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La domenica della nonviolenza. 124
- Subject: La domenica della nonviolenza. 124
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 12 Aug 2007 11:22:52 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 124 del 12 agosto 2007 In questo numero: Umberto Galimberti: Introduzione a "Il corpo" RIFLESSIONE. UMBERTO GALIMBERTI: INTRODUZIONE A "IL CORPO" [Dal sito www.feltrinelli.it riprendiamo l'Introduzione (pp. 11-27) dell'autore a Il corpo, Feltrinelli, Milano 2002 (nuova edizione aggiornata del testo apparso originariamente nel 1983; ora pubblicato come volume V delle Opere di Umberto Galimberti); sono state omesse l'epigrafe e le note. Dallo stesso sito riportiamo anche la scheda editoriale (scilicet: pubblicitaria) di presentazione del libro e l'indice: "Umberto Galimberti, Il corpo, nuova edizione, Opere vol. V, pp. 604, euro 15. Organismo da sanare, forza lavoro da impiegare, carne da redimere, inconscio da liberare: nel corpo, nella repressione della sua naturale ambivalenza, e' leggibile la storia culturale dell'Occidente. Nuova edizione aggiornata e ampliata. Un libro affascinante e fondamentale, la proposta di una psicologia che, togliendo la scissione anima/corpo su cui si fonda, cominci a pensarsi contro se stessa. Dalla 'follia del corpo' di Platone alla 'maledizione della carne' nella religione biblica, dalla 'lacerazione' cartesiana della sua unita' alla sua 'anatomia' ad opera della scienza, il corpo vede proseguire la sua storia con la sua riduzione a 'forza-lavoro' nell'economia dove piu' evidente e' l'accumulo del valore nel segno dell'equivalenza generale, ma dove anche piu' aperta diventa la sfida del corpo sul registro dell'ambivalenza. Indice: Il corpo tra natura e cultura: il gioco dell'ambivalenza. Parte prima - Il corpo in Occidente: l'equivalenza. 1. Le comunita' primitive e l'ambivalenza simbolica del corpo. 2. La filosofia greca e la soppressione dell'ambivalenza del corpo nell'equivalenza del valore. 3. La religione biblica e il sacrificio del corpo nell'economia della salvezza. 4. La ragione cartesiana e l'oggettivazione del corpo. 5. La scienza e la riduzione del corpo a simulacro biologico. 6. La medicina e la salute del corpo. 7. L'economia e l'alienazione del corpo nella produzione del valore. Parte seconda - Fenomenologia del corpo: l'ingenuita'. 8. Il corpo come apertura originaria. 9. Il corpo abita il mondo. 10. Lo spazio del corpo. 11. Il tempo del corpo. 12. L'ambiente del corpo e l'ordine degli strumenti. 13. Il gesto del corpo. 14. La voce del corpo. 15. Corpo e comunicazione. 16. Le vesti del corpo e il sistema della moda. 17. La liberta' del corpo. 18. L'altro corpo. 19. Corpo d'amore. 20. Il corpo e la morte. Parte terza - Psicoanalisi del corpo: la presenza. 21. Il corpo e il mondo: la presenza. 22. Il corpo e l'organismo. 23. Il corpo e il conflitto dell'emozione. 24. Il corpo e la complicita' della carne. 25. Il corpo e la sua immagine. 26. Il corpo e il suo doppio. Al di la' dell'inconscio. 27. Corpo e alienazione. 28. I messaggi cifrati del corpo. 29. La parola indivisa del corpo e il taglio della dottrina. Parte quarta - Sociologia del corpo: l'iscrizione. 30. Il corpo e la demarcazione sessuale. 31. Il corpo e il feticismo dei bisogni. 32. Il corpo e l'immaginario dei desideri. 33. Il corpo e la legge. 34. Il corpo e le coercizioni del potere. 35. Corpo e trasgressione. 36. L'inerzia del corpo e la dispersione dei segni. Parte quinta - Semiologia del corpo: l'ambivalenza. 37. Il corpo e il linguaggio simbolico. 38. Il corpo e la parte maledetta. 39. L'equivalente generale e l'ambivalenza simbolica. 40. L'Oro e le merci. 41. Il Fallo e le pulsioni. 42. Il Senso e le parole. 43. Dio e gli dei. 44. L'Anima e il corpo. 45. L'Universo e il diverso. 46. Il corpo e la sfida simbolica". Umberto Galimberti, filosofo, saggista, docente universitario; materiali di e su Galimberti sono nei siti http://venus.unive.it e www.feltrinelli.it (che presenta molti suoi interventi sia scritti che audio e videoregistrati). Dal sito www.feltrinelli.it riprendiamo la seguente scheda aggiornata: "Umberto Galimberti e' nato a Monza nel 1942, e' stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 e' professore ordinario all'universita' Ca' Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Dal 1985 e' membro ordinario dell'international Association for Analytical Psychology. Dal 1987 al 1995 ha collaborato con "Il Sole-24 ore" e dal 1995 a tutt'oggi con il quotidiano "la Repubblica". Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e di psicologia, ha tradotto e curato di Jaspers, di cui e' stato allievo durante i suoi soggiorni in Germania: Sulla verita' (raccolta antologica), La Scuola, Brescia, 1970; La fede filosofica, Marietti, Casale Monferrato, 1973; Filosofia, Mursia, Milano, 1972-1978, e Utet, Torino, 1978; di Heidegger ha tradotto e curato: Sull'essenza della verita', La Scuola, Brescia, 1973. Opere di Umberto Galimberti: Heidegger, Jaspers e il tramonto dell'Occidente, Marietti, Casale Monferrato 1975 (Ristampa, Il Saggiatore, Milano, 1994); Linguaggio e civilta', Mursia, Milano 1977 (II edizione ampliata 1984); Psichiatria e Fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1979; Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1983 (Premio internazionale S. Valentino d'oro, Terni, 1983); La terra senza il male. Jung dall'inconscio al simbolo, Feltrinelli, Milano 1984 (premio Fregene, 1984); Antropologia culturale, ne Gli strumenti del sapere contemporaneo, Utet, Torino 1985; Invito al pensiero di Heidegger, Mursia, Milano 1986; Gli equivoci