Voci e volti della nonviolenza. 79



==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 79 del 14 luglio 2007

In questo numero:
1. Umberto Galimberti: Dal non-mondo all'inferno
2. Umberto Galimberti: Scoprire il dolore dell'anima
3. Umberto Galimberti ricorda Nicola Badaloni
4. Umberto Galimberti ricorda Susan Sontag
5. Umberto Galimberti presenta il "Simposio" di Platone
6. Et coetera

1. UMBERTO GALIMBERTI: DAL NON-MONDO ALL'INFERNO
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 31 luglio 2006, col titolo "Dal
non-mondo all'inferno su quelle piccole barche"]

Ho osservato con attenzione la fotografia della barca dei clandestini alla
deriva. Ha l'aspetto e le dimensioni di quelle piccole imbarcazioni per
cinque o sei persone che nel periodo estivo si noleggiano sulle nostre coste
per un giro di un paio d'ore in mare. Sei metri per due, neanche 12 metri
quadrati. Stipate fino all'inverosimile ventisette persone. Ciascuna delle
quali aveva pagato 1.500 dollari per l'acquisto dell'imbarcazione senza
conducente.
Avevano detto loro: "Seguite le luci delle piattaforme petrolifere e
arriverete a Lampedusa". Le luci le videro la prima notte, poi il motore si
ruppe e senza orientamento si persero nel mare. Senza cibo e senza acqua,
esaurita nei primi tre giorni, i ventisette disperati incominciarono a
gettare a mare chi tra loro, sotto il sole cocente di giorno e il freddo
della notte, non riusci' a reggere per tutti i venti giorni in cui erano in
balia delle onde, senza neppure piu' la forza di sperare. "Anche per morire
paghiamo" ha dichiarato Hammed, 22 anni, eritreo, uno dei sopravvissuti. "Lo
sapevamo che con quei 1.500 dollari pagavamo il biglietto per la nostra
morte, ma c'era anche la speranza che qualcuno di noi ce l'avrebbe fatta. E
allora abbiamo tentato. E'stato come una scommessa dove in palio c'era la
vita o la morte".
Se la barca costava quarantamila dollari non si poteva essere meno di
ventisette. Il che vuole dire 30 centimetri a persona, acqua e viveri al
minimo per ragioni di spazio, bisogni corporali davanti a tutti come gli
animali, neppure lo spazio per sdraiarsi se uno sta male. E poi i morti e la
puzza dei loro corpi che cancella la pieta'.
*
Ma se la posta in gioco non e' quella di migliorare le condizioni della
propria esistenza, ma, senza alternative e in piena consapevolezza, quella
piu' crudele di vivere o morire, quali sono le condizioni di vita di Hammed,
di Mustafa' e di quanti come loro raccattano un po' di soldi come possono
nei loro paesi d'origine e poi, dall'Eritrea, dal Mali, dal Sudan, dal
Darfur giungono in Libia per l'ultima scommessa con in palio una posta da
roulette russa?
Non ce lo immaginiamo, non ne abbiamo esperienza, tanto meno percezione, per
cui le notizie di questa tragedie, soprattutto se reiterate quasi
quotidianamente, ci scivolano sopra la pelle senza provocare alcun brivido,
alcuna scossa al nostro sentimento morale.
E cosi' la poverta', che dal continente africano dove dilaga, incomincia a
intaccare il nostro mondo, non provoca in noi alcuna reazione, anche se
sappiamo che l'estrema poverta' non e' solo mancanza di cibo, non e' solo un
incontro quotidiano con la malattia e con la morte, ma e' soprattutto la
fuoriuscita dalla condizione umana e insieme la sua riapparizione come
"incidente della storia", che fa la sua comparsa televisiva quando i
conduttori della storia passano da quelle lande disperate che un giorno
chiamavamo "terzo mondo" e che ora, visti i tenori di vita raggiunti dal
primo mondo, potremmo chiamare "non-mondo", puro incidente antropologico,
non dissimile da quegli incidenti geologici o atmosferici che, sotto il nome
di terremoto o alluvione, chiedono soccorso.
Ma cos'e' un "soccorso umanitario" se non la latitanza del nostro sentimento
morale che si accontenta di un gesto di carita', senza avere la forza di
sollecitare la politica?
E qui non penso alla politica che fa gli affari con la fame nel mondo, penso
alla politica come al "non-luogo" della decisione, perche' la decisione
avviene altrove, in quell'altro teatro, l'economia, che da due secoli a
questa parte sembra aver ridotto la politica a un siparietto di quinta, dove
ha luogo la rappresentazione democratica di interessi che operano dietro la
scena e lontano dagli schermi.
Quando, senza scomporci, veniamo a sapere dai telegiornali che nella regione
dei Grandi Laghi, nel Sudan e nel Darfur due milioni di uomini donne e
bambini sono stati ammazzati con il machete e un altro milione manca
all'appello, un appello che non si fa a nominativo, ma per cifre che
oscillano, a seconda dei diversi calcoli delle organizzazioni locali e
internazionali, nell'ordine di decine di migliaia, davvero consideriamo
questi esseri umani nostri "simili", simili a noi italiani, tedeschi,
francesi, americani, o non piuttosto simili a un gregge di cui non ci
interessa la sorte?
E perche' non ci interessa? Perche' non muove il nostro sentimento morale?
Perche' forse sospettiamo, anche se poi rimuoviamo il pensiero, che il
nostro benessere dipende dalla loro disperazione.
*
Nascosta allo spettacolo quotidiano, espulsa dalla percezione e dal
linguaggio, la poverta' sembra vivere solo nel gesto distratto di una mano
che allunga qualcosa che non cambia di un grammo la nostra esistenza. E
cosi', non toccata, anche la nostra esistenza si rende immune dalla presenza
anche massiccia della poverta'. Una poverta' silenziosa, densa come la
nebbia che in modo impercettibile ci tocca da ogni parte e che puo' passare
inosservata solo a colpi di rimozione percettiva, visiva, linguistica.
Ma il rimosso ritorna e la poverta' materiale di coloro che, invisibili, si
muovono nei bassifondi delle condizioni impossibili d'esistenza compie la
sua vendetta, mutilando la nostra esistenza, per consentirle di non
percepire che il nostro stato di benessere dipende direttamente dallo stato
di poverta' del mondo.
La condizione umana infatti e' comune. E il privilegio di chi vuol
difendersi non solo dalla poverta', ma anche dalla sua percezione, e'
l'inganno di un giorno.
Con cio' non voglio dire che l'Occidente e' diventato cattivo, insensibile e
cinico. La sua colpa non e' nella sua accresciuta insensibilita' e
indifferenza per le sorti del mondo (questa semmai e' la conseguenza non la
causa). La sua colpa morale consiste nell'aver consentito che la poverta'
del mondo divenisse "smisurata", perche', di fronte allo smisurato la nostra
sensibilita' si inceppa. Il "troppo grande" ci lascia indifferenti, non
freddi, perche' la freddezza sarebbe gia' un sentimento.
E quando ci dicono che nel mare di Sicilia ancora una volta altri tredici
disperati hanno perso la vita, il nostro sentimento si trova di fronte non a
una tragedia, ma a una statistica, di fronte alla quale piomba in una sorta
di analfabetismo emotivo. Questo analfabetismo, divenuto ormai nostra
cultura, e' peggiore di tutte le peggiori cose che accadono nel "non-mondo",
perche' e' cio' che rende possibile l'eterna ripetizione di queste terribili
cose, il loro accrescersi e il loro diventare inevitabili.

