Minime. 153



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 153 del 17 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Mariangela Mianiti: Storia di Rita
2. Luca Possati presenta "Emmanuel Mounier. L'attualita' di un grande
testimone" di Paul Ricoeur
3. Simona Serafini: Emmanuel Mounier, pensiero e azione
4. Letture: Francesco Tomatis, Come leggere Nietzsche
5. Riedizioni. All'opposizione nel Pci con Trotsky e Gramsci
6. Riedizioni: Umberto Santino, Una ragionevole proposta per pacificare la
citta' di Palermo
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. MARIANGELA MIANITI: STORIA DI RITA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente testimonianza apparsa su "Vanity Fair" n. 27 del 12
luglio 2007, col titolo "Adesso io non ho piu' paura".
Mariangela Mianiti, nata a Parma, vive e lavora a Milano; "studi classici,
diploma in pianoforte, giornalista per caso", ha lavorato per radio e carta
stampata; collabora con varie testate, fra cui "Diario" e "Amica"; nel 2003
ha vinto il premio "Cronista dell'anno" con l'inchiesta "Quindici giorni da
cameriera". Opere di Mariangela Mianiti: (con Roberto Mutti), Un bacio, due
baci..., Mazzotta, Milano 2003; Una notte da entraineuse. Lavori, consumi,
affetti narrati da una reporter infiltrata, Derive approdi, Roma 2005]

Non era mai successo che una donna ospite di una casa protetta accettasse di
parlare e di farsi fotografare. Non era mai successo che una donna
maltrattata per vent'anni dal marito aprisse la scatola del suo dolore per
dire pubblicamente: "Io sono viva perche' sono scappata. Io ho ricominciato
a vivere perche' altre donne mi hanno aiutato. Io ora sono io e non piu' la
vittima di mio marito".
L'appartamento dove ha sede la Casa delle donne maltrattate a Milano (Cadm)
e' al quarto piano ed e' pieno di luce: un rododendro, un ficus, qualche
geranio alla finestra, classificatori colorati nelle librerie, un manifesto
con belle facce di maschi che dice "I veri uomini non picchiano", un lungo
tavolo bianco per le riunioni e donne, solo donne che entrano, escono e
rispondono al telefono.
Questa casa che aiuta e protegge le donne in difficolta' e' stata la prima
del genere in Italia ed e' nata nel 1986, quando di violenza in famiglia
parlavano in pochi.
Ma il problema esisteva, esiste, ed era cosi' capillare e sentito che nel
giro di vent'anni i centri di aiuto come questo si sono moltiplicati e ora
costituiscono una rete importante che ha ottenuto un numero telefonico
unico, l'"Antiviolenza donna"1522.
Se ora Rita e' davanti a me a raccontare come e perche' ha subito quel che
ha subito e come se ne e' liberata, e' perche' si e' rivolta a uno di questi
centri che l'ha accolta, nascosta e mandata lontano, a Milano, dove la Casa
delle donne maltrattate l'ha ospitata per un anno in un alloggio protetto,
un appartamento dove si rifugiano le mogli con mariti violenti e pericolosi.
Il Cadm ha una sede (via Piacenza 14), un numero di telefono (0255015519) a
cui chiamano in media 800 donne l'anno, un sito (www.cadmi.org), gestisce un
centro di accoglienza, quattro appartamenti protetti, da' informazioni,
assistenza psicologica, offre consulenza legale ed economica, orientamento
allo studio e al lavoro, mediazione culturale, promuove progetti di
prevenzione nelle scuole sulla violenza sessuale in famiglia.
Per Rita la Casa delle donne e' come una seconda famiglia, anzi e' una
comunita' allargata di donne che l'ha accolta e protetta al di la' dei
legami di sangue e di parentela che contano, ma a volte si rivoltano contro
i suoi stessi componenti come una malattia autoimmune. Rita avrebbe potuto
morire di famiglia.
Secondo i dati Eures, nel 2004 un marito o ex coniuge ha ucciso una moglie
ogni sei giorni, nel 2005 ogni quattro: 50 volte al nord, 17 al sud, 15 nel
centro Italia. Si puo' dire che di donne che muoiono come Barbara Cicioni ce
n'e' una a settimana. Se non fosse scappata, Rita avrebbe potuto essere fra
queste.
*
Per incontrarci Rita ha scelto jeans e una maglietta bianca con disegni neri
e qualche strass, un piccolo tocco di civetteteria. Non porta anelli, tanto
meno la fede. Ha gli occhi mobili e vividi, un viso morbido che si incupisce
quando ricorda fatti che le fanno male. L'unico momento in cui compare un
sorriso aperto da fanciulla e' quando parla dei piatti che cucina: lasagne,
polpette, pasta al forno, verdure. "Ma sbaglio sempre le quantita'", dice,
"Prima ero abituata a cucinare per sette, otto persone. Ora sono da sola".
Quando comincia a raccontare, il flusso dei suoi ricordi salta, si ferma,
torna indietro, si spezza di nuovo in un nodo di lacrime, si fa forza,
specifica, si rianima. Anche il ritmo del suo racconto parla del suo dolore
e della sua rinascita.
"Ho quarant'anni, sono laureata, vivevo al sud e lavoravo all'universita'.