dell'anima, Feltrinelli, Milano 1987; La parodia dell'immaginario in W. Pasini, C. Crepault, U. Galimberti, L'immaginario sessuale, Cortina, Milano 1988; Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano 1989; Dizionario di psicologia, Utet, Torino 1992 (nuova edizione: Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Milano, 1999); Idee: il catalogo e' questo, Feltrinelli, Milano 1992; Parole nomadi, Feltrinelli, Milano 1994; Paesaggi dell'anima, Mondadori, Milano 1996; Psiche e techne. L'uomo nell'eta' della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999; E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza (opera dialogica con Edoardo Boncinelli e Giovanni Maria Pace), Einaudi, Torino 2000; Orme del sacro, Feltrinelli, Milano 2000 (premio Corrado Alvaro 2001); La lampada di psiche, Casagrande, Bellinzona 2001; I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003; Le cose dell'amore, Feltrinelli, Milano 2004; Il tramonto dell'Occidente, Feltrinelli, Milano 2005; La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla consulenza filosofica, Feltrinelli, Milano 2006. E' in corso di ripubblicazione nell'Universale Economica Feltrinelli lí'intera sua opera. Traduzioni all'estero: in francese: (Il corpo) Les raisons du corps, Grasset Mollat, Paris, 1998; in tedesco: (Gli equivoci dell'anima) Die Seele. Eine Kulturgeschichte der Innerlichkeit, Verlag Turia + Kant, Wien, 2003; (Le cose dell'amore) Liebe, Beck, Monaco, 2006; in greco: (Storia dell'anima) Historia tes psyches, Apollon, Thessaloniki, 1989; (Paesaggi dell'anima) Topia psyches, Itamos, Athina, 2001; (Gli equivoci dell'anima) Parermeneies tes psyches, University Studio Press, Athina, 2004: in spagnolo: (Dizionario di psicologia) Diccionario de psicologia, Siglo Veintiuno Editores, Citta' del Messico 2002; (Le cose dell'amore), Las cosas del amor, Imago mundi, Madrid, 2006; in portoghese: (Orme del sacro) Rastros do sagrado, Paulus, Sao Paulo, Brasil, 2003; (I vizi capitali e i nuovi vizi) Os vicios capitais e os novos vicios, Paulus, Sao Paulo, Brasil, 2004; (Psiche e techne. L'uomo nell'eta' della tecnica) Psiche e techne. O homen na idade da tecnica, Paulus, Sao Paulo, Brasil, 2005; in giapponese: I vizi capitali e i nuovi vizi, Tokio, 2004"] Introduzione Il corpo tra natura e cultura: il gioco dell'ambivalenza Natura e cultura non sono gli estremi di un itinerario che l'umanita' non ha mai percorso, ma semplicemente due nomi che qui impieghiamo per designare l'ambivalenza con cui il corpo si esprimeva nelle societa' arcaiche e l'equivalenza a cui oggi e' stato ridotto nelle nostre societa' dai codici che le governano e dal corredo delle loro iscrizioni. Sommerso dai segni con cui la scienza, l'economia, la religione, la psicoanalisi, la sociologia di volta in volta l'hanno connotato, il corpo e' stato vissuto, in conformita' alla logica e alla struttura dei vari saperi, come organismo da sanare, come forza-lavoro da impiegare, come carne da redimere, come inconscio da liberare, come supporto di segni da trasmettere. Mai l'impronta della sua vita solitaria, alla periferia dei codici strutturali, continua a passare inavvertita nella sua ambivalenza che, incurante del principio di identita' e differenza con cui ogni codice esprime la sua specularita' bivalente, dice di essere questo, ma anche quello. Come "significato fluttuante" il corpo con-fonde i codici con quella operazione simbolica che consiste nel com-porre (sym-ballein) quelle disgiunzioni in cui ogni codice si articola quando divide il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto, Dio e il mondo, lo spirito e la materia, ottenendo quella bivalenza dove il positivo e il negativo si rispecchiano, producendo quella realta' immaginaria da cui traggono la loro origine tutte le "speculazioni". Diciamo "immaginaria" perche' non esiste una polarita' dove un termine e' tutto positivo e l'altro tutto negativo se non per effetto di codice. Proponendosi come questo ma anche quello, il corpo, che si concede a tutte le iscrizioni ma anche vi si sottrae, con la sua ambivalenza le fa tutte oscillare. Luogo e non-luogo del discorso, esso opera quel taglio geologico nella storia che ne rivela tutte le stratificazioni. Da centro di irradiazione simbolica nelle comunita' primitive, il corpo e' diventato in Occidente il negativo di ogni "valore", che il sapere, con la fedele complicita' del potere, e' andato accumulando. Dalla "follia del corpo" di Platone alla "maledizione della carne" nella religione biblica, dalla "lacerazione" cartesiana della sua unita' alla sua "anatomia" a opera della scienza, il corpo vede concludersi la sua storia con la sua riduzione a "forza-lavoro" nell'economia, dove piu' evidente e' l'accumulo del valore nel segno dell'equivalenza generale, ma dove anche piu' aperta diventa la sfida del corpo sul registro dell'ambivalenza. Qui "sfida" non significa che il corpo si oppone a qualcosa o a qualcuno, ma semplicemente che non si affida a una pienezza di senso e di valore, non perche' abbia obiezioni o riserve che qualsiasi discorso sarebbe in grado di recuperare o di assorbire, ma perche' quella pienezza di senso e di valore e' cresciuta sulla sua mortificazione, la quale, se da un lato ha lasciato il corpo senza senso, senza nome, senza identita', dall'altro gli ha dato la possibilita' di diventare il contro-senso, colui che dissolve il nome e risolve l'identita' nelle sue adiacenze: "A e non-A", perche' questo e' il gioco dell'ambivalenza simbolica, e insieme la strada con cui il corpo puo' recuperarsi dalle divisioni disgiuntive in cui sapere e potere l'hanno ripartito. Fin qui la Prima parte: "Il