Minime. 148



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 148 del 12 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Carogno Mozzarecchi: Se fossi afgano
2. Maria G. Di Rienzo: Buone notizie
3. Enrico Peyretti: Nonviolenza e tecniche di difesa nonviolenta (parte
quarta e conclusiva)
4. Clotilde Barbarulli presenta "Critica della violenza etica" di Judith
Butler
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CAROGNO MOZZARECCHI: SE FOSSI AFGANO

Ah, per fortuna che non sono afgano.
Ma se fossi afgano no, non mi starebbe bene per niente essere bombardato da
trent'anni, e se provo a protestare mi si dice che il terrorista sono io.
Se fossi afgano no, non direi proprio che con le bombe ci state portando la
civilta' e la democrazia, come l'Armata rossa non ci portava il socialismo e
l'avvenire, ma infinite stragi, quelle si', e se provo a protestare mi si
dice che il terrorista sono io.
Se fossi afgano no, non mi sembrerebbero ben spesi i fiumi di denaro che
avete usato e usate ancora per continuare a torturarci, mutilarci,
massacrarci, e non ci troverei nulla da sorridere e da applaudire nelle
conferenze internazionali in cui vi gloriate di quanto avete fatto e di
quanto ancora farete, e se provo a protestare mi si dice che il terrorista
sono io.
Ah, per fortuna che non sono afgano.
Io grazie al cielo sono italiano.
Io sono dalla parte di quelli che bombardano. Io sono del partito degli
stragisti planetari, dei torturatori globali, dei razzisti imperiali, dei
terroristi di stato. Io sono dalla parte del comandante in capo Bush e degli
italici attendenti suoi Prodi e Berlusconi.
Mica sono scemo, io.

2. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: BUONE NOTIZIE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
queste notizie.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un
piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

In aprile, in Australia, si e' cominciato a costruire il primo partito
composto solo da donne: "What Women Want" (Cosa vogliono le donne). Al 28
giugno, data della sua presentazione ufficiale a Brisbane, il partito
contava 650 iscritte/i: infatti vi sono anche alcuni uomini desiderosi di
sostenere l'impresa. La fondatrice Justine Caines, gia' senatrice al
Parlamento australiano, ritiene che questo sia il momento giusto: "I nostri
politici continuano a dire che vogliono un maggior coinvolgimento delle
donne, eppure pare lo offrano solo alle loro condizioni, perche' basta
parlare con una donna che voglia impegnarsi come candidata e si scopre che
la faccenda e' terribilmente difficile, e non deve esserlo. Se la nostra
partecipazione ha cosi' grande valore, perche' non si fa nulla per
favorirla?".
Buona domanda, Justine, la passo ai nostri parlamentari.
*
Ad incoraggiare le donne alla partecipazione in politica ci pensa intanto il
governo dell'Oman. Un comitato governativo preposto alla comunicazione sta
portando avanti una massiccia campagna d'informazione sui media e attende
una buona risposta per le elezioni d'ottobre. "Le donne sono meta' della
nostra societa', e noi abbiamo intrapreso speciali iniziative per
incoraggiare la loro partecipazione, come elettrici e come candidate", ha
dichiarato il Ministro degli Interni Saud Bin Ebrahim Al Busaeedi.
*
Nel frattempo le donne ci provano anche con la presidenza. Sapremo se
l'indiana Pratibha Patil ce l'avra' fatta allíindomani delle elezioni
presidenziali del 19 luglio 2007; parlando ad un grande raduno di donne a
Chennai (50.000 presenze), Patil ha detto che "Le donne, le spine dorsali di
ogni casa, lavorano duramente per il progresso e lo sviluppo della nazione"
ed e' ora che abbiano qualche riconoscimento. Patil intende premere, se
sara' eletta, per riservare il 33% dei seggi parlamentari alle donne. Nella
Corea del Sud si candida alla presidenza Han Myung-sook, del partito
governativo Uri, che ha ricoperto la carica di Prima Ministra (ed e' stata
la prima donna del paese a rivestire tale ruolo). Han, che ha favorito la
cooperazione tra le due Coree, e' data attorno al 10% dei consensi. In
Argentina si fa avanti la moglie del presidente in carica Nestor Kirchner:
Cristina Fernandez de Kirchner si presentera' alle elezioni del prossimo
ottobre e fra le sue sostenitrici c'e' anche Elisa Carrio, una deputata
dell'opposizione.