2. UMBERTO GALIMBERTI: SCOPRIRE IL DOLORE DELL'ANIMA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 febbraio 2007, col titolo "Scoprire
il dolore dell'anima"]

Perche' la psichiatria organicista, quella che impiega i farmaci per
intenderci, utilissimi, anzi in alcuni casi indispensabili per alleviare le
condizioni di chi soffre, non ascolta con una certa continuita' e frequenza
le parole che sgorgano dalla sofferenza e che riproducono in modo drammatico
le condizioni d'esistenza di ciascuno di noi, e in modo vertiginoso alcuni
abissi che solo l'arte, la poesia, la musica, la mistica fanno dischiudere,
chiedendo spesso il sacrificio dell'artista, del poeta, del musicista, del
mistico?
Solo la psichiatria fenomenologica, che in Italia non si insegna in nessuna
scuola di specializzazione, si presta a questo ascolto, per andare incontro
alla speranza di chi soffre, sciogliere i vissuti di colpa che incatenano,
perforare i muri della solitudine quando nessuna parola la raggiunge, nessun
gesto la incrina, fino a quel taedium vitae che tutti, per brevi attimi,
avvertiamo come nausea dell'esistenza.
Perche' non avviene un'integrazione di questi due orientamenti psichiatrici?
Perche' la pratica farmacologica sopprime l'ascolto, disumanizza l'uomo,
riducendolo ad un "caso" da rubricare in quei quadri nosologici, dove e'
l'efficacia del farmaco a decidere la diagnosi, mettendo a tacere tutte le
parole del dolore che la follia urla e le nostre anime sussurrano.
E cosi' disimpariamo il vocabolario emozionale, anche se sappiamo che tutte
le parole dimenticate diventano opachi silenzi del cuore, che aprono quei
percorsi bui e insospettati di cui ci accorgiamo solo quando approdano a
gesti tragici.
*
Perche' la follia sta diventando solo una faccenda medica e non piu' un
evento umano? Perche' la categoria della "malattia" deve occupare tutto lo
spazio, fino a oscurare la profonda parentela che esiste tra l'eccesso
dell'anima e la sua normale condizione? Perche' subito un medico o un
farmaco quando la malinconia di un adolescente o la sua angoscia, almeno
all'inizio, stanno implorando solo un po' di ascolto?
Davvero non abbiamo piu' fiducia in uno sguardo comprensivo, in una parola
che sa corrispondere all'abisso della disperazione? Davvero non abbiamo piu'
tempo in quest'epoca che ci vuole tutti insensatamente gioiosi, e se non
riusciamo, almeno mascherati da quella fredda razionalita' che non lascia
trasparire nessun moto d'anima?
E allora se proprio nessuno ci ascolta, se noi stessi, complici di questa
mancata comunicazione, imbocchiamo quella strada che ci porta a tacitare
l'anima, per poi offrirci, disarmati, alle sue profonde perturbazioni che
neppure sappiamo piu' riconoscere e tantomeno nominare, se il silenzio
intorno a noi e dentro di noi s'e' fatto cupo e buio, apriamo un luogo di
conoscenza, una terra amica, dove possiamo constatare che le "malattie
dell'anima", prima che una faccenda medica o farmacologica, sono condizioni
comuni dell'esistenza umana, che i poeti, prima e meglio degli psichiatri,
sanno descrivere in tutta la loro abissalita'. Perche' i poeti, come ci
ricorda Heidegger, sono "i piu' arrischianti", i piu' vicini, quando non i
piu' inoltrati negli scenari della follia, dove la condizione umana e'
descritta fino a quei limiti dove puo' estendersi e implorare ascolto,
accoglienza, ri-conoscenza.
*
A partire da queste considerazioni propongo agli psichiatri (perche' non
racchiudano subito la follia nelle mura spesse e opache della malattia) e a
tutti noi (per non cancellare fino a dimenticare del tutto le parole
dell'anima) due importanti contributi della psichiatria fenomenologica. Uno
di Eugenio Borgna, Come in uno specchio oscuramente, l'altro di Bruno
Callieri, Corpo, esistenze, mondi.
Si tratta dei due maggiori psicopatologi italiani che dall'alto della loro
biografia e pratica clinica si espongono in questi libri, raccontando per la
prima volta i loro incontri con l'esperienza psicotica a cui si sono
offerti, come ospiti ad un tempo stranieri e insieme compartecipi, a quei
mondi che oscillano tra realta' e delirio, in uno spazio coartato
dall'angoscia o dilatato nel buio senza confine e senza fondo della
depressione malinconica, alla ricerca di un senso, dove anche le forme piu'
sgangherate di follia, riflettono le aree tematiche raggiunte dai vertici
della poesia, o segretate nelle pieghe della nostra anima di cui non abbiamo
piu' cura.
*
Seguendo l'intuizione di Brentano, Eugenio Borgna legge la follia come "la
sorella sfortunata della poesia". E percio' le esperienze di vita e di morte
nelle considerazioni filosofiche di Simon Weil, la malinconia sfibrata e
oscura di Emily Dickinson e di Ingeborg Bachmann che si fa musica in Franz
Schubert, l'angoscia che soffoca e pero' trova parola in Georg Trakl ed
espressione in Francis Bacon, il destino di dolore e lo scacco esistenziale
di Van Gogh, nelle cui esperienze artistiche trova espressione l'angoscia
psicotica, sono quello specchio dove, talvolta oscuramente, talvolta con