corpo in Occidente: l'equivalenza". * Ma la constatazione della riduzione dell'ambivalenza simbolica del corpo all'equivalente generale del valore non e' un preludio alla "liberazione" del corpo, al giorno in cui gli verra' restituita la sua es-pressione contro la re-pressione del sistema. Queste pagine ritengono che tale liberazione appartenga a una storia passata e sia in ritardo di una rivoluzione, come il Messia di Kafka che viene l'indomani del Giudizio Finale quando non e' piu' necessario, quasi un effetto di realta' ritardata, per salvare dei corpi che non hanno mai avuto bisogno ne' del Messia ne' della rivoluzione per accadere. Inoltre questo sistema di "liberazione", a cui da' man forte tutta quella letteratura che ormai si spreca sul corpo e sul desiderio, e' oltremodo insidioso, perche' finisce col mobilitare, e non per liberare, le potenzialita' espressive del corpo (che gia' da tempo sono state confiscate dall'"anima", dallo "spirito" o dai "valori"), per un'emancipazione programmata, in vista di uno sfruttamento piu' razionale e sistematico. E cosi' paradossalmente questa "scoperta del corpo", che si vuole presentare come premessa per la sua liberazione, e' utilizzata per liquidarlo definitivamente nell'ingranaggio del sistema e della sua produzione che, non contenta di sfruttare del corpo la sua forza-lavoro, ne sfrutta anche la forza del desiderio, allucinandolo con quegli ideali di bellezza, giovinezza, salute, sessualita' che sono poi i nuovi valori da vendere. Mobilitato dal sistema nel processo di appetizione-soddisfazione, a cui tutti i moti di "liberazione del corpo" danno il loro inconsapevole contributo, il corpo diventa quell'istanza gloriosa, quel santuario ideologico in cui si consumano gli ultimi resti della sua alienazione. Tutte le religioni della spontaneita', della liberta', della creativita', della sessualita' grondano del peso del produttivismo e della logica dei valori, che possono crescere e accumularsi solo se il corpo si lascia sedurre e abbandona il suo naturale campo di gioco che e' quello dell'ambi-valenza. Non alla liberazione del corpo conducono dunque queste pagine, ma alla sua innocenza. * Qui si apre la Seconda parte: "Fenomenologia del corpo: l'ingenuita'", dove il corpo dispiega il suo spazio che non e' geometrico, il suo tempo che non e' cronologico, dove il mondo (Welt) si raccoglie in quel mondo-ambiente (Um-welt) in cui si dispiegano le sue cose, tra quelle distanze che sono proporzionali ai suoi gesti, accompagnati da quelle parole che giungono fin dove giunge il suono della sua voce. Declinandosi come corpo d'amore gioca col pudore, con la carne, con le vesti, incontra l'altro corpo e con lui misura lo spazio di liberta' che la situazione gli concede, fino a quella situazione-limite che e' la morte, dov'e' il congedo del corpo, il suo silenzio. Non piu' l'anima e il corpo, ma il corpo e il mondo, in quella originaria co-esposizione in cui e' il primitivo senso del mondo, il suo scaturire immotivato, a cui il corpo, dopo il primo ingenuo contatto, cerca di dar senso. Abitando il mondo, il corpo contrae abitudini in uno spazio che non lo ignora, tra cose che dicono il suo vissuto, dove conoscere e' riconoscere, e' sentirsi a casa, perche' le cose sono caricate di quel senso che, trascendendo la loro pura oggettivita', le sottrae al loro anonimato, per restituirle ai gesti abituali, che consentono al corpo di sentirsi fra le sue cose, presso di se'. Ma proprio qui il corpo incomincia a conoscere la sua connaturata ambivalenza. "Essere-nel-mondo" significa infatti, per il corpo, sfuggire all'assedio del mondo per abitarlo, fuggire dal proprio essere in mezzo al mondo per averlo come luogo d'abitazione. In questo gioco dell'ambivalenza, il corpo deve anche fuggire da se' per prendersi cura di se'. La sua cura e' per se', solo se e' per il mondo; solo correndo verso il mondo il corpo si soccorre. In questo senso il corpo e' sempre fuori di se', e' intenzionalita', trascendenza, immediato sbocco sulle cose, apertura originaria, continuo progetto e percio' proiezione futura. Ma quando il corpo, da veicolo nel mondo, diventa l'ostacolo da superare per essere al mondo, allora e' l'alienazione, dove il corpo erra enigmaticamente in regioni dove il senso si fa controsenso, dove l'Inquietante si distribuisce su tutte le cose, caricandole di significati eccedenti, anzi eccessivi, perche' la sua "ambivalenza" si declina in quella "polivalenza" dove tutto diventa possibile, perche' il reale s'e' a tal punto allontanato, da lasciare dietro di se' solo tracce allucinate. Eppure anche qui il corpo non rinuncia al suo modo di essere al mondo come apertura originaria, solo declina la sua "presenza" secondo modalita' cosi' desuete che lo rendono incomunicabile nella sua radicale solitudine. * Qui prende avvio la Terza parte: "Psicoanalisi del corpo: la presenza". E' dove il corpo lancia messaggi, che la medicina, la psichiatria e la psicoanalisi classica non possono raccogliere, per la semplice ragione che non conoscono il corpo perche' hanno frequentato sempre e solo l'organismo, il quale, a differenza del corpo, non dispone di un'intenzionalita' dispiegata nel mondo. Finche' la medicina, la psichiatria e la psicoanalisi non guadagneranno l'ambivalenza del corpo, superando la disgiunzione cartesiana tra res cogitans e res extensa, tra corpo e mente, tra soma e psiche, tra conscio e inconscio, non solo si troveranno a trattare il corpo umano come un qualsiasi oggetto della natura, con un atteggiamento che, lungi dall'essere "naturale" come queste discipline pretendono, e' "naturalistico", ma di fronte alla malattia, al suo