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Nonviolenza. Femminile plurale. 120
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 120
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 2 Aug 2007 10:37:54 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 120 del 2 agosto 2007 In questo numero: 1. Swati Saxena: Caccia alle streghe 2. Theresa Braine: Rifugiate per sfuggire alla persecuzione di genere 3. Piero Vailati intervista Rada Ivekovic 4. Marta Rossi intervista Dounia Ettaib 5. Linda Chiaromonte presenta "Burka!" di Simona Bassano di Tufillo e Jamila Mujahed 6. Diana Napoli presenta "Burattini, streghe, briganti" di Walter Benjamin 1. MONDO. SWATI SAXENA: CACCIA ALLE STREGHE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Swati Saxena. Swati Saxena e' una giornalista indiana indipendente, collabora con vari media nazionali ed internazionali] Bhilwara, India. A mezzanotte, all'interno della sua casa in un remoto villaggio indiano, la sedicenne Chaandi Balia comincio' a rotolarsi sul pavimento, compiendo movimenti violenti mentre emetteva strani suoni. L'intero villaggio si raduno' per vederla "giocare", come il fatto viene definito nel dialetto locale, e Chaandi Balia annuncio' che uno spirito aveva preso possesso del suo corpo e le aveva detto che la sua vecchia zia, Khemi Balia, era una strega e doveva essere bruciata. Guidati dalla ragazza e dalla sua famiglia, gli abitanti del villaggio furono contagiati dalla medesima frenesia e cominciarono a preparare una pira funebre. Quella stessa notte, sapendo che l'unica possibilita' di sopravvivere consisteva nella fuga, Khemi Bali lascio' silenziosamente il villaggio. La fragile sessantenne viaggio' a piedi scalzi, nel gelo, attraverso i campi. Non sapeva dove stava andando, e non era neppure sicura che sarebbe vissuta abbastanza per vedere l'alba. Raggiunse incolume un villaggio in cui non conosceva nessuno. Riluttante ad affidare il proprio destino alla polizia, e diventata amica di una donna locale, ricevette da quest'ultima il consiglio di rivolgersi a Tara Ahluwalia, un'assistente sociale della vicina citta' di Bhilwara che aiuta le vittime della caccia alle streghe. Grazie alla lunga esperienza, Ahluwalia capi' subito che la donna era stata perseguitata a causa dell'acro di terra coltivabile che possedeva, la sua sola fonte di reddito. Etichettandola come strega, gli accusatori di Khemi Balia erano riusciti ad allontanarla dal villaggio e ad entrare in possesso della sua terra. * I casi di caccia alle streghe sono numerosi nelle aree rurali di una dozzina di stati indiani, principalmente nel nord e nel centro del paese. Circa 700 donne sono state uccise lo scorso anno perche' sospettate di essere streghe, secondo quanto riportano i media nazionali. "Sono zone in cui la poverta' e' estrema, e in cui le persone hanno scarso o nullo accesso ai servizi sanitari di base e all'istruzione", dice Ahluwalia, "In queste circostanze, la superstizione acquista forza. I problemi sono tanti: cattivi raccolti, morti in famiglia, la perdita di un bimbo, malattie croniche o il prosciugarsi dei pozzi, ma la soluzione resta identica: identificare la strega responsabile e punirla". Etichettare una donna come strega e' il modo comune di avere piu' terra, cancellare le dispute o vendicarsi se costei ha rifiutato una proposta sessuale. Vi sono anche casi documentati in cui una donna viene prese di mira perche' ha un carattere forte ed e' percie' vista come una minaccia. Nella maggioranza dei casi e' difficile per le donne accusate ottenere aiuto dall'esterno, ed esse sono forzate a lasciare la casa e la famiglia o a suicidarsi, oppure vengono brutalmente assassinate. "Molte vicende non sono documentate perche' e' difficile per le donne viaggiare da regioni isolate sino ai luoghi in cui possono fare denunce", spiega Ahluwalia, "E poiche' la violenza e' diretta largamente contro le donne, la polizia spesso omette di prenderla sul serio. Nel migliore dei casi, la rubricano come un disagio sociale che dev'essere risolto all'interno della comunita'. Quando una donna ce la fa a raggiungere la stazione di polizia, l'atteggiamento apatico dei funzionari le rende ancor piu' difficoltoso il processo di sporgere una denuncia". * Ahluwalia aiuto' Khemi Balia non conducendola dalla polizia, ma sollecitando la riunione del "jaati panchayat", e cioe' del gruppo di persone assai rispettate in seno ai villaggi a cui e' demandata la risoluzione delle dispute. La pressione sociale assicura che le decisioni prese in questo modo verranno rispettate. L'assistente sociale usa questo sistema da venticinque anni. Ahluwalia raduno' l'intero villaggio e minaccio' di esporre quanto era accaduto e di far arrestare la famiglia degli accusatori. Gli accusatori non chiesero l'intervento di autorita' esterne: messi all'angolo, ammisero che la faccenda della strega era una sciarada, e si scusarono pubblicamente con Khemi Balia. Questo e' stato un caso eccezionale, perche' la donna e' potuta ritornare a vivere nel suo villaggio. * Solo una manciata dei 28 stati indiani, come Jharkhand e Bihar, hanno una legge contro la caccia alle streghe. "E' l'handicap maggiore", dice ancora Ahluwalia, "Nella maggioranza degli stati non c'e' legge sotto cui la polizia possa rubricare il reato. Si tratta di tentato