Nonviolenza. Femminile plurale. 121



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 121 del 9 agosto 2007

In questo numero:
1. Lidia Campagnano: Rappresentanza politica e democrazia paritaria
2. Lea Melandri: Potere patriarcale, nodi profondi
3. "Internazionale" presenta "La rivoluzione dei dettagli" di Marinella
Correggia

1. RIFLESSIONE. LIDIA CAMPAGNANO: RAPPRESENTANZA POLITICA E DEMOCRAZIA
PARITARIA
[Dal sito www.50e50.it riprendiamo il testo della relazioen svolta da Lidia
Campagnano all'incontro sul tema '50 e 50: per una nuova esperienza della
politica" svoltosi all'Universita' di Pavia il 12 maggio 2007 sulla proposta
di legge e sulla relativa campagna promosse all'Unione donne in Italia (in
sigla: Udi).
Lidia Campagnano e' una prestigiosa intellettuale femminista; in una breve
presentazione autobiografica di qualche anno fa cosi' si descriveva: "ho 55
anni, ho studiato filosofia all'Universita' degli Studi di Milano. Dalla
paura della storia, instillatami da piccola con i racconti della potenza e
dell'orrore nazista che avevano preceduto la mia nascita, sono passata alla
passione politica e a quella per la parola, scritta e parlata, come
possibili attivita' di cura (forse anche di consolazione) inventate
dall'umanita'. Dopo il Sessantotto e la scoperta del femminismo sono
diventata giornalista presso la redazione del "Manifesto", dove ho lavorato
per diciassette anni (i "quaderni del Golfo", durante "quella" guerra [del
1991], li ho ideati e curati io, pensando alle persone piu' giovani o a
quelle piu' disarmate e sconcertate).  Ho partecipato alla fondazione di due
riviste di donne: "Orsaminore", a Roma, e "Lapis", a Milano. Adesso
collaboro dove capita: al "Manifesto"  alla "Rinascita della sinistra",
all'"Unita'" qualche volta. In passato ho condotto varie trasmissioni
radiofoniche (presso la Rai) dedicate alle donne, e due trasmissioni
televisive (una settimana di commenti a una notizia del Tg Tre, una
trasmissione culturale del mattino presso la Rete 2). Ogni anno, in varie
citta' (Milano presso la Libera universita' delle donne, Roma prossimamente,
presso la Casa internazionale delle donne, Torino in occasione del Forum
"Native, immigrate, cittadine del mondo", Firenze mentre bombardavano
Belgrado, Lucca, Catania, in un campeggio di giovani a Policastro, Valencia,
presso l'Universita', e chissa' dove ancora) cerco e trovo modo di condurre
seminari, dialoghi e riflessioni collettive, soprattutto tra donne, a volte
anche con la partecipazione di uomini, sui temi simili a quelli che
trattiamo in quest'occasione. Ricordo anche la partecipazione a "punto G,
genere e globalizzazione", a Genova, con la conduzione insieme a Barbara
Romagnoli e Lea Melandri del gruppo "l'ordine sentimentale della
globalizzazione". Da allora collaboro qualche volta con la rivista "Marea"
diretta da Monica Lanfranco. Ho scritto vari saggi e relazioni, pubblicate
in vari luoghi, mi limito a segnalare due libri interamente miei: Gli anni
del disordine, pubblicato dalla Tartaruga edizioni di Milano nel 1996, una
meditazione per frammenti su cio' che la fine del mondo bipolare stava
producendo, soprattutto in Jugoslavia ma anche altrove, e Un dopoguerra
ancora, edito nel 2000 dalle edizioni Erga di Genova, in prosa poetica. Il
terzo e' in cantiere, sulle ferite inflitte nel tessuto spaziale e in quello
temporale, e nel senso biografico di una donna, dalle guerre di questi
nostri tempi"]

Ringrazio di cuore "Usciamo dal silenzio" e l'Universita' di Pavia per
questo appuntamento al quale partecipo con molto piacere. E vi ringrazio per
l'accoglienza che mi avete riservato, calda e gentile.
La proposta che l'Udi ha messo in campo e' semplicissima: una proposta di
legge di iniziativa popolare, costituita da un breve articolato con il quale
si dichiarano irricevibili le liste lettorali che non alternino candidate e
candidati e non prevedano una misura del 50% tra candidate e candidati,
qualunque sia la forma assunta dalla competizione elettorale e di qualunque
appuntamento elettorale si tratti, amministrativo o legislativo. Il nome e
lo slogan della campagna e': "50 e 50 ovunque si decide".
Quello che mi preme di comunicarvi e' il tessuto di pensieri che ha portato
a questa proposta, e che intende reggere questa che sara' - diro' una
parolaccia, anzi, due parolacce insieme, di quelle che non si usano piu' -
una "campagna popolare".
Cosa voglia dire poi questa espressione, questo reperto archeologico,
soprattutto se ripescato da donne, e' cosa che secondo me dobbiamo o
possiamo desiderare di decidere tutte insieme, in un vero e grande dibattito
politico.