insorgere, al suo aggravarsi o alleviarsi, si troveranno nelle condizioni di "spiegare" qualcosa, come dice Jaspers, senza nulla "comprendere", a meno di non considerare "compreso" un fenomeno per il fatto che gli si e' assegnato il nome magico di "conversione" o di "somatizzazione", intorno a cui si sollevano le polemiche degli organicisti e degli psicologisti, occupati entrambi a far collimare le due parti di un'unita' che non la natura, ma le esigenze metodologiche della scienza hanno impropriamente tenute divise e separate. Ove pero', recuperata l'ambivalenza del corpo, si sappia sottrarsi alla seduzione delle riduzioni naturalistiche ed evitare, come dice Husserl, "gli errori seducenti in cui sono caduti Cartesio e i suoi successori" e' possibile riconoscere che il corpo non e' quella "cosa" postulata dagli anatomo-patologi e dai fisiologi, non perche' sia un'altra realta', ma perche' il corpo-cosa e' un modo univoco di rendere presente il corpo, un modo che non puo' pretendere di risolvere in se' ogni modalita' della presenza. Il corpo puo' infatti attuarsi e rivelarsi in infiniti modi, tempi e luoghi, per cui noi ad esempio siamo la' in carne e ossa fin dove ci trascendiamo, in quel mondo sociale (Mit-welt) e circostante (Um-welt) dove siamo con qualcuno o con qualcosa d'altro da noi. Questa e' la ragione per cui, fin dove si estende la presenza, la' si estende il mio corpo, perche' suo e' quello spazio, come e' del danzatore lo spazio di cui egli si appropria nel danzare. Ogni mio atto rivela infatti che la mia presenza e' corporea e che il corpo e' la modalita' del mio apparire. Questo organismo, questa realta' carnale, i tratti di questo viso, il senso di questa parola portata da questa voce non sono le espressioni esteriori di un Io trascendentale e nascosto, ma sono io, cosi' come il mio volto non e' un'immagine di me, ma sono io stesso. Nel corpo, infatti, c'e' perfetta identita' tra essere e apparire, e accettare questa identita' e' la prima condizione dell'equilibrio. Non esiste un pensiero al di fuori della parola che lo esprime, perche', solo abitando il mondo della parola, il pensiero puo' risvegliarsi e farsi parola. Allo stesso modo non esiste un uomo al di fuori del suo corpo, perche' il suo corpo e' lui stesso nella realizzazione della sua esistenza. Se non si accetta la totalita' di questa presenza e la sua ambivalenza, e' impossibile accedere alla comprensione della realta' umana e all'ordine dei suoi progetti. * Ma i metodi della scienza non sono idonei a valutare i progetti d'esistenza, e la "follia" e' pur sempre un progetto d'esistenza, un modo diverso fin che si vuole di essere-nel-mondo. A questo punto come puo' uno psichiatra "comprendere" la soggettivita' di un paziente se la dottrina di cui dispone serve solo a "oggettivarlo" e quindi a tenerlo a distanza? L'obiezione vale anche per il linguaggio psicoanalitico. Termini come "mente" e "corpo", "psiche" e "soma", "Es", "Io", "Super-io", "conscio" e "inconscio", oltre a dividere l'uomo secondo il sistema di riferimento presupposto, vi si riferiscono come a un'entita' isolata, la cui qualita' essenziale non e' quella di essere in rapporto con gli altri e col mondo. L'ambivalenza del linguaggio simbolico, questa parola indivisa del corpo, sfugge infatti a tutte le distinzioni del discorso scientifico che tende sempre all'univocita', anche quando, come il discorso analitico, sfrutta l'equivoco. Non e' moltiplicando le incognite che si recupera l'ambivalenza del linguaggio, perche' la' dove ogni parola sta per un'altra, ogni messaggio, lungi dall'essere lasciato essere per cio' che e', cade sotto la legge che lo erige a significato, dividendo la parola indivisa in significato latente e significato manifesto. Non instaurasse l'inconscio per raccogliere i significati latenti, la psicoanalisi non potrebbe erigere il suo significante; non instaurasse la barra tra cio' che e' detto e cio' che e' taciuto si dissolverebbe il suo campo di gioco. Nata dal taglio con cui ha diviso (dia-ballein) la coscienza dall'inconscio, la dottrina analitica rischia di morire della loro riunione (sym-ballein), verso cui la incalza l'operazione simbolica che la psicoanalisi, per effetto del suo metodo, non conosce, nonostante quello che presume di se'. Evitando di sovraccaricare l'esistente di una struttura teorica a lui estranea, per lasciare che si imponga all'evidenza cosi' come esso e', cio' che appare non saranno le sue "carenze" o i suoi "eccessi", ma i suoi modi di essere che, la' dove la presenza non e' pre-codificata, non si riveleranno come dis-funzioni, ma semplicemente come funzioni di una certa strutturazione della presenza, ossia di un certo modo di "essere-nel-mondo" per progettare un mondo. In questo modo si puo' rinunciare a privilegiare un mondo rispetto a un altro, il mondo del "sano" rispetto al mondo del "malato", e per distinguere, nel loro specifico costituirsi, i "mondi" delle diverse forme dell'alienazione, sara' sufficiente, senza ricorrere ad alcuna visione del mondo precostitutivamente assunta a norma e a modello, scoprire le incrinature presenti nelle strutture trascendentali che presiedono la formazione di un mondo. Tali sono le strutture con cui un corpo si da' un tempo, uno spazio, un mondo, una co-esistenza. * E proprio dall'analisi della coesistenza prende le mosse la Quarta parte: "Sociologia del corpo: l'iscrizione", perche' da sempre il corpo e' superficie di scrittura atta a ricevere il testo visibile della legge che la societa' detta ai propri membri, marchiandoli. Ogni cicatrice e' una traccia indelebile, un ostacolo all'oblio, un segno che fa del corpo una