*
In Kenya, i leader religiosi musulmani si sono uniti alla lotta contro le
mutilazioni genitali femminili. Durante la preghiera del venerdi' insistono
sul fatto che esse non hanno nulla a che vedere con l'Islam: "Il nostro
primo passo e' stato informare le persone, e convincere i genitori che non
si tratta di un requisito religioso", dice lo Sheikh Harun Rashid della
moschea di Isiolo Rahma, "Abbiamo cominciato a piccoli passi gia' dieci anni
fa, ma oggi e' tutto il Consiglio degli Imam e dei Predicatori del Kenya ad
impegnarsi". Il paese ha firmato il famoso Protocollo di Maputo nel 2005, ma
gia' dal 2001 aveva bandito la pratica con una legge tesa alla protezione
dei bambini.
*
La morte di una ragazzina di dodici anni, sopravvenuta mentre veniva
sottoposta a mutilazioni genitali, ha funto da sprone per il bando della
pratica in Egitto. Suzanne Mubarak, la "first lady" egiziana, si e'
impegnata personalmente nella campagna per cancellare la legge precedente,
che permetteva le mutilazioni in "circostanze eccezionali": "Le mutilazioni
genitali sono un esempio flagrante della continua violenza fisica e
psicologica perpetrata contro i bambini, e devono finire". Le autorita'
religiose del paese hanno espresso inequivocabile sostegno al bando:
musulmani e cristiani copti hanno ribadito che non vi e' alcuna base nel
Corano o nella Bibbia per giustificare la mutilazione delle donne.
*
I "caschi blu" delle Nazioni Unite verranno finalmente formati alle istanze
di genere. La decisione e' stata presa dopo che le Nazioni Unite si erano
viste costrette ad investigare su 340 casi denunciati, solo nel 2005, di
abusi sessuali e stupri perpetrati da 217 militari e 123 civili impegnati
nelle missioni di peacekeeping ad Haiti, nella Repubblica Democratica del
Congo ed in Kosovo. E le denunce continuano ad arrivare a tutt'oggi. "Sapere
di piu' su come donne ed uomini fanno differente esperienza dei conflitti
aiutera' i ìcaschi bluî a rispondere piu' efficacemente alla violenza di
genere, e a prevenire gli abusi sessuali", dice Carmen Moreno, direttrice
dell'Istituto internazionale di ricerca e formazione per l'avanzamento delle
donne (Instraw).
Per preparare i seminari, 140 esperti da tutto il mondo hanno discusso per
tre settimane, durante lo scorso aprile, e non pochi hanno espresso
preoccupazione per le difficolta' di affrontare nuovi concetti sulla
violenza domestica e sessuale all'interno di organizzazioni basate su una
mascolinita' militarizzata. Per questo, e' stato deciso che molti dei
formatori saranno uomini: vedere una figura maschile in posizione
d'autorita' parlare di genere e prevenzione della violenza dovrebbe
configurare un bel cambio qualitativo per poliziotti e soldati.
*
Monica Arac de Nyeko, scrittrice ugandese nata nel 1979, ha vinto il
prestigioso "Premio Caine per la scrittura africana" con il romanzo L'albero
Jambula, che tratta un soggetto largamente tabu', in Africa: l'amore fra due
giovani donne in un paese in cui l'omosessualita' e' illegale. "Penso ci
siano molte cose di cui dovremmo cominciare a parlare, senza nasconderle
dietro un muro di forti emozioni", ha dichiarato l'autrice, "Il libro e' la
storia della lotta per giungere ad avere il potere di sognare e di amare".
Concludendo il discorso di accettazione del premio, Monica ha detto di dover
assolutamente andare a telefonare a sua sorella: "Devo dirle che puo'
smettere di pregare, perche' ormai dev'essere un bel pezzo che se ne sta
sulle ginocchia".
*
Fonti: News.com, WeNews, The Hindu, The Gulf Times, Bbc, Irin News.