Semplice l'articolato di legge che offriamo alla firma di donne e uomini,
complesso il tessuto di idee. Percio', come in un dibattito fondato su una
autenticita', di qui in poi diro' di cio' che io personalmente penso di
portare nella campagna dell'Udi, invece che presumere di rendere un'idea
"media" dei pensieri delle donne dell'Udi. E iniziero' dalla mia lettura
della proposta di legge.
*
L'articolato non prevede sanzioni o punizioni per chi non rispetta questa
legge ma soltanto l'irricevibilita' delle liste.
Questa scelta ai miei occhi sta a dire che non si intende dare avvio o
partecipare alla guerra tra i sessi. Inoltre l'obiettivo non e',
genericamente, avere piu' donne in politica, e meno che mai tutelarne una
quota. Ne' questa proposta ha per scopo la creazione della rappresentanza di
genere. E' un'altra cosa. Che cosa si vuole con questa proposta?
Tentero' di dare la mia interpretazione.
Io penso che 50e50 significhi mettere - o rimettere - la politica tra gli
uomini e le donne. E farlo, questa volta, a partire dalla sfera pubblica, e
non da una rivoluzione interpersonale.
Vengo dal femminismo e il femminismo ha affermato la necessita', la
possibilita' e il desiderio di fare una rivoluzione a partire dai rapporti
interpersonali, e prima di tutto dai rapporti uomo/donna.
Perche', oggi, una femminista come me afferma la necessita' di rimettere la
politica tra uomini e donne sul piano pubblico, prima di tutto, piuttosto
che su quello privato? Per quel che mi riguarda, questa decisione deriva da
un giudizio su quello che e' successo, e da anni ormai, nella sfera dei
rapporti interpersonali. Ritengo che il piano creativo interpersonale,
quello dove, come femministe, volevamo portare una rivoluzione, e' stato
devastato ed e' regredito.
E' regredito per molti motivi attinenti alla societa', alla cultura,
all'economia e alla politica, e tra questi per il fatto che la sfera
pubblica, e la politica in particolare, non hanno assunto, interpretato,
solidificato le creazioni migliori scaturite dalla microrivoluzione della
sfera interpersonale.
La politica, la sfera pubblica e in gran parte anche la cultura hanno tratto
da quella microrivoluzione cio' che poteva servire per incrementare un
grande rilancio dell'individualismo, utile a soffocare una stagione e una
generazione che si erano orientate a un impegno di trasformazione sociale. E
si e' trattato di un individualismo per niente liberatorio nei confronti
delle relazioni interpersonali, di un individualismo indifferente al peso
mortale che condizioni sociali diseguali, ingiuste e piene di precarieta'
riversano sulla qualita', la liberta', il tempo necessario a incivilire
queste relazioni. Tutte queste relazioni: tra uomo e donna, tra generazioni
diverse, tra donne, tra uomini, tra adulti e bambini...
Il risultato di questa dispersione della  potenziale creativita' etica,
intellettuale e politica delle relazioni interpersonali e' un individuo
gonfio di se' e in realta' debolissimo,  insicuro, impoverito. Impoverito in
tutti i sensi.
*
Termini come poverta' e precarieta' indicano di solito la condizione
economica prevalente nel mondo d'oggi. Ma qui e ora vorrei soffermarmi
soprattutto sulla poverta' culturale che ha colpito le relazioni tra gli
uomini e le donne.
Molto si parla della famiglia, di questi tempi, e spesso in modo analogo a
destra e a sinistra, nel senso che dappertutto si tace allo stesso modo sul
fatto che la famiglia e' diventata visibilmente e brutalmente il precipitato
delle poverta', anche laddove il reddito e' sufficiente e sufficientemente
stabile.
Dovrebbe balzare agli occhi il fatto che, dopo decenni di grande sviluppo
delle discipline della convivenza e della conoscenza di se' (psicologie,
pedagogie, sperimentazioni, ricette, dibattito sulle medesime) nelle
famiglie sembrano essere spariti anche gli usi, le cognizioni e le tecniche
elementari della sua organizzazione interna. La famiglia non ce la fa piu':
lo sanno tutti, la televisione lo racconta ogni giorno, e non solo nella
cronaca nera, che pure ha aspetti semplicemente folgoranti da questo punto
di vista, ma anche nel piu' banale reality show. Invece il discorso politico
si incarica, per cosi' dire, in prima persona di una esaltazione della
famiglia come unico luogo della convivenza allo stato puro, allo stato
primario e sentimentale... benche' a sua difesa si riesca solo a immaginare
qualche assegno in piu': un discorso che non merita nemmeno di essere
definito ideologico.
*
Per questi motivi io ritengo che si debba rimettere la politica tra uomini e
donne, ma questa volta sulla scena pubblica e sulla scena politica in
particolare.
