Minime. 180



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 180 del 13 agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Luciano Benini: Da Fano a Viterbo
2. Raffaele Mantegazza: Prima di mettersi in coda per il prossimo estenuante
check-in
3. Diana Napoli: Furente Furet. Un breve ricordo
4. Roberto Mancini: Quelli che non contano
5. Enrico Peyretti: Una carenza
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LUCIANO BENINI: DA FANO A VITERBO
[Ringraziamo Luciano Benini (per contatti: luciano.benini at tin.it) per questo
intervento.
Luciano Benini, gia' presidente del Movimento Internazionale della
Riconciliazione (Mir-Ifor), da sempre impegnato in molte attivita' e
iniziative di pace e di solidarieta', per l'ambiente e per i diritti umani,
apprezzatissimo pubblico amministratore, e' una delle persone piu'
prestigiose dei movimenti nonviolenti in Italia]

Anche a Fano, da molti anni, associazioni e semplici cittadini stanno
lottando per impedire il potenziamento del locale aeroporto proponendo di
investire, invece, nella realizzazione di un parco cittadino.
Gia' attualmente il piccolo aeroporto in terra battuta provoca inquinamento
acustico e dell'aria tutt'altro che trascurabile: l'asfaltatura della pista
e l'installazione di sistemi per l'atterraggio di aerei a reazione
provocherebbe un intollerabile peggioramento della qualita' della vita dei
cittadini, il tutto per soddisfare i desideri dei pochissimi che vogliono in
tutti i modi utilizzare questo mezzo di trasporto cosi' impattante per
l'ambiente e la salute.
Ci sentiamo pertanto particolarmente vicini con le lotte di quanti si
oppongono a nuovi scali aeroportuali, convinti come siamo che occorre
ridurre, e non potenziare, la movimentazione di merci e persone che non sia
strettamente necessaria, a favore di un maggiore utilizzo delle risorse
locali e di una mobilita' piu' leggera e meno energivora.
Esprimiamo pertanto il nostro pieno sostegno alle lotte degli amici di
Viterbo contro la realizzazione del terzo polo aeroportuale nel Lazio.
Luciano Benini
cittadini per il parco e contro il potenziamento dell'aeroporto

2. EDITORIALE. RAFFAELE MANTEGAZZA: PRIMA DI METTERSI IN CODA PER IL
PROSSIMO ESTENUANTE CHECK-IN
[Ringraziamo Raffaele Mantegazza (per contatti:
raffaele.mantegazza at unimib.it) per questo intervento.
Raffaele Mantegazza, prestigioso pedagogista, docente all'Universita' di
Milano Bicocca; fa parte del comitato scientifico del Centro Studi "Primo
Levi" presso la Fondazione Fossoli. Tra le opere di Raffaele Mantegazza:
Teoria critica della formazione. Espropriazione dell'individuo e pedagogia
della resistenza, Unicopli, 1995; Filosofia dell'educazione, Bruno
Mondadori, 1998; (con Brunetto Salvarani), Le strisce dei lager. La Shoah e
i fumetti, Unicopli, 2000; L'odore del fumo. Auschwitz e la pedagogia
dell'annientamento, Citta' Aperta, 2001; Pedagogia della resistenza. Tracce
utopiche, Citta' Aperta, 2003; Pedagogia della morte. L'esperienza della
morte, Citta' Aperta, 2004]

- Siete contro l'aereo? Ma siete matti?
- Mica vorrete tornare  indietro.
- Ma allora siete contro il progresso.
- E come fareste ad andare a New York?
- Ma allora voi odiate la scienza.
*
E' facile immaginare le obiezioni che una proposta radicale di limitazione
del traffico aereo puo' scatenare; un po' a causa di Lindbergh, un po' del
Barone Rosso, un po' per noi italiani anche grazie alla iattura delle Frecce
Tricolori, l'aereo e' rientrato nel nostro immaginario infantile come
simbolo di liberta' (la liberta' di volare) e di avventura; che poi il volo
danneggi l'ecosistema, che come sempre accade i primi a rimetterci siano i
non-umani (animali e piante), che il turismo globalizzato annienti del tutto
l'idea di avventura - se non si vuole considerare tale la difficolta' per le
popolazioni locali di resistere all'impatto devastante dell'Occidente e dei
suoi rifiuti, tutto cio' sembra importare ben poco.
L'ideologia del villaggio globale ha fatto il resto: se non ci fossero 100
voli settimanali tra Roma e Los Angeles o tra Malpensa e New York ci
sentiremmo tagliati fuori dalla modernita' e dal progresso. Ma il progresso
non deve necessariamente essere per forza fatto coincidere con
l'annientamento delle distanze e con la velocita' a tutti i costi. L'aereo e
la sua demagogia sono al contempo la conseguenza e la concausa di una
civilta' che corre sfrenata verso l'autodistruzione considerando ogni passo
in avanti verso il baratro come una significativa conquista scientifica e
tecnologica.