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NONVIOLENZA E TECNICHE DI DIFESA
NONVIOLENTA (PARTE QUARTA E CONCLUSIVA)
[Dalla pagina web http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_20410.html
riprendiamo il seguente saggio gia' pubblicato nell'Annuario di filosofia
"Pace e guerra tra le nazioni", a cura di Vittorio Possenti, Guerini e
Associati editori, Milano 2006, alle pp. 243-282, col titolo Nonviolenza e
tecniche di difesa nonviolenta, e la seguente scansione in paragrafi: Lo
spirito e le tecniche; Mezzi e fini; Satyagraha; Obiezione di coscienza;
Disobbedienza civile; Capitini, Sharp, Semelin; L'altra Resistenza; Le lotte
di Gandhi; Terrorismo atomico; Rigenerazione della politica.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68]

Gandhi e il terrorismo
Ma certamente Gandhi seppe affrontare anche i conflitti sociali piu' acuti e
violenti, confinanti col fenomeno guerra. Il capitolo IV del gia' citato
libro di Manara, Gandhi, il terrorismo e la nonviolenza, e' di
impressionante attualita'. Gandhi, contrariamente ad un errato luogo comune,
non ebbe a che fare con un dominio coloniale dolce, ebbe invece esperienza
diretta di entrambi i terrorismi, inglese e indiano. Coi terroristi indiani
dialogo' intensamente, sia a Londra, sia in India: mai interruppe il dialogo
franco con loro, mai penso' che la condanna del metodo dovesse chiudere il
discorso aperto e critico. Riconosce e ammira il loro zelo, mentre lo
critica apertamente come fuorviato. Atti di terrorismo scandiscono
continuamente i suoi anni, fino a colpirlo a morte, nel 1948. Egli sviluppa
una decina di argomenti sui modi di giudicare e contrastare il terrorismo
(pp. 138-147), che e' il "culto delle pistole e delle bombe" (Kulke): i
principali sono il nesso tra mezzi e fini; la necessita', ben piu' che della
repressione, di cercare le cause profonde del terrorismo "popolare", il
quale e' segno di debolezza; i due terrorismi si rafforzano a vicenda, ma
piu' grave e' il terrorismo di stato, perche' usa le istituzioni e corrompe
l'intera popolazione. Soprattutto, Gandhi indica la "non-ritorsione" come
l'unica via d'uscita dalla spirale: questa e' l'arma del forte, che fa
ricorso a profonde forze spirituali, come leggiamo nel lungo grande brano
del 1947 (p. 145).
Oggi, al terrorismo internazionale e interno, veramente preoccupante, si e'
opposta esclusivamente la guerra occidentale dispiegata, senza limiti di
mezzi, di forme, di armi illegali, di tempi, senza rispetto delle
convenzioni internazionali e degli stessi diritti civili dei cittadini,
mettendo a rischio la democrazia, con enorme cecita' e insipienza, che
accresce disastri e dolori, che risulta analoga e omologa al terrorismo che
combatte, e semina altri mali nel futuro. I popoli minacciati possono
accettare questa politica per paura, ma appena riescono a ragionare non la
riconoscono saggia e giusta. I popoli da cui vengono i terroristi fanatici
vivono un tempo di disperazione storica: quando mancano prospettive di
azione e di relazioni collettive vivibili, serpeggiano ed esplodono pulsioni
di morte. Poche voci sapienti hanno ricordato che anche il criminale e'
umano, mentre nega l'umanita', anche le culture fuorviate riflettono drammi
storici, memorie avvelenate, che vanno risanate col coraggio della verita'.
Il criminale va certamente contrastato e impedito, ma anche incontrato nel
suo distorto stato d'animo, correggendo il rapporto rovinato, per
ricuperarlo alla comune umanita', con una prospettiva ampia, storica,
attenta alle storie di culture e generazioni, e non angustamente
securitaria.
*
Terrorismo atomico
La forma di terrorismo piu' vasta e grave e' quello atomico, che e'
terrorismo di stato, fino dal suo uso nel 1945, minacciato lungo tutta la
guerra fredda, fino ad oggi: fino all'uso clandestino di armi all'uranio
impoverito nelle guerre recenti e in corso, fino alla possibilita' attuale
di mini-atomiche usabili anche da singoli, nelle "guerre privatizzate o
individualizzate" (56).
Come difendersi? Quale tecnica nonviolenta vale contro un attacco nucleare?
Non c'e' difesa. La tecnologia si arrabatta ad inventarne, ma eleva solo il
livello di pericolo e moltiplica i danni e le conseguenze imprevedibili.