Sono qui da due anni. Quando sono arrivata non conoscevo nessuno. Pero'
prima rischiavo la vita tutti i giorni".
Pausa.
"Mi sono sposata giovanissima. La mia famiglia era contraria, ma io mi sono
intestardita. Lui era piu' grande di me e ai miei occhi era affascinante.
Mia madre mi diceva: 'Non e' come lo vedi, ha due facce, stai attenta, mi
hanno detto che e' violento'. Non le ho creduto. Ho voluto fare di testa
mia, ho obbligato i miei genitori a dare il consenso, ma il giorno delle
nozze non ero felice. Mi dicevo che lo avrei salvato, che con me non sarebbe
stato cattivo. E poi da fidanzato era molto appassionato, diceva: 'Io senza
di te non vivo'. Mi fidavo. Il giorno dopo il matrimonio cambio': era
diventato cupo, ombroso, prepotente, non parlava e gli e' venuto quello
sguardo, quello sguardo...".
Pausa. La voce si spezza.
"... Quello sguardo cattivo, feroce, di odio. Non era mai contento di nulla,
mi controllava, mi impediva di uscire. Tornati dal viaggio di nozze andai da
mia madre, ero in lacrime, ma non le dissi nulla. Mi vergognavo. E poi
pensavo: 'Sua madre non lo abbandonerebbe, io gli faro' da madre'. Che
errore!".
Pausa.
"Lasciai la scuola e mi diplomai da privatista. Rimasi subito incinta e lui
comincio' a picchiarmi. La prima volta mi prese a schiaffi, non so perche'
lo fece, non c'era un motivo...".
Silenzio. Le parole si perdono in un singhiozzo.
"Scappai da mia madre, ma non le dissi nulla. La mattina dopo lui mi venne a
prendere, facemmo pace. Ho pensato che non sarebbe piu' successo,
invece...".
Pausa.
"Invece la situazione e' rimasta cosi' per anni. Vent'anni sono rimasta con
lui nonostante tutto. Ero legata manie piedi. Avevo dei figli. Se me ne
fossi andata con loro ci avrebbe ammazzato tutti. Io cercavo di capire
perche' faceva cosi', mi sono messa a studiare psicologia, gli dicevo:
'Dimmi se c'e' qualcosa che non ti va di me' e lui rispondeva: 'Di te mi va
tutto, sei la donna migliore del mondo'".
La voce di Rita diventa piu' dura.
"La violenza la respiravano anche i muri a casa nostra, giorno e notte e poi
all'improvviso scoppiava, senza un motivo, sorda, fredda. Lui aveva quello
sguardo folle e non chiedeva mai scusa, minimizzava tutto. Mi spaccava la
testa e diceva: 'Che vuoi che sia?'. Una volta mi ha dovuto portare al
pronto soccorso, mi accompagnava e diceva: 'Di' che ti e' caduto un mobile
in testa'. A freddo mi spacco' la testa, dieci punti mi hanno dato. Io a
casa gli dicevo: 'Ti prego portami all'ospedale. Non voglio morire'. E lui:
'No, non ti porto'".
Pausa. La voce si abbassa.
"Io non potevo lasciarlo. Non c'erano associazioni, allora. E poi come
facevo a sparire con tutti quei figli? Dove scappavo senza un lavoro, senza
conoscere nessuno? Una volta sono andata da un avvocato, volevo fuggire
portandomi via il bambino piu' piccolo, il quarto. Gli dissi: 'Vado nel
terzo mondo, almeno la' non mi trova'. Lui mi rispose: 'Non ha diritto di
farlo. Pensi a suo figlio. Che futuro gli do'?'. Ma anche prima avevo
provato ad andarmene, quando avevo solo la prima figlia. Andai dalla polizia
a dire: 'Mio marito mi picchia'. Loro risposero: 'Ma su signora. Sono cose
fra voi, riappacificatevi, pensi alla bambina'. Ora e' tutto cambiato. Anche
le forze dell'ordine sono piu' sensibili e collaborano".
Pausa.
"Ma allora nono c'era nulla, nulla. Ero sola. Poi anche nella citta' dove
abitavo e' nato un centro antiviolenza e io lo conoscevo, addirittura
collaboravo con loro perche' lavoravo in una struttura pubblica, avevo una
faccia pubblica. Si', avevo una faccia pubblica da difendere, e poi ne avevo
anche una privata che nessuno conosceva e che ho tenuto nascosta anche ai
figli fino a che ho potuto. E questo e' sbagliato, e' un errore che molte
donne anche acculturate fanno. Non si rivolgono ai servizi sociali per
preservare l'immagine. Prima di chiedere aiuto al centro ho aspettato dieci
anni perche' i figli erano cresciuti e io come facevo a toglierli dalla loro
citta', dagli amici, dalle loro abitudini? Dovevo resistere, aspettare che
fossero grandi, autonomi, proteggerli dal padre e nascondere anche a loro la
verita' perche' non volevo che sapessero che uomo era il padre. Ci sono
riuscita finche' lui mi ha picchiato anche in loro presenza. Loro sono
umani, sensibili, hanno studiato. Mi chiedevano: 'Perche' papa' e' cosi'?'.
E' stanco, dicevo, lasciate perdere. Non vi preoccupate per me. E mi
costringevo a restare, mediavo".