memoria. Per questo le societa' arcaiche iniziavano gli adolescenti alla vita sociale col rito della tortura. Marchiando il corpo, esse lo de-signavano come l'unico spazio idoneo a portare il "segno" del gruppo, la "traccia" del passaggio che "con-segna" l'individuo alla societa'. Un uomo iniziato, infatti, e' un uomo segnato, as-segnato alla vita del gruppo che, con cicatrici indelebili, gli in-segna la sua definitiva appartenenza sociale. Ma l'iscrizione dei primitivi non sopprime l'ambivalenza simbolica, per la semplice ragione che le comunita' arcaiche sono il luogo della circolazione dei simboli che si scambiano tra loro, senza riflettersi in un Significante supremo, come puo' essere la trascendenza di una Legge separata, lontana, dispotica, che articola le relazioni sociali nel rapporto comando/obbedienza. Il "segreto del gruppo", che gli anziani comunicano agli iniziati, e' il gioco dei simboli, una rete polinodale che non si raccoglie in un punto e percio' non produce ne' potere ne' gerarchia. La circolazione dei simboli nelle societa' primitive e' libera e fluttuante e non ha nulla in comune con la rigida circolazione dei segni all'interno di un codice, com'e' nell'ordine delle nostre societa', dove i corpi sono sottratti all'ambivalenza dei loro possibili significati, per essere consegnati a quell'identita' di gruppo a cui devono as-similarsi e uni-formarsi nella rimozione delle differenze. Questa e' la vera crudelta' dell'iscrizione, piu' dolorosa dell'iscrizione cruenta, perche', incarnando un segno, la cui comparsa annulla tutta l'ambivalenza del corpo, la sua disponibilita' per altre indicazioni, il corpo non dice piu' di se', ma del Significante che l'ha segnato e a cui ha con-segnato la propria potenza, e da cui il Significante attinge la sua forza per adoperarla contro i corpi, riproducendosi in essi. Si sa che per accaparrarsi il potere basta far funzionare i corpi secondo un determinato registro di segni. In questo regime i segni acquistano serieta' e i corpi diventano solo lo spazio della loro scrittura. Il loro linguaggio cessa di essere "espressivo" per diventare "indicativo" del Significante supremo, di cui i corpi si limitano a recitare il nome. Un nome vuoto, che non ha bisogno di un segno proprio, perche' l'impossibilita' di attribuirgliene uno e' la prova della sua trascendenza, dell'assolutezza del "suo" senso. Il suo modo di dominare, infatti, non e' nell'imporre un senso, come facevano i primitivi col marchio, ma nello svuotare di senso tutti gli altri segni a cui il corpo, nella sua originaria ambivalenza, potrebbe con-segnarsi. Marchiato dalla divisione sessuale, iscritto nel feticismo dei bisogni, nell'immaginario dei desideri, nel luogo della legge, nelle discipline del potere, il corpo si produce inutilmente nella "trasgressione", altro mito non meno insidioso di quello della "liberazione" del corpo, perche' il divieto che essa incrocia e spezza si ricompone alle sue spalle come un'onda di poca memoria. Divieto e trasgressione devono l'uno all'altra la densita' del loro essere, cio' verso cui la trasgressione si scatena e' il limite che la incatena. La trasgressione e' la glorificazione del limite imposto dalla legge e dalle sue iscrizioni. L'impotenza della trasgressione e' nel fatto che, al pari del divieto in cui si specchia, e' un prodotto di quella logica disgiuntiva in cui si articola la metafisica della ragione, e che ha trovato il suo logos e quindi la sua legge in quel principio di identita' e non contraddizione per cui "A e' A e non e' non-A". Contro questo principio disgiuntivo, per cui questo e' questo e non altro, non vale la "differenza" di cui parla Derrida, perche' all'unicita' di significato del Logos, al suo senso mono-valente, mascherato dalla bivalenza degli opposti in cui si articola, non si oppone la poli-valenza del gioco indiscriminato delle differenze, ma l'ambi-valenza simbolica, dove le cose significano in un senso, ma anche altrimenti. * Qui si apre la Quinta parte: "Semiologia del corpo: l'ambivalenza" che, come composizione simbolica (sym-ballein) disperde tutti i segni prodotti dalla logica disgiuntiva e quindi diabolica (dia-ballein) di ogni Significante supremo, che fa passare per realta' i suoi effetti di codice. Negando la corporeita' delle cose, la loro "differenza naturale", per quell'"identita' astratta", senza di cui, in regime economico, sarebbe impossibile scambiarle, il Valore risolve l'ambivalenza simbolica, che i primitivi riconoscevano nel corpo delle cose, in quell'equivalenza generale che consente, nonostante le loro differenze, di esprimerle tutte in riferimento a quel supremo Significante che e' l'Oro per le merci, il Padre per i figli, il Fallo per le pulsioni, il Senso per le parole, il Dio per gli dei, l'Anima per i corpi. Capo, capoluogo, capitale, capitalismo, paternalismo, fallocrazia, logocentrismo, monarchia, monoteismo sono altrettanti equivalenti generali che in se' raccolgono ed esprimono il senso di tutte le cose, definitivamente sottratte al gioco simbolico della loro ambivalenza. Una volta ridotte allo stesso de-nominatore, le cose perdono il loro nome per recitare indefinitamente il nome del Valore che le esprime. Non si rispecchiano piu' l'una nell'altra, non si scambiano fra loro, ma si proiettano su quello schermo trascendente che e' l'Equivalente generale che tutte le esprime. La storia del pensiero occidentale e' percorsa per intero dal tentativo di annodare il particolare all'universale, il contingente al necessario, il molteplice all'unitario, il terrestre al celeste, il profano al divino, il reale all'ideale, il relativo all'assoluto, risolvendo ogni