Cosi', non c'e' difesa dall'arma assoluta, quale e' l'uso mortale del
proprio corpo-bomba da parte dell'attentatore sui-omicida, che annulla la
minaccia di morte oppostagli dall'avversario trasformandola in strumento
proprio. Solo la politica saggia, capace di prevenire la guerra con atti di
pace e di giustizia preventiva, ha possibilita' di fermare prima dell'uso la
bomba nucleare e il corpo-bomba. Solo una legge internazionale uguale per
tutti, che impegna tutti contro la proliferazione nucleare ed anzi obbliga
alla riduzione continua di tali armi, fino alla eliminazione, da parte di
tutti, e non imposta solo ad alcuni, puo' dare qualche garanzia. Nessuna
garanzia e' assoluta, perche' malvagita' e follia sono ineliminabili
dall'umanita', ma la maggiore probabilita' di sicurezza sta nel non eccitare
quelle patologie con l'istituire dominio e iniquita', che sono la prima
radicale violenza strutturale, piu' profonda e continua della stessa
violenza fisica. Se poi a strutture ingiuste si accompagna la forma ancora
piu' profonda e grave di violenza, che e' la violenza culturale, la quale
rispetta, giustifica, onora e, quando occorre, occulta le violenze
strutturali e dirette, allora il male e' della massima gravita'. Il fatto e'
che sono violente appunto le culture, tante culture, anche vantate come
civili e con forme democratiche. Non dimentico quelle parole di Raimon
Panikkar: "Il compito della filosofia nel momento attuale e' tanto semplice
da enunciare quanto difficile da realizzare: consisterebbe, a mio parere,
nel disarmare la ragione armata" (57).
*
Rigenerazione della politica
Cosi' il discorso necessario e concreto sulle tecniche ci conduce ancora una
volta a cio' che include e da' senso al lavoro sulle tecniche, cioe' la
purificazione incessante della prassi (58). "Il metodo gandhiano non va
inteso come un insieme di regole per prendere piu' subdolamente e
astutamente il potere nel contrasto con chi si oppone a noi, e neppure
soltanto alla stregua di una metodologia di risoluzione razionale dei
conflitti. Il metodo di Gandhi va visto invece come un autentico cammino di
guarigione dell'anima. Guarigione che riguarda sia chi fa la scelta della
nonviolenza, sia quanti ne sono provocati mentre si oppongono al
nonviolento, sia il tessuto della societa' nel suo complesso" (59).
Lo stesso concetto di difesa, cosi' spesso abusato nella storia, tanto da
chiamare difesa l'offesa - come fece Hitler nello scatenare la seconda
guerra mondiale, e non lui solo - aggiungendo la menzogna alla violenza, in
Gandhi e' purificato e rettificato. La nonviolenza e' difesa della dignita'
umana, non sempre della proprieta' e di altri beni materiali, sebbene anche
per questi sia baluardo migliore delle armi; non e' di alcun aiuto nel
difendere guadagni illeciti e azioni immorali. La difesa della dignita'
umana e' efficace se vale indissolubilmente per la vittima e per
l'aggressore (60). "Il metodo della nonviolenza rappresenta la via della
rigenerazione della prassi politica appunto perche' la ricolloca sul suo
terreno vitale di unificazione, di alimentazione e di purificazione" (61).
La nonviolenza e' un'esigenza filosofica, esistenziale, politica. Anche se
ne cerchiamo e ne impariamo le tecniche concrete, resta sempre una ricerca,
mai una ricetta preconfezionata. Va vista dunque ne' come uno strumento
impugnabile, ne' come un sogno sfuggente. Essa e' un cammino, una dinamica:
non e' una caratteristica della politica attuale, ma e' una storia realmente
cominciata, avviata. Essa comincia a rispondere davvero, e rimane al tempo
stesso la domanda buona, anche di fronte all'esigenza critica o scettica. Mi
pare che dica bene Muller: "La riflessione filosofica non ci autorizza ad
affermare che la nonviolenza sia la risposta che offre in tutte le
circostanze i mezzi tecnici per affrontare le realta' politiche, ma ci porta
ad affermare che la nonviolenza e' la domanda che, di fronte alle realta'
politiche, ci permette in tutte le circostanze di cercare la migliore
risposta. Se, immediatamente, volessimo considerare la nonviolenza come la
risposta buona, noi non vedremmo altro che le difficolta' a metterla in atto
e rischieremmo di convincerci rapidamente che esse sono insormontabili.