omicidio, ma in assenza di una legge specifica, la polizia registra la denuncia sotto la piu' mite 'sezione 323'. Mi spiego: diciamo che io ti dia uno schiaffo oggi, e il reato cade sotto la 323. Se dico che sei una strega, e quindi ti costringo a mangiare escrementi, ti faccio sfilare nuda in pubblico e ti picchio sino a che muori, quando va ancora sotto la 323". La pena massima che questa legge prevede e' un anno di prigione o una multa di mille rupie (circa 25 dollari). Nel Rajasthan, la Commissione statale per le donne ha presentato una proposta di legge che inasprisce le pene, chiedendo dieci anni di prigione per chi ferisce una donna durante una caccia alla strega. "Un notevole numero di casi avviene nel Rajasthan, pure il progetto di legge sta aspettando da un anno, e ancora non e' passato all'esame del governo", nota Kavita Srivastava, segretaria nazionale della piu' antica organizzazione per i diritti umani indiana, l'Unione del popolo per le liberta' civili. Meno del 2% di coloro che vengono accusati di aver effettuato cacce alle streghe sono effettivamente condannati, secondo uno studio compiuto dal "Free Legal Aid Committee", un gruppo che lavora a favore delle vittime nello stato di Jharkhand. "Le punizioni per questa orrenda violenza devono essere severe", dice la dottoressa Girija Vyas, presidente della Commissione nazionale per le donne, "Ed e' di eguale importanza pubblicizzare l'esistenza delle leggi. Voglio dire, negli stati in cui abbiamo una legge contro la caccia alle streghe, quante sono le donne che ne sono a conoscenza?". La Commissione ha raccomandato la formazione per le forze di polizia, affinche' i funzionari diventino piu' ricettivi nel considerare i casi di caccia alle streghe, e sta pensando ad una legislazione a livello nazionale. Ma l'educazione e la consapevolezza sociale sono le vere chiavi. In numerose comunita' rurali l'"ohja", o medico-stregone/medica-strega, e' una figura potente, soprattutto in assenza di ambulatori e servizi sanitari di base. Nei casi riportati dai media, l'investigazione della polizia ha spesso rivelato che gli "ohja" accettano prebende per accusare una donna di essere una strega. "Etichettare una donna come strega non solo la depriva economicamente, ma erode il suo senso di fiducia ed autostima", dice ancora la dottoressa Vyas, "Anche se ottiene di salvarsi la vita, porta il peso del sospetto e dell'odio della sua comunita', e a volte persino della sua stessa famiglia. E' un problema sociale a piu' dimensioni e richiede un piano d'azione complesso e a piu' livelli". * Per maggiori informazioni: - Commissione nazionale indiana per le donne: http://ncw.nic.in - Unione del popolo per le liberta' civili: www.pucl.org 2. MONDO. THERESA BRAINE: RIFUGIATE PER SFUGGIRE ALLA PERSECUZIONE DI GENERE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Theresa Braine. Theresa Braine, giornalista indipendente, si occupa particolarmente delle istanze relative ai migranti; scrive per "Newsday", "People", The Associated Press] Montreal, Canada. Oumou Toure guarda intensamente la figlioletta di due anni, Fanta, che giocherella in giro con indosso i pantaloncini rosa e la camicetta a fiori: le tre ciocche di capelli le sventolano attorno alla testa. Il figlio di Toure, John, di dieci mesi, sonnecchia in una carrozzina. Seduta nell'ufficio del suo avvocato, in un giorno di luglio, la ventiquattrenne madre single si gode la vittoria legale raggiunta per un soffio, quella che le ha permesso di scampare alla deportazione nella nativa Guinea. Il 9 giugno scorso, il Dipartimento canadese per la cittadinanza e l'immigrazione ha garantito a Toure la residenza permanente in Canada per ragioni umanitarie. Si trattava del suo terzo tentativo di ottenerla. Sebbene la decisione non abbia valore di precedente legale, dimostra che il governo ha "riconosciuto la non accettabilita'" di rimandare la figlia di Toure in Guinea, dove la bimba avrebbe dovuto fronteggiare la minaccia di una mutilazione genitale. "E' nostra speranza che altre donne non debbano sostenere lo stesso tipo di lotta, in futuro", dice il suo avvocato, Richard Goldman. * Un crescente numero di donne sta richiedendo asilo nei paesi occidentali per sfuggire alla persecuzione di genere. Come paese firmatario, nel 1951, della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, il Canada la applica nel permettere di restare alle donne che sono a rischio di mutilazione genitale (Fgm), dice Nancy Doray, avvocata per i migranti a Montreal. Doray ha contribuito a delineare le linee guida nazionali rispetto ai rifugiati, che l'ufficio statale relativo ha redatto nel 1993, ed aggiornato nel 1996. Il governo non tiene statistiche sulle ragioni che determinano l'accettazione o il rigetto delle richieste di cittadinanza. Le linee guida includono i criteri per l'accettazione della richiesta di asilo basata sul timore di persecuzioni di genere, incluse la violenza domestica, l'impunita' dello stupro e le mutilazioni genitali femminili, che vanno dalla rimozione della clitoride alla cucitura dei genitali e persino alla rimozione completa dei genitali esterni. La pratica causa problemi di salute ben oltre la mutilazione, come tassi di mortalita' materna ed infantile piu' elevati. "Penso che il Canada sia stato un paese leader rispetto alle istanze