Pausa. Rita sa gia' qual e' la domanda sospesa.
"No. A loro non li ha mai toccati. Se solo avessi avuto il dubbio lo avrei
ammazzato. Poi e' arrivato quel pugno, a freddo, dato in un momento di
totale tranquillita'. Gli avevo preparato la colazione, gliela avevo servita
come sempre. E lui mi ha dato quel pugno, durissimo. Sono andata
all'ospedale. Mi sono resa conto che rischiavo la vita. Ho detto basta. Ho
pensato: I figli ora non me li puo' piu' ammazzare. Sono grandi, lui un po'
di bene gliene vuole, sono autonomi, lo conoscono, sanno difendersi, possono
vivere da soli. E poi, se resto che modello di donna gli do? Una donna
perdente, che si fa picchiare e tace, che non reagisce, che subisce. Non va
bene. Anche i figli erano stanchi. Non si riusciva nemmeno a dormire
tranquilli. Io mi stendevo rigida perche' avevo paura. Stavo in un angolo
del letto e gli giravo le spalle perche' non potevo vederlo. Avevo paura di
sentire le sue mani sul collo all'improvviso. Ho deciso anche spinta dai
figli. Sono andata al centro, mi hanno subito allontanato da casa. Mi hanno
nascosto per tre giorni da amici, hanno cercato una casa disponibile,
lontano. E' venuto fuori un posto a Milano e uno a Merano. Io non sapevo
nemmeno dove fosse Merano. Ho scelto Milano. Li' e' cominciata la mia vita
da clandestina, nella casa protetta perche' lui avrebbe potuto cercarmi,
trovarmi, ed era pericoloso. Sono arrivata a Milano in una sera d'inverno.
Avevo solo una valigia piena di carte, quante carte...".
La voce si spezza. Pausa.
"I figli li sentivo e li vedevo di nascosto. Non chiamavo mai a casa, non
scrivevo mai. Ora invece e' tutto diverso. Ora torno nella mia citta' e non
ho piu' la paura di prima, anche se prendo mille precauzioni e mi faccio
accompagnare solo in auto per evitare di incontrarlo. L'ho anche rivisto
davanti al giudice perche' c'e' stata la separazione. L'ho guardato e gli ho
detto: "Sei una faccia di merda". Il potere l'ha perso. Pero' all'inizio non
e' stato cosi', non mi sentivo sicura nemmeno a Milano. Avevo paura di
incontrarlo per caso, se vedevo un'auto come la sua scappavo. La vita da
clandestina e' dura ed e' piena di cose semplici che non puoi fare. Chiamavo
i figli da schede telefoniche sempre diverse e secretavo i numeri. Se uscivo
con qualcuno non potevo farmi riaccompagnare fino a casa perche' dovevo
tenere nascosto l'indirizzo. Loro non capivano perche' ed era difficile
raccontare la verita'. Quando dici 'Sono stata una donna maltrattata' la
gente cambia atteggiamento, si imbarazza. La mia vita era piena di
strategie: niente lettere, ne' pacchi. E' durata un anno la mia vita di
clandestina totale...".
Pausa.
"Quando sono arrivata nella casa protetta il cuore mi impazziva. Mi dicevo
che io non ero maltrattata, mi chiedevo com'erano le altre. C'era una donna
con sua figlia, la mattina dopo mi ha svegliato il profumo di un minestrone
buonissimo. La bambina e' venuta a dirmi: 'Mangi con noi?'. Poi ho scoperto
che quella donna non amava cucinare, lo fece apposta per me quel minestrone.
Nella casa non si parlava mai fra di noi dei maltrattamenti, ci saremmo
schiacciate sotto i nostri dolori. Solo la bambina un giorno mi ha detto:
'Sai, papa' si arrabbiava sempre con la mamma. Lei stirava e papa' urlava,
urlava'".
Pausa.
"Alle donne che sono come sono stata io direi: non sottovalutate il
pericolo. Una donna sente se quello con cui vive e' un potenziale uxoricida.
Pero' loro, quando ti picchiano, ti tolgono tutte le sicurezze e anche la
capacita' di difenderti. Chi non e' dentro questa cosa fatica a capire. Lui
ha preso paura quando l'ho denunciato la prima volta, tredici o quattordici
anni fa. Gliene ho fatte tre di denunce e ora e' stato allontanato dai
figli".
Pausa.
"Io sono fuori pericolo, sto meglio, ma non sono una donna integra. Ho fatto
un lungo percorso psicologico per arrivare fin qui, ma mi vedo segnata
dall'aver lasciato lontano gli affetti. Pero' per la prima volta sono
tranquilla anche se per dormire devo prendere una pillola. E' come essere
stata agli arresti domiciliari per vent'anni e solo da poco sono tornata a
vivere quasi come una persona normale. La sera posso uscire senza avere
paura, lavoro per la Casa, mi sento protetta anche se Milano e' difficile da
vivere. Pero' laggiu' non tornero' piu'. Le strade, i muri, tutta la citta'
e' impregnata della sua violenza".
