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Nonviolenza. Femminile plurale. 121
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 121
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 9 Aug 2007 12:08:49 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 121 del 9 agosto 2007 In questo numero: 1. Lidia Campagnano: Rappresentanza politica e democrazia paritaria 2. Lea Melandri: Potere patriarcale, nodi profondi 3. "Internazionale" presenta "La rivoluzione dei dettagli" di Marinella Correggia 1. RIFLESSIONE. LIDIA CAMPAGNANO: RAPPRESENTANZA POLITICA E DEMOCRAZIA PARITARIA [Dal sito www.50e50.it riprendiamo il testo della relazioen svolta da Lidia Campagnano all'incontro sul tema '50 e 50: per una nuova esperienza della politica" svoltosi all'Universita' di Pavia il 12 maggio 2007 sulla proposta di legge e sulla relativa campagna promosse all'Unione donne in Italia (in sigla: Udi). Lidia Campagnano e' una prestigiosa intellettuale femminista; in una breve presentazione autobiografica di qualche anno fa cosi' si descriveva: "ho 55 anni, ho studiato filosofia all'Universita' degli Studi di Milano. Dalla paura della storia, instillatami da piccola con i racconti della potenza e dell'orrore nazista che avevano preceduto la mia nascita, sono passata alla passione politica e a quella per la parola, scritta e parlata, come possibili attivita' di cura (forse anche di consolazione) inventate dall'umanita'. Dopo il Sessantotto e la scoperta del femminismo sono diventata giornalista presso la redazione del "Manifesto", dove ho lavorato per diciassette anni (i "quaderni del Golfo", durante "quella" guerra [del 1991], li ho ideati e curati io, pensando alle persone piu' giovani o a quelle piu' disarmate e sconcertate). Ho partecipato alla fondazione di due riviste di donne: "Orsaminore", a Roma, e "Lapis", a Milano. Adesso collaboro dove capita: al "Manifesto" alla "Rinascita della sinistra", all'"Unita'" qualche volta. In passato ho condotto varie trasmissioni radiofoniche (presso la Rai) dedicate alle donne, e due trasmissioni televisive (una settimana di commenti a una notizia del Tg Tre, una trasmissione culturale del mattino presso la Rete 2). Ogni anno, in varie citta' (Milano presso la Libera universita' delle donne, Roma prossimamente, presso la Casa internazionale delle donne, Torino in occasione del Forum "Native, immigrate, cittadine del mondo", Firenze mentre bombardavano Belgrado, Lucca, Catania, in un campeggio di giovani a Policastro, Valencia, presso l'Universita', e chissa' dove ancora) cerco e trovo modo di condurre seminari, dialoghi e riflessioni collettive, soprattutto tra donne, a volte anche con la partecipazione di uomini, sui temi simili a quelli che trattiamo in quest'occasione. Ricordo anche la partecipazione a "punto G, genere e globalizzazione", a Genova, con la conduzione insieme a Barbara Romagnoli e Lea Melandri del gruppo "l'ordine sentimentale della globalizzazione". Da allora collaboro qualche volta con la rivista "Marea" diretta da Monica Lanfranco. Ho scritto vari saggi e relazioni, pubblicate in vari luoghi, mi limito a segnalare due libri interamente miei: Gli anni del disordine, pubblicato dalla Tartaruga edizioni di Milano nel 1996, una meditazione per frammenti su cio' che la fine del mondo bipolare stava producendo, soprattutto in Jugoslavia ma anche altrove, e Un dopoguerra ancora, edito nel 2000 dalle edizioni Erga di Genova, in prosa poetica. Il terzo e' in cantiere, sulle ferite inflitte nel tessuto spaziale e in quello temporale, e nel senso biografico di una donna, dalle guerre di questi nostri tempi"] Ringrazio di cuore "Usciamo dal silenzio" e l'Universita' di Pavia per questo appuntamento al quale partecipo con molto piacere. E vi ringrazio per l'accoglienza che mi avete riservato, calda e gentile. La proposta che l'Udi ha messo in campo e' semplicissima: una proposta di legge di iniziativa popolare, costituita da un breve articolato con il quale si dichiarano irricevibili le liste lettorali che non alternino candidate e candidati e non prevedano una misura del 50% tra candidate e candidati, qualunque sia la forma assunta dalla competizione elettorale e di qualunque appuntamento elettorale si tratti, amministrativo o legislativo. Il nome e lo slogan della campagna e': "50 e 50 ovunque si decide". Quello che mi preme di comunicarvi e' il tessuto di pensieri che ha portato a questa proposta, e che intende reggere questa che sara' - diro' una parolaccia, anzi, due parolacce insieme, di quelle che non si usano piu' - una "campagna popolare". Cosa voglia dire poi questa espressione, questo reperto archeologico, soprattutto se ripescato da donne, e' cosa che secondo me dobbiamo o possiamo