toni abbaglianti, la condizione esistenziale di noi tutti trova un suo
riflesso, una sua descrizione, che la psichiatria organicista trascura,
mentre la psichiatria fenomenologica raccoglie per offrirla a chiunque
voglia conoscere quanto e' segretato nella propria anima, ma mai, per
fortuna, definitivamente sepolto.
C'e' infatti una creativita' sempre incistata nella follia, c'e' un bisogno
di esprimere mondi altri da quello che abitualmente abitiamo, c'e' un
desiderio di espandere orizzonti fino alla vertigine del senza-confine, c'e'
la perla della conchiglia, come vuole l'immagine di Jaspers la' dove scrive
che "Lo spirito creativo dell'artista, pur condizionato dall'evolversi di
una malattia, e' al di la' dell'opposizione tra normale e anormale e puo'
essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia
della conchiglia. Come non si pensa alla malattia della conchiglia
ammirandone la perla, cosi' di fronte alla forza vitale dell'opera non
pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita".
Proprio perche' ascolta, invece di tacitare immediatamente il linguaggio
della follia con il farmaco, Eugenio Borgna riesce a individuare e a
descrivere nel suo libro le differenze tra le connotazioni maschili e
femminili dell'anoressia nella sua immersione in un presente divorato dal
desiderio narcisistico di un corpo "altro" da quello che si ha, i diversi
modi maschili e femminili di vivere la tristezza vitale della depressione e
di immaginare la morte volontaria come ultimo orizzonte di una speranza
divenuta impossibile. E ancora, riconoscere i volti dell'angoscia nelle
differenti risonanze maschili e femminili di vivere gli sconvolgimenti
emozionali e le metamorfosi relazionali, dove, come in uno specchio, e' dato
cogliere, oscuramente, quel che e' in ciascuno di noi, perche' ciascuno di
noi, anche se non si accorge, e' quotidianamente impegnato ad armonizzare le
dissonanze tra il mondo della ragione e il mondo della follia che ci abita.
*
E a proposito di "mondi" Bruno Callieri descrive con la sensibilita' del
fenomenologo, da cui si tiene distante la psichiatria organicista, il mondo
della vita che ha per soggetto l'esistenza con i suoi vissuti e non
l'organismo a cui la pratica medica ha ridotto la nozione di "corpo".
Infatti, quando in gioco e' la sofferenza dell'esistenza, rapportarsi a un
"apparato organico" come fa la medicina o a un "apparato psichico" come fa
la psicologia e' diverso dal rapportarsi fenomenologicamente a un corpo
vivente che dispone di una sua esperienza e di un suo mondo. Organicamente
mi appariranno tensioni nervose e contrazioni muscolari, psicologicamente le
dinamiche di quell'energia che Freud ha chiamato libido, in nessuno dei due
casi mi apparira' una successione di esperienze, perche' sia l'apparato
organico, sia l'apparato psichico sono senza mondo e senza
quell'intenzionalita' che si dispiega nel desiderio, nel timore, nella
speranza e nella disperazione per le cose del mondo. A questo punto, pensare
di comprendere meglio l'esperienza di un corpo vivente che abita un mondo,
scindendolo nell'impersonalita' dei due sistemi, uno organico e uno
psichico, che per definizione non hanno un mondo, perche' sono costruiti sui
modelli concettuali ricavati dalla fisica e dalla biologia, significa non
rendersi conto di quanto sia assurdo tentare di comprendere persone con
procedimenti di spersonalizzazione.
Se infatti la follia, come ci ricorda Bruno Callieri, e' la scissione
nell'uomo, la sua lontananza dagli altri, la sua estraneita' al mondo, come
si puo' pensare di guarire applicando una dottrina i cui principi sono
l'esatta riproduzione delle componenti della follia? Come si puo' pensare di
condurre all'unita' dell'esistenza un uomo "a pezzi", servendosi di una
dottrina che non ha mai conosciuto l'unita', ma sempre e solo la
giustapposizione dei "pezzi"?
Se e' vero, come dice Heidegger che "il linguaggio parla", termini come
psico-fisico, psico-somatico, bio-psico-logico, psico-pato-logico,
psico-sociale dicono che la psicologia non ha mai conosciuto l'unita'
dell'esistenza, ma solo la composizione delle parti che la scienza ha gia'
consegnato ai vari sistemi. Il suo sforzo di ricostruzione, come ci ricorda
Laing, assomiglia "allo sforzo disperato dello schizofrenico per ricomporre
il suo io e il suo mondo disgregati".
*
Quando la psichiatria organicista prestera' ascolto alla psichiatria
fenomenologica e imparera' a conoscere le diverse modalita' della sofferenza
esistenziale che non ha organi specifici di riferimento? E soprattutto
quando noi, tutti noi, presteremo attenzione all'urlo straziante del folle o
al suo muto silenzio, dal momento che non possiamo ignorare che la sua
disperazione solo per intensita' e frequenza differisce dalla nostra?
"Noi siamo un colloquio" diceva Hoelderlin dall'abisso della sua follia, e
allora incominciamo a parlare e ad ascoltare prima di tacitare o mentre
attenuiamo l'urlo o il silenzio con un farmaco. Del resto gia' Kafka
annotava che "scrivere una ricetta e' facile, ma ascoltare la sofferenza e'
molto, molto piu' difficile".

