Voci e volti della nonviolenza. 98



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 98 del 4 settembre 2007

In questo numero:
1. Giorgio Nebbia: Il contenuto di violenza dei trasporti
2. Rocco Altieri: Sugli esiti nefasti della mobilita' accelerata e continua
3. Antonella Litta: Perche' diciamo no all'aeroporto di Viterbo
4. Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth Boulding, Herman Daly: Manifesto per
un'economia umana
5. Et coetera

1. GIORGIO NEBBIA: IL CONTENUTO DI VIOLENZA DEI TRASPORTI
[Ringraziamo Giorgio Nebbia (per contatti: nebbia at quipo.it) per questo
intervento]

Il potersi muovere e' liberatorio; tutta la storia umana e' progredita con
l'aumento della possibilita' di muoversi, di incontrare altri popoli e
persone, di visitare altri paesi, di scambiare materie e, soprattutto,
conoscenza.
Peraltro la mobilita' costa; non parlo del denaro, ma di beni ambientali
come l'energia, l'inquinamento e il territorio, costa in termini di violenza
contro l'ambiente e la natura. Tutto comincia con il consumo di energia
necessaria per spostare un corpo umano di 70 chili (o un sacco di un
quintale) per un metro o un chilometro; l'energia puo' essere fornita dallo
stesso corpo umano, se una persona va a piedi, da un'altra persona o da un
animale che trascina un carro, da un animale da cavalcare. Ciascuno di
questi "mezzi" richiede energia alimentare e genera rifiuti, gli escrementi
animali. Le fonti di energia rinnovabili come il vento sono stati utili per
muovere le navi, a condizione di avere delle navi (di legno), delle vele (di
tela), cose materiali, oggetti, quindi, e ancora una volta di avere
conoscenze tecniche.
A dire la verita' ci sono ben poche analisi dei consumi di energia e degli
effetti ambientali e del contenuto di violenza dei mezzi di trasporto. A
mano a mano che progrediva la richiesta di mobilita' ci si e' accorti che
occorrevano strade e si sono perfezionate le tecniche per costruirle, per
renderle piu' agevoli - a spese di pezzi di territorio; bisognava tagliare
alberi e spianare dislivelli e superare corsi di acqua e anche questo aveva
un costo ambientale.
Con la rivoluzione industriale si e' visto che la fatica animale o umana
poteva essere alleviata con mezzi di trasporto azionati da combustibili
fossili come il carbone, prima, e poi i prodotti petroliferi. Anche in
questo caso a spese di "natura", di riserve di energia non rinnovabili, di
modificazioni negative dell'aria e delle acque; anche in questo caso a spese
di pezzi sempre piu' importanti del territorio; non bastavano le vecchie
strade e la tecnica ha offerto modi e processi per costruire strade
asfaltate, larghe, sicure, oppure strade ferrate e poi stazioni ferroviarie
e stazioni di servizio e distributori di carburanti, e ogni volta che
c'erano ostacoli geografici e' stato necessario scavalcarli con ponti,
gallerie, livellamento di colline e montagne.
*
Il successo economico - non solo in senso monetario, ma anche di
soddisfazione e, si fa per dire, di "felicita'" - ha largamente coperto, o
fatto dimenticare, gli effetti ambientali negativi e la violenza ecologica e
umana dei mezzi e delle vie di trasporto. In una spirale per cui non si
capiva piu' se i nuovi mezzi e vie di trasporto servivano a chi li
realizzava o a chi doveva utilizzarli. Il mito delle "alte velocita'" di
trasporto delle persone e delle merci ha oscurato il significato di queste
stesse parole. Per cui enormi opere o devastanti effetti ambientali hanno
assicurato alle imprese di costruzione grandi profitti, spesso con pubblico
denaro - con le "opere pubbliche" - e anche occupazione, ma per permettere
al viaggiatore o alle merci di guadagnare letteralmente pochi minuti su
percorsi che complessivamente richiedono alcune ore.
Quante "bretelle" e svincoli e sovrappassi sono stati fatti con danni
ambientali e con vantaggi praticamente nulli per gli utenti dei trasporti,
ma grandissimi per i costruttori. Chi sa che qualcuno un giorno non voglia
scrivere una storia del costo ambientale dei trasporti in Italia?
Il mito dell'alta velocita' e della comodita' ferroviaria ha portato a
mettere in circolazione treni e vetture sempre "piu' perfette", con enormi
sprechi, scimmiottando le "comodita'" degli aeroplani, con vetture
tremolanti, con gabinetti che non si aprono o non si chiudono, con impianti
di diffusione della musica che restano silenziosi. Qualcuno fara' mai una
indagine sul costo degli sprechi ferroviari, nel nome di un "progresso"
tecnico accompagnato da un peggioramento della qualita' dei trasporti e
della vita dei viaggiatori?
La proliferazione dei mezzi di trasporto, soprattutto stradali, ha avuto
effetti negativi non solo sul territorio, ma anche sotto forma di
inquinamento dell'aria ad opera dei gas generati dai carburanti, della
raffinazione e del trasporto dei prodotti petroliferi, per la maggior gloria
dell'industria automobilistica.