desiderare di decidere tutte insieme, in un vero e grande dibattito politico. Semplice l'articolato di legge che offriamo alla firma di donne e uomini, complesso il tessuto di idee. Percio', come in un dibattito fondato su una autenticita', di qui in poi diro' di cio' che io personalmente penso di portare nella campagna dell'Udi, invece che presumere di rendere un'idea "media" dei pensieri delle donne dell'Udi. E iniziero' dalla mia lettura della proposta di legge. * L'articolato non prevede sanzioni o punizioni per chi non rispetta questa legge ma soltanto l'irricevibilita' delle liste. Questa scelta ai miei occhi sta a dire che non si intende dare avvio o partecipare alla guerra tra i sessi. Inoltre l'obiettivo non e', genericamente, avere piu' donne in politica, e meno che mai tutelarne una quota. Ne' questa proposta ha per scopo la creazione della rappresentanza di genere. E' un'altra cosa. Che cosa si vuole con questa proposta? Tentero' di dare la mia interpretazione. Io penso che 50e50 significhi mettere - o rimettere - la politica tra gli uomini e le donne. E farlo, questa volta, a partire dalla sfera pubblica, e non da una rivoluzione interpersonale. Vengo dal femminismo e il femminismo ha affermato la necessita', la possibilita' e il desiderio di fare una rivoluzione a partire dai rapporti interpersonali, e prima di tutto dai rapporti uomo/donna. Perche', oggi, una femminista come me afferma la necessita' di rimettere la politica tra uomini e donne sul piano pubblico, prima di tutto, piuttosto che su quello privato? Per quel che mi riguarda, questa decisione deriva da un giudizio su quello che e' successo, e da anni ormai, nella sfera dei rapporti interpersonali. Ritengo che il piano creativo interpersonale, quello dove, come femministe, volevamo portare una rivoluzione, e' stato devastato ed e' regredito. E' regredito per molti motivi attinenti alla societa', alla cultura, all'economia e alla politica, e tra questi per il fatto che la sfera pubblica, e la politica in particolare, non hanno assunto, interpretato, solidificato le creazioni migliori scaturite dalla microrivoluzione della sfera interpersonale. La politica, la sfera pubblica e in gran parte anche la cultura hanno tratto da quella microrivoluzione cio' che poteva servire per incrementare un grande rilancio dell'individualismo, utile a soffocare una stagione e una generazione che si erano orientate a un impegno di trasformazione sociale. E si e' trattato di un individualismo per niente liberatorio nei confronti delle relazioni interpersonali, di un individualismo indifferente al peso mortale che condizioni sociali diseguali, ingiuste e piene di precarieta' riversano sulla qualita', la liberta', il tempo necessario a incivilire queste relazioni. Tutte queste relazioni: tra uomo e donna, tra generazioni diverse, tra donne, tra uomini, tra adulti e bambini... Il risultato di questa dispersione della potenziale creativita' etica, intellettuale e politica delle relazioni interpersonali e' un individuo gonfio di se' e in realta' debolissimo, insicuro, impoverito. Impoverito in tutti i sensi. * Termini come poverta' e precarieta' indicano di solito la condizione economica prevalente nel mondo d'oggi. Ma qui e ora vorrei soffermarmi soprattutto sulla poverta' culturale che ha colpito le relazioni tra gli uomini e le donne. Molto si parla della famiglia, di questi tempi, e spesso in modo analogo a destra e a sinistra, nel senso che dappertutto si tace allo stesso modo sul fatto che la famiglia e' diventata visibilmente e brutalmente il precipitato delle poverta', anche laddove il reddito e' sufficiente e sufficientemente stabile. Dovrebbe balzare agli occhi il fatto che, dopo decenni di grande sviluppo delle discipline della convivenza e della conoscenza di se' (psicologie, pedagogie, sperimentazioni, ricette, dibattito sulle medesime) nelle famiglie sembrano essere spariti anche gli usi, le cognizioni e le tecniche elementari della sua organizzazione interna. La famiglia non ce la fa piu': lo sanno tutti, la televisione lo racconta ogni giorno, e non solo nella cronaca nera, che pure ha aspetti semplicemente folgoranti da questo punto di vista, ma anche nel piu' banale reality show. Invece il discorso politico si incarica, per cosi' dire, in prima persona di una esaltazione della famiglia come unico luogo della convivenza allo stato puro, allo stato primario e sentimentale... benche' a sua difesa si riesca solo a immaginare qualche assegno in piu': un discorso che non merita nemmeno di essere definito ideologico. * Per questi motivi io ritengo che si debba rimettere la politica tra uomini e donne, ma questa volta sulla scena pubblica e sulla scena politica in particolare. A