delle donne ed alla legge sui rifugiati gia' prima della redazione delle linee guida. E' stato fatto uno sforzo reale per comprendere i problemi che affliggono donne e bambini", aggiunge Nancy Doray. * Nondimeno, la lotta di Oumou Toure con il sistema di immigrazione canadese, per quanto coronata da successo, mette in luce gli ostacoli che le donne richiedenti asilo possono dover affrontare. Doray sostiene che e' difficile, per esempio, provare che una donna e' a rischio di mutilazione genitale femminile se nel paese la pratica e' illegale, perche' bisogna dimostrare che la legge viene disattesa. L'avvocato Goldman dice che la sua cliente era chiaramente traumatizzata la prima volta che s'incontro' con lui, sia per la violenza subita in Guinea, sia per lo stress del conflitto legale. "Quando ci incontrammo, e tenete conto che sono abituato a trattare con persone che sono in condizioni di stress, lei non riusci' a parlarmi, rimase zitta per un'ora. Percio' posso solo immaginare quanto male andasse la sua vita prima". A volta, l'Ufficio per l'immigrazione respinge una richiesta sostenendo che il richiedente non appare in pericolo di subire violenze in futuro. Nel caso delle mutilazioni genitali", dice Goldman, cio' implica che se sono gia' state praticate non vi puo' essere danno futuro. La bambina di Toure non era ancora nata al momento della sua richiesta d'asilo, percio' l'istanza non era estesa a lei. Alla fine, pero', Toure ha ottenuto il diritto di restare argomentando che, se fosse stata mandata indietro, c'era l'altissimo rischio che la sua bambina venisse mutilata come era accaduto a lei a 19 anni, che aveva subito la pratica dalle mani della sua matrigna, la mutilatrice ufficiale della comunita'. Fino a che la madre di Toure era stata viva, aveva protetto la figlia dalle mutilazioni. Ma Toure non aveva potuto far nulla contro la nuova moglie di suo padre, che era assai violenta nei suoi confronti e stava organizzando per lei un matrimonio forzato. * La mutilazione genitale femminile e' praticata a livello estensivo in ventotto paesi africani, cosi' come in alcuni paesi dell'Asia e del Medio Oriente, secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanita' (Oms), che stima vi siano due milioni di bambine a rischio ogni anno. La Guinea, in cui le mutilazioni genitali femminili sono illegali, ha ancora una percentuale di mutilate che tocca il 99%: le bambine subiscono l'intervento, generalmente, fra i 4 e i 12 anni. "Non posso dimenticare quel che accadde", racconta Toure, a cui l'intervento e' stato praticato senza anestesia, "Mi fa male ogni volta che ci penso". Toure ha problemi fisici relativi alla mutilazione, fra cui mestruazioni estremamente dolorose. In Guinea aveva una sola alleata, la sorella di sua madre. E' stata questa zia ad aiutarla a fuggire dal paese nel 2003, con la scusa di un fine settimana di vacanza in Senegal, dove la mise in contatto con un'amica che stava per andare in Canada. Giunta a Montreal, Oumou Toure fu incarcerata per un mese, poiche' era priva di documenti di identita'. Immediatamente fece richiesta di asilo, citando gli abusi a cui era sottoposta. Dopo aver perso la prima causa, la giovane donna ripete' la richiesta due volte, sempre senza risultato. Il rifiuto definitivo pervenne a Toure nel settembre 2006, il che implicava che sarebbe stata deportata. * "La nostra battaglia era tutta in salita", fa notare l'avvocato Goldman, "perche' le era stata rifiutata anche quella che in genere e' l'ultima possibilita'". Tuttavia essi presentarono una nuova domanda nel dicembre 2006, sottolineando maggiormente i rischi che la bambina di Toure correva. In maggio, fu notificato che la deportazione sarebbe avvenuta durante la prima settimana di luglio. "Quando i funzionari dissero che dovevo tornare indietro non facevo che piangere per tutto il tempo per la mia piccola: sapevo esattamente cosa le sarebbe accaduto", dice la giovane donna, "Piangevo e basta, e dovevo prendere sonniferi per riuscire a dormire". L'avvocato chiese che vi fosse almeno una dilazione al fine di poter esaminare la nuova richiesta: "Il tempo per avere una risposta e' in genere di un anno e mezzo. Avevamo inoltrato la domanda nel dicembre 2006, e Toure sarebbe stata deportata nel luglio 2007", racconta Goldman. In piu', egli chiese alla Chiesa Unitaria, che ha dato vita al Comitato di aiuto per i rifugiati, di intervenire direttamente con la Ministra per la cittadinanza e l'immigrazione Diane Finley. Tre settimane piu' tardi non avevano ancora ricevuto una risposta dal Ministero. "Sentivamo di non avere scelta: indicemmo una conferenza stampa il 6 giugno. E non erano ancora trascorse due ore dal nostro incontro con i giornalisti che ricevemmo la chiamata dall'Ufficio competente: venite per un incontro, vogliamo parlare del caso. L'incontro avvenne l'8 giugno, ed il giorno successivo ricevemmo la decisione finale". * Al sicuro in Canada, Toure ha trovato cio' che lei chiama "una vita normale". Vive con due compagne, connazionali, in una casa di quattro stanze. Il suo nuovo status le garantisce cure gratuite per i figli e un permesso di lavoro. Toure vuole studiare per diventare infermiera. "Continuo a guardare le carte che mi hanno dato, per essere sicura che siano reali. Non vorro' mai tornare indietro, preferirei morire