3. UMBERTO GALIMBERTI RICORDA NICOLA BADALONI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 21 gennaio 2005, col titolo "Un filosofo
dell'azione. La scomparsa di Nicola Badaloni"]

Ogni tanto si incontrano filosofi a cui la disciplina, nella sua
formulazione scolastica e professionale, va stretta, e allora, senza
rinunciarvi, sfondano gli argini e mettono il loro sapere nella vita sociale
per interpretarla, scavarla, coglierla nei suoi vincoli e condizionamenti,
onde poter individuare vie di liberazione e quindi di emancipazione
individuale e sociale. Uno di questi filosofi e' stato Nicola Badaloni
scomparso ieri a Livorno dove era nato.
A lui gli amici e gli allievi del Dipartimento di filosofia dell'Universita'
di Pisa, solo un mese fa, avevano fatto omaggio di una raccolta di suoi
saggi: Inquietudini e fermenti di liberta' nel Rinascimento italiano, in
occasione del suo ottantesimo compleanno. La filosofia italiana dal
Rinascimento a oggi e' stato il grande campo di lavoro di Nicola Badaloni.
La sua ricostruzione differisce radicalmente da quella di Gentile e anche da
quella di Garin, per l'attenzione rivolta non solo alla storia delle idee,
ma a quel mondo della vita, attraversato da passioni e da conflitti sociali,
di cui molto spesso le idee sono figlie, capaci di sprigionare visioni del
mondo che condizionano la storia e meglio consentono di intenderla.
Lo storicismo, infatti, non era per Badaloni una "teoria della storia", come
lo era per Gentile e per la cultura idealistica da lui scaturita, ma, ce lo
ricorda Remo Bodei nell'Introduzione alla citata raccolta degli scritti di
Badaloni, una sorta di filosofia della "ragione impura", che tiene conto
delle imperfezioni e delle possibilita' del mondo che di solito l'astrazione
delle idee trascura. E in questo trascurare c'e' la rimozione della
concretezza che, come vuole il suo significato etimologico, deriva dal verbo
"concrescere" che indica cio' che cresce insieme ad altro, insieme alle
condizioni materiali che ispessiscono e densificano le idee, evitando di
diventare idee esangui.
Questo modo di fare filosofia, che ha trovato le sue espressioni piu' grandi
in Marx e da noi in Gramsci, a cui Badaloni ha dedicato diversi saggi tra
cui ricordiamo: Per il comunismo. Questioni di teoria (1972), Il marxismo di
Gramsci (1975), Marx e la ricerca della liberta' comunista (1978),
Dialettica del capitale (1980), Gramsci: la filosofia della prassi (1981),
Forme della politica e teoria del cambiamento (1983), questo mondo
"concreto" di far filosofia Badaloni lo individua come tratto tipico della
filosofia italiana, a partire da Campanella (a cui ha dedicato il volume
Tommaso Campanella del 1965) che per il suo impegno politico, oltre che per
le sue idee, passo' trent'anni della sua vita nelle prigioni ecclesiastiche.
Concreta e non solo visionaria era anche la filosofia di Bruno (a cui
Badaloni ha dedicato diversi saggi che vanno dal 1955 al 1994). Un Bruno che
difende la liberta' religiosa e la liberta' di coscienza contro
l'intransigenza di una Chiesa che lo mettera' al rogo. Lo stesso dicasi di
Galileo di cui Badaloni mette in evidenza la grande attenzione dello
scienziato per la coscienza comune che bisogna educare alla nuova scienza,
contro le resistenze ecclesiastiche che, a quanto pare, a sentir le cronache
di questi giorni, perdurano indefesse. E poi Vico (oggetto della tesi di
laurea con Cesare Luporini nel 1945) che della storia aveva fatto la sua
filosofia, convinto com'era che le idee nascessero dalle contingenze
storiche, quindi idee grondanti di materia, piu' amiche della contingenza
che della verita', la quale, guardata da vicino, non e' mai eterna, ma
sempre filia temporis.
E il tempo di Badaloni era il tempo del fascismo e della Resistenza, a cui
il filosofo prese parte con il nome di "Marco". Dopo la guerra divenne
sindaco di Livorno dal 1954 al 1966, quindi presidente dell'Istituto Gramsci
e preside della facolta' di lettere di Pisa negli anni duri del movimento
studentesco e del terrorismo. Al fianco di Pietro Ingrao nel Partito
comunista, Badaloni cerco' sempre la sintesi tra solidarieta' sociale e
liberta' dell'individuo, che e' reperibile alla sola condizione che non si
considerino le leggi economiche come un immutabile perche', se cosi' fosse,
alla liberta' e alla democrazia non resterebbero che quegli esigui margini
che le leggi di mercato, bonta' loro, concedono.
Questa e' la cifra di Badaloni che negli ultimi anni della sua vita
insistette molto sulla necessita' di perforare quegli incondizionati che
sono per Marx l'economia, per Nietzsche la volonta' di potenza, per Freud
l'inconscio, non per negarli, ma per ridurne l'ineluttabilita' e, attraverso
la coscienza e la buona volonta', per condizionarli in maniera che la
liberta' dell'uomo possa affermarsi sempre di piu' contro quelle forze
anonime che Marx, Nietzsche e Freud hanno avuto il merito di segnalare.