*
Un discorso a parte meritano i trasporti aerei, veramente liberatori per
scavalcare gli oceani, per accorciare a poche ore i tempi di percorrenza
che, per nave, erano di interi giorni e richiedevano grandi bastimenti.
Davanti a questi vantaggi i trasporti aerei hanno costi ambientali e consumi
di energia, per chilometro percorso da una persona o da una tonnellata di
merce, ancora piu' grandi rispetto agli altri mezzi di trasporto.
Il trasporto aereo richiede aeroporti diventati complesse strutture, hanno
costretto a spianare grandi superfici pianeggianti del territorio e hanno
richiesto nuove strutture stradali e ferroviarie che servono soltanto a
collegare le citta' e gli aeroporti. Grandi aeroporti vicino alle grandi
citta' fanno risparmiare alcuni costi ma comportano altri inconvenienti come
rumore e inquinamento e pericoli; aeroporti lontani dalle grandi citta'
comportano piu' grandi infrastrutture e piu' lunghi tempi per andare dalle
citta' agli aeroporti.
E cosi', lentamente, senza accorgercene, siamo cascati in una serie di
trappole per cui l'apparente "economicita'" e "modernita'" nel nome della
competitivita' su scala planetaria, si traducono non solo in guasti e costi
ambientali, ma in costi energetici e umani sempre piu' alti. Tanto che i
tragitti brevi, di alcune centinaia di chilometri, richiedono piu' tempo in
aereo che in treno non solo nei treni superveloci, ma anche nei comuni treni
ben gestiti.
Si pensi alla trappola dell'aeroporto "milanese" della Malpensa, che ha
devastato un grande pezzo di brughiera a nord di Milano, scomodissimo da
raggiungere, al punto che il tragitto casa-di-Roma, Fiumicino, Malpensa,
centro-di-Milano richiede piu' tempo di quello che occorre in treno. Al
punto che l'avventura della Malpensa ha affossato l'Alitalia e ha
compromesso migliaia di posti di lavoro e la stessa sopravvivenza di tale
aeroporto. Ai disturbi e alla lentezza e ai costi dei trasporti aerei hanno
dato il loro contributo anche gli atti terroristici che hanno moltiplicato
la paura, i controlli, i divieti.
Ma siccome la follia non ha confini, ecco che ogni grande citta' o ogni
capoluogo di provincia, o anche ogni paesino vuole il suo aeroporto, non
piccoli aeroporti per piccoli aerei, che non esistono praticamente piu', ma
grandi dignitosi aeroporti, con relative sfarzose infrastrutture, spesso
utilizzati soltanto pochi giorni o poche ore all'anno, ma siccome il
personale e i servizi devono essere disponibili tutto l'anno, anche se il
traffico e' di pochi viaggiatori al giorno, ecco che enormi cifre vengono
spese per nuovi aeroporti, con sempre nuovi guasti e violenza al territorio.
*
La crisi economica attuale deriva dai debiti che lo stato ha fatto e
continua a fare per opere inutili e per sprechi, nel nome dell'illusione di
farci diventare piu' competitivi o moderni e degni della globalizzazione
imperante. E' cosi' che nascono i progetti delle varie "alte velocita'"
ferroviarie e stradali e la fame di nuovi aeroporti.
Purtroppo mi pare che le battaglie popolari contro le varie infrastrutture
di trasporti (ma troppo poco si bada ai costi ambientali delle molte piu'
sommerse infrastrutture "pubbliche" a fini militari) si siano limitate alla
contestazione del disturbo che esse arrecano alle popolazioni locali, ma non
siano state adeguatamente accompagnate da indagini capaci di rispondere alla
domanda "a che cosa servono?" (naturalmente al di la' dei profitti delle
imprese costruttrici). Siamo certi che l'occupazione aumenti con un nuovo
continuo assalto del territorio per strade e aeroporti e non possa essere
invece assicurata con opere veramente utili ai cittadini, come la difesa del
suolo e delle coste contro l'erosione, la regolazione del corso dei fiumi
contro le alluvioni?
Una volta erano questi i temi della contestazione ecologica: la citta', il
territorio, i mezzi di trasporto, la difesa del suolo, la lotta
all'inquinamento. Tutti temi che possono avere soluzioni soltanto politiche,
con la richiesta di finanziamenti per certe opere o la contestazione di
finanziamenti per altre opere, come l'alta velocita', il ponte sullo stretto
di Messina (forse sepolto), i progetti di altri aeroporti come quello di
Viterbo. E, su un altro versante, i vincoli sulla dissennata proliferazione
di porti turistici che rendono ancora piu' fragili le gia' fragili coste
italiane.
*
Purtroppo apparentemente sinistra e destra politica sono unite nella
frenesia del "fare", del "portare a casa" finanziamenti pubblici, senza
chiedersi a che cosa e a chi servono, quali effetti hanno o avranno
sull'occupazione, sul territorio, sul clima futuro, quale contenuto di
violenza presente e futura hanno.