che tornare. Non c'era altra possibilita', per me, che restare qui". * Per maggiori informazioni: www.unicef.org/protection/index_genitalmutilation.html 3. RIFLESSIONE. PIERO VAILATI INTERVISTA RADA IVEKOVIC [Dal sito www.osservatoriobalcani.org riprendiamo la seguente intervista li' apparsa il 28 giugno 2007 col titolo "Europa: la via della pace passa dai Balcani" e il sommario "Guerre finite, ma le ferite dell'ex Jugoslavia sono ancora aperte. Russia, Turchia, Medio Oriente: il futuro del Vecchio Continente adesso si gioca ad Est. Un'intervista a Rada Ivekovic pubblicata su 'L'Eco di Bergamo'". Piero Vailati e' giornalista, scrive su "L'Eco di Bergamo". Rada Ivekovic, filosofa, saggista e docente di fama internazionale, nata in Jugoslavia, emigrata in Francia, e' una delle piu' importanti intellettuali critiche europee; e' docente al College International de Philosophie di Parigi e all'Universita' di Zagabria, citta' dove e' nata nel 1945, ma da cui se ne e' andata allo scoppio della guerra nell'ex Jugoslavia, non volendosi riconoscere in nessuna delle nuove piccole patrie etniche; ha dedicato i suoi studi alle teoria femminista, alla filosofia comparata, alla filosofia indiana (ha studiato a Delhi) e allo studio della costruzione dell'idea di nazione in chiave di genere con particolare attenzione per l'attualita' politica delle guerre balcaniche; e' autrice di saggi e libri in varie lingue su guerre, nazionalismi, differenze di genere ed altri temi ancora. Tra le opere di Rada Ivekovic: La balcanizzazione della ragione, Manifestolibri, Roma 1995; Autopsia dei Balcani. Saggio di psicopolitica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999] Le ferite dell'ex Jugoslavia sono ancora aperte, e l'Europa (che a suo tempo ebbe pesanti responsabilita') ha tutto l'interesse a sanarle, anche attraverso l'integrazione di un'area che altrimenti rischia di rappresentare una pericolosa fonte di instabilita' proprio alle porte dell'Unione. "L'Italia, che e' terra di frontiera, questo l'ha capito meglio e prima degli altri Paesi Ue" spiega Rada Ivekovic, saggista e analista di origine ex-jugoslava (oggi docente universitaria in Francia) profonda conoscitrice delle realta' balcaniche e studiosa di tutte le tematiche legate alle identita' politiche e culturali. L'Italia dunque, aggiunge Rada Ivekovic (nei giorni scorsi a Bergamo per una conferenza sul tema "La trasformazione in-politica" organizzata dall'associazione Antigone, dalla Fondazione Serughetti-La Porta, dall'associazione Millepiani e dall'Ufficio Pace del Comune di Bergamo) proprio per questa sua posizione particolarmente delicata dal punto di vista geopolitico "e' la prima ad avere interesse al mantenimento della pace nei Balcani, e questo le ha dato una sensibilita' particolare, portandola a fare sforzi ad ogni livello (da quello politico a quello della societa' civile) che altri Paesi, anche piu' ricchi, non hanno fatto". * - Piero Vailati: Professoressa Ivekovic, temi come memoria condivisa e identita' comune (che lei ha spesso trattato anche nei suoi libri) rappresentano, sia pure con aspetti diversi, un problema sia per l'ex Jugoslavia, sia per l'Europa. E questo proprio nel momento in cui i Paesi balcanici e l'Unione si guardano con reciproco interesse in vista di una possibile integrazione ed estensione della grande costruzione europea. - Rada Ivekovic: L'ex Jugoslavia, in realta', sarebbe gia' stata quasi pronta (mancava poco) a entrare in Europa poco prima della serie di guerre degli anni Novanta. Che furono al tempo stesso guerre per entrare in Europa e guerre europee, anche se e' vero che i primi responsabili ne furono gli ex jugoslavi, che le combatterono. Pero'... * - Piero Vailati: Pero' l'Europa non fu immune da responsabilita'. E' questo che intende dire? - Rada Ivekovic: Si', l'Europa manco' praticamente in tutto. E manca ancor oggi, anche se in modo diverso. Allora, manco' perche' non c'era ancora un progetto di costruzione europea, e non c'era soprattutto l'idea dell'allargamento a Est. Perche' non si pensava che i blocchi contrapposti della guerra fredda potessero dissolversi in maniera cosi' completa. * - Piero Vailati: Oggi, invece... - Rada Ivekovic: Oggi il problema e' diverso. L'Europa, che nei secoli passati ha "esportato" soprattutto a Ovest e a Sud le sue violenze (mi riferisco al periodo coloniale) oggi esporta le "sue" guerre verso Est. Per questo credo che vicino ai confini orientali dell'Unione non siano da escludere nuovi conflitti. Magari di grandi dimensioni, come quello ceceno. O magari di piccole dimensioni, come potranno essere quelli futuri nei Balcani, dove la pressione europea non permettera' piu' lo scoppio di grandi guerre. Ma questo non significa che i problemi siano risolti. * - Piero Vailati: Pero' non finiscono piu' sulle prime pagine dei giornali occidentali, visto che l'opinione pubblica internazionale vive di mode anche di fronte alle tragedie. Quali sono, oggi, i problemi dell'ex Jugoslavia? - Rada Ivekovic: Problemi di ricostruzione, in tutti i significati che questo termine puo' assumere. Ricostruzione materiale. Ricostruzione del tessuto sociale. Ricostruzione di economie che non funzionano. Ricostruzione della comunicazione, visto che attraversare le frontiere e' ancor oggi difficile. E poi, piu' a lungo