*
Per completezza di cronaca e' corretto informare che la Casa delle donne
maltrattate di Milano paga un affitto a prezzo di mercato, percepisce dal
Comune 50 euro al giorno di retta per ogni ospite della casa protetta e
niente piu', non ha nessun finanziamento certo da nessuna delle istituzioni
milanesi o lombarde, dal 2002 al 2006 ha ospitato 87 donne di cui 29
esclusivamente a carico dell'associazione, piu' 16 giovani finanziate da
privati. In sintesi, dal 2002 al 2006 il Cadm e le sue socie hanno speso
57.363 euro di tasca loro.
Ogni regione ha numerosi centri di accoglienza per le donne tranne la
Calabria, che ne ha solo uno.
La politica di prevenzione alla violenza in famiglia in Italia l'hanno fatta
soprattutto le donne, spesso gratis.

2: LIBRI. LUCA POSSATI PRESENTA "EMMANUEL MOUNIER. L'ATTUALITA' DI UN GRANDE
TESTIMONE" DI PAUL RICOEUR
[Da "Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia", anno 8, 2006 (sito:
http://mondodomani.org/dialegesthai/) riprendiamo la seguente recensione a
Paul Ricoeur, Emmanuel Mounier. L'attualita' di un grande testimone, Citta'
Aperta, Troina (Enna) 2005, pp. 116.
Luca Possati, laureato in filosofia presso l'Universita' di Roma "La
Sapienza" nel 2003, con una tesi su Temporalita', narrativita' e memoria nel
pensiero di Paul Ricoeur, e' attualmente dottorando di ricerca in storia
della filosofia e storia delle idee presso la stessa Universita'. Svolge un
progetto di ricerca intitolato: L'operazione storiografica. Memoria e
scrittura della storia tra Ricoeur e De Certeau.
Paul Ricoeur, filosofo francese, nato nel 1913 e deceduto nel maggio 2005;
amico di Mounier, collaboratore di "Esprit", docente universitario, uno dei
pensatori piu' influenti del Novecento, persona buona. Dal sito
dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo questa
breve scheda: "Paul Ricoeur nasce a Valence (Drome) il 27 febbraio 1913.
Compie i suoi studi di filosofia prima all'Universita' di Rennes, poi alla
Sorbonne, dove nel 1935, passa l'agregation. Mobilitato nel 1939, viene
fatto prigioniero e nel campo comincia a tradurre con Mikel Dufrenne Ideen I
di Husserl. Dal 1945 al 1948 insegna al College Cevenol di
Chambon-sur-Lignon, e successivamente Filosofia morale all'Universita' di
Strasburgo, sulla cattedra che era stata di Jean Hyppolite, e dal 1956
Storia della filosofia alla Sorbona. Amico di Emmanuel Mounier, collabora
alla rivista "Esprit". Dal 1966 al 1970 insegna nella nuova Universita' di
Nanterre, di cui e' rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il
proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la
contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School
dell'Universita' di Chicago. Nel 1978 ha realizzato per conto dell'Unesco
una grande inchiesta sulla filosofia nel mondo. Nel giugno 1985 ha ricevuto
il premio "Hegel" a Stoccarda. Attualmente [quando questa scheda fu
redatta - ndr] e' direttore del Centro di ricerche fenomenologiche ed
ermeneutiche". Opere di Paul Ricoeur: segnaliamo i suoi libri Karl Jaspers
et la philosophie de l'existence (con Mikel Dufrenne), Seuil; Gabriel Marcel
et Karl Jaspers, Le temps present; Filosofia della volonta' I. Il volontario
e l'involontario, Marietti; Storia e verita', Marco; Finitudine e colpa I.
L'uomo fallibile, Il Mulino; Finitudine e colpa II. La simbolica del male,
Il Mulino; Della interpretazione. Saggio su Freud, Jaca Book, poi Il
Melangolo; Entretiens Paul Ricoeur - Gabriel Marcel, Aubier; Il conflitto
delle interpretazioni, Jaca Book; La metafora viva, Jaca Book; Tempo e
racconto I, Jaca Book; Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto
di finzione, Jaca Book; Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, Jaca
Book; Dal testo all'azione. Saggi di ermeneutica II, Jaca Book; Il male. Una
sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana; A l'ecole de la
fenomenologie, Vrin; Se' come un altro, Jaca Book; Lectures 1. Autour du
politique, Seuil; Lectures 2. La contree des philosophes, Seuil; Lectures 3.
Aux frontieres de la philosophie, Seuil; Le juste, Esprit; Reflexion faite.
Autobiographie intellectuelle, Esprit; La critica e la convinzione (colloqui
con Francois Azouvi e Marc de Launay), Jaca Book. Segnaliamo inoltre:
Kierkegaard. La filosofia e l'"eccezione", Morcelliana; Tradizione o
alternativa, Morcelliana, e l'antologia Persona, comunita' e istituzioni,
Edizioni cultura della pace. Opere su Paul Ricoeur: segnaliamo
particolarmente due recenti monografie: Francesca Brezzi, Ricoeur.
Interpretare la fede, Edizioni Messaggero Padova, 1999; Domenico Jervolino,
Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003; Francesca Brezzi,
Introduzione a Ricoeur, Laterza, Roma-Bari 2006.