Io credo che in questa direzione - la critica in termini di violenza
ambientale e umana - delle scelte politiche, il recupero del significato
della "violenza" che non e' soltanto quella dei furti a privati, o delle
falsificazioni merceologiche, o dei lavavetri, ma e' anche quella
dell'inquinamento, dei morti sulle strade nel nome dell'ideologia della
velocita', della pubblicita' che istiga al superfluo, del territorio che si
ribella sotto forma di frane e alluvioni e siccita'. Che e' quella delle
opere inutili, degli sprechi fatti senza alcun vantaggio umano e civile,
come quella dell'aeroporto a cui sarebbe condannata Viterbo.

2. ROCCO ALTIERI: SUGLI ESITI NEFASTI DELLA MOBILITA' ACCELERATA E CONTINUA
[Ringraziamo Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per
questo intervento]

Do tutto il mio sostegno alla lotta del comitato contro la costruzione di un
aeroporto nel territorio di Viterbo.
Leggendo in questi giorni che anche il Vaticano si sta attrezzando per i
suoi pellegrinaggi con una flotta di aeroplani, e come il cardinale Ruini
abbia recentemente inaugurato la "felice" impresa, guidando personalmente un
pellegrinaggio aereo a Lourdes, cui hanno partecipato in prima fila i
peggiori personaggi del malaffare italiano, plurinquisiti che non si sono
mai pentiti, anzi sono ben orgogliosi dei loro crimini, mi e' venuta
spontanea alla mente l'idea, davvero non peregrina, di vedere presto a
Viterbo, storica citta' papalina, uno scalo aeroportuale a completo servizio
della Citta' del Vaticano. Ora che anche la Chiesa cattolica, abbandonati i
treni e i pullman, si adegua "opportunamente" alla "comodita'" dei voli low
cost, potremmo ben dire che "non c'e' piu' religione" in un mondo
trasformato in un grande luna park.
*
Le denunce sui danni ambientali del traffico aereo, pubblicate numerose sul
notiziario della "Nonviolenza in cammino", sono state tutte efficaci e ben
argomentate. Da parte mia, dal punto di vista di un "inguaribile moralista"
della nonviolenza, vorrei aggiungere una riflessione sugli esiti nefasti che
la mobilita' accelerata e continua porta all'interno della societa',
inducendo frammentazione del tessuto sociale e  dispersione di preziose
energie.
In quanto direttore dei "Quaderni Satyagraha", una rivista di studi che per
realizzarsi ha bisogno di continuita' e di radicamento, come ogni iniziativa
a carattere costruttivo, sperimento ogni giorno la difficolta' di
organizzare un gruppo stabile di collaboratori, residenti sul posto e
disposti alla perseveranza nel lavoro volontario. E invece, soprattutto tra
i giovani amici, e' un continuo rincorrersi in aereo, da Porto Alegre
all'India, da Oxford a Barcellona, ispirati sicuramente da un autentico
spirito  internazionalista, ma con una frenesia che nuoce terribilmente alla
possibilta' di strutturare  e consolidare progetti di lunga durata.
Mi sento continuamente dire dai giovani allievi dell'Universita', da me
sollecitati a un impegno nonviolento: "Professore non posso aiutarla, domani
parto per Parigi, mi hanno appena chiamato per un volo low cost". E appena
tornati da Parigi, neanche il tempo di respirare: "Professore, domani
riparto, mi hanno chiamato per un volo a Dublino dal costo di soli 39 euro".
E cosi' in un turbinio inarrestabile di disimpegno e di svago permanente.
Gia' Capitini, il profeta italiano della nonviolenza,  aveva intuito negli
anni '60 che lo stile di vita della "civilta' pompeiana-americana",
dell'industria dei divertimenti e del consumismo, avrebbe nuociuto
all'impegno nonviolento. Percio' aborriva il vacanziero "tempo libero" del
fine settimana, mentre  auspicava il "tempo liberato" dell'impegno civico
quotidiano.
Che dire, poi, della recente moda delle "vacanze missionarie e umanitarie",
della breve durata di qualche settimana, con voli in Asia, Africa o America
Latina. I grandi missionari di un tempo (si pensi a Barlolome' de Las Casas
o a Francesco Saverio)  partivano per sempre e non sapevano se mai sarebbero
ritornati in patria. Oggi si parte in aereo e consumata "l'emozionante
esperienza" si ritorna dopo un po' a vivere, quasi sempre, nello stesso modo
consumistico di prima, infelici e nevrotici, fra telefonini e automobili, in
attesa di nuove generose avventure in "zone di conflitto".
*
"L'uomo planetario", ci ha insegnato Ernesto Balducci, ha bisogno di essere
ben radicato nel posto dove vive, di avere, come ci ricorda questo
notiziario, "ben piantati i piedi per terra".
Kant riusci' ad esplorare il mondo e la coscienza dell'uomo, senza essersi
mai spostato da Konigberg.
Camus ci dice che il vero viaggio e' quello dell'anima, che porta a vedere
il mondo con occhi nuovi.
Oggi chi vuol salvare il corso della storia umana dalla follia generale,
dal collasso ecologico e dalla guerra nucleare, deve ben tenere in mente che
e' qui in mezzo a noi, o meglio dentro di noi, la testa del mostro che
bisogna colpire...

3. ANTONELLA LITTA. PERCHE' DICIAMO NO ALL'AEROPORTO DI VITERBO
[Ringraziamo Antonella Litta (per contatti: antonella.litta at libero.it) per
questo intervento]

Diciamo no all'aeroporto di Viterbo per voli low cost perche' e' inutile e
dannoso.