termine, ricostruzione di progetti politici. Qui siamo al "punto zero". Ma anche l'Europa, per tornare al discorso iniziale, sotto questo aspetto penso si trovi al "punto zero", per quanto oggi sia forse un po' piu' avanti rispetto a prima delle guerre nell'ex Jugoslavia. Perche', a mio avviso, proprio quelle guerre sono state fondamentali, se non addirittura costitutive, per un un vero progetto europeo. * - Piero Vailati: Un progetto europeo che negli ultimi anni ha subito una fortissima accelerazione verso Est, basata essenzialmente su motivazioni economiche di reciproca convenienza per vecchi e nuovi membri. Non c'e' il rischio che in nome di questi comuni interessi la costruzione europea finisca per inglobare troppo frettolosamente popoli cosi' diversi tra loro dal punto di vista storico, politico e culturale? - Rada Ivekovic: Questo tutto sommato credo sia una fortuna. Piu' diverse sono, meglio sara'. Il problema non e' la diversita', i problemi sono altri. * - Piero Vailati: Quali? - Rada Ivekovic: Direi almeno tre. Primo: l'Europa deve capire come puo' passare dal progetto economico al progetto politico. Secondo: deve anche capire che in questo suo progetto entrano inevitabilmente le conseguenze e le responsabilita' della storia coloniale e post-coloniale, della fine della guerra fredda, della fine del socialismo reale e, ancora, della fine del socialismo autogestito jugoslavo, che fu diverso rispetto a quello degli altri Paesi dell'Est. E poi c'e', appunto, un terzo elemento, geograficamente esterno ai confini europei, eppure terribilmente legato all'Europa e alla sua realta': il conflitto israelo-palestinese. * - Piero Vailati: E' il problema dell'"esportazione dei nostri conflitti" cui accennava? - Rada Ivekovic: Sicuramente. Questo e' un conflitto europeo, che va risolto nel modo migliore. Ebrei e palestinesi devono indiscutibilmente vivere la', e in pace. Il sogno e' uno Stato comune, condiviso e democratico, ma ne siamo davvero lontani. Piu' realizzabile e' forse il progetto dei due Stati. Ma anche da questo, purtroppo, siamo in questo momento molto lontani. * - Piero Vailati: Una delle reazioni a catena generate dalla questione israelo-palestinese e' quella dell'integralismo islamico, con le sue derive terroristiche. Esiste per l'Europa il rischio di infiltrazioni terroristiche attraverso i Paesi dell'ex Jugoslavia, dove il dominio ottomano ha lasciato in eredita' una consistente componente islamica, e dove negli anni Novanta si registro' per la prima volta il fenomeno dell'"internazionalismo islamico", ossia della confluenza di combattenti stranieri addestrati provenienti da tutto il mondo musulmano? - Rada Ivekovic: Non credo. Primo perche' l'"internazionalismo islamico" e' in fondo sempre stato una risposta, per quanto brutale, all'arroganza occidentale, che si voglia chiamare neocolonialismo, imperialismo, o con qualsiasi altro termine. Secondo, perche' il fondamentalismo non e' di casa nelle comunita' islamiche dell'ex Jugoslavia dove non ci fu colonialismo. E' stato importato, come risultato dei conflitti degli anni Novanta, ma siamo comunque su un piano completamente diverso da quello che e' poi successo con l'impiego di combattenti stranieri in Iraq e in Afghanistan. * - Piero Vailati: Eppure la paura dell'integralismo e' molto forte in Europa, come dimostra il dibattito sull'ingresso della Turchia... - Rada Ivekovic: Al di la' delle esagerazioni occidentali, credo che il vero problema della Turchia non sia ne' l'"internazionale islamica", ne' il fondamentalismo, ma piuttosto l'esercito, l'esercito laico. E' appunto l'esercito che e' lontano dall'Europa, e i cosiddetti fondamentalisti moderati sono quelli che si vogliono adeguare e incorporare all'Europa. E' un problema di democrazia e diritti umani, non di integralismo. * - Piero Vailati: Un altro ostacolo con cui deve fare i conti l'allargamento a Est dell'Europa e' il neoespansionismo russo (soprattutto a livello di gestione delle materie prime) nei confronti di quei Paesi che fecero parte dell'impero zarista prima e sovietico poi. - Rada Ivekovic: La Russia vuole restare a tutti i costi una grande potenza, anche se non lo sara' come lo fu l'Urss, perche' il bipolarismo e' finito, e il mondo e' cambiato. Molto dipende da come l'Occidente permettera' alla Russia di coltivare questi suoi appetiti, che credo riguardino comunque soprattutto l'Asia centrale, dove le repubbliche ex sovietiche sono comunque rimaste molto legate a Mosca, dopo settant'anni di storia comune. * - Piero Vailati: A Ovest, invece, i Paesi che fecero parte dell'impero sovietico e del Patto di Varsavia sono in perenne tensione (all'esterno come all'interno) fra le spinte filo-russe e quelle europeiste. - Rada Ivekovic: Il problema nei confronti della Russia e' tutto legato al progetto europeo: dove vuole arrivare? A Est l'Europa non ha confini naturali, in fondo non e' neppure un continente vero e proprio. E' una "virgola", una piccola penisola dell'Asia. Questo rende del tutto indecifrabile il futuro del progetto europeo, soprattutto a lungo termine. Si vuole arrivare a Vladivostok? Se si' (pero' questo non e' stato il progetto di nessuno; e' un'immagine che utilizzo), sara' la globalizzazione compiuta. Ma il processo e' molto lungo e difficoltoso. E non e' un problema che riguarda solo l'Est. L'Europa deve riflettere di fronte al mondo intero sulle conseguenze del suo allargamento e sulle sue responsabilita' storiche. Lo deve fare nei confronti dell'Asia come dell'Africa, come di tutti i continenti colonizzati in passato. Ma ancora non riesce a pensare alle sue responsabilita' su quello che succede al di fuori dei suoi orizzonti. Quello che e' difficile da digerire, per noi europei, e' che il futuro del mondo non e' il livello di vita di Bergamo, o di Parigi, ma e' quello di Calcutta. La ricchezza dell'Occidente, prima o poi, andra' redistribuita. 