partire da che cosa? A partire da una considerazione antropologica: la convivenza sulla faccia della Terra, la convivenza della specie umana, e' convivenza di donne e di uomini. Se questo dato materiale non viene messo a tema, e non diventa cultura, accumuliamo riserve di barbarie - nella nostra vita collettiva - praticamente inesauribili. Penso che il porre questo tema antropologico nel bel mezzo della scena pubblica possa anche ridare senso, connotato di civilta', progettualita' alle relazioni interpersonali tra uomini e donne. Che non sono meno colpite delle relazioni politiche, ma le cui ferite continuano a non essere prese in considerazione nel dibattito politico. E l'unico modo, almeno ai miei occhi, per imporle oggi e con la dovuta urgenza alla considerazione politica e' rappresentarle direttamente "ovunque si decide": in un quadro di democrazia paritaria. Solo una scena segnata da questa duplice e quantitativamente paritaria presenza puo', forse, ridare respiro a una cultura delle relazioni la cui fonte non sappiamo piu' dove si trovi poiche' e' ostruita. * Prima dicevo: non si tratta a mio parere di una (ennesima) riedizione della guerra tra i sessi, e percio' per quel che mi riguarda parlo di democrazia paritaria e non di democrazia duale, termine che alla mia mente evoca due schieramenti oppure una coppia. Io non sono una seguace della teoria della differenza. Non perche' nego la differenza, ma perche' mi rifiuto di definirla. Non la voglio definire perche' io penso che qualunque definizione va al di la' delle intenzioni di chi la afferma ed e' destinata a riprecipitare nella sua lunghissima storia culturale. Gli uomini hanno sempre detto che cosa sono le donne e che cosa sono gli uomini, e a mio parere non cambia molto nel momento in cui le donne cominciano a dire che cosa sono le donne e che cosa sono gli uomini. E la' mi sembra che si vada inevitabilmente a parare. Penso che qualunque definizione della differenza, al di la' delle intenzioni, vada a finire - e secondo me in parte e' andata a finire - nel risveglio e nel consolidamento della duplice paura che i due sessi hanno coltivato fin qui tra loro. La paura, da parte degli uomini, dell'anarchico potere materno - quello che in psicanalisi si chiama "il codice materno", "il codice del desiderio", "l'anarchia femminile del desiderio", con la sua traduzione sociale potenzialmente totalitaria -; e la paura, da parte delle donne, dell'atavica tendenza al potere violento degli uomini. Uomini e donne sul piano del vissuto, del non detto della differenza, si rapportano tra loro in questa zona cupa che e' la paura reciproca. Reciproca, si': non c'e' solo la paura delle donne nei confronti della intollerabile propensione alla violenza degli uomini nei loro confronti. E dove c'e' paura bisogna rielaborare civilta'. * Quale potrebbe essere il contributo di una presenza paritaria nella democrazia a questa elaborazione? Non voglio dire che cosa potrebbe succedere agli uomini, se si realizzasse la democrazia paritaria. Non lo voglio dire per inaugurare, anch'io, un nuovo stile, e lasciare aperta la strada per un dialogo alla pari (e dunque senza escludere il conflitto, la mediazione, la contaminazione dei linguaggi). Che siano gli uomini a parlarci di se'. Ma posso provare a immaginare per quel che riguarda noi, le donne, e per quel che riguarda la politica. Posso cominciare a pensare questo oggetto di desiderio che e' per me una democrazia paritaria. Io penso che la prospettiva della democrazia paritaria susciti paura anche tra noi, paura e resistenze. Nemmeno io sono cosi' estranea a questa paura. Perche' la prospettiva della democrazia paritaria impone di risvegliarsi da una condizione di marginalita', di irresponsabilita', di negativita' sia pure critica, sia pure intelligente, nei confronti della politica, condizione nella quale e grazie alla quale molte di noi, in fondo, hanno trovato spazio di espressione. Molte di noi, o forse una parte di ciascuna di noi, ha trovato il suo spazio di espressione pubblica proprio a partire da questa condizione. Leggo tanti interventi, sul tema della rappresentanza, connotati dalla facilita' con cui molte di noi si esprimono criticamente nei confronti della politica maschile, come se fossimo pronte ad entrare sulla scena, quasi in sostituzione: ma quando si accenna concretamente a realizzare questo ingresso il tono si fa meno sicuro. La volonta' vacilla. Il fatto e' che nell'irresponsabilita' forzosa, nella marginalita', tutti i desideri possono avere corso e tradursi nelle piu' svariate forme di realizzazione, o meglio di compensazione: non cosi' in una democrazia paritaria, nella quale tocca scegliere e decidere con lucidita'. * Per giunta tra noi, tra