A partire da che cosa? A partire da una considerazione antropologica: la
convivenza sulla faccia della Terra, la convivenza della specie umana, e'
convivenza di donne e di uomini. Se questo dato materiale non viene messo a
tema, e non diventa cultura, accumuliamo riserve di barbarie - nella nostra
vita collettiva - praticamente inesauribili.
Penso che il porre questo tema antropologico nel bel mezzo della scena
pubblica possa anche ridare senso, connotato di civilta', progettualita'
alle relazioni interpersonali tra uomini e donne. Che non sono meno colpite
delle relazioni politiche, ma le cui ferite continuano a non essere prese in
considerazione nel dibattito politico. E l'unico modo, almeno ai miei occhi,
per imporle oggi e con la dovuta urgenza alla considerazione politica e'
rappresentarle direttamente "ovunque si decide": in un quadro di democrazia
paritaria. Solo una scena segnata da questa duplice e quantitativamente
paritaria presenza puo', forse, ridare respiro a una cultura delle relazioni
la cui fonte non sappiamo piu' dove si trovi poiche' e' ostruita.
*
Prima dicevo: non si tratta a mio parere di una (ennesima) riedizione della
guerra tra i sessi, e percio' per quel che mi riguarda parlo di democrazia
paritaria e non di democrazia duale, termine che alla mia mente evoca due
schieramenti oppure una coppia. Io non sono una seguace della teoria della
differenza. Non perche' nego la differenza, ma perche' mi rifiuto di
definirla. Non la voglio definire perche' io penso che qualunque definizione
va al di la' delle intenzioni di chi la afferma ed e' destinata a
riprecipitare nella sua lunghissima storia culturale.
Gli uomini hanno sempre detto che cosa sono le donne e che cosa sono gli
uomini, e a mio parere non cambia molto nel momento in cui le donne
cominciano a dire che cosa sono le donne e che cosa sono gli uomini. E la'
mi sembra che si vada inevitabilmente a parare. Penso che qualunque
definizione della differenza, al di la' delle intenzioni, vada a finire - e
secondo me in parte e' andata a finire - nel risveglio e nel consolidamento
della duplice paura che i due sessi hanno coltivato fin qui tra loro. La
paura, da parte degli uomini, dell'anarchico potere materno - quello che in
psicanalisi si chiama "il codice materno", "il codice del desiderio",
"l'anarchia femminile del desiderio", con la sua traduzione sociale
potenzialmente totalitaria -; e la paura, da parte delle donne, dell'atavica
tendenza al potere violento degli uomini.
Uomini e donne sul piano del vissuto, del non detto della differenza, si
rapportano tra loro in questa zona cupa che e' la paura reciproca.
Reciproca, si': non c'e' solo la paura delle donne nei confronti della
intollerabile propensione alla violenza degli uomini nei loro confronti. E
dove c'e' paura bisogna rielaborare civilta'.
*
Quale potrebbe essere il contributo di una presenza paritaria nella
democrazia a questa elaborazione? Non voglio dire che cosa potrebbe
succedere agli uomini, se si realizzasse la democrazia paritaria. Non lo
voglio dire per inaugurare, anch'io, un nuovo stile, e lasciare aperta la
strada per un dialogo alla pari (e dunque senza escludere il conflitto, la
mediazione, la contaminazione dei linguaggi). Che siano gli uomini a
parlarci di se'. Ma posso provare a immaginare per quel che riguarda noi, le
donne, e per quel che riguarda la politica. Posso cominciare a pensare
questo oggetto di desiderio che e' per me una democrazia paritaria.
Io penso che la prospettiva della democrazia paritaria susciti paura anche
tra noi, paura e resistenze. Nemmeno io sono cosi' estranea a questa paura.
Perche' la prospettiva della democrazia paritaria impone di risvegliarsi da
una condizione di marginalita', di irresponsabilita', di negativita' sia
pure critica, sia pure intelligente, nei confronti della politica,
condizione nella quale e grazie alla quale molte di noi, in fondo, hanno
trovato spazio di espressione.
Molte di noi, o forse una parte di ciascuna di noi, ha trovato il suo spazio
di espressione pubblica proprio a partire da questa condizione. Leggo tanti
interventi, sul tema della rappresentanza, connotati dalla facilita' con cui
molte di noi si esprimono criticamente nei confronti della politica
maschile, come se fossimo pronte ad entrare sulla scena, quasi in
sostituzione: ma quando si accenna concretamente a realizzare questo
ingresso il tono si fa meno sicuro. La volonta' vacilla. Il fatto e' che
nell'irresponsabilita' forzosa, nella marginalita', tutti i desideri possono
avere corso e tradursi nelle piu' svariate forme di realizzazione, o meglio
di compensazione: non cosi' in una democrazia paritaria, nella quale tocca
scegliere e decidere con lucidita'.
*
Per giunta tra noi, tra le donne che parlano di politica o la praticano in
questo contesto di generalizzata esclusione, la frammentazione e' diventata
caotica, e a volte anche insensata, a volte tradotta in antipatia.