conflitto interno all'ambi-valenza nell'equi-valenza, che poi diviene pre-valenza su tutti gli scambi a essa subordinati e da essa regolati. Prevalenza teologica rispetto ai soggetti particolari, monarchia rispetto alle persone sociali, fallocrazia rispetto agli oggetti sessuali, logocentrismo rispetto agli scambi dei segni, capitalismo rispetto ai prodotti del lavoro. * I primitivi scongiuravano questa eventualita' con il potlac dei beni, con la distruzione sontuosa di immense ricchezze che, accumulate, avrebbero acquistato quel valore che essi temevano come "la parte maledetta", perche' avrebbe sbilanciato i rapporti sociali a favore di chi li possedeva. Con l'obbligo di donare, ma anche con l'obbligo di ricevere e di restituire, i primitivi garantivano la reversibilita' di tutti i beni, di tutte le cose e di tutti gli uomini, e in questo modo scongiuravano il potere che nasce proprio dalla non-reciprocita' dei rapporti, dal dono senza contro-dono. Al potere che accumula e, sulla ricchezza capitalizzata, fonda la sua autosufficienza e la sua signoria, i primitivi oppongono il potere che perde, e nella perdita acquista una signoria che non mette mai il Signore al riparo dal bisogno, perche' e' una signoria continuamente riciclata dalla sfida dell'altro, nella reversibilita' totale dello scambio. Il comportamento dei primitivi qui e' indicativo non perche' noi si debba tornare ai loro modi di vita - questo sentiero e' assolutamente impraticabile -, ma perche' si abbia ad assumere nei confronti dei valori quell'atteggiamento che essi assumevano nei confronti dei beni: il potlac generalizzato, il sacrificio, che, sottraendo alle cose il loro valore, le restituisce alla loro ambivalenza, e vietando agli uomini di esprimersi esclusivamente come proprietari delle cose, vietava a loro di porre a se stessi i limiti della cosa. Questo capovolgimento oggi lo puo' operare solo il corpo, qualora, rifiutandosi di offrirsi all'economia politica "esclusivamente" come forza-lavoro, all'economia libidica "esclusivamente" come fonte di piacere, all'economia medica come organismo da sanare, all'economia religiosa come carne da redimere, all'economia dei segni come supporto di significazioni, il corpo sottrae a tutti questi codici il loro referente, e alle economie, che su queste codificazioni hanno accumulato il loro valore, il loro senso. Questo il corpo lo puo' fare perche', nonostante le iscrizioni abbiano sempre cercato di dividerlo, nel loro immaginario, in quei settori in cui era possibile ricondurlo all'equivalente generale in cui si esprime di volta in volta l'economia di un codice, il corpo e' ambivalente, e' cioe' una cosa ma anche l'altra, per cui: o la vita del sistema dei codici sulla divisione del corpo, o la vita del corpo sulla frantumazione dei codici, con conseguente potla'c del loro valore accumulato. Non piu' scambio simbolico dei beni, con loro conseguente distruzione come presso i primitivi, ma scambio simbolico dei codici, loro messa in gioco, con conseguente distruzione dell'equivalente generale che sempre ha garantito la circolazione degli scambi, determinandone di volta in volta il valore. L'effetto dello scambio simbolico dei codici e' la frantumazione di quell'equivalente generale che da sempre ha presieduto la costruzione del sapere psicologico, regolato da quella logica disgiuntiva che separa l'anima dal corpo. Nella prospettiva che qui si va inaugurando e' allora necessario che la psicologia incominci a pensarsi contro se stessa e a comprendersi al di la' della sua nominazione idealistica che la propone come "discorso sulla psiche", quindi su quell'unita' ideale del soggetto che la grecita' ha promosso col termine psyche', e a cui la psicologia non s'e' ancora sottratta, neppure nella sua piu' moderna espressione scientifica. * Ma pensare contro non significa pensare l'opposto, mantenendosi su quel medesimo terreno di opposizione in cui il conflitto, cosi' come si genera, si riassorbe. Pensare contro significa pensare fino in fondo, quindi andare alle radici, scavando il fondo su cui si impianta il radicamento. Questa operazione, che rimuove la solidita' delle radici, disloca la psicologia dal luogo che s'e' data, quindi la dis-orienta, la sottrae al suo oriente, alla sua origine storica. Questa origine e' rintracciabile nella cultura greca, e precisamente in quel momento in cui la specificita' dell'uomo e' sottratta all'ambivalenza delle sue espressioni corporee, per essere riassunta in quell'unita' ideale, la psiche, che da Platone in poi, per tutto l'Occidente, sara' il luogo di riconoscimento dell'unita' del soggetto, della sua identita'. Ma questo luogo di identificazione contiene gia' il principio della separazione, perche', come coscienza di se', la psiche incomincia a pensarsi per se', e quindi a separarsi dalla propria corporeita'. La prima operazione metafisica e' stata un'operazione psicologica. Nata con un significato semplicemente classificatorio per designare quei libri aristotelici che erano collocati dopo (meta') i libri di fisica (ta' physika'), la "metafisica" ha guadagnato ben presto e coerentemente un significato topico che designa un al di la' della natura, quindi una scienza dell'ultrasensibile che si differenzia dal mondo dei corpi perche', contro il loro divenire e mutare, rappresenta l'immutabile e l'eterno. L'idea platonica e' il modello di questa separazione e contrapposizione, e la psiche, essendo "amica delle idee", incomincera' a considerare il corpo come suo carcere e sua tomba. Una volta che la verita' e' posta come idea, l'opposizione tra ideale e sensibile, tra anima e corpo, diventa l'opposizione tra vero e