4. UMBERTO GALIMBERTI RICORDA SUSAN SONTAG
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 29 dicembre 2004, col titolo "Una lunga
battaglia culturale. La morte di Susan Sontag"]

Susan Sontag si era annunciata al pubblico negli anni Sessanta con un libro
Contro l'interpretazione. Gli psicanalisti e i filosofi ermeneuti lo
considerarono confuso. E li capisco. Li colpiva nella loro ombra, che e' poi
quella di ritenere che ogni evento sia suscettibile di interpretazione, e
quindi nasconda un significato recondito da portare alla luce, perche' tutto
deve avere una spiegazione. In realta' Susan Sontag voleva solo dire che non
tutte le cose hanno un significato, tantomeno le malattie perche' "non c'e'
niente di piu' primitivo che attribuire a una malattia un significato,
poiche' tale significato e' inevitabilmente moralistico".
Alla fine degli anni Settanta Susan Sontag esplicito' questo concetto in un
bellissimo pamphlet che ha per titolo Malattia come metafora, che Einaudi
farebbe bene a ripubblicare, se non altro per evitare che i malati di cancro
o di Aids, oltre alle sofferenze fisiche, si trovino a dover sopportare il
sospetto moralistico che l'ignoranza da un lato e un insopprimibile bisogno
di spiegazione dall'altro attribuiscono alle condizioni di malattia, di
sofferenza, di dolore.
La tubercolosi era un flagello, ma la letteratura, Thomas Mann in
particolare, l'aveva resa un simbolo di raffinatezza, quando non una
consunzione d'amore. Persino Freud, amico di Mann, non lo escludeva. E su
questo aspetto metaforico della malattia sorse quella pseudoscienza che
porta il nome di "psicosomatica", dove si afferma, naturalmente senza
spiegare come, che le pene dell'anima, quando non le sue colpe, si
convertono in malattie del corpo. Potenza delle metafore e dei simboli,
vivificati piu' dalla letteratura che dalla scienza.
Di solito la letteratura e con lei la mitologia e la religione interpretano
quel che la scienza ancora ignora. Immemori del monito di Ippocrate che, di
fronte all'epilessia interpretata come "male sacro", scriveva: "Circa il
male cosiddetto sacro questa e' la realta'. Per nulla e' piu' divino delle
altre malattie o piu' sacro, ma ha struttura naturale e cause razionali. Gli
uomini tuttavia lo ritengono in qualche modo opera divina per ignoranza e
stupore".
Contro questa ignoranza, ammantata di sacralita' o di estetica, si e'
battuta Susan Sontag, concentrando la sua attenzione su quella che negli
anni Settanta era considerata, e in una certa misura lo e' ancora oggi, la
malattia mortale: il cancro, che a partire da Reich e' stato psicologizzato
nella forma della repressione sessuale, e da Groddeck visualizzato come
"malattia di chi vuole morire perche' la vita gli e' diventata
insopportabile". Ne consegue che come cura basterebbe la buona volonta', la
forza di lottare, come vuole il nostro tempo dove, dice Susan Sontag, la
metafora militare e' quella vincente, quando a regolare il mondo non e' il
dialogo e l'accettazione dell'altro, ma la forza e la soppressione
dell'altro.
Fu cosi' che da malattia che insorge per specifiche condizioni organiche, il
cancro diventa, per il malato, colpa della degenerazione della sua vita e,
per traslazione, metafora della degenerazione politica e sociale, descritta,
scrive Susan Sontag, "con immagini che riassumono il comportamento negativo
dell'homo oeconomicus novecentesco: sviluppo anormale, repressione
dell'energia che si manifesta nel rifiuto di consumare e di spendere".
L'insegnamento di Susan Sontag, che ci invita a demetaforizzare la malattia
ed eliminare tutte le interpretazioni, che hanno sempre uno sfondo
colpevolizzante, di cui si servono il potere, la morale e la legge per
tenere a bada le condotte di vita degli individui, torna particolarmente
attuale oggi di fronte a quell'epidemia che chiamiamo Aids. I malati di
Aids, oltre alla malattia, devono combattere l'immagine della malattia, che
e' piu' spaventosa e piu' difficile da vincere della malattia stessa.
L'origine sessuale quando non omosessuale della malattia, il suo propagarsi
ai bordi della citta' tra gli emarginati vittime della tossicodipendenza
offre alla morale, sempre in cerca della colpa perche' avida di punizione,
un terreno fecondo per il consolidamento dei suoi principi e l'esercizio dei
suoi divieti.
A questo punto l'Aids, direbbe Susan Sontag se solo avesse avuto il tempo di
occuparsene, e' soprattutto una vicenda etica e sociale. Investe il costume,
lo stile di vita, la forza dei sentimenti. Radicalizza la distanza tra
salute e malattia, tra norma e devianza, e nello stesso tempo contamina la
malattia con la colpa, la colpa col peccato, il peccato con la punizione.
Contro l'Aids la ricerca scientifica fa e fara' i suoi passi avanti, ma
contro l'immaginario qualcosa possiamo fare noi tutti, con un'informazione
corretta che faccia piazza pulita del frastuono dei messaggi dettati
dall'ignoranza, dalla paura o dal compiacimento moralistico. Ma
l'immaginario, soprattutto quello difensivo che ci tiene lontano dagli
altri, ci ricorda Susan Sontag, e' piu' difficile da sconfiggere di quanto
non lo siano le malattie.
L'immaginario colpevolizzante, infatti, e le metafore che lo sostengono sono
il maggiordomo e le ancelle del potere che ha sempre regolato la vita degli
uomini con la paura. Paura dell'aldila' quando si credeva nell'anima, paura
della malattia e della morte quando quella fede e' caduta. Susan Sontag, con
i suoi scritti e i suoi libri, ha speso l'intera vita contro l'uso
dell'immaginario a scopi repressivi, contro le fandonie di tutti i poteri,
da quelli religiosi a quelli politici, che fanno uso della metafora e
dell'interpretazione per contenere le condotte e limitare la vita degli
uomini.