*
Ma contestare il traffico aereo, chiederne una drastica riduzione, significa
anche e soprattutto affrontare la questione che sta a monte, ovvero un
modello di sviluppo e una organizzazione del lavoro che e' la reale causa di
una tecnologia che ha divorziato dall'uomo per sposare il profitto. Un
esempio: ci si e' mai chiesti perche' la linea Linate-Fiumicino sia ogni
giorno popolata da decine di manager o simil-tali che fanno un pendolarismo
aereo proprio nell'epoca nella quale ci si dice che Internet annulla le
distanze e rende inutili gli spostamenti fisici? A quale logica risponde
questo pendolarismo (senza parlare di quello internazionale)? A una logica
produttiva o a una ideologia dello spostamento continuo, dell'ipercinetismo,
della disponibilita' ad essere ovunque contemporaneamente che e' il vero
stigma della nostra epoca?
E quali sono i costi collettivi e personali di questo modello di sviluppo
che trova nella tecnologia il suo rinforzo e il suo alibi? ("Facciamo la
riunione, tanto da Milano a Roma c'e' un'ora di volo, fai anche in tempo a
tornare in ufficio per finire il tuo lavoro").
In fondo succede con l'aereo quello che succede per le Nuove Tecnologie:
anziche' rispondere a vecchi bisogni la tecnologia ne crea di nuovi, sempre
a danno dell'essere umano - e animale e vegetale - e sempre a favore  del
profitto. Forse e' il caso di pensare a questa ideologia, ai suoi bisogni
indotti, al reale  bisogno di abbattere i tempi e di correre (o volare) piu'
veloci, e ai costi devastanti che tutto cio' comporta, prima di mettersi in
coda per il prossimo estenuante check-in.

3. MEMORIA. DIANA NAPOLI: FURENTE FURET. UN BREVE RICORDO
[Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it,
sito: www.storiedellastoria.it) per questo profilo.
Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano,
e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia.
Francois Furet (1927-1997), storico, giornalista, saggista, docente, e'
stato uno dei maggiori storici della rivoluzione francese. Dal sito
dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it)
riprendiamo il seguente breve profilo: "Nato il 27 marzo l927 da una
famiglia parigina della classe agiata, Francois Furet consegue l'agregation
di storia nel l954, proprio lo stesso anno in cui esce dal Partito Comunista
Francese. Distaccato al Cnrs nel l955, entra successivamente (l960) alla VI
sezione dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes, di cui diventa, nel l966,
directeur d'etudes. Nel decennio l965-l975 le sue scelte politiche
oscillano. Impegnato a sinistra, come testimoniano la sua collaborazione a
'France-Observateur' e il ruolo da lui avuto nella nascita del 'Nouvel
Observateur' (l964), comincia nondimeno a rimettere in questione la vulgata
universitaria dominante della Rivoluzione francese, denunciando il
"catechismo marxista" di Albert Soboul. Consigliere di Edgar Faure in
occasione della messa a punto della legge d'orientamento sulle universita'
(l968), si lega a personalita' politiche lontane dall'area socialista.
Chiamato, tra il l977 e il l984, alla presidenza dell'Ecole de Hautes Etudes
en Sciences Sociales, di recente istituzione, e poi, dal l984, a dirigere
l'Istituto 'Raymond Aron' e la Fondazione 'Saint Simon', la sua influenza si
e' accresciuta ulteriormente, suscitando una riflessione sul politico che ha
alimentato i progetti riformisti delle elites politiche ed economiche. E'
morto a Parigi il l997. Lo sforzo costante di Furet, nella sua opera di
storico della Rivoluzione francese e delle rivoluzioni del XX secolo, e'
stato quello di coniugare storia e politica secondo il monito di Edgar
Quinet: 'Creiamo un'anima libera per rivoluzionare la Rivoluzione'. Quando
ha cominciato a lavorare, la Rivoluzione del l789 era interpretata ancora
attraverso le strutture messe in opera dalla Rivoluzione d'Ottobre. Furet ha
liberato la ricostruzione dell'evento dall'ipoteca ideologica del
giacobinismo, ma non si e' spinto da una parte fino a ricondurlo alle sue
motivazioni economiche, dall'altra fino a considerare lo stesso soggetto
rivoluzionario come forza produttiva. Tra le opere di Francois Furet
ricordiamo: con Denis Richet, La Revolution francaise, Hachette, Paris l965,
II ed. Fayard, Paris l973; Livre et societe' dans la France du XVIII siecle,
Mouton-De Gruyter, La Haye l965; con J. Ozouf, Lire et ecrire.
L'alphabetisation des Francais de Calvin a' Jules Ferry, Minuit, Paris l977;
Penser la Revolution francaise, Gallimard, Paris l978; Histoire de France,
t. 4, La Revolution, Hachette, Paris l988; Le passe' d'une illusion,
Laffont-Calmann-Levy, Paris l995. Furet ha diretto anche con Mona Ozouf il
Dictionnaire critique de la Revolution francaise, Flammarion, Paris l988".