4. RIFLESSIONE. MARTA ROSSI INTERVISTA DOUNIA ETTAIB [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente intervista apparsa sul quotidiano "Epolis" del 3 luglio 2007, col titolo "Il chador rende libere se indossato per scelta" e il sommario "Ieri ha ricevuto la cittadinanza dal prefetto di Milano, datata 6 giugno. Dounia Ettaib vicepresidente dell'Acmid, marocchina, in Italia da 20 anni, e' in prima linea per la difesa delle donne". Marta Rossi, giornalista, scrive su "Epolis". Dounia Ettaib e' la presidente della sezione lombarda (e vicepresidente nazionale) dell'Associazione delle donne marocchine Acmid-donna; ha subito un'aggressione e gravi minacce all'indomani della manifestazione contro la violenza sulle donne in occasione dell'apertura del processo per l'uccisione di Hina Saleem; attualmente e' costretta a vivere sotto scorta] Non ha paura, Dounia Ettaib. Andra' avanti con il suo impegno nell'Acmid, l'Associazione di donne marocchine di cui e' la vicepresidente per la Lombardia. Giovedi' 28 giugno e' stata simbolo e portavoce delle donne musulmane scese in piazza davanti al tribunale di Brescia dove si e' svolta l'udienza preliminare del processo per la morte di Hina Saleem la giovane pakistana uccisa da parenti maschi perche' non era una buona musulmana. Non ha paura nemmeno adesso che vive sotto scorta perche' venerdi' scorso il giorno dopo la manifestazione, l'hanno aggredita in viale Jenner, a Milano, a due passi dalla moschea. Vista la situazione il questore ha deciso di assegnarle due agenti di scorta. Nata a Casablanca 28 anni fa, da venti vive in Lombardia. Sposata con un italiano, abita con il marito e un bambino di tre anni in Brianza: ieri pero' il prefetto di Milano le ha consegnato il decreto di cittadinanza itqliana. Ha un impiego alla Provincia, in viale Jenner appunto, dove e' stata aggredita. "Devi smetterla di parlare di islamismo, Hina e' una prostituta come te", le hanno detto due connazionali. E poi, stringendole il viso, uno ha aggiunto: "La bellezza non dura a lungo". * - Marta Rossi: Il suo e' un ruolo di primo piano nell'associazione. Aveva mai ricevuto, prima di venerdi', altre minacce o aggressioni? - Dounia Ettaib: Sono attivista dell'Acmid dal 2005, insulti ne ho ricevuti molti, anche per via del lavoro che faccio che mi porta a entrare in contatto con tanta gente. Ma aggressioni fisiche, no. Essere affrontata per strada non mi era mai successo. * - Marta Rossi: Come spiega il fatto che sia accaduto proprio all'indomani dell'udienza preliminare del processo per la morte di Hina? - Dounia Ettaib: Non lo so, anche se non e' stato certamente un caso. * - Marta Rossi: Lei e' stata la portavoce di quelle donne riunite davanti al tribunale e forse questo le ha fatto correre qualche rischio di piu'. - Dounia Ettaib: Si', sono stata la portavoce perche' faccio parte dell'Acmid e perche' sono una delle poche che parla bene l'italiano. Comunque, quello che e' accaduto a Brescia e' un evento importantissimo. Un giorno storico, perche' le donne islamiche ci hanno messo la faccia, manifestando contro la violenza. Anche se io ero in prima linea, in quel momento eravamo tutte una persona sola. * - Marta Rossi: Cosa rappresenta per voi che lottate contro la violenza sulle donne una storia come quella di Hina? - Dounia Ettaib: E'un po' il simbolo delle nostre battaglie, ma non dobbiamo mai dimenticare le tantissime donne che ogni giorno subiscono violenza. E soprattutto, il motivo per il quale Hina e' stata uccisa: alcuni parenti ritenevano che non fosse una buona musulmana. L'Islam non e' questo, non e' imposizione. * - Marta Rossi: A questo proposito, Souad Sbai ha dichiarato che assegnarle la scorta in questo momento faceva il gioco dei violenti e che invece, l'attenzione doveva rimanere sulle donne che subiscono violenza. - Dounia Ettaib: Souad si e' spaventata moltissimo, come tutti noi. Io non ho chiesto la scorta, ma il questore ha ritenuto opportuno assegnarmela. Comunque, ripeto, bisogna continuare a parlare delle donne. * - Marta Rossi: Indossare il velo puo' essere considerato un simbolo di liberta' tanto quanto indossare una minigonna? - Dounia Ettaib: Se il velo lo si porta per una libera scelta, si'. Se si e' costrette da un marito o da un familiare no, perche' diventa un simbolo di appartenenza a qualcuno. Come succede con gli animali che segnano il territorio: chi obbliga le donne a portare il velo fa questo e lo trasforma in qualcosa che sbagliato. Perche' come ripeto, l'Islam non e' violenza ne' imposizione. * - Marta Rossi: Ieri e' stato il suo primo giorno con la scorta, come e' andata? - Dounia Ettaib: Devo confessare che mi sento piu' tranquilla. Loro sono persone gentilissime e mi seguono in tutti i miei spostamenti. * - Marta Rossi: Il ministro per le Pari opportunita' ha detto che la incontrera' domani. - Dounia Ettaib: Io veramente ancora non so niente. Me lo state dicendo voi giornalisti. So soltanto che ha contattato l'Admic, ma a me non ha telefonato nessuno. * - Marta Rossi: Le hanno almeno telefonato per esprimerle solidarieta'? - Dounia Ettaib: Ho ricevuto tantissimi messaggi soprattutto da gente comune: E' stato come essere stretta in un grande abbraccio. 