Emmanuel Mounier, nato nel 1905 a Grenoble, nel 1932 fondo' la rivista
"Esprit", una delle voci piu' vive della cultura contemporanea e
dell'impegno cristiano nella societa'. Mori' nel 1950. Intellettuale
militante, cattolico in rottura con il "disordine costituito" ed in dialogo
con la sinistra rivoluzionaria, la sua voce ci interpella ancora. Tra le
opere di Emmanuel Mounier: Che cos'e' il personalismo?, Einaudi; Rivoluzione
personalista e comunitaria, Ecumenica; Il personalismo, Ave. L'Editrice
Ecumenica sta pubblicando (e ripubblicando) le opere di Mounier in una
specifica Collana "Emmanuel Mounier" diretta da Ada Lamacchia. Opere su
Emmanuel Mounier: Jean Marie Domenach, Emmanuel Mounier, Ecumenica, Bari
1996. Una bibliografia essenziale di e su Mounier e' in "Voci e volti della
nonviolenza" n. 77]

Mounier e Ricoeur: un binomio che ha segnato profondamente la storia di
"Esprit", uno scambio intellettuale fecondo, ma allo stesso tempo un impegno
civile riformatore, che si trasformera', con la morte del primo (nel 1950),
in un'eredita' spirituale irrinunciabile per il secondo.
Maturato nel contesto del cristianesimo socialista degli anni Trenta, sotto
l'influenza di Andre' Philip e della rinascita barthiana, Paul Ricoeur entra
in contatto con il gruppo di "Esprit" solo dopo la guerra e la prigionia
nella Pomerania orientale. Da Mounier, egli dice di aver appreso a
congiungere e a far convivere le proprie convinzioni spirituali con la
passione politica di quegli anni.
E' solo nella maturita', tuttavia, che Ricoeur traccia con chiarezza le
linee fondamentali della propria concezione della persona nel quadro di una
rilettura critica e aperta dell'opera di Mounier. Precisamente in due saggi,
comparsi entrambi su "Esprit": Meurt le personnalisme, revient la personne
(1983) e Approches de la personne (1990). Nel primo, testo di natura
dichiaratamente provocatoria, l'affermazione della morte del movimento
personalista acquista il duplice valore di semplice registrazione di un
fatto culturale, le cui numerose cause vengono accuratamente passate in
rassegna, e di auspicio: che muoia pure il personalismo, diceva Ricoeur, se
questo puo' servire a far rivivere la nozione di persona, in tutta la sua
fecondita' politica, economica e sociale. Essa, infatti, resta ancor oggi la
categoria piu' adeguata nelle questioni per le quali la "coscienza", il
"soggetto" o l'"individuo" risultano inappropriati. Sotto l'egida di Eric
Weil, Ricoeur si sforzava di pensare la persona come "attitudine", centrando
il suo discorso sulle due categorie di crisi e impegno.
Il secondo testo, scritto circa una decina di anni dopo, corona gli intenti
fondamentali del primo. Ricoeur dispiega e analizza tutte le ricerche
contemporanee sul linguaggio, l'azione, il racconto e l'etica, che possono
conferire ad una teoria sulla persona un solido radicamento teorico. Lo
scopo, qui, e' costruire una fenomenologia ermeneutica in grado di
ripercorrere e di riassumere tutti i piani dell'ermeneutica dell'uomo capace
di Se' come un altro (1990).
L'ultima tappa, e anche il culmine, del confronto di Ricoeur con Mounier e'
costituita dal saggio Mounier et "Esprit" au milieu du XX siecle, scritto in
occasione di un convegno su Mounier tenutosi a Parigi nel 2003, e
recentemente tradotto in italiano da Giacomo Losito nel volume dal titolo:
Emmanuel Mounier. L'attualita' di un grande testimone.
Come afferma Domenico Jervolino nella sua Introduzione, questo testo di
Ricoeur "merita di essere letto e meditato perche' il suo significato
profondo va ben oltre la commemorazione di un amico scomparso, il ricordo di
un'opera interrotta da una morte prematura, la rievocazione della propria
giovinezza col beneficio ormai della distanza di un cinquantennio" (p. 7).
Si tratta infatti di qualcosa di piu' di una riflessione su Mounier e sulla
storia del personalismo. E' una lucida osservazione dei fatti principali del
XX secolo, un bilancio della storia e del destino dell'idea democratica, un
giudizio sul significato della politica oggi che si inserisce nel quadro dei
forti interessi etico-morali, tanto pressanti per l'ultimo Ricoeur (basti
pensare a Il giusto 1, Il giusto 2, L'ideologia e l'utopia).
Ma non solo. Il testo si rivela interessante anche ad un livello
metodologico. Per condurre una riflessione su Mounier, nel doppio ruolo da
lui rivestito di uomo di rivista e autore di testi, Ricoeur sottolinea
fortemente la necessita' di rigettare qualsiasi anacronismo, condannando
"l'arroganza dell'interprete che dispone sia di informazioni allora
inaccessibili che di strumenti di analisi elaborati successivamente" (p.
55). E' proprio per soddisfare una tale esigenza di onesta' intellettuale
che Ricoeur sceglie di imboccare la strada della lettura incrociata, di
confrontare cioe' la testimonianza che Mounier ha dato del suo tempo con
l'analisi, maggiormente articolata e mirante a stabilire un quadro coerente
del XX secolo, di altri autori piu' attuali.