Si veda anche ilseguente agile profilo che esraiamo dalla Wikipedia,
edizione italiana: "Francois Furet (Parigi, 1927 - 1997) e' stato un
importante storico francese, tra i piu' importanti studiosi della
Rivoluzione francese. Appartenente a una famiglia parigina della classe
agiata, Francois Furet entra nel 1949 nel Partito Comunista Francese come
molti altri storici di chiara fama a quell'epoca. Abbandona tuttavia il
partito nel 1956, dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria, pur mantenendosi
sempre vicino alle posizioni politiche socialiste. Dopo aver abbandonato gli
studi universitari per alcuni anni a causa della tubercolosi Furet si laurea
in Storia a Parigi nel 1954. Inizia l'attivita' giornalistica presso il
'France-Observateur', divenuto poi nel 1964 soprattutto grazie al suo
contributo il 'Nouvel Observateur'. Nel 1955 entra nel Centre national de la
recherche scientifique (Cnrs) dove inizia gli studi sui temi della
Rivoluzione francese. Nel 1960 entra quindi nella prestigiosa Ecole des
hautes etudes en sciences sociales di cui diventa anche direttore tra il
1977 e il 1984. Nel 1984 e' chiamato a dirigere l'Istituto Raymond Aron e
poi la Fondazione Saint-Simon. Nel 1997 diviene membro dell'Academie
Francaise. Alla sua attivita' di insegnamento liceale segue quella
universitaria. E' stato docente presso l'Universita' di Chicago, mentre
l'Universita' di Harvard gli ha conferito una laurea ad honorem. Furet muore
nel 1997 all'eta' di settant'anni per un infarto durante una partita di
tennis con alcuni amici nella sua casa di campagna. Gli e' stata dedicata
una scuola alla periferia di Parigi e un premio annuale in Storia. La sua
notorieta' e' legata soprattutto alle tesi critiche che maturo' riguardo la
corrente storiografica marxista sulla Rivoluzione francese dominante in
quegli anni, soprattutto criticando il dogmatismo della storiografia di
Albert Soboul. Egli rigetto' l'interpretazione di moda della Rivoluzione
come frutto di lotte di classe, di scontro aristocrazia-borghesia (vincente)
e poi borghesia-proletariato (perdente). Nella Rivoluzione vide invece una
lotta unitaria per l'affermazione degli ideali liberali e democratici, che
non furono soffocati sotto la dominazione di Napoleone Bonaparte, ma
tornarono a spingere la Francia nelle successive rivoluzioni del 1830, del
1848 e del 1871. La Rivoluzione porto' soprattutto alla riscoperta della
politica, come ha affermato anche Michel Vovelle, e per la sua carica
profetica sintetizzo' tutti gli avvenimenti dei due secoli successivi: la
lotta per la democrazia, i problemi del liberalismo, l'avvento delle
dittature demagogiche. L'interesse di Furet ebbe ad oggetto anche il
marxismo, il comunismo e la loro influenza sulla storia del XX secolo. Furet
e' stato insignito del premio Tocqueville e del premio Hannah Arendt per il
suo contributo allo studio della politica e delle scienze sociali. Tra le
sue principali opere tradotte in italiano: Critica della Rivoluzione
francese, Laterza, 2004; La Rivoluzione francese, con Denis Richet, 2 voll.,
Laterza, 2002; Le due rivoluzioni. Dalla Francia del 1789 alla Russia del
1917, Utet, 2002; Ventesimo secolo. Per leggere il Novecento fuori dai
luoghi comuni, con Ernst Nolte, 1997; Il passato di un'illusione. L'idea
comunista nel XX secolo, Mondadori, 1995; Dizionario critico della
Rivoluzione francese, con Mona Ozouf, Bompiani; Il secolo della rivoluzione:
1770-1880, Rizzoli". Tra le opere di Furet disponibili presso editori
italiani segnaliamo almeno:  (con Denis Richet), La rivoluzione francese, 2
voll., Laterza, Roma-Bari, 1974, 2003; Critica della Rivoluzione francese,
Laterza, Roma-Bari, 1980, 2004; (con Louis Bergeron e Reinhart Koselleck),
L' eta' della rivoluzione europea (1780-1848), Feltrinelli, Milano 1984,
1992; Il laboratorio della storia, Il Saggiatore, Milano 1985; (con Mona
Ozouf), Dizionario critico della Rivoluzione francese, Bompiani, Milano
1989; Il secolo della rivoluzione 1770-1880, Rizzoli, Milano 1989; Marx e la
Rivoluzione francese, Rizzoli, Milano 1989; (con Ralf Dahrendorf e Bronislaw
Geremek), La democrazia in Europa, Laterza, Roma-Bari  1992; (con Giuliano
Procacci), Controverso Novecento, Donzelli, Roma 1995; Il passato di
un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo, Mondadori, 1995; (con Ernst
Nolte), Ventesimo secolo. Per leggere il Novecento fuori dai luoghi comuni,
Liberal Libri, Milano 1997; Gli occhi della storia. Dal totalitarismo
all'avventura della liberta', Mondadori, Milano 2001; Le due rivoluzioni.
Dalla Francia del 1789 alla Russia del 1917, Utet, Torino 2002]

Esiste una raccolta di lezioni sulla letteratura di Ingeborg Bachmann
pubblicata col titolo Letteratura come utopia; l'ultima lezione (da cui la
raccolta prende il nome) si sofferma su un'immagine molto suggestiva per
indicare la passione che spinge il lettore a leggere e rileggere uno stesso
testo: quella di una pagina bianca da colmare presente in ogni libro che ha
ancora da dirci qualcosa. L'ansia di riempire uno spazio che non e' stato
definitivamente scritto e' cio' che stimola in noi il desiderio di una
lettura continua per cercare, ancora una volta, il luogo della lingua (e del
mondo) in cui "i conti non tornano", in cui persiste la frattura che ha
permesso la nascita della letteratura o della poesia.