5. LIBRI. LINDA CHIAROMONTE PRESENTA "BURKA!" DI SIMONA BASSANO DI TUFILLO E JAMILA MUJAHED [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 luglio 2007, col titolo "Il corpo in prigione" e il sommario "Esce per Donzelli, Burka!, album di strip firmato da Simona Bassano di Tufillo con la testimonianza scritta della reporter Jamila Mujahed". Lnda Chiaromonte scrive sul quotidiano "Il manifesto". Simona Bassano di Tufillo, in arte sbadituf, e' nata a Napoli, laureata in arti visive al Damsdi Bologna e in grafica presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli; specializzata in conservazione e valorizzazione dei beni culturali; fondatrice del movimento artistico "Direzione obbligatoria", organizza collettive tematiche, basate sui principi di pluralita', ironia e impegno: Campi (Torre del Greco, 1997); D. O. (Napoli, 2006); Volpe + Uva (Napoli, 2006); si occupa inoltre di progetti di valorizzazione del patrimonio storico-artistico con target infantile; alcuni dei suoi lavori sono in esposizione presso la Citta' della scienza a Napoli e il sito museale del Giardino della Minerva a Salerno. Tra le opere di Simona Bassano di Tufillo: Burka!, Donzelli, Roma 2007. Jamila Mujahed, giornalista e attivista per i diritti delle donne, nata a Kabul, era una nota giornalista radiotelevisiva prima della presa del potere da parte dei talebani nel '96; dal 2002 dirige a Kabul "The Voice of Afghan Women's Radio", emittente indipendente rivolta alle donne, la prima nel paese, ed e' presidente dell'omonima organizzazione non governativa di donne professioniste nell'ambito dei mass-media; ha anche fondato "Malalai", la prima rivista femminile che si occupa anche di questioni giuridiche legate ai diritti delle donne, rivista di cui e' anche editrice. Per il suo instancabile lavoro di promozione dei diritti delle donne, Jamila e' stata insignita di vari riconoscimenti internazionali, tra cui il Premio Johann Philipp Palm. Sposata con un professore di storia che insegna presso l'Accademia afgana di scienze, e' madre di cinque figli (quattro maschi e una femmina).Vive sotto la costante minaccia di essere uccisa] Una carta d'identita' in bianco, senza dati ne' descrizioni fisiche. Solo una foto di donna che indossa il burqa e che per questo non esiste, e' senza identita'. Si apre cosi' Burka!, libro in 24 tavole a fumetti di Simona Bassano di Tufillo accompagnate da La mia vita a Kabul, testimonianza scritta di Jamila Mujahed, giornalista afghana e promotrice dei diritti delle donne. Il libro, edito da Donzelli, contiene vignette colorate e dall'ironia tagliente che trattano il tema del burqa, imposto alle donne dal regime talebano, con una leggerezza apparente che costringe ad un'amara riflessione su uno "scomodo abito-prigione da passeggio", come lo definisce Mujahed, e sulle ripercussioni che ha nel vivere quotidiano delle donne. Si ride a denti stretti sfogliando le pagine del piccolo volume, come quando un gruppo di donne in posa e' invitato a sorridere alla fotografa. O come accade a due sorelle che s'incontrano senza riconoscersi. Simona Bassano di Tufillo, disegnatrice al suo primo fumetto pubblicato, racconta di aver deciso di affrontare il tema del burqa all'indomani della caduta delle torri gemelle nel 2001, "in quei giorni ci arrivavano dall'Afghanistan immagini di donne in burqa e ho cominciato a pormi molte domande. Ho realizzato le bozze nel 2001, ma la stesura definitiva e' del 2006. Ho portato il mio lavoro ad Amnesty International, che ha dato il suo patrocinio e mi ha consigliato di abbinare una testimonianza per affiancare al mio sguardo esterno e lontano quello di chi materialmente indossa il burqa. Cosi' ho iniziato una ricerca che mi ha portato a Jamila Mujahed. Le mie vignette sono evocative e la scritta a lato va di pari passo. Jamila ha prima visto i disegni e poi ha scritto la sua esperienza". Le illustrazioni per Jamila, donna costretta ad indossare il burqa anche per difesa, dopo le tante minacce di morte ricevute per la sua attivita' di giornalista e attivista per i diritti delle donne, "riflettono la realta' della condizione delle donne in Afghanistan al tempo dei talebani. Credo che descrivano bene cosa sia la vita per le donne con il burqa; spiegano come la loro liberta' sia limitata da una sorta di tenda-sipario, che ha solo delle piccole fessure e testimoniano le sofferenze e le restrizioni imposte con la forza". La testimonianza di Jamila Mujahed e' quella di una donna speciale, nel '96 durante l'ascesa del governo talebano, era una nota giornalista radiotelevisiva, e fu lei nel 2001 ad annunciare alla radio la notizia della caduta del regime talebano. Dal 2002 a Kabul dirige "The Voice of Afghan Women's Radio" emittente indipendente rivolta alle donne, la prima del paese, ed ha fondato la prima rivista femminile che si occupa di questioni giuridiche legate