L'antipatia tra le femministe, tra le femministe e quelle che non hanno
vissuto la storia femminista, tra le varie correnti del femminismo, tra le
varie associazioni di donne.
Chi non ha percepito mai queste insensate correnti di antipatia? Eppure
questo e' ancora nulla rispetto al fatto che la distanza tra la storia del
femminismo e le donne che sono venute dopo, che sono venute da altrove, che
sono comunque lontane da questi orizzonti, e' spesso abissale e a volte in
costante aumento.
Non e' piu' vero - nonostante quello che ci si racconta - che la
comunicazione tra donne e' diventata, dopo il femminismo, facile e
spontanea. E' un inganno: un inganno  che ha facilitato l'ingresso di poche
donne nella vita sociale e nella vita pubblica, ma d'altro canto le ha rese
debolissime. Perche' la frammentazione astiosa ha consentito a molte la
grande "liberta'" di non prendere posizione, di non esporsi. E prendere
posizione ed esporsi sono, insieme alla capacita' di dialogo e di mediazione
e alla capacita' di decisione, i tratti fondamentali del comportamento
politico.
*
Uno degli esiti di questa situazione e' che tra le donne del movimento, e
grazie all'esclusione politica, non si pone quasi piu' il problema di
definirsi su che cosa sia essere una donna di destra, essere una donna di
centro o essere una donna di sinistra. Che sono, di nuovo, tre categorie
della scena politica, molto elementari, ma assolutamente fondamentali.
Fondamentali persino laddove si siano svuotate di valori, di definizioni e
di contenuti, nonche' di forme.
E' come se tra donne fosse piu' facile non collocarsi. Questo e' normale, ed
e' per certi versi anche giusto. Nel senso che nel momento in cui si e'
escluse, si e' marginalizzate, si e' soltanto eventualmente cooptate per
manifesta fedelta' nell'uno o nell'altro schieramento politico, e' evidente
che non viene spontaneo ripensare in piena autonomia la propria definizione
dell'essere donna di destra, donna di centro o donna di sinistra.
*
Penso invece che la campagna "50 e 50" nel suo senso piu' profondo favorisca
una riscoperta-ricostruzione-rielaborazione di tutto intero lo spessore
culturale che richiede una definizione politica e quindi una piena
responsabilita' politica.
Intendo dire, per esempio, che il primo terreno su cui esercitare
l'elaborazione politica, nella pretesa di essere 50 e 50, e percio' nel
lavoro del definirsi sulla scena, e' la ricongiunzione di cio' che la scena
politica sta rovinosamente separando.
Parlo della scissione operata tra quelli che vengono chiamati i "valori" e
quelli che vengono chiamati gli "interessi". Vale a dire la scissione tra
economia e cultura, la scissione tra la materialita' della condizione e il
pensiero - e i progetti di trasformazione - relativo alla condizione. Da
questa scissione sono venute conseguenze devastanti per la politica.
*
Faccio un esempio: noi (donne ipoteticamente partecipi di una democrazia
paritaria) potremmo interrogare severamente l'economia e i suoi veri o
presunti esperti sul dilagare dei rapporti schiavistici di lavoro a partire
dal soggetto maggioritario e tipico di questa condizione: le donne.
Le donne nella prostituzione schiavizzata senza frontiere, ma anche le donne
soggette a tutti gli elementi di prostituzione che si incuneano nelle
relazioni lavorative di ogni tipo (dal lavoro nel campo dello spettacolo
televisivo fino alle molestie e i ricatti sessuali in ogni sorta di luogo di
lavoro.
Si puo' dire che milioni di donne incarnino oggi il prototipo di tutte le
relazioni schiavistiche di lavoro. Potremmo incominciare con una domanda
molto specifica: quanto del Prodotto interno lordo (in sigla: Pil) di
ciascun Paese deriva dalla schiavitu' delle donne? E arriveremmo, credo, a
un quadro del mondo, e dei rapporti tra i sessi nel mondo, veramente
impressionante.
Cosi' impressionante da vulnerare qualunque ricerca del piacere, della
felicita', della civilta' nelle relazioni amorose di tutti e di tutte.
Perche' l'orizzonte mondiale, l'orizzonte economico globale e' un'immagine
dell'umanita' e ha valore universale e percio' stinge sulle relazioni
interpersonali. Si tratta dunque di una domanda coinvolgente, una domanda
che impegna, che puo' scuotere e indurre alla parola, alla scelta, alla
presa di posizione, finalmente, uomini e donne.
*
Un altro terreno e' quello della laicita'.
Quanto la laicita' puo' sopravvivere, persino come vago ideale, nel momento
in cui il punto da cui nasce qualunque riflessione religiosa, la questione
dell'origine di ogni vita (la questione del generare la vita) e' stato
invaso e colonizzato, grazie a un voto parlamentare e alla pressione della
Chiesa, con la trasformazione dell'embrione umano in soggetto giuridico
sotto tutela statale?