le donne che parlano di politica o la praticano in questo contesto di generalizzata esclusione, la frammentazione e' diventata caotica, e a volte anche insensata, a volte tradotta in antipatia. L'antipatia tra le femministe, tra le femministe e quelle che non hanno vissuto la storia femminista, tra le varie correnti del femminismo, tra le varie associazioni di donne. Chi non ha percepito mai queste insensate correnti di antipatia? Eppure questo e' ancora nulla rispetto al fatto che la distanza tra la storia del femminismo e le donne che sono venute dopo, che sono venute da altrove, che sono comunque lontane da questi orizzonti, e' spesso abissale e a volte in costante aumento. Non e' piu' vero - nonostante quello che ci si racconta - che la comunicazione tra donne e' diventata, dopo il femminismo, facile e spontanea. E' un inganno: un inganno che ha facilitato l'ingresso di poche donne nella vita sociale e nella vita pubblica, ma d'altro canto le ha rese debolissime. Perche' la frammentazione astiosa ha consentito a molte la grande "liberta'" di non prendere posizione, di non esporsi. E prendere posizione ed esporsi sono, insieme alla capacita' di dialogo e di mediazione e alla capacita' di decisione, i tratti fondamentali del comportamento politico. * Uno degli esiti di questa situazione e' che tra le donne del movimento, e grazie all'esclusione politica, non si pone quasi piu' il problema di definirsi su che cosa sia essere una donna di destra, essere una donna di centro o essere una donna di sinistra. Che sono, di nuovo, tre categorie della scena politica, molto elementari, ma assolutamente fondamentali. Fondamentali persino laddove si siano svuotate di valori, di definizioni e di contenuti, nonche' di forme. E' come se tra donne fosse piu' facile non collocarsi. Questo e' normale, ed e' per certi versi anche giusto. Nel senso che nel momento in cui si e' escluse, si e' marginalizzate, si e' soltanto eventualmente cooptate per manifesta fedelta' nell'uno o nell'altro schieramento politico, e' evidente che non viene spontaneo ripensare in piena autonomia la propria definizione dell'essere donna di destra, donna di centro o donna di sinistra. * Penso invece che la campagna "50 e 50" nel suo senso piu' profondo favorisca una riscoperta-ricostruzione-rielaborazione di tutto intero lo spessore culturale che richiede una definizione politica e quindi una piena responsabilita' politica. Intendo dire, per esempio, che il primo terreno su cui esercitare l'elaborazione politica, nella pretesa di essere 50 e 50, e percio' nel lavoro del definirsi sulla scena, e' la ricongiunzione di cio' che la scena politica sta rovinosamente separando. Parlo della scissione operata tra quelli che vengono chiamati i "valori" e quelli che vengono chiamati gli "interessi". Vale a dire la scissione tra economia e cultura, la scissione tra la materialita' della condizione e il pensiero - e i progetti di trasformazione - relativo alla condizione. Da questa scissione sono venute conseguenze devastanti per la politica. * Faccio un esempio: noi (donne ipoteticamente partecipi di una democrazia paritaria) potremmo interrogare severamente l'economia e i suoi veri o presunti esperti sul dilagare dei rapporti schiavistici di lavoro a partire dal soggetto maggioritario e tipico di questa condizione: le donne. Le donne nella prostituzione schiavizzata senza frontiere, ma anche le donne soggette a tutti gli elementi di prostituzione che si incuneano nelle relazioni lavorative di ogni tipo (dal lavoro nel campo dello spettacolo televisivo fino alle molestie e i ricatti sessuali in ogni sorta di luogo di lavoro. Si puo' dire che milioni di donne incarnino oggi il prototipo di tutte le relazioni schiavistiche di lavoro. Potremmo incominciare con una domanda molto specifica: quanto del Prodotto interno lordo (in sigla: Pil) di ciascun Paese deriva dalla schiavitu' delle donne? E arriveremmo, credo, a un quadro del mondo, e dei rapporti tra i sessi nel mondo, veramente impressionante. Cosi' impressionante da vulnerare qualunque ricerca del piacere, della felicita', della civilta' nelle relazioni amorose di tutti e di tutte. Perche' l'orizzonte mondiale, l'orizzonte economico globale e' un'immagine dell'umanita' e ha valore universale e percio' stinge sulle relazioni interpersonali. Si tratta dunque di una domanda coinvolgente, una domanda che impegna, che puo' scuotere e indurre alla parola, alla scelta, alla presa di posizione, finalmente, uomini e donne. * Un altro terreno e' quello della laicita'. Quanto la laicita' puo' sopravvivere, persino come vago ideale, nel momento in cui il punto da cui nasce qualunque riflessione religiosa, la questione dell'origine di ogni vita (la