Il saggio e' dunque un complesso "lavoro della memoria", in cui presente e
passato si confrontano e si intrecciano, e che gioca su una alternanza di
ottiche differenti ma in grado di completarsi a vicenda. La critica
reciproca, tra esse, e' evitata proprio in forza della distanza temporale
che regola l'esercizio.
I due testi evocati e incrociati da Ricoeur sono: Manifeste au service du
personnalisme, scritto da Mounier nel 1936, e Le passe' d'une illusion.
Essai sur l'idee comuniste au XX siecle, di Francois Furet (1995). Il primo
assume tre fondamentali obiettivi polemici: fascismo, comunismo e civilta'
borghese. "Stupefacente trittico - commenta Ricoeur - inaugurato da un
attacco frontale contro il borghese e il suo individualismo assunto come
esempio di decadenza" (p. 61). A meta' degli anni Trenta, Mounier ha
riconosciuto come la critica della borghesia e del suo sfrenato
individualismo rappresenti il comune punto di partenza di fascismo e
comunismo, punto di partenza per entrambi e fonte di reciproca condanna.
Furet, dal canto suo, a distanza di sessant'anni, individua nell'odio per la
borghesia una delle primissime forme di quella che egli chiama la passione
ideologica, forse la piu' costante e potente: "sufficientemente astratta per
ricoprire vari simboli - scrive Furet -, sufficientemente concreta per
offrire uno spunto ravvicinato di odio, la borghesia offre al bolscevismo e
al fascismo un polo negativo e una serie di tradizioni e sentimenti ben piu'
antichi sui quali far leva" (pp. 63-64).
Il parallelismo si rivela "istruttivo in modo stupefacente" (p. 64), anche
se lascia aperti significativi spazi di divergenza e contrasto. In primo
luogo, il borghese non e' detestabile per gli stessi criteri: Mounier parla
riferendosi all'utopia della persona e della comunita'; Furet invece alla
passione rivoluzionaria ereditata dalla Rivoluzione francese e dalle
frustrazioni del XX secolo.
In Mounier, inoltre, risulta spaventosamente assente il punto finale
dell'analisi di Furet: cio' che l'odio per il borghese nasconde e' la
radicale condanna della democrazia parlamentare. A Mounier manca la
sensibilita' nei riguardi del pericolo che la comune avversione al borghese
da parte di fascismo e comunismo rappresenta davvero: il crollo della
democrazia.
Mounier non coglie il lato istituzionale della faccenda, il doppio valore
della societa' borghese. Quella fragile ambiguita' in forza della quale essa
rappresenta si' l'individualismo e il culto dell'interesse, ma anche il
valore dell'universalita' e della liberta'. Un'ambiguita' terribile: "Anche
Mounier lo dice - scrive Ricoeur -. Ma per lui e' un segno di decadenza. Per
noi, che usciamo dalle rovine e dalla ricostruzione, e' tornato ad essere un
grande enigma "che l'idea dell'eguaglianza e dell'universalita' degli uomini
(dichiarata dalla borghesia come elemento fondante e di fatto reale, novita'
da essa introdotta) venga costantemente negata dalla disuguaglianza della
proprieta' e della ricchezza, prodotta dalla competizione tra gli individui"
(p. 71). Ma riconoscere questo non significa avere il diritto di collocare
Mounier nel campo pre-fascista. "Deve costituire piuttosto - commenta
Ricoeur - l'occasione di mettere in chiaro i termini di una tensione che
rimane ai miei occhi feconda, quella fra la tematica dello spirito e
l'analisi istituzionale" (pp. 76-77).
E' infatti questo il filo conduttore che il saggio ricoeuriano persegue, e
che supera anche le considerazioni e i singoli giudizi espressi sull'opera
di Mounier. La dialettica tra spirito e istituzione deve essere il principio
di una rifondazione radicale dell'idea democratica. Si tratta dunque di
ridare senso all'istituzione, di completare la dimensione
procedurale/formale con una simbolica in grado di mediare l'agire sociale,
dunque di ridargli senso.
Scrive infatti Ricoeur: "Una crisi latente della democrazia rappresentativa
si e' manifestata proprio nel momento in cui essa ha trionfato, una prima
volta nel 1944 e una seconda con la caduta del muro di Berlino. Essa appare
nel momento in cui la democrazia rappresentativa e' priva di credibili
alternative. E' comunque degno di nota che tale crisi non si lasci cogliere
ed interpretare se non mediante una lettura lunga, come lo e' stata quella
che ha presieduto all'interpretazione retrospettiva delle due catastrofi del
XX secolo" (pp. 97-98). In rapporto ad essa le suggestioni di Mounier sul
concetto di spirito possono essere riprese e reinterpretate: "E' proprio
nella prospettiva dispiegata in questa lunga storia che le esitazioni, le
tergiversazioni, le ambiguita' di Mounier scrittore e le tensioni fra gli
animatori della direzione di 'Esprit', prima e dopo la guerra relativamente
alle istituzioni della Repubblica parlamentare, si rivelano, a cose fatte,
portatrici di un senso potenzialmente positivo" (p. 99).
E' dunque quel che Ricoeur chiama la risimbolizzazione del politico (p.