Parlo della legge 40, una legge! Cioe' una cosa pesantissima dal punto di
vista simbolico, anche se sembra dormiente nei suoi esiti. La legge dice che
quella relazione intima, quel corpo-mente-cuore indissolubile che
comprendeva l'embrione nella vita della donna come parte di lei e come
possibilita' d'altro se e solo se lei puo' accettare di accompagnarlo nel
mutamento, non vale nulla e la nascita deve essere "valorizzata"
dall'autorita'.
Nel momento in cui si ferisce questa relazione, che e' una relazione di
pensiero, di sentimento e di corpo, e si definisce l'embrione come qualcosa
che prende valore dallo Stato, alla laica creativita' di valori (inclusi
quelli religiosi) si sostituisce l'alienazione e l'irresponsabilita'.
Li' sta una ferita, a qualunque idea di laicita', che solo un dibattito alla
pari, un colloquio politico alla pari tra uomini e donne puo' sanare, a mio
parere, con la cancellazione - con ignominia - di quell'articolo di legge.
*
C'e' qualche cosa che, grazie al silenzio sul guasto che si e' prodotto
nelle relazioni tra uomini e donne, e che comprende aspetti antichi e
aspetti nuovi come quest'ultimo esempio dimostra, non viene visto, ed e',
nell'imbarbarimento delle vite familiari, l'ignoranza d'amore che avvolge
l'esperienza genitoriale.
Famiglie, coppie, individui "incolti d'amore", ha scritto lo psicoanalista
Francesco Bisagni riflettendo sui bambini disastrati, "spazzatura degli
adulti", che popolano la cronaca nera e a volte gli ambulatori della psiche.
Bisagni continua, nel suo ragionamento maturato nella pratica terapeutica,
paventando l'instaurarsi di una societa' privata della "mente materna":
mente colta, fine, che autorizza la vita e con essa l'inizio del pensare, la
percezione del valore di vivere. Mente che toglie la paura, invece di
instaurarla. Mente creativa perche' intima, integra e libera.
*
Sono molti i silenzi politici che una democrazia  paritaria piu' facilmente
potrebbe interrompere, o contribuire a interrompere, in ogni campo della
convivenza umana, e quello che sto dicendo vale solo come esempio di quanto
una donna appassionata di politica puo' investire in una campagna come
questa.
Esempi di immaginazione gia' al lavoro, prima ancora che il risultato sia
non dico raggiunto ma neppure approssimato.
Non e' detto che tutte immaginiamo alla stessa maniera, e al contrario:
chissa' quante sono le donne che non concordano su nessuna delle mie
immagini. Ma la discussione e' iniziata e non si puo' fermare e nemmeno io
voglio "fermare" me stessa.
E mi va bene che altre immaginino altro: l'obbiettivo "50 e 50" puo'
effettivamente essere vissuto come riequilibrio della rappresentanza, puo'
essere vissuto come una scena dove, finalmente, vengono rappresentati - non
nel senso della rappresentanza, ma della rappresentazione - gli uomini e le
donne. Puo' essere, come dire, semplicemente la bonifica di un orizzonte, di
un quadro francamente inguardabile. Puo' essere un sollievo e un sostegno
per le donne che intendono candidarsi.
*
Tutti desideri legittimi, giusti: in effetti la scena politica istituzionale
e mediatica e' perfino esteticamente inquietante, nella sua sfilata di
giacche e cravatte. E inquietanti finiscono con l'essere anche le poche
figure femminili che vi hanno accesso, nella loro "anomalia" vivente.
Inquietanti e imbarazzanti, a volte, nel loro un po' infelice far finta di
niente, nel loro esprimersi - di necessita', direi - come se tutto fosse
normale e a posto.
Quando una donna sta in una assemblea elettiva, e sa che le donne li' sono
una minoranza infima, e' portata a cercare di dimenticare la sua
eccezionalita', a non guardarsi troppo attorno e a non guardare troppo
nemmeno a se stessa. E cosi' non crea neppure uno stile appropriato, non
crea tradizione per altre che potrebbero entrare in quelle stesse assemblee.
Mi sono divertita, un giorno, al Senato, a leggere un avviso che diceva: gli
uomini devono indossare giacca e cravatta, le donne devono indossare... un
abbigliamento decoroso. Ho incontrato uomini giustamente  invidiosi per
questa prescrizione leggera, se paragonata alla rigidezza dell'abbigliamento
loro imposto: e certo l'essere eredi di una tradizione maschilista ha il suo
prezzo.
Ma il frequentare i luoghi della democrazia senza l'appoggio di una
tradizione non e' agevole. E piu' in generale, il presentarsi come mosca
bianca sulla scena politica e' un continuo ricordarsi e dimenticare,
ricordarsi e dimenticare che sei una donna. Una fatica in gran parte
inutile.
*
E ancora... Essere 50 e 50 ci libererebbe dalla necessita' che tanti uomini
di buona volonta' sentono di dover dire che le donne ci vogliono, in
politica, perche' portano saggezza, equilibrio, dolcezza, sensibilita',
sentimento, buon senso, praticita' e non so che altro.