questione del generare la vita) e' stato invaso e colonizzato, grazie a un voto parlamentare e alla pressione della Chiesa, con la trasformazione dell'embrione umano in soggetto giuridico sotto tutela statale? Parlo della legge 40, una legge! Cioe' una cosa pesantissima dal punto di vista simbolico, anche se sembra dormiente nei suoi esiti. La legge dice che quella relazione intima, quel corpo-mente-cuore indissolubile che comprendeva l'embrione nella vita della donna come parte di lei e come possibilita' d'altro se e solo se lei puo' accettare di accompagnarlo nel mutamento, non vale nulla e la nascita deve essere "valorizzata" dall'autorita'. Nel momento in cui si ferisce questa relazione, che e' una relazione di pensiero, di sentimento e di corpo, e si definisce l'embrione come qualcosa che prende valore dallo Stato, alla laica creativita' di valori (inclusi quelli religiosi) si sostituisce l'alienazione e l'irresponsabilita'. Li' sta una ferita, a qualunque idea di laicita', che solo un dibattito alla pari, un colloquio politico alla pari tra uomini e donne puo' sanare, a mio parere, con la cancellazione - con ignominia - di quell'articolo di legge. * C'e' qualche cosa che, grazie al silenzio sul guasto che si e' prodotto nelle relazioni tra uomini e donne, e che comprende aspetti antichi e aspetti nuovi come quest'ultimo esempio dimostra, non viene visto, ed e', nell'imbarbarimento delle vite familiari, l'ignoranza d'amore che avvolge l'esperienza genitoriale. Famiglie, coppie, individui "incolti d'amore", ha scritto lo psicoanalista Francesco Bisagni riflettendo sui bambini disastrati, "spazzatura degli adulti", che popolano la cronaca nera e a volte gli ambulatori della psiche. Bisagni continua, nel suo ragionamento maturato nella pratica terapeutica, paventando l'instaurarsi di una societa' privata della "mente materna": mente colta, fine, che autorizza la vita e con essa l'inizio del pensare, la percezione del valore di vivere. Mente che toglie la paura, invece di instaurarla. Mente creativa perche' intima, integra e libera. * Sono molti i silenzi politici che una democrazia paritaria piu' facilmente potrebbe interrompere, o contribuire a interrompere, in ogni campo della convivenza umana, e quello che sto dicendo vale solo come esempio di quanto una donna appassionata di politica puo' investire in una campagna come questa. Esempi di immaginazione gia' al lavoro, prima ancora che il risultato sia non dico raggiunto ma neppure approssimato. Non e' detto che tutte immaginiamo alla stessa maniera, e al contrario: chissa' quante sono le donne che non concordano su nessuna delle mie immagini. Ma la discussione e' iniziata e non si puo' fermare e nemmeno io voglio "fermare" me stessa. E mi va bene che altre immaginino altro: l'obbiettivo "50 e 50" puo' effettivamente essere vissuto come riequilibrio della rappresentanza, puo' essere vissuto come una scena dove, finalmente, vengono rappresentati - non nel senso della rappresentanza, ma della rappresentazione - gli uomini e le donne. Puo' essere, come dire, semplicemente la bonifica di un orizzonte, di un quadro francamente inguardabile. Puo' essere un sollievo e un sostegno per le donne che intendono candidarsi. * Tutti desideri legittimi, giusti: in effetti la scena politica istituzionale e mediatica e' perfino esteticamente inquietante, nella sua sfilata di giacche e cravatte. E inquietanti finiscono con l'essere anche le poche figure femminili che vi hanno accesso, nella loro "anomalia" vivente. Inquietanti e imbarazzanti, a volte, nel loro un po' infelice far finta di niente, nel loro esprimersi - di necessita', direi - come se tutto fosse normale e a posto. Quando una donna sta in una assemblea elettiva, e sa che le donne li' sono una minoranza infima, e' portata a cercare di dimenticare la sua eccezionalita', a non guardarsi troppo attorno e a non guardare troppo nemmeno a se stessa. E cosi' non crea neppure uno stile appropriato, non crea tradizione per altre che potrebbero entrare in quelle stesse assemblee. Mi sono divertita, un giorno, al Senato, a leggere un avviso che diceva: gli uomini devono indossare giacca e cravatta, le donne devono indossare... un abbigliamento decoroso. Ho incontrato uomini giustamente invidiosi per questa prescrizione leggera, se paragonata alla rigidezza dell'abbigliamento loro imposto: e certo l'essere eredi di una tradizione maschilista ha il suo prezzo. Ma il frequentare i luoghi della democrazia senza l'appoggio di una tradizione non e' agevole. E piu' in generale, il presentarsi come mosca bianca sulla scena politica e' un continuo ricordarsi e dimenticare, ricordarsi e dimenticare che sei una donna. Una fatica in gran parte inutile. * E