Non si puo' confondere la letteratura con la storia, ma accade un'esperienza
simile a quella descritta dalla scrittrice tedesca quando ci troviamo tra le
mani dei testi di storia che, a distanza di anni, continuano a parlarci, a
interrogarci e a mettere in questione la nostra esperienza del mondo proprio
come se fossero stati scritti nella nostra piu' immediata e assoluta
contemporaneita', di cui dicono contraddizioni e antinomie. Si leggono,
queste opere, non tanto (o meglio non solo) per la profondita' o acutezza
delle analisi che propongono, ma perche' non sono ancora state risolte dai
fatti, perche' il problema che sollevano rimane aperto e nella speranza di
riuscire a meglio comprendere il modo in cui cio' che ci circonda, ci
piaccia o meno, continua a scorrere, ci adagiamo nella frattura che le ha
fatte nascere, nella pagina bianca che a noi, in qualche modo, sta di
colmare.
Questo, almeno, e' quello che a me capita rileggendo gli scritti di Francois
Furet.
*
Furet nella sua vita ha polemizzato praticamente con tutti, iniziando da de
Gaulle e terminando con Mitterrand, passando attraverso polemiche
ferocissime e velenose con gli storici del suo tempo, contro cui ha condotto
erudite battaglie accanite nella piu' totale assenza dell'odierno tanto a'
la mode "politicamente corretto" (basti pensare al giudizio duramente
liquidatorio sull'opera di Soboul cosi' come si legge in Penser la
Revolution, inspiegabilmente tradotto con Critica della Rivoluzione);
continuamente confrontandosi (dopo un'adesione breve e giovanile) con il
comunismo, i comunisti e tutta la storiografia marxista, e' stato anche un
acuto osservatore della societa' americana e dei suoi cambiamenti (ponendosi
anche come critico, giudicandoli inconsistenti, dei fermenti piu'
"progressisti" germinati sul finire del secolo); probabilmente ebbe
un'altissima considerazione di se' (tanto per meglio definire la sua
personalita'), ma al di la' di tutte le contraddizioni che si presume di
poter rilevare, quello che conta e' che e' stato un grande storico, uno dei
maggiori della Rivoluzione francese nel XX secolo, e che la sua opera si
pone come un riferimento imprescindibile per tutti coloro che si interrogano
sulla natura della democrazia e sulle ragioni della sua crisi attuale.
Infatti, all'origine di tutta la produzione storiografica di Furet, seguendo
una direzione di pensiero inaugurata da Tocqueville, si trova la costante
interrogazione su questi temi, a partire da una lunga e complessa
riflessione sulla Rivoluzione francese che, nonostante il suo invito a
sforzarsi di "pensare" (da qui il titolo dell'opera sopra citata) nella sua
imprevedibilita' e anche illimitatezza (come puo' una promessa illimitata
come quella rivoluzionaria, finire e ingabbiarsi in qualcosa di
istituzionalmente limitato?), rimaneva al centro del dibattito storiografico
e politico come una memoria con cui negoziare continuamente e un evento
(questo l'aspetto peggiore) a cui dare una collocazione continua rispetto
agli accadimenti del presente.
A differenza di alcuni altri storici che attraverso l'utilizzo di paradigmi
ideologici diversi avevano trovato un modello interpretativo in cui gli
avvenimenti, i fatti, gli uomini e le idee del 1789 (e dal 1789 in poi) si
incastravano perfettamente, Furet aveva compreso, semplicemente, che i conti
non tornavano e la sua ricerca e' stata volta senza sosta a chiarificare e a
domandarsi il perche' di questo conto sempre sfasato, in uno sforzo prima di
tutto mentale di pensare un evento impossibile da spiegare con qualsivoglia
modello, schema o paradigma che per forza di cosa mancava il suo oggetto:
perche' la rivoluzione e' rivoluzionaria.
Ed e' a partire da questa "constatazione" che Furet ha interrogato, senza
mai scadere in facili anacronismi, la madre di tutto, quella rivoluzione che
aveva dato inizio non tanto alla politica moderna o alle istituzioni
democratiche, ma all'ideologia democratica come arbitro del destino dei
popoli, all'umanita' democratica nutrita della passione rivoluzionaria.
*
Il suo ultimo libro, Il passato di un'illusione, non e', come recita il
sottotitolo, un semplice "saggio sull'illusione comunista nel XX secolo". Si
tratta piuttosto, a ben leggere, di una storia della passione rivoluzionaria
nel XX secolo, scritta proprio nei suoi ultimi anni, quando per ragioni di
varia natura (in primis la caduta del comunismo) essa sembrava essersi
assopita e per indagare il "sonno" della quale Furet torna alle sue origini,
sempre all'inseguimento della dialettica tra passione e realta' che ha
costituito la cifra dell'esperienza democratica dei due secoli precedenti,
mostrando, attraverso un excursus storico e filosofico che conserva intatta
la sua capacita' di chiarificare la natura della democrazia (impossibile da
ridurre ad un'istituzione, foss'anche la piu' perfetta), come questa non
possa non portare in se' i germi della rivoluzione, nel senso che essa e'
inseparabile, consustanzialmente, dalla costruzione, preparazione,
immaginazione di un'alternativa migliore a se stessa.