falso, tra bene e male. Valori logici e valori morali nascono da questa contrapposizione, che la metafisica ha creato e la scienza moderna ha mantenuto, rivelando cosi' la sua profonda radice metafisica, se e' vero, come dice Nietzsche, che "la credenza fondamentale dei metafisici e' la credenza nelle antitesi dei valori". A questo punto per la psicologia, pensarsi contro se stessa, pensarsi fino in fondo, fino al fondo della sua origine storica, significa pensarsi contro questa antitesi di valori, che non la realta', ma lo sguardo metafisico, con cui la psicologia ha generato se stessa, ha instaurato. E' uno sguardo che ancora ospita la psicologia come residuato di quell'idealismo che, a partire da Socrate e Platone, ha percorso l'Occidente come suo lungo errore. Da questo errore la filosofia si e' emancipata con Nietzsche, che ha denunciato quel retro-mondo, "quell'al di la' inventato per meglio calunniare l'al di qua", ma non la psicologia, che cosi' rimane la piu' occidentale delle scienze e quindi la piu' metafisica, se per metafisica intendiamo il pensiero della separazione, il puro dia-ballein, da cui nascono quelle antitesi denunciate da Nietzsche e fedelmente riportate dal discorso psicologico sulla norma, dove si disgiungono ragione e follia. Fattasi carico della logica della separazione, inaugurata dalla disgiunzione platonica tra corporeo e ideale, la psicologia, se vuol esser coerente con se stessa, non puo' parlare del corpo se non impropriamente, se non per un'infedelta' al suo statuto scientifico, a meno che per "corpo" non intenda l'idea di corpo che come scienza si e' data. Ma se il corpo anatomico, a cui questa idea si riduce dopo che lo psichico e' stato separato e autonomizzato, non e' il luogo in cui la psicologia si riconosce, allora del corpo la psicologia potra' parlare propriamente solo se si pronuncia contro se stessa, contro lo statuto della separazione, che e' poi quell'origine metafisica da cui la psicologia e' nata, ha fondato se stessa come scienza, e ancora si conserva. Consapevole di tale alternativa, questo libro sul corpo non rappresenta un argomento psicologico, un luogo d'indagine tra i molti che la psicologia puo' esplorare, ma indica l'argomento, il luogo a partire dal quale la psicologia deve rivedere se stessa dalle radici, sottraendole a quel terreno metafisico che, ricoprendole, ancora alimenta la psicologia come scienza, e a un tempo cela, come ogni terreno che ricopre, l'antico errore. * Come luogo della revisione psicologica, il corpo parla simbolicamente, non nel senso in cui la psicoanalisi parla dei simboli per ribadire un'altra separazione, quella tra conscio e inconscio, dove nell'inconscio si ritrova il rovescio dell'iperuranio platonico, il "vero" significato di cio' che si manifesta, ma nel senso di abolire la barra che ha separato l'anima dal corpo, inaugurando la "psico-logia". Abolire la barra significa mettere assieme, sym-ballein. Proponendosi come simbolo, il corpo abolisce la psicologia come storicamente si e' pensata in Occidente, la sradica dalle sue radici storiche, che sono poi quelle metafisiche e idealistiche, e cosi' la costringe a pensarsi contro se stessa. Questo pensiero che e' contro, perche' pensa fino in fondo, fino alle radici, incontra la corporeita' che, nel suo sorgere immotivato e nel suo ambivalente apparire, dice di essere questo, ma anche quello. L'ambivalenza cosi' dischiusa non e' ambiguita', ma e' quell'apertura di senso, a partire dalla quale anche la ragione puo' fissare l'opposizione dei suoi significati, e quindi quell'antitesi dei valori, in cui si articola la sua logica disgiuntiva quando divide il vero dal falso, il bene dal male, il bello dal brutto, Dio dal mondo, lo spirito dalla materia, l'anima dal corpo. Queste opposizioni sopprimono l'ambi-valenza (amphi'), con cui la realta' corporea originariamente appare nel suo duplice aspetto, come un Giano bifronte, per instaurare quella bi-valenza (bis) dove il positivo e il negativo si rispecchiano, producendo, come gia' abbiamo detto, quella realta' immaginaria da cui traggono origine tutte le "speculazioni". Diciamo "immaginaria" perche' la realta' non puo' mai di per se' essere negativa se non per effetto di una valutazione. Ma se il negativo e' da interpretare semplicemente come il "valutato negativamente", allora la negativita' attiene essenzialmente al giudizio di valore. * Il gioco dell'ambivalenza, infatti, e' aperto prima che il sapere metafisico fissi le regole del gioco, e proprio perche' le regole vengono dopo, questo gioco e' imprevedibile, perche' nessuna determinazione posta in gioco conosce la sua destinazione. L'unica certezza e' quella che non ci si puo' sottrarre alla necessita' del gioco, non si puo' dire l'ultima parola sul gioco e fermarlo per sempre. Per la sua natura ambivalente, infatti, il corpo e' una riserva infinita di segni, entro cui lo stesso sapere psicologico, che ha individuato nella psiche lo specifico dell'uomo, diventa a sua volta un segno, una modalita' di ricognizione che non puo' pretendere di dire qual e' il senso ultimo del corpo. Qui il corpo si cela non perche' nasconde se stesso, ma perche' in esso i segni sovrabbondano sulle capacita' che il sapere psicologico ha di ordinarli. Il volume di senso indotto dai segni del corpo prevale infatti sulla costituzione dei significati istituiti dalla rappresentazione che il sapere psicologico s'e' fatto. Si tratta allora di demolire la semplicita' della rappresentazione psicologica, dissolvendola nella pluralita' di senso che la sovrabbondanza dei segni produce. Se cio' non accade, se la psicologia non si pensa contro la rappresentazione