5. UMBERTO GALIMBERTI PRESENTA IL "SIMPOSIO" DI PLATONE
[Dal quotidiano "La Repubblica" dell'11 aprile 2007, col titolo "Il Simposio
di Platone. Tra ragione e follia"]

Il Simposio di Platone e', tra i dialoghi del filosofo di Atene, il piu'
vertiginoso perche' mette in tensione l'ordine della ragione, che Platone ha
inaugurato per l'intero Occidente, con l'abisso della follia che Platone
definisce: "Piu' bella della saggezza d'origine umana". Mediatore tra l'uno
e l'altro mondo e' Amore il cui compito e' di tradurre e interpretare i
messaggi della follia inaccessibili alla ragione e le parole della ragione
incomprensibili alla follia.
Folle e' il mondo degli dei che, concedendosi a tutte le metamorfosi, non si
attengono al principio di identita' e di non contraddizione che sono i
cardini della ragione. Del resto gia' Eraclito aveva detto che: "Il dio e'
giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazieta' e fame, e si
mescola a tutte le cose assumendo di volta in volta il loro aroma", mentre
"l'uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l'altra", in una parola non
mescola, come invece fa il dio, tutte le cose, ma istituisce quelle
identita' e differenze che, tra loro disgiunte e connesse, istituiscono
l'ordine della ragione che e' prerogativa dell'uomo e non del dio.
Accade pero' che nel Simposio Platone non considera l'anima razionale da lui
inaugurata nella sola prospettiva dell'ordine a cui contribuisce. Sa infatti
da quale caos l'ha evocata perche' conosce le passioni che hanno alimentato
la crisi di cui si e' fatta interprete la tragedia, non ignora la temibile
apertura verso la fonte opaca e buia di ogni valore sociale che chiama in
causa il fondamento stesso della citta', sa che la ragione e il sapere che
la esprime si ottengono, come la buona armonia nella citta', espellendo il
katharma, il residuo del sacrificio, il rifiuto del discorso che non sta
alla regola, ma sa anche che bisogna sacrificare agli de'i perche' e' da
quel mondo che vengono le parole che poi la ragione ordina in sequenza non
oracolare e non enigmatica. Per questo, nell'edificare il cosmo della
ragione, il solo che gli uomini possono abitare, Platone non chiude l'abisso
del caos, ma lo riconosce come minaccia e dono, come sede di parole
incontrollabili, come dimora degli dei, e percio' dice: "I beni piu' grandi
ci vengono dalla follia naturalmente data per dono divino".
Per Platone infatti anche la follia e' un'esperienza dell'anima, nella
consapevolezza che le esperienze dell'anima sfuggono a qualsiasi tentativo
che cerchi di fissarle e disporle in successione ordinata perche', al di la'
di ogni ordine razionale, l'anima sente che la totalita' e' sfuggente, che
il non-senso contamina il senso, che il possibile eccede sul reale, che ogni
tentativo di comprensione totale emerge da uno sfondo abissale che e' caos,
apertura, spalancamento, disponibilita' per tutti i sensi. Intermediario tra
il mondo della ragione e il mondo della follia e' Amore, per accedere al
quale bisogna soffrire quella malattia che Socrate chiama "a-topia" e che
noi potremmo tradurre con "dis-locazione". Per accedere agli abissi della
follia che ci abita occorre infatti dislocarsi dal recinto protetto dalla
ragione, abbandonare le dimore dell'io e, per non perdersi nella follia,
occorre che ad accompagnarci sia l'amato, che noi amiamo proprio perche'
egli ha colto e in qualche modo riflesso la nostra follia. Amore, infatti,
e' si' un evento duale, ma non tra me e te, ma, grazie a te, tra il mio
ordine razionale e l'abisso della mia follia.