La democrazia, infatti, e' condannata al suo nascere, per circostanze
storiche evidenti, ad essere governata dal borghese (termine che usa
spregiudicatamente senza farsi irretire dagli usi e costumi marxisti suoi
contemporanei), afflitto pero', quest'ultimo, da un deficit politico e
morale che Furet mette bene in luce, descrivendo tutta la contraddittorieta'
del suo stare nella storia: sull'onda della Rivoluzione prima per
lasciarsela sfuggire poi, esaltato dalle promesse della Rivoluzione
(fraternita', diritti...) e poi timoroso di rimanerne vittima, ha dichiarato
i diritti dell'uomo per poi essere terrorizzato dalla liberta'. Il borghese,
che pure ha promosso la democrazia rappresentativa, i diritti, la liberta',
ne e' in ogni modo rimasto, in un certo senso, all'ombra, nutrendo, nel suo
grembo, con questo suo secolare sospettoso atteggiamento, la "serpe" (sia
detto senza che si prenda per un giudizio di valore) della passione
rivoluzionaria che non ha mai smesso invece di investire le sue forze per
superare le contraddizioni insite nella democrazia e che gia' Tocqueville,
che si sentiva pienamente appartenente a "un'umanita' democratica" aveva
messo in luce: essendo la democrazia un cambiamento nello stato sociale e
allo stesso tempo una diversa esperienza del simile (semblable), come
coniugare il governo della democrazia e la liberta', le passioni che la
democrazia accende e la giustizia,  e, nel governo della democrazia,
l'interesse del singolo e quello della nazione (oggi diremmo, forse,
dell'umanita').
*
E questi interrogativi si ritrovano, posti con la stesso vigore e anche con
la stessa intensita' e partecipazione, in tutta l'opera di Furet, che
rimette al centro della scena del dibattito storico la politica,
esplicitamente, con forza e, se ci e' concesso dirlo, con vero furore, il
furore di chi non si rassegnava, come scriveva in un suo articolo del 1990,
in seguito alla caduta del comunismo e alla fine dell'idea comunista, al
fatto che "i cittadini moderni non avessero che la scelta tra l'occuparsi
dei propri affari o militare per delle idee folli [...]. Nel lungo periodo,
ma sara' meglio il prima possibile, la fine dell'idea comunista costringe
tutti noi a un riesame profondo della cultura politica in cui l'Europa vive
da duecento anni. L'idea democratica e' piu' che mai la nostra regola, ma
nel suo anniversario si e' offerta con un terremoto. Come faremo a uscirne
intatti, quando tutto intorno a noi si e' mosso e il paesaggio che si
discerne e' a meta' in rovina, mentre l'idea-madre e' piu' radiosa che mai?
I rapporti tra il cristianesimo e la democrazia, quelli tra la Repubblica e
il progresso, la relazione dei cittadini nei confronti dello Stato, la
dialettica tra i diritti formali e i diritti sociali, l'aggressivita'
dell'uomo moderno nei confronti della natura, e' lunga la lista delle grandi
questioni che domani non potranno essere pensate come ieri. Per chi voglia
riflettervi, di carne al fuoco ce n'e' molta (pour ceux qui veulent y
reflechir, il y a du pain sur la planche)" (F. Furet, "Les feuilles mortes
de l'utopie", apparso su "Le Nouvel Observateur" nell'aprile 1990, ora in F.
Furet, Penser le XXeme siecle, Paris, 2007).
Un invito forte alla riflessione, a questo chiama l'opera di Furet, perche'
la rassegnazione ("eccoci condannati a vivere nel mondo in cui viviamo") "e'
una condizione troppo austera e troppo contraria allo spirito delle societa'
moderne perche' possa durare". Sono passati 17 anni dalle sue ultime brevi
considerazioni. La validita' dell'invito, cosi' mi pare, si conserva
inalterata.

4. RIFLESSIONE. ROBERTO MANCINI: QUELLI CHE NON CONTANO
[Ringraziamo Fabio Ragaini del Gruppo Solidarieta' (per contatti: e-mail:
grusol at grusol.it, sito: www.grusol.it) per averci messo a disposizione il
seguente estratto dalla prefazione di Roberto Mancini al libro edito dal
Gruppo Solidarieta' (a cura di), Quelli che non contano. Soggetti deboli e
politiche sociali nelle Marche, Castelplanio 2007, p. 112, euro 10.
Fabio Ragaini e' impegnato nell'esperienza del "Gruppo Solidarieta'" di
Castelplanio (Ancona), un'esperienza di volontariato che opera nel
territorio della provincia di Ancona dal 1980; oltre all'azione concreta di
solidarieta' con persone in situazioni di disagio o difficolta', promuove
incontri formativi e svolge un valido servizio di informazione e
documentazione; dal 1982 pubblica il periodico cartaceo "Appunti", e
successivamente ha anche attivato un utile sito nella rete telematica:
www.grusol.it
Roberto Mancini, nato a Macerata nel 1958, docente di filosofia teoretica e
di ermeneutica filosofica presso la facolta' di lettere e filosofia
dell'Universita' di Macerata, ha dato rilevanti contributi alla riflessione
nonviolenta. Tra le opere di Roberto Mancini: L'uomo quotidiano. Il problema
della quotidianita' nella filosofia marxista contemporanea, Marietti, Casale
Monferrato 1985; Linguaggio e etica. La semiotica trascendentale di Karl
Otto Apel, Marietti, Casale Monferrato 1988; Comunicazione come ecumene. Il
significato antropologico e teologico dell'etica comunicativa, Queriniana,
Brescia 1991; L'ascolto come radice. Teoria dialogica della verita',
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995; Esistenza e gratuita'.