che si e' data, a partire da quell'alba greca in cui ha preso avvio l'autonomizzazione della psiche, la psicologia non solo non giungera' mai alla comprensione dell'espressivita' originaria del corpo, ma sara' costretta a errare, perche' ignora l'errore che e' alla base della sua fondazione epistemica, della sua nascita come scienza. Si tratta di un errore che non investe solo il sapere psicologico ma ogni sapere razionale quando, sottraendosi alla polisemia della realta' corporea, si afferma come asserzione incontrovertibile su di essa. In questo passaggio: dalla verita' come ambivalenza alla verita' come decisione sul vero e sul falso, il sapere razionale dimentica di essere una procedura interpretativa tra le molte possibili per porsi come assoluto principio, dimentica di essere un inganno necessario per dirimere l'enigma dell'ambivalenza, e in questa dimenticanza diviene un inganno perverso. Contro questo inganno il corpo rimette in gioco la sua natura polisemica, rifiutandosi di offrirsi all'economia politica esclusivamente come forza-lavoro, all'economia libidica esclusivamente come fonte di piacere, all'economia medica come organismo da sanare, all'economia religiosa come carne da redimere, all'economia dei segni come supporto di significazioni. In questo rifiuto il corpo sottrae a tutti i saperi il loro referente, e alle economie, che su queste codificazioni hanno accumulato il loro valore, sottrae il loro senso. Cio' e' possibile perche', nonostante le iscrizioni nel loro immaginario abbiano cercato di dividere il corpo in quei settori in cui era possibile ricondurlo all'equivalente generale in cui si esprime di volta in volta l'economia di un sapere, il corpo e' ambivalente, e' cioe' una cosa, ma anche l'altra, per cui: o la decisione del sapere sulla divisione del corpo, o l'ambivalenza del corpo sulla frantumazione dei saperi, con conseguente dissolvimento del loro valore accumulato. Per sfuggire a questa alternativa, che e' inevitabile dal momento che ogni sapere e' un'assunzione di prospettiva, quindi una selezione della visione, che diviene condizione preventiva per la delimitazione del vero e del falso, occorre riguadagnare il terreno su cui il sapere occidentale e' cresciuto. Questa consapevole riappropriazione non e' una regressione, non e' l'abbandono del solido terreno del sapere, al contrario, e' la ricostruzione genealogica del suo significato. Riproporre l'ambivalenza del corpo non significa quindi rifiutare il sapere razionale, ne' tantomeno accettarne la resa, ma significa andare alle radici di questo sapere e scoprirlo per cio' che e': nulla di piu' che un tentativo per far fronte all'ambivalenza della realta' corporea che, cosi' riscoperta, e' cio' che da' ragione delle molteplici ragioni. Queste ragioni, che i saperi tendono a solidificare, non possono piu' proporsi come assoluta verita', perche' ormai si e' scoperto che la verita' non e' nella lotta tra l'asserzione vera e quella falsa, ma nell'apertura dell'universo del senso, che l'ambivalenza della realta' corporea custodisce come luogo da cui partono tutte le decisioni scientifiche. Si tratta di un senso che sta prima di ogni significato, e che nessun significato promosso dalla decisione scientifica puo' abolire, perche' e' prima di ogni inizio e continua oltre ogni conclusione. Ne consegue che alla metafisica dell'equivalenza - produttrice di quei significati con cui in Occidente si sono fatti circolare i corpi, secondo quel preciso registro di iscrizioni che di volta in volta li de-terminava e sulle cui de-terminazioni sono nati i vari campi del sapere, le cui complicita' col potere non sono oggi da scoprire - il corpo puo' sostituire il gioco dell'ambivalenza, che e' poi quell'apertura di senso che, venendo prima della de-terminazione dei significati, puo' mettere in gioco tutti i codici con il corredo delle loro iscrizioni, in un'operazione simbolica in cui il potere perde la sua presa, perche' la de-limitazione dei campi, in cui da sempre si e' esercitato, si e' simbolicamente con-fusa. * Questa e' la sfida del corpo, una sfida che e' gia' iniziata se c'e' da dar credito a quello smarrimento generalizzato che lamenta la confusione dei valori, il loro crollo, il loro potlac. Niente di piu' benefico. Sono i primi effetti di quella violenza simbolica, rispetto a cui quella politica e' in ritardo di una generazione, perche' ancora crede in una controparte, e quindi non sa che ogni parte e ogni controparte altro non sono che l'effetto di quell'operazione disgiuntiva, che il codice mette in atto per mascherare la propria monarchia. Ma quando la realta' immaginaria, prodotta dalle opposizioni polari in cui si articola ogni struttura codificata, non riesce piu' a farsi passare per realta' vera, in quel gioco di specchi dove nulla si "scambia", ma tutto si "specula", allora si e' piu' vicini all'ambivalenza, non per una contrapposizione dialettica o per una opposizione organizzata, ma perche' la' dove tutte le maschere sono cedute, compresa quella della bivalenza codificata, ogni termine che ruota su se stesso si s-termina. Questo e' l'esito simbolico che attende l'ordine strutturale di ogni codice. E gia' se ne vedono le tracce. Seguendole, il corpo consegna ogni "ontologia" e ogni "deontologia" alla "geo-grafia", alla grafia della terra, la piu' dicente, la piu' descrittiva, quella che non accorda privilegi ontologici, perche' non conosce la mono-tonia del discorso, ma l'ambi-valenza della cosa. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 124 del 12 agosto 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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