*
E' dannoso per la salute delle persone in quanto determina con certezza
assoluta l'inquinamento dell'aria che si respira e l'inquinamento acustico,
causato dagli aerei che continuamente atterrano e decollano.
Inoltre provoca lo sconvolgimento e la trasformazione irreversibile delle
aree in prossimita' dell'aeroporto, prima tra tutte quella delle terme, di
grande valore ambientale, storico, culturale e sociale.
Trasforma Viterbo da citta' a vocazione turistica a citta' scalo di transito
per turisti  frettolosi diretti verso Roma.
Il nuovo aeroporto servirebbe soltanto alle compagnie aeree straniere che
vogliono aumentare i voli, e quindi i propri guadagni, senza nessun riguardo
per la salute delle persone e la tutela dell'ambiente.
*
E' piu' che inutile, perche' non risolvera' i tanti problemi di Viterbo e
della sua provincia ma li aggravera', a cominciare proprio dal trasporto
poiche' in assenza di una ferrovia adeguata (e la rete ferroviaria e' la
vera priorita' per la mobilita' nel viterbese) aumentera' il traffico su
gomma con ulteriori effetti negativi.
E' piu' che inutile, perche' non sara' la soluzione alla disoccupazione
della nostra provincia ma anzi distruggera' inevitabilmente nell'area
colpita dalla sua presenza il turismo di qualita' e l'agricoltura di
qualita', e in questo modo finira' per aggravare la situazione
occupazionale.
E' piu' che inutile, perche' non rappresenta una reale opportunita' di
sviluppo adeguato ma solo una scelta irreversibile che frenera' e
mortifichera' per sempre le potenzialita' ancora inespresse del nostro
territorio.
I responsabili del mancato sviluppo del nostro territorio, coloro che male
lo hanno amministrato, ora non trovano migliore soluzione e giustificazione
alla loro incapacita' che invocare la costruzione di un aeroporto:
aggiungendo cosi' un danno ulteriore ai danni gia' provocati.
*
A Viterbo e alla sua provincia non serve l'aeroporto per voli low cost.
Serve la ferrovia che colleghi Viterbo con Civitavecchia, con Orte, con
Roma.
Serve la difesa e la valorizzazione dei beni ambientali e culturali,
dell'agricoltura e del turismo di qualita', che costituiscono la grande
risorsa del viterbese.
*
A tutti i cittadini chiediamo di informarsi e di riflettere sulle reali
conseguenze dell'aeroporto: la devastazione della zona termale;
l'inquinamento acustico che rendera' invivibili interi quartieri;
l'inquinamento dell'aria che danneggera' la salute di tutti nel raggio di
chilometri.
A tutti i cittadini chiediamo di difendere i diritti di tutti, i beni
comuni, la salute e la qualita' della vita; di proteggere e valorizzare le
ricchezze del nostro territorio; di impegnarsi contro nuove servitu' e nuove
devastazioni; di impegnarsi contro l'affarismo distruttivo e per il diritto
a un lavoro valido e sicuro.
A tutti i cittadini chiediamo di esercitare i propri diritti democratici, di
far valere la propria sovranita' popolare, di non subire operazioni
speculative a vantaggio di poche compagnie aeree e a danno dell'intera
popolazione.
A tutti i cittadini chiediamo di far valere i diritti propri e quelli delle
generazioni future; chiediamo di difendere la biosfera messa a rischio dal
surriscaldamento del clima (cui il trasporto aereo contribuisce in misura
rilevante); chiediamo di impegnarsi affinche' lo stato cessi di regalare
fiumi di soldi pubblici alle compagnie aeree (sia dando ad esse ingenti
contributi, sia consentendo ad esse di usufruire di enormi e scandalose
agevolazioni e fin esenzioni fiscali); chiediamo di impegnarsi affinche' i
soldi pubblici siano usati a beneficio di tutti, in primo luogo per i
servizi sociali e sanitari, invece di essere regalati a imprese
speculatrici.
*
A tutti i cittadini chiediamo di difendere la propria citta', il proprio
territorio, la propria salute, la qualita' della vita, i diritti propri e
dei propri figli.

4. TESTI. NICHOLAS GEORGESCU-ROEGEN, KENNETH BOULDING, HERMAN DALY:
MANIFESTO PER UN'ECONOMIA UMANA
[Riproponiamo il seguente manifesto redatto a Nyach, nello Stato di New
York, nell'ottobre 1973 da Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth Boulding e
Herman Daly e sottoscritto da oltre duecento economisti fra cui Kenneth
Arrow, Robert Heilbroner, Ernst Schumacher, David Pearce, Ignacy Sachs,
Bertrand de Jouvenel. La traduzione italiana fu pubblicata in Gianni Cannata
(a cura di), Saggi di economia dell'ambiente,  Giuffre', Milano 1974, pp.
239-244; e ristampata in Nicholas Georgescu-Roegen, Energia e miti
economici, Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp. 207-210]

Nel corso della sua evoluzione la casa comune, il pianeta Terra, si avvicina
ad una crisi dal cui superamento dipende la sopravvivenza dell'uomo, crisi
la cui portata appare esaminando l'aumento della popolazione,
l'incontrollata crescita industriale e il deterioramento ambientale con le
conseguenti minacce di carestie, di guerra e di un collasso biologico.