Antropologia della condivisione, Cittadella Editrice, Assisi 1996; Etiche
della mondialita'. La nascita di una coscienza planetaria, Cittadella
Editrice, Assisi1997 (in collaborazione con altri); Il dono del senso.
Filosofia come ermeneutica, Cittadella Editrice, Assisi 1999; Il silenzio,
via verso la vita. (Il codice nascosto. Silenzio e verita'), Edizioni
Qiqajon, Magnago 2002; Senso e futuro della politica. Dalla globalizzazione
a un mondo comune, Cittadella Editrice, Assisi 2002; L'uomo e la comunita',
Qiqajon, Magnago 2004; Il senso del tempo e il suo mistero, Pazzini, Villa
Verucchio (Rimini) 2005; L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005]

La scrittura nelle sue varie forme - dal diario personale al romanzo, dal
saggio alla sceneggiatura, dagli aforismi al manuale - e' spesso una
presentazione trasfigurata della soggettivita' di chi scrive, il suo
specchio, le sue idee, il suo messaggio agli altri.
Cio' che colpisce anzitutto in questo libro, invece, e' che non si tratta
tanto di un'espressione di se' da parte dell'autore, quanto di una scrittura
scavata dall'interno dell'agire, radicata in relazioni reali, emergente
dall'impegno civile e diretto nella cura verso quanti portano il peso della
marginalita', della disabilita', della malattia mentale, della vecchiaia
senza protezione.
C'e' un autore prevalente, e anche dei coautori, ma si tratta di persone che
hanno imparato a decentrarsi, a non fare del proprio io il centro del mondo.
E' eloquente, da questo punto di vista, il fatto che non ci sia un sigillo
di esclusivita' nella paternita' del libro. Infatti gli autori, come
accennavo, sono molti: Fabio Ragaini anzitutto, ma, con lui, l'intero Gruppo
Solidarieta', che da quasi trent'anni opera nella provincia di Ancona nello
spirito della realizzazione dei diritti umani, dell'accoglienza quotidiana,
della pace attraverso la nonviolenza. Cio' a riprova di come un cammino di
condivisione, anche se ha animatori senza i quali non potrebbe vivere,
rimanga una realta' comunitaria aperta che non puo' riassumersi in un solo
individuo.
Quella di questo libro e' una scrittura che, nella veste tecnica dei
riferimenti a leggi, norme e strategie di politiche sociali, esprime la
passione per la convivenza buona ed equa, quella nella quale ciascuno e'
tenuto in onore per la sua dignita' di infinito valore vivente. Una
scrittura che non evoca il bene o la giustizia dei diritti umani, perche'
piuttosto li fa parlare dall'interno di un esistere in cui il sentire il
valore delle persone, il vedere la realta' delle cose, l'agire nel
volontariato, ma anche professionalmente e politicamente, nonche' il modo
d'essere personale confluiscono in una semplicita' che sorprende.
*
Il libro analizza le pieghe e le contraddizioni del sistema delle politiche
sociali, sanitarie e assistenziali della Regione Marche, mostrando in modo
tanto documentato quanto appassionato come la cultura delle politiche
sociali sia incerta e involuta anche nella nostra regione, che pure vanta di
solito l'immagine di una zona d'Italia dove si vive bene. Fabio Ragaini e i
suoi collaboratori sanno entrare nelle contraddizioni di queste "politiche",
dove questo plurale risulta in effetti piu' come l'espressione della
mancanza di una politica integrata e di un orizzonte complessivo di valore,
che non come il segno di una ricchezza di progetti e di opere. Gli
amministratori, i partiti, i sindacati, i semplici cittadini potrebbero
apprendere molto dalla sintesi offerta in questo libro e gli amministratori
in particolare dovrebbero specchiarvisi per giungere a una svolta profonda
nel modo di percepire le priorita' di governo per la regione Marche e quindi
nel modo di agire. Perche' si agisce a seconda di come e di quello che si
vede. Con la ragione, con il cuore, con l'anima. E si vede ascoltando e
partecipando alla vita di un territorio.
Si deve essere grati a Fabio e al Gruppo Solidarieta' perche' la
ricostruzione che si delinea in queste pagine permette davvero di cominciare
a vedere per agire, per cambiare, per allestire le condizioni di una
socialita' in cui non si viene elusi, abbandonati, emarginati, respinti.
Tuttavia il testo non e' solo un atto di accusa e una diagnosi disincantata
della realta' regionale, ma anche un utile strumento di cambiamento. In
particolare le ragioni che rendono prezioso il contributo di questo libro
non solo per gli amministratori e per gli operatori sociali e sanitari, ma
anche per i cittadini in genere, le forze politiche, i sindacati, le
associazioni e i gruppi del volontariato sono almeno tre.
*
La prima ragione e' di tipo insieme cognitivo ed etico. Infatti il testo
permette a chi legge di entrare nello sguardo tipico di quell'etica della
restituzione che e' l'orientamento essenziale di una vera democrazia e di
una societa' solidale. "Restituzione" e' la dinamica di attribuzione o di
riattribuzione dei fattori del godimento effettivo dei loro diritti
fondamentali a coloro che ne sono impediti non solo per cause fisiche o
derivanti da fatti naturali, ma anche per cause umane e in ogni caso per una
mancata o inadeguata risposta delle persone e delle istituzioni agli effetti
di qualunque tipo di negazione lesiva delle condizioni dell'esistenza.