ancora... Essere 50 e 50 ci libererebbe dalla necessita' che tanti uomini di buona volonta' sentono di dover dire che le donne ci vogliono, in politica, perche' portano saggezza, equilibrio, dolcezza, sensibilita', sentimento, buon senso, praticita' e non so che altro. Questa specie di immaginetta di mamma casalinga proiettata direttamente in un governo forse svanirebbe. Effettivamente, oggi c'e' una piccola strada di ingresso alla politica, soprattutto a destra, che passa esattamente per l'esercizio di queste virtu' domestiche. La politica come amministrazione della casa. Che poi va a sovrapporsi all'idea della politica come amministrazione dell'impresa. Insomma, a qualche moglie o figlia si puo' pure permettere l'avventura di una qualche associazione al potere. Ma e' ancora politica, questa? Anche a questa domanda si puo' tornare a dare spessore culturale, cosi' come al nostro essere politicamente collocate, politicamente di parte. * E' nel nostro diritto, ma per esercitare questo diritto abbamo bisogno di una nuova esperienza della politica. Credo - e spero - che nasca una nuova esperienza politica di donne, da questa campagna. Nuova anche rispetto all'esperienza di una come me. Nuova perche' ha da studiare, da pensare cose nuove. Io credo che tutto cio' sia molto urgente. Non corrisponde soltanto a un mio desiderio. E' urgente. Ieri sera pensavo: e' questa una strada per il rinnovamento della politica? Non ho nessun dubbio? E' l'unica, o ce n'e' un'altra? Certo e' che i grandi cambiamenti intervengono quando un nuovo soggetto, o se preferite, una nuova soggettivita' entra nella politica. Ma poiche' la proposta di legge di cui stiamo parlando riguarda specificatamente la questione della rappresentanza, va chiarito che le donne che entrassero in questo modo nelle assemblee elettive non rappresenterebbero affatto solo le donne. Ed e' bene cosi'. Perche', rappresentando uomini e donne, dovrebbero dare rappresentazione anche alla relazione tra uomini e donne. E dunque dovrebbero dare forma di civilta' a quella relazione, dichiarando intenti e mezzi per realizzarla, e suscitando dibattito. Questo sarebbe un grande mutamento, un rinnovamento della stessa vita politica; diventerebbe una vita politica che effettivamente rispecchierebbe in tutti i suoi aspetti, un po' di piu', la vita sociale, la vita interpersonale, la vita individuale che si fa tra uomini e donne. E questo io credo che muterebbe moltissimo anche le relazioni tra noi, le donne. Diventerebbero piu' impegnative, piu' importanti, permeate dalla speranza di cambiare le cose. Trovarsi in un progetto comune per cambiare le cose e' una molla formidabile nelle relazioni; le ripulisce, le rinfresca. E una come me desidera moltissimo di uscire da quella gora delle relazioni politiche tra donne che prima ho descritto come caos, frammentazione, antipatia infinita. E non solo: desidero, finalmente e di nuovo, una relazione politica tra donne e uomini, oltre che tra donne, dove possa vivere e svilupparsi quella passione per l'Altro che e' la fonte del desiderio di convivere bene. La passione per l'Altro e' anche la passione per l'altra, e per l'altro non come genere ma come infinita variazione della vita umana. Non l'interlocuzione tra due differenze, ma una vera e incivilita e colta interrelazione tra le infinite differenze degli individui. La politica dunque come condizione di una vita piu' ricca. Questo e' il mio personale pensiero - sognante - attorno a un semplice articolato di legge. 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: POTERE PATRIARCALE, NODI PROFONDI [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo gia' apparso sul quotidiano "Liberazione" del 21 luglio 2007 col titolo "Il familismo italico e le sue madri-amanti". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Ci sono temi il cui gradimento mediatico sale insieme alla temperatura, all'arrivo dell'estate, al clima vacanziero. La sessualita', pur essendo uno dei principali ingredienti di cui sono fatte le relazioni private e pubbliche, e' solo nelle calde giornate di luglio e agosto che sembra prendersi la sua rivincita, guadagnando le prime pagine dei giornali, ma, soprattutto, costringendo una societa' che ne fa un uso smoderato e distratto a porsi qualche momentaneo interrogativo. Dopo la battuta di Giuliano Amato sulla violenza contro le donne, a riattizzare l'interesse per una materia tanto importante quanto trascurata dal dibattito culturale e politico che si rispetta, e' venuto il "Financial Times" con la denuncia di un'altra cattiva "abitudine" sessuale, questa volta marcatamente italica: "L'uso incongruo che viene fatto delle donne nella pubblicita'", l'aspirazione diffusa delle teenager italiane a fare