L'attuale tendenza nell'evoluzione del pianeta non dipende soltanto da leggi
inesorabili della natura, ma e' una conseguenza delle deliberate azioni
esercitate dall'uomo sulla natura stessa. L'uomo ha deciso, nel corso della
storia, il suo destino attraverso decisioni di cui e' responsabile; ha
cambiato il corso del suo destino con altre deliberate decisioni, attuate
con la sua volonta'. A questo punto deve cominciare ad elaborare una nuova
visione del mondo.
Come economisti abbiamo il compito di descrivere e analizzare i processi
economici cosi' come li osserviamo nella realta'. Peraltro nel corso degli
ultimi due secoli gli economisti sono stati portati sempre piu' spesso non
solo a misurare, analizzare e teorizzare la realta' economica, ma anche a
consigliare, pianificare e prendere parte attiva nelle decisioni politiche:
il potere e quindi la responsabilita' degli economisti sono percio'
diventati grandissimi.
Nel passato la produzione di merci e' stata considerata un fatto positivo e
solo di recente sono apparsi evidenti i costi che essa comporta. La
produzione sottrae materie prime ed energia dalle loro riserve naturali di
dimensioni finite; i rifiuti dei processi invadono il nostro ecosistema, la
cui capacita' di ricevere e assimilare tali rifiuti e' anch'essa finita. La
crescita ha rappresentato finora per gli economisti l'indice con cui
misurare il benessere nazionale e sociale, ma ora appare che l'aumento
dell'industrializzazione in zone gia' congestionate puo' continuare soltanto
per poco: l'attuale aumento della produzione compromette la possibilita' di
produrre in futuro e ha luogo a spese dell'ambiente naturale che e' delicato
e sempre piu' in pericolo.
La costatazione che il sistema in cui viviamo ha dimensioni finite e che i
consumi di energia comportano costi crescenti impone delle decisioni morali
nelle varie fasi del processo economico, nella pianificazione, nello
sviluppo e nella produzione. Che fare? Quali sono gli effettivi costi, a
lungo termine, della produzione di merci e chi finira' per pagarli? Che cosa
e' veramente nell'interesse non solo attuale dell'uomo, ma nell'interesse
dell'uomo come specie vivente destinata a continuare?
La chiara formulazione, secondo il punto di vista dell'economista, delle
alternative possibili e' un compito non soltanto analitico, ma etico e gli
economisti devono accettare le implicazioni etiche del loro lavoro. Noi
invitiamo i colleghi economisti ad assumere un loro ruolo nella gestione del
nostro pianeta e ad unirsi, per assicurare la sopravvivenza umana, agli
sforzi degli altri scienziati e pianificatori, anzi di tutte le donne e gli
uomini che operano in qualsiasi campo del pensiero e del lavoro. La scienza
dell'economia, come altri settori di indagine che si propongono la
precisione e l'obiettivita', ha avuto la tendenza, nell'ultimo secolo, ad
isolarsi gradualmente dagli altri campi, ma oggi non e' piu' possibile che
gli economisti lavorino isolati con qualche speranza di successo.
Dobbiamo inventare una nuova economia il cui scopo sia la gestione delle
risorse e il controllo razionale del progresso e delle applicazioni della
tecnica, per servire i reali bisogni umani, invece che l'aumento dei
profitti o del prestigio nazionale o le crudelta' della guerra. Dobbiamo
elaborare una economia della sopravvivenza, anzi della speranza, la teoria
di un'economia globale basata sulla giustizia, che consenta l'equa
distribuzione delle ricchezze della Terra fra i suoi abitanti, attuali e
futuri. E' ormai evidente che non possiamo piu' considerare le economia
nazionali come separate, isolate dal piu' vasto sistema globale.
Come economisti, oltre a misurare e descrivere le complesse interrelazioni
fra grandezze economiche, possiamo indicare delle nuove priorita' che
superino gli stretti interessi delle sovranita' nazionali e che servano
invece gli interessi della comunita' mondiale. Dobbiamo sostituire
all'ideale della crescita, che e' servito come surrogato della giusta
distribuzione del benessere, una visione piu' umana in cui produzione e
consumo siano subordinati ai fini della sopravvivenza e della giustizia.
Attualmente una minoranza della popolazione della Terra dispone della
maggior parte delle risorse naturali e della produzione mondiale. Le
economie industriali devono collaborare con le economie in via di sviluppo
per correggere gli squilibri rinunciando alla concorrenza ideologica o
imperialista e allo sfruttamento dei popoli che dicono di voler aiutare. Per
realizzare una giusta distribuzione del benessere nel mondo, i popoli dei
paesi industrializzati devono abbandonare quello che oggi sembra un diritto
irrinunciabile, cioe' l'uso incontrollato delle risorse naturali, e noi
economisti abbiamo la responsabilita' di orientare i valori umani verso
questo fine. Le situazioni storiche o geografiche non possono essere piu'
invocate come giustificazione dell'ingiustizia.