L'etica della restituzione assume come vincolante e decisivo l'impegno verso
cio' che il diritto romano chiama restitutio in integrum: che un prigioniero
sia liberato, un calunniato sia riabilitato, un esiliato sia richiamato in
patria, un escluso sia riammesso nella comunita', uno che e' stato oppresso
in qualunque modo sia sollevato e liberato.
E' chiaro sin da subito che in una prospettiva simile non c'e' interesse a
favorire qualcuno per sminuire o negare il diritto di altri; lo specifico
della logica di restituzione sta piuttosto nel cercare di tessere di
continuo una forma di convivenza in cui nessuno sia subalterno, ultimo e
umiliato, perche' l'attuazione di condizioni di vita che traducano il pieno
riconoscimento della dignita' di ognuno dilata le possibilita' di vita buona
per tutti. Il dinamismo dei processi della giustizia restituiva e' il nucleo
della trasformazione nonviolenta e non sacrificale della societa',
attraverso una prassi per cui lo stare attivamente dalla parte delle vittime
non significa piu' produrre nuove vittime o rovesciare semplicemente i ruoli
tra oppressi e oppressori, tra sommersi e salvati.
Affinche' pero' tutto questo non si risolva in enunciazioni astratte, e'
necessario entrare dentro ai meccanismi legislativi, istituzionali, politici
e nella tessitura quotidiana delle relazioni, facendo maturare in tutti
questi mondi vitali una cultura dei diritti e dei doveri umani che sia
finalmente assunta nel territorio e nelle sue istituzioni. L'impegno a
sviluppare l'etica della restituzione conferisce la forza critica di
cogliere quanto e' inaccettabile e va cambiato, cosi' come la forza
euristica di trovare strade nuove innanzitutto perche' giuste e riconosciute
corresponsabilmente da molti piu' soggetti che in passato.
*
La seconda ragione che attesta la rilevanza di questo libro sta nel suo
valore politico e giuridico. Esso riesce a dare prova di che cosa possa
significare agire la democrazia come co-soggetti, non come clienti o
sudditi, oppure come profittatori a tutela di interessi privati che vengono
posti al di sopra del bene comune e della legalita'. L'ingiustizia diseduca,
forma nel tempo una mentalita' per cui gli individui regrediscono al livello
della lotta di tutti contro tutti.
Nel nostro paese, assuefatto a una percezione insufficiente e comunque
falsata del valore della democrazia, dello stato, dei diritti e dei doveri
civili, non e' difficile constatare come l'incuria verso la vita pubblica,
il disprezzo della legge, l'uso delle istituzioni per fini privati siano un
danno non solo nel presente e per i loro effetti diretti, ma anche rispetto
alla deformazione della mentalita' collettiva. Per contro, solo la prassi
della giustizia restitutiva e della democrazia sociale, dialogica,
partecipata puo' realmente educare generazioni di cittadini. Ora, la ricerca
raccolta in questo testo da' conto di un impegno democratico che va
coerentemente in tale direzione. Emerge, da questo versante, oltre alla
critica per l'inadeguatezza o l'elusione delle normative relative alle
politiche sociali e ai diritti fondamentali, la prefigurazione del valore
del diritto come agente di cambiamento delle condizioni di vita e di
umanizzazione della forma della societa'. Ed e' una consapevolezza
tutt'altro che frequente e consolidata in Italia e anche nelle Marche.
*
La terza ragione del valore di questo lavoro di Fabio e del Gruppo
Solidarieta' puo' essere colta in una prospettiva antropologica. Con
un'espressione del genere intendo evocare non gia' una disciplina
scientifica come l'antropologia culturale, quanto quel processo complessivo
di maturazione, scoperta e liberazione dell'identita' umana nella storia di
cui tutti siamo partecipi. L'essere umano non e' un'entita' nota e scontata,
calcolabile e definibile, ma resta un mistero di liberta' e di dignita'. Un
mistero che incarniamo noi stessi e che ci abita. E che puo' fiorire in
termini di solidarieta', di riuscita umana, di felicita' condivisa, di
maturazione etica e civile quando, anziche' sopravvivere seguendo l'ottica
miope e triste dell'individualismo, ci rendiamo disponibili alle relazioni
di dono, di libera e aperta reciprocita', di attenzione agli altri e di
dialogo.
Le persone possono diventare se stesse e godere della vita solo
nell'orizzonte ampio dell'esistenza comunitaria. Non e' detto che si tratti
di vivere insieme in una comunita' residenziale, stabile. Parlo, piu' che di
una forma rigida di organizzazione della quotidianita', di uno stile e di un
respiro. Chi e' singolo o chi e' in un monastero, chi vive la famiglia
oppure un altro tipo di nucleo interpersonale quotidiano puo' comunque,
nella piena liberta' della sua preferenza per qualcuna di queste vie,
adottare uno stile di vita che lo porta a coinvolgersi nella relazione con
gli altri, a scegliere la relazione come valore di cui avere cura. E cio'
vale dai rapporti interpersonali sino a quelli sociali e politici, dai
rapporti economici sino a quelli con il mondo della natura.