114), la via maestra per uscire dalla crisi: "Non bisognerebbe allora
parlare di pluri-fondazione e dunque di una co-simbolizzazione a cui
sarebbero convocate tutte le famiglie spirituali che hanno contribuito al
processo storico della fondazione delle democrazie occidentali? E' una
prospettiva simile a quella su cui si incammina Rawls nei suoi scritti sulla
democrazia politica: quelle che definisce concezioni del bene sono
congiuntamente convocate al capezzale delle democrazie costituzionali nel
quadro di uno Stato di diritto" (p. 115).
Ricollegandoci implicitamente alla "piccola" etica di Se' come un altro,
risimbolizzare il politico significherebbe investire l'etica, cioe' la
prospettiva di una vita buona, del ruolo di mediatrice tra i cittadini e il
lato formale dell'istituzione.
"E' forse qui - scrive Ricoeur - che la parola spirito (esprit), priva del
suo iniziale catastrofismo e del sovraccarico rivoluzionario, conserva la
sua funzione e ritrova una possibilita'. Dopo la fine del teologico-politico
rivisitato, c'e' forse un tempo per il contributo degli spirituali, fra gli
altri dei cristiani, alla risimbolizzazione del politico, in sinergia con
l'apparato procedurale della rappresentanza parlamentare e nel quadro di una
laicita' aperta. Co-fondatori, ecco quanto possiamo restare o diventare" (p.
116).

3. MEMORIA. SIMONA SERAFINI: EMMANUEL MOUNIER, PENSIERO E AZIONE
[Dal quotidiano "Avvenire" del 4 ottobre 2000, col titolo "Finalmente torna
in patria il profeta Mounier" e il sommario "A cinquant'anni dalla morte una
serie di iniziative rilanciano la figura del fondatore di 'Esprit'. Finora
il filosofo personalista aveva esercitato il suo influsso piu' all'estero
che in Francia".
Simona Serafini scrive sul quotidiano "Avvenire"]

Mezzo secolo fa scompariva all'improvviso, a soli 45 anni, Emmanuel Mounier,
il creatore del "personalismo" e il fondatore della rivista culturale
"Esprit": un "maitre-a'-penser" per tutta una generazione (non solo
francese) ed in particolare un punto di riferimento per gli ambienti
cristiani. Arrivato a Parigi dalla natia Grenoble, il giovane e brillante
filosofo bergsoniano entro' presto in contatto con il circolo di
intellettuali che si riuniva a Meudon attorno a Jacques e Raissa Maritain.
In questo ambiente concepi' l'idea di fondare un movimento di rottura con
"il disordine stabilito", ispirato in gran parte alle idee di Charles Peguy,
che vedra' la luce effettivamente nel 1932, insieme alla rivista "Esprit".
Il programma del movimento e della rivista era racchiuso nello slogan
"Rifare il Rinascimento", promuovere cioe' una "rivoluzione personalista e
comunitaria", capace di opporsi sia all'individualismo liberale sia al
collettivismo di matrice fascista come comunista. Secondo Emmanuel Mounier,
per riuscire bisognava ritrovare la capacita' di trasformare le idee in
azione. Un'operazione nella quale si impegno' in prima persona dalle pagine
di "Esprit". La necessita' di intervenire in Spagna, quella di opporsi alla
definizione di uno speciale statuto per gli ebrei, di fare resistenza alla
barbarie in nome del cristianesimo, sono alcune delle battaglie condotte
sulle pagine della rivista prima della guerra; ma e' nel dopoguerra che
l'opera di Mounier ebbe la maggiore influenza sulla societa' civile. La sua
rivista fu il punto di riferimento per intellettuali, sindacalisti,
funzionari dello Stato occupati nell'opera di ricostruzione della
democrazia.
Il seminario "Mounier, actualite' d'un grand temoin", che avra' luogo a
Parigi all'Unesco domani e venerdi' 6 ottobre, offrira' l'occasione di
meglio conoscere un intellettuale il cui impegno corrispondeva a una
esigenza del pensiero. Dopo la morte delle grandi utopie e' piu' che mai
necessario rileggere l'opera di Emmanuel Mounier: l'appello a riscoprire
oggi un "resistente cristiano" ci viene da Jacques Delors, l'ex presidente
della Commissione della Comunita' Europea, e da Guy Coq, membro della
redazione attuale di "Esprit" e presidente dell''Associazione degli amici
d'Emmanuel Mounier. Sulle pagine di "Le Monde" di ieri si augurano che
"un'ingiustizia sia riparata": Mounier, che ha nutrito senza ombra di dubbio
il pensiero e l'azione antitotalitaria, e' piu' conosciuto all'estero (in
America latina, nell'Europa dell'Est, in Portogallo, in Spagna, in Italia)
che nel suo Paese.
Del resto la maggior parte dei suoi scritti, in particolare quelli
anteguerra, apparsi quasi esclusivamente su "Esprit", sono rimasti fino ai
nostri giorni introvabili. Benvenuta dunque la recentissima pubblicazione
dei suoi testi fondamentali in due volumi formato "poche" nelle edizioni
Seuil. Sta del resto per apparire il volume Emmanuel Mounier et sa
generation. Lettres, carnets et inedits presso le Editions du Cerf. Ciascuno
potra' dunque giudicare personalmente la portata delle idee del filosofo
dell'impegno.