6. ET COETERA

Umberto Galimberti, filosofo, saggista, docente universitario; materiali di
e su Galimberti sono nei siti http://venus.unive.it e www.feltrinelli.it
(che presenta molti suoi interventi sia scritti che audio e
videoregistrati). Dal sito www.feltrinelli.it riprendiamo la seguente scheda
aggiornata: "Umberto  Galimberti e' nato a Monza nel 1942, e' stato dal 1976
professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore
associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 e' professore ordinario
all'universita' Ca' Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia
della Storia. Dal 1985 e' membro ordinario dell'international Association
for Analytical Psychology. Dal 1987 al 1995 ha collaborato con "Il Sole-24
ore" e dal 1995 a tutt'oggi con il quotidiano "la Repubblica". Dopo aver
compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e di psicologia, ha
tradotto e curato di Jaspers, di cui e' stato allievo durante i suoi
soggiorni in Germania: Sulla verita' (raccolta antologica), La Scuola,
Brescia, 1970; La fede filosofica, Marietti, Casale Monferrato, 1973;
Filosofia, Mursia, Milano, 1972-1978, e Utet, Torino, 1978; di Heidegger ha
tradotto e curato: Sull'essenza della verita', La Scuola, Brescia, 1973.
Opere di Umberto  Galimberti: Heidegger, Jaspers e il tramonto
dell'Occidente, Marietti, Casale Monferrato 1975 (Ristampa, Il Saggiatore,
Milano, 1994); Linguaggio e civilta', Mursia, Milano 1977 (II edizione
ampliata 1984); Psichiatria e Fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1979; Il
corpo, Feltrinelli, Milano, 1983 (Premio internazionale S. Valentino d'oro,
Terni, 1983); La terra senza il male. Jung dall'inconscio al simbolo,
Feltrinelli, Milano 1984 (premio Fregene, 1984); Antropologia culturale, ne
Gli strumenti del sapere contemporaneo, Utet, Torino 1985; Invito al
pensiero di Heidegger, Mursia, Milano 1986; Gli equivoci dell'anima,
Feltrinelli, Milano 1987; La parodia dell'immaginario in W. Pasini, C.
Crepault, U. Galimberti, L'immaginario sessuale, Cortina, Milano 1988; Il
gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano 1989; Dizionario di psicologia,
Utet, Torino 1992 (nuova edizione: Enciclopedia di Psicologia, Garzanti,
Milano, 1999); Idee: il catalogo e' questo, Feltrinelli, Milano 1992; Parole
nomadi, Feltrinelli, Milano 1994; Paesaggi dell'anima, Mondadori, Milano
1996; Psiche e techne. L'uomo nell'eta' della tecnica, Feltrinelli, Milano
1999; E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza (opera dialogica
con Edoardo Boncinelli e Giovanni Maria Pace), Einaudi, Torino 2000; Orme
del sacro, Feltrinelli, Milano 2000 (premio Corrado Alvaro 2001); La lampada
di psiche, Casagrande, Bellinzona 2001; I vizi capitali e i nuovi vizi,
Feltrinelli, Milano 2003; Le cose dell'amore, Feltrinelli, Milano 2004; Il
tramonto dell'Occidente, Feltrinelli, Milano 2005; La casa di psiche. Dalla
psicoanalisi alla consulenza filosofica, Feltrinelli, Milano 2006. E' in
corso di ripubblicazione nell'Universale Economica Feltrinelli lí'intera sua
opera. Traduzioni all'estero: in francese: (Il corpo) Les raisons du corps,
Grasset Mollat, Paris, 1998; in tedesco: (Gli equivoci dell'anima) Die
Seele. Eine Kulturgeschichte der Innerlichkeit, Verlag Turia + Kant, Wien,
2003; (Le cose dell'amore) Liebe, Beck, Monaco, 2006; in greco: (Storia
dell'anima) Historia tes psyches, Apollon, Thessaloniki, 1989; (Paesaggi
dell'anima) Topia psyches, Itamos, Athina, 2001; (Gli equivoci dell'anima)
Parermeneies tes psyches, University Studio Press, Athina, 2004: in
spagnolo: (Dizionario di psicologia) Diccionario de psicologia, Siglo
Veintiuno Editores, Citta' del Messico 2002; (Le cose dell'amore), Las cosas
del amor, Imago mundi, Madrid, 2006; in portoghese: (Orme del sacro) Rastros
do sagrado, Paulus, Sao Paulo, Brasil, 2003; (I vizi capitali e i nuovi
vizi) Os vicios capitais e os novos vicios, Paulus, Sao Paulo, Brasil, 2004;
(Psiche e techne. L'uomo nell'eta' della tecnica) Psiche e techne. O homen
na idade da tecnica, Paulus, Sao Paulo, Brasil, 2005; in giapponese: I vizi
capitali e i nuovi vizi, Tokio, 2004".
*
Eugenio Borgna (Borgomanero, 1930), psichiatra, docente, saggista, e' una
delle figure piu' autorevoli della psichiatria fenomenologica in italia;
gia' docente di clinica delle malattie nervose e mentali presso
l'Universita' di Milano, primario emerito del servizio di psichiatria