Gli economisti hanno quindi di fronte un compito nuovo e difficile. Molti
guardano alle attuali tendenze di aumento della popolazione, di
impoverimento delle risorse naturali, di aumento delle tensioni sociali, e
si scoraggiano. Noi dobbiamo rifiutare questa posizione e abbiamo l'obbligo
morale di elaborare una nuova visione del mondo, di tracciare la strada
verso la sopravvivenza anche se il territorio da attraversare e' pieno di
trappole e di ostacoli.
Attualmente l'uomo possiede le risorse economiche e tecnologiche non solo
per salvare se stesso per il futuro, ma anche per realizzare, per se e per
tutti i suoi discendenti, un mondo in cui sia possibile vivere con dignita',
speranza e benessere. Per ottenere questo scopo deve pero' prendere delle
decisioni e subito. Noi invitiamo i nostri colleghi economisti a collaborare
perche' lo sviluppo corrisponda ai reali bisogni dell'uomo: saremo forse
divisi nei particolari del metodo da seguire e delle politiche da adottare,
ma dobbiamo essere uniti nel desiderio di raggiungere l'obiettivo della
sopravvivenza e della giustizia.

5. ET COETERA

Giorgio Nebbia, nato a Bologna nel 1926, docente universitario di
merceologia, gia' parlamentare, impegnato nei movimenti ambientalisti e
pacifisti, e' una delle figure di riferimento della riflessione e
dell'azione ecologista nel nostro paese. Dal sito di Peacelink riprendiamo
la seguente piu' ampia scheda: "Giorgio Nebbia, nato a Bologna nel 1926,
professore ordinario di merceologia dell'Universita' di Bari dal 1959 al
1995, ora professore emerito, e' stato deputato e senatore della sinistra
indipendente. Giorgio Nebbia si e' dedicato all'analisi del ciclo delle
merci, cioe' dei materiali utilizzati e prodotti nel campo delle attivita'
umane, agricole e industriali. Nel settore dell'utilizzazione delle risorse
naturali ha condotto ampie ricerche sull'energia solare, sulla dissalazione
delle acque e ha contribuito all'elaborazione dell'analisi del flusso di
acqua e materiali nell'ambito di bacini idrografici. Nel corso delle sue
ricerche, di ambito nazionale e internazionale, ha studiato il rapporto fra
le attivita' umane e il territorio, con particolare riferimento al
metabolismo delle citta', allo smaltimento dei rifiuti e al loro recupero,
ai consumi di energia. Giorgio Nebbia e' autore di numerosissime
pubblicazioni scientifiche e di alcuni libri divulgativi: L'energia solare e
le sue applicazioni (Feltrinelli); Risorse merci materia (Cacucci); Il
problema dell'acqua (Cacucci); Sete (Editori Riuniti); La merce e i valori.
Per una critica ecologica del capitalismo (Jaca Book). Si e' occupato
inoltre di storia della tecnica ed ha fatto parte di commissioni
parlamentari sulle condizioni di lavoro nell'industria. E' unanimemente
considerato tra i fondatori e i principali esponenti dell'ambientalismo in
Italia". Tra le sue molte pubblicazioni segnaliamo particolarmente: Lo
sviluppo sostenibile, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole
(Fi) 1991; La merce e i valori. Per una critica ecologica del capitalismo,
Jaca Book, Milano; cfr. anche: Il problema dell'acqua, Cacucci, Bari 1965,
1969; La societa' dei rifiuti, Edipuglia, Bari 1990; Sete, Editori Riuniti,
Roma 1991; Alla ricerca di un'Italia sostenibile, Tam tam libri, Mestre
1997; La violenza delle merci, Tam tam libri, Mestre 1999.
*
Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere
moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli
studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti  presso
l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza
all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le
opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione
nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca
Franco Serantini, Pisa 1998.
*
Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla
realizzazione dell'aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di
medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in
Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica
presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione
di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani
sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato
sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11,
pp. 41-47, 1993. Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus
(Associazione internazionale ricerca e salute) e' stata organizzatrice di
numerosi convegni medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario
nei paesi africani. E' partecipe e sostenitrice di programmi di solidarieta'
nazionale ed internazionale. Presidente del Comitato "Nepi per la pace", e'
impegnata in progetti di educazione alla pace, alla legalita', alla
nonviolenza e al rispetto ambientale.
*
Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994), illustre economista; sulla sua figura
e la sua opera riportiamo questo profilo scritto alcuni anni fa da Giorgio
Nebbia: "Nicholas Georgescu-Roegen, il padre di una 'economia radicale',
scomparso all'eta' di 88 anni il 30 ottobre 1994, era nato nel 1906 a
Costanza, in Romania, aveva fatto dei buoni studi universitari di matematica
e statistica a Parigi, a Londra e a Bucarest e poi negli Stati Uniti dove
lavoro' con Schumpeter. Dal 1934 al 1947 ha vissuto le tempestose vicende
della Romania, come professore universitario, come direttore dell'Istituto
di statistica, come delegato a varie conferenze internazionali, fra cui
quella sull'armistizio. Nel febbraio 1948 lascio' la Romania e nel 1949 fu
nominato professore di economia alla Vanderbilt University di Nashville, nel
Tennessee, di cui resto' professore emerito dal 1976 fino alla morte.