Per gli autori dell'articolo, nessun dubbio: "Di fronte alla frattura tra
individuo e societa', oggi piu' netta che a meta' del XX secolo, la sua
dialettica tra persona e comunita' apre ricche prospettive. Rileggere i
testi in cui il filosofo approfondisce la sua idea di comunita' di persone
aiuta a capire percha' il comunitarismo - nel senso in cui e' inteso oggi da
alcuni - si trova in un vicolo cieco". Niente ricette prefabbricate, nessuna
dottrina politica pronta all'uso: il "piu' socratico dei pensatori del XX
secolo" elabora un pensiero rigoroso applicato alle condizioni dell'azione
politica e al significato dell'essere cittadini. Secondo Delors e Coq i suoi
articoli, sempre iscritti in una realta' politica precisa, possono offrire
l'esempio di un dialogo proficuo tra pensiero ed azione.

4. LETTURE. FRANCESCO TOMATIS: COME LEGGERE NIETZSCHE
Francesco Tomatis, Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano 2006, pp. 208,
euro 7,80. Un libro che fin nello stile insegue la vicenda nietzscheana e
reca alla luce decisivi snodi, assonanze profonde, il senso di un cammino,
con simpatetica attenzione, acuminata prossimita'. L'autore del libro e'
quello di cospicue monografie su Pareyson e su Schelling, e di quella
Filosofia della montagna di cui qui si sente il passo e il respiro. Con
un'utile cronologia sintetica ed un'ampia bibliografia.

5. RIEDIZIONI. ALL'OPPOSIZIONE NEL PCI CON TROTSKY E GRAMSCI
All'opposizione nel Pci con Trotsky e Gramsci. Bollettino dell'Opposizione
comunista italiana (1931-1933), Controcorrente, Roma 1977, Massari Editore,
Bolsena (Viterbo) 2004, pp. 424, euro 16. Non solo a noi vecchi barbogi
interessera' leggere o rileggere questi antichi testi (i 16 fascicoli del
bollettino antistalinista usciti tra l'aprile 1931 e il giugno 1933 per le
cure principalmente di Alfonso Leonetti e Pia Carena che ne curavano
materialmente la redazione): che raccomandiamo non solo agli studiosi, ma
anche a chi oggi si trova in circostanze - certo tanto mutate, e per taluni
versi tanto simili - nelle quali si ripropongono antichi duri e tragici
dilemmi che ancora richiedono scelte morali e intellettuali - cioe'
politiche in senso forte - nitide, rigorose, coerenti; e fondate tanto su
analisi concrete delle situazioni concrete quanto su un saldo persistere in
cio' che e' vero sempre: principio responsabilita', forza della verita'.
Riflettere ancora su quelle antiche lotte e penose discussioni e drammatiche
vicende ed errori ed orrori, puo' forse aiutare a far luce anche sui compiti
dell'ora, e a scegliere ancora il ripudio del dogma e del principio
d'autorita', a scegliere ancora utopia concreta, principio speranza,
ortopedia del camminare eretti. E a criticare nella storia del movimento
delle e degli oppressi quel che v'era e v'e' d'imperfetto, di sbagliato, di
orribile perfino, e salvare la corrente calda, luminosa la torcia, grande il
legato, splendente l'umanita'. Introduzione e cura di Roberto Massari,
prefazione di Alfonso Leonetti. Per richieste alla casa editrice: Massari
Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail:
erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme

6. RIEDIZIONI. UMBERTO SANTINO: UNA RAGIONEVOLE PROPOSTA PER PACIFICARE LA
CITTA' DI PALERMO
Umberto Santino, Una ragionevole proposta per pacificare la citta' di
Palermo (di Anonimo del XX secolo), Qualecultura, Vibo Valentia-Napoli 1985,
Di Girolamo editore, Trapani 2006, pp. 128, euro 12. Finalmente
ripubblicato, ed arricchito di materiali ulteriori in cui la sua stessa
vicenda si specchia e reduplica, questo aguzzo libello tra Swift e Voltaire,
Borges e Sheckley. Come e' noto Umberto Santino (che nella prima edizione
figurava solo come "Anonimo del XX secolo") e' il maggiore studioso del
potere mafioso e uno dei principali animatori del movimento antimafia. Qui
usa gli strumenti linguistici e retorici propri della tradizione
libellistica e satirica, sardonica e sulfurea, ma insieme li plasma  e li
forgia a una scelta e un'indagine nitida e densa, apocalittica in senso
forte e pieno: scilicet, definitivamente disvelativa. Qui, leopardianamente,
riso e pieta' ancora una volta si mescolano, e fin dalle prime righe il tono
e' quello dell'appello alla lotta intransigente, della rivendicazione
energica e orgogliosa dell'umana dignita', della definizione ovvero
costruzione di una barricata, e del posto da assumere e tenere in essa: si
apre infatti il libro con queste ferme parole di dedica: "All'uomo franco,
semplice, coraggioso che fu Rocco Chinnici", e in queste poche sobrie e
rocciose parole il suo programma - e il nostro - e' gia' integralmente
enunciato. Per richieste alla casa editrice: info at ilpozzodigiacobbe.com,
sito: www.ilpozzodigiacobbe.com

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 153 del 17 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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