Questa specie di immaginetta di mamma casalinga proiettata direttamente in
un governo forse svanirebbe. Effettivamente, oggi c'e' una piccola strada di
ingresso alla politica, soprattutto a destra, che passa esattamente per
l'esercizio di queste virtu' domestiche. La politica come amministrazione
della casa. Che poi va a sovrapporsi all'idea della politica come
amministrazione dell'impresa. Insomma, a qualche moglie o figlia si puo'
pure permettere l'avventura di una qualche associazione al potere.
Ma e' ancora politica, questa? Anche a questa domanda si puo' tornare a dare
spessore culturale, cosi' come al nostro essere politicamente collocate,
politicamente di parte.
*
E' nel nostro diritto, ma per esercitare questo diritto abbamo bisogno di
una nuova esperienza della politica.
Credo - e spero - che nasca una nuova esperienza politica di donne, da
questa campagna. Nuova anche rispetto all'esperienza di una come me. Nuova
perche' ha da studiare, da pensare cose nuove. Io credo che tutto cio' sia
molto urgente. Non corrisponde soltanto a un mio desiderio. E' urgente.
Ieri sera pensavo: e' questa una strada per il rinnovamento della politica?
Non ho nessun dubbio? E' l'unica, o ce n'e' un'altra? Certo e' che i grandi
cambiamenti intervengono quando un nuovo soggetto, o se preferite, una nuova
soggettivita' entra nella politica.
Ma poiche' la proposta di legge di cui stiamo parlando riguarda
specificatamente la questione della rappresentanza, va chiarito che le donne
che entrassero in questo modo nelle assemblee elettive non
rappresenterebbero affatto solo le donne.
Ed e' bene cosi'. Perche', rappresentando uomini e donne, dovrebbero dare
rappresentazione anche alla relazione tra uomini e donne. E dunque
dovrebbero dare forma di civilta' a quella relazione, dichiarando intenti e
mezzi per realizzarla, e suscitando dibattito. Questo sarebbe un grande
mutamento, un rinnovamento della stessa vita politica; diventerebbe una vita
politica che effettivamente rispecchierebbe in tutti i suoi aspetti, un po'
di piu', la vita sociale, la vita interpersonale, la vita individuale che si
fa tra uomini e donne. E questo io credo che muterebbe moltissimo anche le
relazioni tra noi, le donne. Diventerebbero piu' impegnative, piu'
importanti, permeate dalla speranza di cambiare le cose.
Trovarsi in un progetto comune per cambiare le cose e' una molla formidabile
nelle relazioni; le ripulisce, le rinfresca. E una come me desidera
moltissimo di uscire da quella gora delle relazioni politiche tra donne che
prima ho descritto come caos, frammentazione, antipatia infinita.
E non solo: desidero, finalmente e di nuovo, una relazione politica tra
donne e uomini, oltre che tra donne, dove possa vivere e svilupparsi quella
passione per l'Altro che e' la fonte del desiderio di convivere bene. La
passione per l'Altro e' anche la passione per l'altra, e per l'altro non
come genere ma come infinita variazione della vita umana. Non
l'interlocuzione tra due differenze, ma una vera e incivilita e colta
interrelazione tra le infinite differenze degli individui. La politica
dunque come condizione di una vita piu' ricca.
Questo e' il mio personale pensiero - sognante - attorno a un semplice
articolato di legge.

2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: POTERE PATRIARCALE, NODI PROFONDI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo gia' apparso sul quotidiano "Liberazione"
del 21 luglio 2007 col titolo "Il familismo italico e le sue madri-amanti".
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997;
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri,
Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa
del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby
Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le
passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

Ci sono temi il cui gradimento mediatico sale insieme alla temperatura,
all'arrivo dell'estate, al clima vacanziero. La sessualita', pur essendo uno
dei principali ingredienti di cui sono fatte le relazioni private e
pubbliche, e' solo nelle calde giornate di luglio e agosto che sembra
prendersi la sua rivincita, guadagnando le prime pagine dei giornali, ma,
soprattutto, costringendo una societa' che ne fa un uso smoderato e
distratto a porsi qualche momentaneo interrogativo.
Dopo la battuta di Giuliano Amato sulla violenza contro le donne, a
riattizzare l'interesse per una materia tanto importante quanto trascurata
dal dibattito culturale e politico che si rispetta, e' venuto il "Financial
Times" con la denuncia di un'altra cattiva "abitudine" sessuale, questa
volta marcatamente italica: "L'uso incongruo che viene fatto delle donne
nella pubblicita'", l'aspirazione diffusa delle teenager italiane a fare le
veline, le vallette di quiz a premi, la persistenza di una femminilita'
"arcaica" - "mamme confinate in cucina a fare ravioli e figlie che cercano
il successo attraverso la bellezza".