dell'Ospedale Maggiore di Novara, "e' tra i primi in Italia che all'inizio
degli anni Sessanta applicano i principi teorici dell'antropoanalisi e della
psicopatologia fenomenologica allo studio della malattia mentale. Ha avviato
interessanti ricerche nel campo della malinconia, della schizofrenia,
nonche' sui fondamenti epistemologici e metodologico della psichiatria"
(Aldo Carotenuto ed., 1992); "autore di numerosi saggi tra cui L'arcipelago
delle emozioni e Malinconia, alterna una produzione piu' tecnica, rivolta ai
colleghi psichiatri, a libri piu' divulgativi dove analizza emozioni e
sentimenti che possono essere segni di disagio e psicosi. Borgna contesta
l'interpretazione naturalistica oggi in voga delle malattie mentali, che
ricerca le cause della psicosi nel malfunzionamento dei centri cerebrali e
le sue cure nei farmaci e nell'elettroshock. Egli, pur dichiarando
indispensabile l'ausilio dei farmaci nel caso di psicosi, difende la
necessita' di porsi in relazione con il paziente e di penetrarne il mondo.
Il talento di Borgna consiste appunto nella capacita' di penetrare il mondo
psicotico, tanto nel rapporto con i pazienti dell'Ospedale Maggiore di
Novara, quanto sulla pagina scritta, dove con l'ausilio delle storie dei
suoi malati e dei testi letterari di famosi psicotici come Antonin Artaud e
Gerard de Nerval, riesce a dare voce all'urlo silenzioso di questa
patologia" (dal sito di Festivaletteratura). Tra le opere di Eugenio Borgna:
I conflitti del conoscere, Feltrinelli, 1989, 1999; Malinconia, Feltrinelli,
1992, 2002; Come se finisse il mondo, Feltrinelli, 1995, 2002; Le figure
dell'ansia, Feltrinelli, 1997; Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, 1999;
L'arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, 2001; Le intermittenze del cuore,
Feltrinelli, 2003; Il volto senza fine, Le Lettere, 2004; Le figure
dell'ansia, Feltrinelli, 2005; L'attesa e la speranza, Feltrinelli, 2005.
*
Bruno Callieri (Roma, 1923), psichiatra, docente, saggista, "Insieme a
Borgna, Cargnello e Basaglia introduce in Italia negli anni Sessanta le idee
della antropoanalisi e della psicopatologia fenomenologica, contrapponendosi
alla psichiatria organicista" (Aldo Carotenuto, ed, 1992), primario emerito
di psichiatria e docente di psichiatria e di clinica neuropsichiatrica
all'Universita' "La Sapienza" di Roma, autore di numerosi saggi, partecipe
di varie esperienze di impegno culturale e civile. Tra le opere di Bruno
Callieri: Lineamenti di una psicologia fenomenologica, Il pensiero
scentifico, Roma 1972; Quando vince l'ombra. Problemi di psicopatologia
clinica, Citta' Nuova, Roma 1982, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2001;
(a cura di, con Arnaldo Ballerini), Breviario di psicopatologia. La
dimensione umana della sofferenza mentale, Feltrinelli, Milano, 1996;
Percorsi di uno psichiatra, Edizioni Universitarie Romane, Roma 1993; (con
Mauro Maldonato, Gilberto Di Petta), Lineamenti di psicopatologia
fenomenologica, Guida, Napoli 1999; (con Laura Faranda), Medusa allo
specchio. Maschere fra antropologia e psicopatologi, Edizioni Universitarie
Romane, Roma 2001; Corpo esistenze mondi. Per una psicopatologia
antropologica, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2007.
*
Nicola Badaloni, nato nel 1924 e deceduto nel gennaio 2005, antifascista,
militante del movimento operaio, e' stato un illustre pensatore e docente;
tra gli altri suoi rilevanti scritti ci piace qui ricordare particolarmente
l'impegnato contributo alla riflessione su nonviolenza e marxismo, in
Movimento Nonviolento, Marxismo e nonviolenza, Editrice Lanterna, Genova
1977. Un suo ricordo scritto da Guido Liguori e' ne "La nonviolenza e' in
cammino" n. 825.
*
Susan Sontag e' stata una prestigiosa intellettuale femminista e pacifista
americana, nata a New York nel 1933, deceduta sul finire del 2004;
acutissima interprete e critica dei costumi e dei linguaggi, fortemente
impegnata per i diritti civili e la dignita' umana; tra i molti suoi libri
segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in Contro
l'interpretazione e Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e Malattia
come metafora, presso Einaudi; tra i suoi lavori piu' recenti segnaliamo
particolarmente il notevole Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano
2003.

==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 79 del 14 luglio 2007

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it