Georgescu-Roegen fu autorevole membro della prestigiosa American Economic
Association, e scrisse numerose opere, fra cui il libro Analytical
economics, del 1966, tradotto in italiano da Sansoni col titolo Analisi
economica e processo economico (1973). La celebrita' venne pero' a
Georgescu-Roegen da un libro apparso nel 1971 e intitolato The entropy law
and the economic process, Harvard University Press, sfortunatamente non
tradotto in italiano, un libro piu' citato che letto, difficile, che pero'
rappresenta una miniera di idee, un 'pozzo di San Patrizio', secondo
l'elogio attribuito da Samuelson a molti scritti di Georgescu-Roegen.
Georgescu-Roegen ha sviluppato, ampliato e, direi, popolarizzato, le sue
idee in molti lavori successivi: il piu' noto e' il lungo saggio: Energy and
economic myths, apparso nel fascicolo di gennaio 1975 del 'Southern Economic
Journal', poi riprodotto in un libro, con lo stesso titolo, insieme a vari
altri lavori, in parte tradotti in italiano col titolo Energia e miti
economici, Bollati Boringhieri, Torino 1998. L'introduzione a questo libro
contiene varie informazioni, e riferimenti bibliografici, per ricostruire la
vita e l'opera di Georgescu-Roegen. E' stato tradotto o pubblicato in
italiano anche qualche altro scritto di Georgescu-Roegen, ma certo
renderebbe un servizio alla cultura l'editore che si azzardasse a pubblicare
integralmente una traduzione italiana di The entropy law. Un'interessante
analisi del pensiero di Georgescu-Roegen e' contenuta in un volume
dell'economista Stefano Zamagni, dell'Universita' di Bologna,
Georgescu-Roegen. I fondamenti della teoria del consumatore, pubblicato
dalla Etas nel 1979. Georgescu-Roegen nelle sue opere, specialmente in
quelle posteriori al 1970, sostiene che qualsiasi scienza che si occupa del
futuro dell'uomo, come la scienza economica, non puo' procedere senza tenere
conto della ineluttabilita' delle leggi della fisica. La principale,
espressa dal secondo principio della termodinamica, spiega che alla fine di
ogni processo la qualita' dell'energia peggiora sempre. Per qualita' va
intesa la 'qualita' merceologica', cioe' l'attitudine dell'energia ad essere
ancora utilizzata da qualcun altro. Qualsiasi processo che fabbrica merci e
cose materiali impoverisce, insomma, la disponibilita' di energia nel futuro
e quindi la possibilita' di produrre altre merci e cose materiali. Ma, si
potrebbe obiettare, il pianeta Terra nasconde nel suo ventre ancora riserve
grandissime (ovviamente non illimitate) di fonti energetiche costituite da
carbone, petrolio, metano, cioe' dall'energia solare utilizzata centinaia di
milioni di anni fa da vegetali e animali divenuti poi materia 'fossile': a
tali riserve la societa' industriale puo' attingere a piene mani. E' vero
che un giorno tali riserve potranno esaurirsi, ma e' un problema che
riguarda chi vivra' nel XXI o nel XXII secolo. Georgescu Roegen ribatte che
non si tratta solo di una scarsita', sia pure remota, di energia: la
scarsita' riguarda anche i materiali, i minerali, i prodotti agricoli.
Guardate come procedono i cicli biologici, che riciclano tutte le scorie
vegetali e animali le quali diventano materie per la propagazione della
vita, e guardate invece come procedete voi, per raggiungere il vostro mito
di ricchezza economica, per moltiplicare i vostri strumenti esosomatici: voi
umani operate per cicli sempre piu' aperti, per cui al fianco di una
crescente quantita' di beni materiali e merci, state producendo una molto
piu' grande quantita' di scorie con cui dovrete un giorno fare i conti. Se
volete salvarvi dovete sviluppare una 'bioeconomia', affiancando alla
contabilita' dei flussi di denaro che descrive la 'vecchia' economia, una
descrizione delle risorse naturali materiali e delle scorie fisiche per il
cui ottenimento e smaltimento dovrete spendere una crescente fatica di
energia e soldi. Una proposta di 'matrice intersettoriale' integrata dei
flussi economici ed ecologici e' gia' contenuta a p. 254 del libro The
entropy law. Solo la bioeconomia vi dara' utili indicazioni per le decisioni
politiche che dovrete prendere, vi aiutera' a scansare molte trappole.
Calma, dicono i critici: sara' invece la tecnica che ci salvera', per
esempio permettendoci di riciclare le scorie, proprio come fa la natura, per
ricavarne altre materie prime per il futuro. Folli!, replica
Georgescu-Roegen. Perche' anche la materia si degrada: 'Matter matters,
too', un principio che egli ripete innumerevoli volte e a cui addirittura
attribuisce, scherzosamente, il valore di 'principio': il quarto principio
della termodinamica, secondo cui, proprio come avviene per l'energia, la
materia disponibile non scompare, ovviamente, ma 'si degrada continuamente e
irreversibilmente in materia non piu' utilizzabile' a fini umani,
merceologici, economici. E per concludere Georgescu Roegen da' un calcio
anche ai sostenitori di una 'societa' stazionaria' e ai primi (i piu'
radicali) scritti del Club di Roma. Per sopravvivere sul pianeta Terra, di
dimensioni e risorse limitate, la produzione e l'uso di beni materiali non
solo non possono continuare a crescere, e non basta neanche che diventino
stazionari: devono diminuire. E non compiacetevi troppo, avverte
Georgescu-Roegen, nelle illusioni dell'uso dell'energia solare: la sua
cattura con 'macchine' umane comporta un costo di materiali, e quindi di
energia, che puo' superare la quantita' di energia commerciale che le
macchine 'solari' possono dare. Un messaggio di disperazione, allora?