Lasciando stare la nota di folclore sui ravioli, che anche le donne
romagnole ormai comprano gia' fatti, non c'e' dubbio che l'occhio straniero
corre senza inciampi la' dove noi esitiamo, mette, per cosi' dire, il dito
sulla piaga, segretamente compiaciuto di un confronto che gioca a suo
favore.
Da oggetto di violenza a oggetto di desiderio, le donne restano sempre e
comunque "oggetto", rispetto a pensieri, pulsioni, valori che rimandano a un
protagonista unico, il sesso maschile, ma con una differenza di non poco
conto: nel proporsi come madri e seduttrici, cio' che e' stato vissuto come
imposizione, destino deciso da altri, viene assunto attivamente, agito come
volonta' propria. Virginia Woolf, in un breve scritto del 1940, "Pensieri di
pace durante un'incursione aerea", con uno straordinario coraggio
intellettuale, paragonava la smania di dominio dei soldati tedeschi e
inglesi che si combattevano nel cielo di Londra, al potere che le donne
trasferiscono sulla maternita' e sulla bellezza: "Schiave che tentano di
rendere schiavi gli altri". Nell'oscura commistione di amore e odio,
assoggettamento e rivalsa, che si e' andata storicamente depositando nel
rapporto tra i sessi, risulta tutt'oggi molto difficile dire con chiarezza
che cosa siano privilegi, responsabilita', scelte e adattamenti, felicita' e
sofferenza.
La fissazione su un corpo femminile desiderato e temuto, isolato come un
feticcio da ogni altra qualita' che identifichi la donna come persona, nella
sua interezza, suscita giustamente rabbia, quando la si vede agire nei
rapporti tra adulti, quando, come ha scritto Mila Spicola su "Repubblica"
del 17 luglio, lo sguardo insistente del "maschio italico" si posa su un bel
fondo-schiena, una "qualita'" "di cui non ho nessun merito; nonostante il
mio quoziente intellettivo, la mia cultura, la mia ironia...". L'uso del
proprio corpo come un'arma, un valore spendibile, puo' essere allora visto
effettivamente come "rassegnazione a un pensiero unico sull'aspetto fisico e
sul valore di mercato delle donne" (Maria Laura Rodota', "Corriere della
sera", sempre il 17 1uglio).
Il giudizio diventa meno semplice, o, se vogliamo, piu' imbarazzante, quando
dobbiamo riconoscere - e nei commenti di questi giorni lo hanno fatto molte
donne note per il loro impegno culturale e politico, come Chiara Saraceno e
Dacia Maraini - che "anche donne capaci e intelligenti si sentono in dovere
di presentarsi svestite e ammiccanti", che giornaliste e parlamentari
"cercano di assomigliare a pin up".
E' la resa di un femminismo che non ha saputo dar seguito alla spinta
rivoluzionaria dei suoi inizi - "modificazione di se' e del mondo" - e alla
sua ostinata ricerca di autonomia, una visione del mondo capace di scalfire
la divisione sessuale del lavoro e tutti i dualismi su cui si e' costruita
la civilta'?
Oppure e' l'oscura radice del dominio maschile e della differenziazione tra
i sessi, che il femminismo non ha avuto il coraggio di affrontare,
quell'enigma delle origini che ha a che fare con la nascita dal corpo
femminile, con l'iniziale "co-identita'" tra la madre e il figlio, e,
soprattutto, con il prolungamento dell'infanzia che si materializza
all'interno della famiglia e che ogni volta appiattisce l'amore di un uomo e
di una donna su un legame di dipendenza materno-filiale?
Il corpo con cui l'uomo-figlio e' stato tutt'uno, in un rapporto di fusione
perfetta che riemerge idealizzato nella nostalgia di un padre, di un marito,
di un amante, o, stravolto, nell'uso proprietario della donna, e' quello che
gli ha dato insieme al nutrimento le prime sollecitazioni sessuali.
La madre e la seduttrice sono le figure salvifiche e minacciose che segnano
le prime esperienze dell'infanzia e, al medesimo tempo, i ruoli che il
patriarcato assegna all'altro sesso. Infanzia e storia non sono separate, ma
non sono neppure riducibili l'una all'altra, cosi' come l'individuo non puo'
essere visto come un puro prodotto della societa'.
Nel modo con cui l'uomo continua a guardare la donna, privilegiando le sue
"qualita'" corporee piu' che le sue doti intellettuali, considerandola un
"genere" anziche' una persona, si mescolano confusamente le fantasie tenere
o violente del bambino che e' stato e i privilegi che gli garantisce un
modello maschilista di societa'.
E' questo annodamento che impedisce al rapporto uomo-donna di prendere,
nelle analisi e pratiche politiche, la centralita' che ha nella vita
quotidiana di ogni individuo, maschio e femmina? Il corpo femminile, e i
corpi in generale, non potranno mai essere soltanto una "risorsa" da
sfruttare, una "merce" o un "oggetto di piacere", perche' trattengono una
"preistoria" fatta di accadimenti destinati a lasciare un segno duraturo,
una "memoria" che continua a ripetersi, o riproporsi in cerca di nuove
soluzioni.