Ebbene, il cammino del Gruppo Solidarieta' e di Fabio testimonia che
inoltrarsi nell'avventura dell'esistenza comunitaria e' una scelta che,
certo non senza le fatiche, le frustrazioni e le tensioni che tutti noi
dobbiamo affrontare, porta frutto per chi la vive e per molti altri, sino a
divenire una fonte viva di buona socialita' la' dove mette radici. Percio'
tale testimonianza ha una portata antropologica rivelativa su cui
riflettere.
*
Ho detto che, in ogni caso, il libro e' uno strumento di lavoro sociale e
politico, di coscientizzazione e di cambiamento nel senso dell'etica e della
prassi della restituzione. La speranza e' che quanti sono gia' impegnati in
tal senso possano trovarvi un ulteriore motivo per andare avanti e che altri
ancora siano da esso sollecitati a considerare l'opera di attuazione dei
diritti umani come un dovere proprio.

5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UNA CARENZA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68]

Vedo il programma (www.torinospiritualia.org) di "Torino spiritualita':
domande a Dio, domande agli uomini" (15-23 settembre). Quest'anno il tema e'
il corpo. Tanti e belli sono gli aspetti toccati. C'e' la politica, c'e' la
malattia, ci sono i generi e i sensi, le culture, le religioni, la
preghiera, c'e' l'eutanasia, il dolore, il piacere, c'e' la pena di morte, e
altro.
Non c'e' la guerra. Non c'e' la tortura, la prigionia e la schiavitu'. Non
c'e' nulla da chiedere a Dio e agli uomini, su questo? Chi ha visto un corpo
ucciso o devastato da un'arma umana, costruita con la massima cura a quel
preciso scopo, pensa anzitutto a quei corpi, appena si nomina il corpo. Oggi
tutti, con gli occhi artificiali, se non con questi naturali, abbiamo visto
quei corpi, li vediamo ogni sera. Come possiamo evitare di farne il primo
nostro pensiero?
La guerra e' la regina usurpatrice della storia di questi anni tetri. La
terra, o il fuoco, inghiottono ogni giorno, ben prima dei limiti fatali
della vita, migliaia di corpi, degni di vivere come questo mio e questo tuo,
corpi falciati per l'opera studiata e scientifica dei decisori politici e
degli operatori militari della guerra.
I corpi, degni e fragili come questi nostri, sono il bersaglio primo della
guerra. La loro morte o riduzione a oggetto e' il suo scopo. Qualunque sia
il motivo, e la pretesa di giustificarsi, la guerra e' la nemica dei corpi,
perche' e' la serva della morte. Quando non li uccide, li minaccia, li
terrorizza, li ferisce, li devasta e li mutila, li assoggetta a se', nei
bambini come nei vecchi. Quando non li colpisce li scaccia, li strappa via
come un tagliaerba e fabbrica milioni e milioni di deplaces, di profughi,
condannati a vivere come foglie al vento. Noi, signori di un tetto, li
vediamo dalla fredda finestra del televisore, e non tremiamo con loro.
Quando non li scaccia la guerra li schiaccia sotto la legge del silenzio e
dell'obbedienza.
Come possiamo parlare di corpi e non vedere questi corpi, e non sentire il
rimorso di non avere gridato senza fine il loro infinito assoluto diritto,
pari al mio e tuo diritto? Noi che siamo liberi di pensare e di parlare - ma
lo siamo davvero? - come possiamo riflettere sul corpo umano senza essere
feriti dalle ferite gratuite inflitte, per decisa malvagia volonta' degli
armati, ai corpi, ai cuori, alle menti delle vittime, e dunque di chiunque
ha cuore e mente dentro il suo corpo?
Insieme alla guerra omicida, culmine e somma di tutte le violenze sui corpi,
mirano ai corpi le sue orrende cortigiane: la tortura praticata nell'ombra
da tutti, temiamo tutti, gli stati (anche il nostro, abbiamo motivi di
sospettare); la prigionia, che chiude i corpi in gabbia, non solo quando
sono pericolosi ad altri, ma per pene che sono vendetta, male piu' male, e
non cura del male; e la schiavitu', che e' il vero nome di forme di lavoro,
anche qui nel nostro paese, che sfruttano il bisogno di vivere, per fare dei
corpi umani, tempio dello Spirito, strumenti di lavoro animati, da cui
spremere denaro insanguinato. Nulla di meno.
Il corpo umano e' bello e mortale. Se cultura e spiritualita' se ne occupano
senza fare attenzione non solo alla mortalita', ma alla condanna a morte di
schiere di corpi senza colpa e senza giudizio, condanna che la guerra esegue
ogni giorno, allora la censura sulla verita', prima vittima di ogni guerra,
ha contaminato la cultura e la spiritualita'. Se le menti e gli spiriti
attenti dimenticano il peso nero della guerra sul cielo del mondo, allora
dov'e' l'attenzione? Se la spiritualita' del corpo anzitutto non denuncia e
tradisce le leggi dell'idolo guerra, dov'e' la spiritualita'? Se pensiero e
spirito non "male-dicono" la "male-dizione" della vita, come potranno
cercare e "dire il bene" della vita? Ahime'. Disperati, noi speriamo.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 180 del 13 agosto 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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