le veline, le vallette di quiz a premi, la persistenza di una femminilita' "arcaica" - "mamme confinate in cucina a fare ravioli e figlie che cercano il successo attraverso la bellezza". Lasciando stare la nota di folclore sui ravioli, che anche le donne romagnole ormai comprano gia' fatti, non c'e' dubbio che l'occhio straniero corre senza inciampi la' dove noi esitiamo, mette, per cosi' dire, il dito sulla piaga, segretamente compiaciuto di un confronto che gioca a suo favore. Da oggetto di violenza a oggetto di desiderio, le donne restano sempre e comunque "oggetto", rispetto a pensieri, pulsioni, valori che rimandano a un protagonista unico, il sesso maschile, ma con una differenza di non poco conto: nel proporsi come madri e seduttrici, cio' che e' stato vissuto come imposizione, destino deciso da altri, viene assunto attivamente, agito come volonta' propria. Virginia Woolf, in un breve scritto del 1940, "Pensieri di pace durante un'incursione aerea", con uno straordinario coraggio intellettuale, paragonava la smania di dominio dei soldati tedeschi e inglesi che si combattevano nel cielo di Londra, al potere che le donne trasferiscono sulla maternita' e sulla bellezza: "Schiave che tentano di rendere schiavi gli altri". Nell'oscura commistione di amore e odio, assoggettamento e rivalsa, che si e' andata storicamente depositando nel rapporto tra i sessi, risulta tutt'oggi molto difficile dire con chiarezza che cosa siano privilegi, responsabilita', scelte e adattamenti, felicita' e sofferenza. La fissazione su un corpo femminile desiderato e temuto, isolato come un feticcio da ogni altra qualita' che identifichi la donna come persona, nella sua interezza, suscita giustamente rabbia, quando la si vede agire nei rapporti tra adulti, quando, come ha scritto Mila Spicola su "Repubblica" del 17 luglio, lo sguardo insistente del "maschio italico" si posa su un bel fondo-schiena, una "qualita'" "di cui non ho nessun merito; nonostante il mio quoziente intellettivo, la mia cultura, la mia ironia...". L'uso del proprio corpo come un'arma, un valore spendibile, puo' essere allora visto effettivamente come "rassegnazione a un pensiero unico sull'aspetto fisico e sul valore di mercato delle donne" (Maria Laura Rodota', "Corriere della sera", sempre il 17 1uglio). Il giudizio diventa meno semplice, o, se vogliamo, piu' imbarazzante, quando dobbiamo riconoscere - e nei commenti di questi giorni lo hanno fatto molte donne note per il loro impegno culturale e politico, come Chiara Saraceno e Dacia Maraini - che "anche donne capaci e intelligenti si sentono in dovere di presentarsi svestite e ammiccanti", che giornaliste e parlamentari "cercano di assomigliare a pin up". E' la resa di un femminismo che non ha saputo dar seguito alla spinta rivoluzionaria dei suoi inizi - "modificazione di se' e del mondo" - e alla sua ostinata ricerca di autonomia, una visione del mondo capace di scalfire la divisione sessuale del lavoro e tutti i dualismi su cui si e' costruita la civilta'? Oppure e' l'oscura radice del dominio maschile e della differenziazione tra i sessi, che il femminismo non ha avuto il coraggio di affrontare, quell'enigma delle origini che ha a che fare con la nascita dal corpo femminile, con l'iniziale "co-identita'" tra la madre e il figlio, e, soprattutto, con il prolungamento dell'infanzia che si materializza all'interno della famiglia e che ogni volta appiattisce l'amore di un uomo e di una donna su un legame di dipendenza materno-filiale? Il corpo con cui l'uomo-figlio e' stato tutt'uno, in un rapporto di fusione perfetta che riemerge idealizzato nella nostalgia di un padre, di un marito, di un amante, o, stravolto, nell'uso proprietario della donna, e' quello che gli ha dato insieme al nutrimento le prime sollecitazioni sessuali. La madre e la seduttrice sono le figure salvifiche e minacciose che segnano le prime esperienze dell'infanzia e, al medesimo tempo, i ruoli che il patriarcato assegna all'altro sesso. Infanzia e storia non sono separate, ma non sono neppure riducibili l'una all'altra, cosi' come l'individuo non puo' essere visto come un puro prodotto della societa'. Nel modo con cui l'uomo continua a guardare la donna, privilegiando le sue "qualita'" corporee piu' che le sue doti intellettuali, considerandola un "genere" anziche' una persona, si mescolano confusamente le fantasie tenere o violente del bambino che e' stato e i privilegi che gli garantisce un modello maschilista di societa'. E' questo annodamento che impedisce al rapporto uomo-donna di prendere, nelle analisi e pratiche politiche, la centralita' che ha nella vita quotidiana di ogni individuo, maschio e femmina? Il corpo femminile, e i corpi in generale, non potranno