Georgescu-Roegen di speranze sulla salvezza umana non ne lascia molte: anche
una 'salvezza ecologica', spiega in un saggio tradotto in italiano nella
rivista 'Economia e ambiente', gennaio-marzo 1984, e ora anche nel citato
volume Energia e miti economici, pp. 93-104, deve fare i conti con i
principi della termodinamica. Il messaggio complessivo dell'opera di
Georgescu-Roegen e' che comunque, poiche' la vita umana deve andare avanti,
bisogna almeno cambiare le attuali regole economiche se non si vuole che una
catastrofe, dovuta alla scarsita' delle risorse naturali, invece di arrivare
fra secoli arrivi fra pochi decenni. Ma pare, invece, che il mondo da questo
orecchio non ci senta proprio per niente. Per concludere puo' valere la pena
di rileggere il 'manifesto' per un'economia umana redatto nell'ottobre 1973,
a Nyach, nello stato di New York, da Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth
Boulding e Herman Daly e firmato da oltre duecento economisti fra cui
Kenneth Arrow, Robert Heilbroner, Ernst Schumacher, David Pearce, Ignacy
Sachs, Bertrand de Jouvenel. La proposta era partita dall'associazione
internazionale 'Dai Dong', un nome che corrisponde ad un antico concetto
cinese di un mondo 'in cui la famiglia di ciascun uomo non e' soltanto la
sua famiglia, i figli di ciascun uomo non sono soltanto i suoi figli, ma
tutto il mondo e' la sua famiglia, tutti i bambini sono suoi figli'. Il
'manifesto' fu presentato alla riunione annuale del dicembre1973
dell'American Economic Association ('American Economic Review', 64, (2), p.
447 e 449-450 (maggio 1974); anche in Hugh Nash (a cura di), Progress as if
survival mattered, San Francisco, Friends of the Earth, 1977, pp. 182-183);
la traduzione italiana fu fatta circolare nel novembre 1973 nel corso della
riunione annuale della Societa' Italiana degli Economisti, a Roma, e,
firmata da Gianni Cannata, Pietro Dohrn, Giorgio Nebbia, e alcuni altri; fu
pubblicata in: G. Cannata (a cura di), Saggi di economia dell'ambiente,
Giuffre', Milano 1974, pp. 239-244; fu ristampata in 'Economia e Ambiente',
2, (1/2), 70-74 (gennaio-giugno 1983) e in Nicholas Georgescu-Roegen,
Energia e miti economici, Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp. 207-210, e
fu distribuita in occasione del seminario 'Oltre l'economia', organizzato il
7-8 ottobre 1997 dal Comitato permanente di solidarieta' di Arezzo".
*
Kenneth Ewart Boulding (Liverpool, 1910 - Boulder, 1993), illustre
economista, intellettuale pacifista, docente universitario, autore di
numerose pubblicazioni, dopo aver insegnato ad Oxford si trasferi' negli
Stati Uniti dove fu docente presso varie universita'; utilissimo materiale
sulla sua figura e la sua opera e' nel sito
www.colorado.edu/econ/Kenneth.Boulding/ Tra le opere di Kenneth Boulding:
Economic analysis (1941, 1955); Economics of peace (1945); A reconstruction
of economics (1950); The organizational revolution (1953); The economy of
love and fear: a preface to grants economics (1973).
*
Herman E. Daly, economista ambientale, docente all'Universita' del Maryland;
dal 1988 al 1994 ha lavorato come Senior Economist per il dipartimento
ambientale della World Bank; precedentemente, per circa vent'anni, aveva
insegnato economia alla Louisiana State University; e' autore di
fondamentali studi sul rapporto tra economia ed ecosistema (visto come fonte
delle materie primarie, bacino ricettivo dei rifiuti e fonte di energia),
confluiti in numerosi libri. Secondo Daly - che e' anche uno dei fondatori
della rivista "Ecological Economics" - la nostra economia e' cresciuta
talmente tanto che la sua domanda minaccia di superare la naturale capacita'
dell'ecosistema di rigenerare le risorse e assorbire i rifiuti. Questo
significa che il cammino del progresso economico deve spostarsi dall'idea di
crescita (espansione quantitativa) a quella di sviluppo (miglioramento
qualitativo). La sfida sta nella ricerca di quelle politiche, tecnologie,
istituzioni e anche valori etici necessari ad attuare questa trasformazione.
Tra le opere di Herman Daly: Oltre la crescita, Edizioni di Comunita', 2001;
(con John Cobb), Per il bene comune, Red Edizioni, 1994.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 98 del 4 settembre 2007

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