nell'articolo che segue]

A fine agosto, senza che in tanti se ne accorgessero, non solo l'America ma
noi tutti abbiamo perso due grandi narratrici: Grace Paley, grande maestra
del racconto, dell'ascolto, della voce e dell'interrogarsi, era
relativamente famosa, anche se molto meno di quanto avrebbe meritato.
L'altra la conoscevano solo la sua famiglia, i suoi vicini e io, che qualche
volta l'ho nominata su questo giornale: si chiamava Annie Napier, era di
Harlan, Kentucky, manteneva la famiglia guidando lo scuolabus sulle strade
contorte di quelle montagne; ascoltava, raccontava, suonava, cantava. Non
taceva mai. Un'amica che le ha conosciute entrambe mi diceva: peccato che
Grace e Annie non si siano mai incontrate, si sarebbero volute bene. Grace
era la citta', la strada, i palazzi affollati; ed era la Palestina, il
Nicaragua, il Vietnam. Annie era le montagne, gli alberi, le valli strette,
la solitudine; il suo corpo era segnato e scavato come la sua terra ferita.
E anche lei odiava la guerra.
*
Pochi giorni prima che morisse Grace Paley, era uscita una sua intervista
sulla "Repubblica". Parlava del suo ultimo libro, una raccolta di saggi e
articoli messi insieme in tanti anni, tradotta con un intelligente titolo
italiano: L'importanza di non capire tutto. Proprio perche' era convinta che
restasse sempre qualcosa di non ancora capito, Grace Paley non ha mai smesso
di provarci, di interrogarsi, di indagare. La struttura profonda sottostante
a tutto cio' che scriveva era quella ebraica del midrash: lo svolgersi
inesauribile delle implicazioni di ciascuna parola, un viaggio attraverso i
significati con destinazione ignota e affascinante. Spiegava il mondo
guardando le donne (e di sguincio gli uomini) tanto sulle panchine e nelle
cucine dei quartieri popolari di New York quanto nei villaggi del Vietnam e
del Nicaragua. In ogni scambio di domande e risposte che comparivano nei
suoi testi erano in gioco il quotidiano e l'universale. Pacifista
indomabile, femminista ironica, socialista investigativa, ebrea
profondamente errante, carica di curiosita' e di amori, se tutta la sinistra
le somigliasse di piu' saremmo assai migliori e staremmo assai meglio.
*
Annie Napier l'avevano operata ai polmoni due anni fa. Ogni volta che ci
incontravamo si ripeteva la stessa scena: io seduto sul divano sdrucito di
lato sotto la finestra, lei su quello davanti alla televisione che nessuno
guardava, con in una mano una tazza di velenoso caffe' kentuckiano e
nell'altra una sigaretta dopo l'altra. In mezzo a noi, sempre acceso, quasi
sempre dimenticato e sempre in ascolto, il registratore. E da lei a me e da
me a lei di ritorno, la voce: "Allora, a quei tempi, non avevamo la Tv, ne'
la radio, e la sera quando faceva buio toccava rientrare in casa perche'
fuori uscivano i serpenti. Cosi' la sera ci chiudevamo in casa e accendevamo
il fuoco e mamma e papa' si mettevano la' e raccontavano storie di quando
erano piccoli. E storie che i loro genitori avevano raccontato di quando
erano piccoli loro. E' cosi' che e' cominciato tutto questo raccontare
storie".
*
Raccontare storie, per Annie come per Grace, era un modo di spiegare il
mondo, e di spiegarci quanto fosse inesplicabile.
Il significato di una storia non si esaurisce mai, come il midrash; ogni
racconto genera altri racconti, ogni racconto risponde alle domande del
precedente e apre domande per quelli che verranno; ed entrare dentro ogni
racconto, per semplice che sembri, significa inoltrarsi dentro un infinito
di possibilita', in un "giardino dei sentieri che si biforcano" ad ogni
parola, ad ogni sillaba. Come per Sheherazade, per Annie raccontare era un
modo di lottare contro l'onnipresenza della morte: "Vedi, appena nasce un
bambino ha gia' il mondo intero schierato contro, almeno cosi' era quando
sono nata io. Prima di tutto, la casa era tanto fredda che ci voleva fortuna
solo per sopravvivere. Quasi tutti erano denutriti e sottopeso. Ma una volta
che eri riuscito a fare arrivare fin qui quelle povere creature, le
cominciavano a curare coi rimedi casalinghi - te' di cacca di pecora, infuso
di erba gattaia - c'e' mancato poco che ammazzassero mia sorella Becky.
Negli anni '50, qui girava il tifo, portato dall'inondazione, c'e' morto il
bambino di mio zio. Ora che arrivavi a due anni, avevi gia' dovuto superare
la scommessa della sopravvivenza".
Quando arrivavo io piantava tutto e mi guidava ad ascoltare altri narratori:
suo zio Plennie, che si portava nella gamba il piombo di una battaglia fra
minatori e guardie padronali nel 1941; Will Gent, che raccontava forse con
una dose di immaginazione gli orrori del suo Vietnam; James L. Turner, che
ricordava ancora i suoi antenati schiavi nella stessa valle dove era
cresciuta lei; Lewis Bianchi, imprenditore di pompe funebri con flebili
memorie di antenati italiani, che ci spiegava come si fa a rendere
presentabili i cadaveri dei minatori morti in miniera o uccisi dalla
pneumoconios. Da una tappa all'altra, il suo flusso di racconto non si
fermava. Appendevo il microfono allo specchietto, e via. E raccontava di
quando anche lei aveva sconfitto, per se' e per la sua bambina, la scommessa
della sopravvivenza contro il medico incompetente e ubriaco e contro la sua
stessa famiglia, che per motivi religiosi non voleva facesse il cesareo; o
quando, agli avvocati delle miniere secondo cui le inondazioni che avevano
distrutto le case dei suoi vicini erano un "atto di Dio", lei aveva risposto
"la pioggia sara' pure un atto di Dio, ma non e' stato Dio a mandare quei
bulldozer a demolire le colline"; o quando il marito era rimasto invalido
per un incidente sul lavoro, e lei era andata in fabbrica e al tempo stesso
aveva tirato su due figlie, quattro nipoti e adesso cominciava con una
bisnipote. Ma era stanca. Raccontava di sopravvivenza e intanto, sempre piu'
pelle e ossa, con quelle incessanti sigarette nei polmoni distrutti, si
lasciava ulteriormente distruggere, come se non ce la facesse piu'.
*
Triste il paese, triste il mondo, che perde i suoi narratori e soprattutto
le sue narratrici. La scommessa per la sopravvivenza oggi, nel fragore
incessante della comunicazione, e' la scommessa contro il silenzio profondo,
il silenzio di chi sente e non ascolta, parla e non dice, dice e non e'
ascoltato. Grace Paley e Annie Napier erano due prove viventi della fiducia
nella possibilita' della parola, della propria parola intrisa di parole
altrui ascoltate, interiorizzate, restituite in mille forme mutevoli. Credo
di essere stato utile ad Annie, perche' la stavo a sentire.
Anche per Grace Paley, raccontare non era mai un'attivita' solitaria,
un'attivita' che si riduceva a scrivere chiusi nella propria stanza per
lettori lontani e sconosciuti: raccontare voleva dire sempre offrirsi a chi
voleva sentire, guardarsi in faccia, muoversi e smuovere. Un suo racconto
parla di una bambina ebrea, Shirley Abramowitz, che ha una voce "capace di
staccare le etichette", una voce talmente insopprimibile che le chiedono di
fare l'angelo annunciatore nella recita di Natale - e lei, insieme alla sua
famiglia, accettano e ne sono orgogliosi, perche' non si puo' imporre a una
simile voce di tacere. "Vedi - dice un suo personaggio - per un ebreo
'chiudi il becco' e' un'espressione terribile, una parolaccia, come un
peccato, perche' all'inizio, se ricordo correttamente, era la parola".
Una tipica notte di tregenda nella sua casa isolata in cima alla montagna,
Annie mi chiese, "ci credi ai fantasmi?", "No", dissi io. E lei: "neanch'io.
Comunque: ce n'e' uno che tutte le sere passeggia dalla veranda alla
cucina". Non ci credo, ma e' vero: l'essenza dell'immaginazione. Esiste una
relazione fra l'immaterialita' e la presenza della voce, e l'immaterialita'
e la presenza dei fantasmi. Mi viene voglia di immaginarmi Grace e Annie che
passeggiano tutte le sere dalla veranda alla cucina, sotto forma di voce -
di voci che abbiamo ascoltato, che abbiamo fissato nei libri e nei nastri, e
soprattutto voci che continuano a risuonarci nella memoria.