Un cambiamento significativo di modelli nelle istituzioni della vita
pubblica, a partire dalla famiglia e dalla scuola, dalla centralita' che vi
ha ancora, nella sua ambiguita' di "serva-padrona", la figura femminile,
consentirebbe a quanto di "arcaico" si e' depositato nelle singole vite di
trovare vie d'uscita e risposte diverse.
Se questi interrogativi, che vanno a scavare in zone profonde, inesplorate
dell'esperienza, sono rimasti a margine anche del movimento delle donne,
forse e' perche' sfuggono alla logica che separa nettamente la vittima
dall'aggressore, l'amore dall'odio.
Il femminismo italiano, che non e' affatto scomparso, pensa che l'immagine
femminile diffusa dalla pubblicita' e dai media sia degradante, ma non fa
nulla per combatterla. Penso che non sia solo per paura di cadute
moralistiche o perche' non ama la censura.
Il persistere del familismo, anche in presenza di una crisi incontestabile
dell'istituto familiare, dice che le donne, pur emancipate, non rinunciano
facilmente a quel ruolo di madri e di "seduttrici" che da' loro il potere,
in gran parte fantasmatico, di sentirsi necessarie, indispensabili
all'altro.

3. LIBRI. "INTERNAZIONALE" PRESENTA "LA RIVOLUZIONE DEI DETTAGLI" DI
MARINELLA CORREGGIA
[Dalla rivista "Internazionale" del 7 giugno 2007 riprendiamo la seguente
recensione, siglata gch e intitolata "La rivoluzione dalle piccole cose",
del libro di Marinella Correggia, La rivoluzione dei dettagli, Feltrinelli,
Milano 2007.
Marinella Correggia e' nata a Rocca d'Arazzo in provincia di Asti;
scrittrice e giornalista free lance particolarmente attenta ai temi
dell'ambiente, della pace, dei diritti umani, della solidarieta', della
nonviolenza; e' stata in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Serbia, Bosnia,
Bangladesh, Nepal, India, Vietnam, Sri Lanka e Burundi; si e' occupata di
campagne animaliste e vegetariane, di assistenza a prigionieri politici e
condannati a morte, di commercio equo e di azioni contro la guerra; si e'
dedicata allo studio delle disuguaglianze e del "sottosviluppo"; ha scritto
molto articoli e dossier sui modelli agroalimentari nel mondo e sull'uso
delle risorse; ha fatto parte del comitato progetti di Ctm (Commercio Equo e
Solidale); e' stata il focal point per l'Italia delle rete "Global Unger
Alliance"; collabora con diverse testate tra cui "il manifesto", e' autrice
di numerosi libri, e' attivista della campagna europea contro l'impatto
climatico e ambientale dell'aviazione. Tra le opere di Marinella Correggia:
Ago e scalpello: artigiani e materie del mondo, Ctm, 1997; Altroartigianato
in Centroamerica, Sonda, 1997; Altroartigianato in Asia, Sonda, 1998;
Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori, 2000; Addio alle carni,
Lav, 2001; Cucina vegetariana dal Sud del mondo, Sonda, 2002; Si ferma una
bomba in volo? L'utopia pacifista a Baghdad, Terre di mezzo, 2003; Diventare
come balsami. Per ridurre la sofferenza del mondo: azioni etiche ed
ecologiche nella vita quotidiana, Sonda, 2004; Vita sobria. Scritti
tolstoiani e consigli pratici, Qualevita, 2004; Il balcone
dell'indipendenza. Un infinito minimo, Nuovi Equilibri, 2006; (a cura di),
Cambieresti? La sfida di mille famiglie alla societa' dei consumi, Altra
Economia, 2006; Week Ender 2. Alla scoperta dell'Italia in un fine settimana
di turismo responsabile, Terre di Mezzo, 2007. La rivoluzione dei dettagli,
Feltrinelli, Milano 2007]

Il manuale di ecoazioni individuali e collettive di Marinella Correggia e'
la risposta italiana ai consigli di Leo Hickman per un vivere responsabile e
sostenibile: senza sprecare acqua ed energia, scegliendo cibi biologici,
vestendosi senza aiutare lo sfruttamento dei lavoratori all'estero,
riciclando i rifiuti. E soprattutto producendo cio' che consumiamo, nello
sforzo di recuperare gusti personali, meno artificiali e meno dannosi per il
pianeta. Tutte azioni che in Italia richiedono una buona dose d'inventiva e
di tenacia. E anche una rivoluzione nei tempi di vita delle persone.
Correggia ne tiene conto e fornisce le informazioni sulle leggi e le
normative italiane in materia di difesa dell'ambiente e di diritti dei
consumatori, utili a promuovere iniziative per migliorare la salute del
pianeta, cominciando proprio dai dettagli.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 121 del 9 agosto 2007

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