mai essere soltanto una "risorsa" da sfruttare, una "merce" o un "oggetto di piacere", perche' trattengono una "preistoria" fatta di accadimenti destinati a lasciare un segno duraturo, una "memoria" che continua a ripetersi, o riproporsi in cerca di nuove soluzioni. Un cambiamento significativo di modelli nelle istituzioni della vita pubblica, a partire dalla famiglia e dalla scuola, dalla centralita' che vi ha ancora, nella sua ambiguita' di "serva-padrona", la figura femminile, consentirebbe a quanto di "arcaico" si e' depositato nelle singole vite di trovare vie d'uscita e risposte diverse. Se questi interrogativi, che vanno a scavare in zone profonde, inesplorate dell'esperienza, sono rimasti a margine anche del movimento delle donne, forse e' perche' sfuggono alla logica che separa nettamente la vittima dall'aggressore, l'amore dall'odio. Il femminismo italiano, che non e' affatto scomparso, pensa che l'immagine femminile diffusa dalla pubblicita' e dai media sia degradante, ma non fa nulla per combatterla. Penso che non sia solo per paura di cadute moralistiche o perche' non ama la censura. Il persistere del familismo, anche in presenza di una crisi incontestabile dell'istituto familiare, dice che le donne, pur emancipate, non rinunciano facilmente a quel ruolo di madri e di "seduttrici" che da' loro il potere, in gran parte fantasmatico, di sentirsi necessarie, indispensabili all'altro. 3. LIBRI. "INTERNAZIONALE" PRESENTA "LA RIVOLUZIONE DEI DETTAGLI" DI MARINELLA CORREGGIA [Dalla rivista "Internazionale" del 7 giugno 2007 riprendiamo la seguente recensione, siglata gch e intitolata "La rivoluzione dalle piccole cose", del libro di Marinella Correggia, La rivoluzione dei dettagli, Feltrinelli, Milano 2007. Marinella Correggia e' nata a Rocca d'Arazzo in provincia di Asti; scrittrice e giornalista free lance particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, della pace, dei diritti umani, della solidarieta', della nonviolenza; e' stata in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Serbia, Bosnia, Bangladesh, Nepal, India, Vietnam, Sri Lanka e Burundi; si e' occupata di campagne animaliste e vegetariane, di assistenza a prigionieri politici e condannati a morte, di commercio equo e di azioni contro la guerra; si e' dedicata allo studio delle disuguaglianze e del "sottosviluppo"; ha scritto molto articoli e dossier sui modelli agroalimentari nel mondo e sull'uso delle risorse; ha fatto parte del comitato progetti di Ctm (Commercio Equo e Solidale); e' stata il focal point per l'Italia delle rete "Global Unger Alliance"; collabora con diverse testate tra cui "il manifesto", e' autrice di numerosi libri, e' attivista della campagna europea contro l'impatto climatico e ambientale dell'aviazione. Tra le opere di Marinella Correggia: Ago e scalpello: artigiani e materie del mondo, Ctm, 1997; Altroartigianato in Centroamerica, Sonda, 1997; Altroartigianato in Asia, Sonda, 1998; Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori, 2000; Addio alle carni, Lav, 2001; Cucina vegetariana dal Sud del mondo, Sonda, 2002; Si ferma una bomba in volo? L'utopia pacifista a Baghdad, Terre di mezzo, 2003; Diventare come balsami. Per ridurre la sofferenza del mondo: azioni etiche ed ecologiche nella vita quotidiana, Sonda, 2004; Vita sobria. Scritti tolstoiani e consigli pratici, Qualevita, 2004; Il balcone dell'indipendenza. Un infinito minimo, Nuovi Equilibri, 2006; (a cura di), Cambieresti? La sfida di mille famiglie alla societa' dei consumi, Altra Economia, 2006; Week Ender 2. Alla scoperta dell'Italia in un fine settimana di turismo responsabile, Terre di Mezzo, 2007. La rivoluzione dei dettagli, Feltrinelli, Milano 2007] Il manuale di ecoazioni individuali e collettive di Marinella Correggia e' la risposta italiana ai consigli di Leo Hickman per un vivere responsabile e sostenibile: senza sprecare acqua ed energia, scegliendo cibi biologici, vestendosi senza aiutare lo sfruttamento dei lavoratori all'estero, riciclando i rifiuti. E soprattutto producendo cio' che consumiamo, nello sforzo di recuperare gusti personali, meno artificiali e meno dannosi per il pianeta. Tutte azioni che in Italia richiedono una buona dose d'inventiva e di tenacia. E anche una rivoluzione nei tempi di vita delle persone. Correggia ne tiene conto e fornisce le informazioni sulle leggi e le normative italiane in materia di difesa dell'ambiente e di diritti dei consumatori, utili a promuovere iniziative per migliorare la salute del pianeta, cominciando proprio dai dettagli. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 121 del 9 agosto 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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