5. RILETTURE. SUSAN BASSNETT: LA TRADUZIONE. TEORIA E PRATICA
Susan Bassnett, La traduzione. Teoria e pratica, Bompiani, Milano 1993,
1999, pp. VIII + 184, lire 20.000. Una bella monografia.

6. RILETTURE. SIRI NERGAARD (A CURA DI): LA TEORIA DELLA TRADUZIONE NELLA
STORIA
Siri Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella storia,
Bompiani, Milano 1993, 2002, pp. VI + 250, euro 14. Con testi di Cicerone,
San Gerolamo, Leonardo Bruni, Martin Lutero, Johann Wolfgang Goethe, Wilhelm
von Humboldt, Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, Jose' Ortega y Gasset,
Benedetto Croce, Walter Benjamin. Un'utile antologia.

7. RILETTURE. SIRI NERGAARD (A CURA DI): TEORIE CONTEMPORANEE DELLA
TRADUZIONE
Siri Nergaard (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, Bompiani,
Milano 1995, pp. VIII + 438, lire 30.000. Con testi di Roman Jakobson, Jiri
Levy, Jurij M. Lotman, Gideon Toury, Umberto Eco, Eugene A. Nida, Itamar
Even-Zohar, James S. Holmes, Henri Meschonnic, Octavio Paz, Willard van
Orman Quine, Hans-Georg Gadamer, Jacques Derrida. Un'utile antologia.

8. LE ULTIME COSE. OSTAGGI

L'orrore della prigionia e dell'uccisione degli ostaggi.
La guerra che tiene in ostaggio e trucida popoli interi, e infine l'intera
umanita'.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 215 del 17 settembre 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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