ai diritti delle donne, di cui e' anche editrice, "Malalai" dal nome di una leggendaria combattente afghana. Nelle didascalie che accompagnano i cartoon, Jamila ricorda la prima volta che fu costretta ad indossare il burqa, "mi sembro' come se il mondo a un tratto si facesse buio". La sua famiglia, infatti, era istruita e non glielo aveva mai imposto. Racconta anche di quando se lo fece prestare dalla sua vicina, prima di doversi arrendere a comprarne uno tutto suo. Per l'artista napoletana il merito di questo piccolo testo e' "esprimere attraverso le immagini tante possibilita' di interpretazione. L'idea di base e' quella di far riflettere. L'ironia e' un modo per guardare le cose, il burqa in se' e' un simbolo, il segno di un regime di prepotenze e delegittimazioni dell'identita' di piu' della meta' della popolazione, le donne". 6. LIBRI. DIANA NAPOLI PRESENTA "BURATTINI, STREGHE, BRIGANTI" DI WALTER BENJAMIN [Ringraziamo Diana Napoli (per contatti: e-mail: mir.brescia at libero.it, sito: www.storiedellastoria.it) per questo articolo. Diana Napoli, laureata in storia presso l'Universita' degli studi di Milano, e' attualmente volontaria presso il Centro per la nonviolenza di Brescia. Walter Benjamin, nato a Berlino nel 1892, saggista di sconvolgente profondita', all'avvento del nazismo abbandona la Germania, si uccide nel 1940 al confine tra Francia e Spagna per sfuggire ai nazisti. Opere di Walter Benjamin: in italiano fondamentale e' la raccolta di saggi e frammenti Angelus novus, Einaudi, Torino; e quella che prende il titolo da L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita' tecnica, Einaudi, Torino. Sempre presso Einaudi (che ha in corso la pubblicazione delle Opere, a cura di Giorgio Agamben) cfr. anche: Avanguardia e rivoluzione, Critiche e recensioni, Diario moscovita, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco (Scritti 1919-1922), Il dramma barocco tedesco, Immagini di citta', Infanzia berlinese, Metafisica della gioventu' (Scritti 1910-1918), Ombre corte (Scritti 1928-1929), Parigi capitale del XIX secolo, Strada a senso unico, Sull'hascisch, Teologia e utopia (Carteggio 1933-1940 con Gershom Scholem), Tre drammi radiofonici, e le Lettere (1913-1940). Presso Adelphi cfr. la sua antologia di lettere commentate di autori del passato, Uomini tedeschi. Opere su Walter Benjamin: per la bibliografia: M. Brodersen, Walter Benjamin. Bibliografia critica generale (1913-1983), Aesthetica, Palermo 1984; R. Cavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia italiana, 1956-1980, Sansoni, Firenze 1982. Saggi: cfr. almeno AA. VV. (a cura di Franco Rella), Materiali su Walter Benjamin, Venezia 1982; AA. VV., Paesaggi benjaminiani, fascicolo monografico della rivista "aut aut", nn. 189-190, 1982; AA. VV., Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1983; Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Mondadori, Milano 1993 (saggio incluso anche in Hannah Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna); Fabrizio Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme, Editori Riuniti, Roma 1980; Hans Mayer, Walter Benjamin, Garzanti, Milano 1993; Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano 1978; Gershom Scholem, Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, Adelphi, Milano 1992. Cfr. anche Paolo Pullega, Commento alle "Tesi di filosofia della storia" di Walter Benjamin, Cappelli, Bologna 1980] Walter Benjamin, Burattini, streghe, briganti. Illuminismo per ragazzi (1929-1932), a cura di Giulio Schiavoni, Il Melangolo, Genova 1993. Un insolito Benjamin che si rivolge, attraverso una serie di trasmissioni radiofoniche, a ragazzini tedeschi di circa dieci anni: insolito per chi e' abituato a leggerlo solo merce' gli scritti eruditi. Oltre al fatto che le storie raccontate si rivelano divertenti, talvolta, persino per gli adulti, induciamo, dalla terminologia, dagli argomenti trattati, dalle citazioni utilizzate, che Benjamin doveva evidentemente avere gran stima dell'intelligenza della fascia d'eta' cui si rivolgeva: da questo forse dovremmo imparare tutti. Le storie, dalle direzioni sempre inaspettate, a volte senza nemmeno una fine vera e propria, sono ricche di particolari precisi e accattivanti, mai banali, sempre spassose e percorse da un fondamentale sentire: quello per cui l'interlocutore, all'ascolto a casa incollato all'apparecchio radiofonico, era degno di tutta l'attenzione e la maestria possibili da parte dell'autore che non ha limiti nell'abbinare nomi e posti, realta' e finzione; una vera dichiarazione di fiducia per i piu' piccoli, uno spazio aperto in cui, probabilmente, ognuno di loro poteva riconoscere senza ombra d'imbarazzo la propria fantasia in azione e sentirsi, in questi inaspettati viaggi condotti dalla voce di un adulto, pienamente "a casa". Una postilla sulla traduzione: Schiavone offre fondatissime ragioni per aver reso, per alcune trasmissioni, il dialetto berlinese di alcuni dialoghi con il romanesco; resta pero' disarmante il passaggio dalla Berlino che si vede, nelle sue case, nel mercato, nei cibi e negli odori, a un desco familiare al sapore d'amatriciana. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 120 del 2 agosto 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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