Invece, se noi consideriamo la nonviolenza come la domanda buona, potremo
allora guardarla come una sfida da raccogliere e applicarci a cercare la
migliore risposta che possa esserle data. Fino ad oggi gli uomini
generalmente non si sono posti la (buona) domanda della nonviolenza e hanno
accettato subito la (cattiva) risposta offerta dalla violenza. Affermare che
la nonviolenza e' sempre la buona domanda ci deve far evitare di credere
troppo in fretta che la violenza sia la buona risposta. Infatti, se e' vero
che la domanda buona non ci da' immediatamente la risposta buona, essa
orienta la nostra ricerca nella direzione in cui abbiamo le maggiori
probabilita' di trovarla. E questo e' gia' decisivo. Poiche' il fatto di
porre la buona domanda e' una condizione necessaria, benche' non
sufficiente, per trovare la buona risposta" (62).
*
Quando la politica non comprende
La strana concretezza della nonviolenza, tale che sempre sfugge alla
riduzione a tecnicismo e sempre rimanda alla ricerca morale e alla lettura
intelligente del reale, cioe' il suo carattere di ideale concreto,
rappresenta per l'Occidente, secondo Antonino Drago, una difficolta' a
comprenderla: "La nonviolenza non e' stata una ideologia (che a freddo
darebbe una risposta intellettuale, come in Occidente si pretende che debba
darci un ideale); piu' che a contrapporsi (con le idee) e' stata rivolta
soprattutto ad una prassi di ricostruzione, qui e ora. E' stato facile
allora squalificarla come una 'non teoria' politica" (63).
Conclude Drago su questo punto: "La nonviolenza sa fare politica, l'ha fatta
(come ha dimostrato in molti casi, da quello di Gandhi al 1989) e la fa.
[...] Ma, facendo politica dal basso, subisce tutto il peso delle
tradizionali strutture di dominio occidentale, anche quelle intellettuali e
quelle istituzionali religiose. La politica occidentale ancora non sa vedere
la nonviolenza in maniera adeguata: in prima battuta, la schiaccia su
giudizi affrettati, che ripetono schemi mentali tradizionali, schemi che non
si vorrebbero mettere in discussione, perche', nonostante tutti gli
sconvolgimenti degli ultimi decenni, tuttora le tradizionali istituzioni
occidentali (economia, forze armate, scienza, ecc.) riescono a sopravvivere
in posizioni di dominio; quindi la vita politica occidentale si stringe
attorno ad esse, relegando le novita' storiche a delle idealita' tipiche del
movimentismo volontaristico. Ma questa e' una risposta di corto respiro ad
una novita' politica che ha gia' fatto storia" (64).
E ancora da questo autore amo raccogliere una nuova sottolineatura del
limite entro il quale possiamo parlare propriamente di tecniche nonviolente.
Egli osserva che queste tecniche cominciano ad essere studiate in alcune
universita' e molti nonviolenti ne sono soddisfatti come di un
riconoscimento della nonviolenza politica. "In realta' tutto cio' non rende
giustizia alla nonviolenza. Sia perche' nell'Universita' la sua teoria non
e' stata ancora collocata tra le altre teorie politiche. Ma soprattutto
perche' il trattare la nonviolenza solo sociologicamente, come insieme di
tecniche sociali oggettive, fa guardare solo dall'esterno le azioni
nonviolente, che invece sono essenzialmente creative; quindi non fa
partecipare al contesto personale e antropologico della tecnica descritta"
(65).
*
Conclusione
Si sa: quel che non si cerca, che non si desidera, non lo si vede. Si ignora
e si nega cio' che non si vuole cercare e conoscere. Sulla base delle
motivazioni, delle esperienze e delle tecniche operative qui sommariamente
richiamate, e non con invenzioni a tavolino, e' possibile proporre non
ricette magiche, certo, ma ricerche fondate nella realta' per predisporre
mezzi di difesa, forme di rivendicazioni di diritti umani, in lotte giuste,
che siano costruttive e non distruttive, che realizzino un vero ripudio
della guerra omicida, senza rinunciare alla politica e alle giuste
rivendicazioni. La strada e' lunga, perche' i modelli di difesa, in
pressoche' tutte le culture politiche attuali, sono modelli militari, di
rassegnazione alla guerra, nel migliore dei casi non fatta di propria
iniziativa, ma accettata, e comunque sempre predisposta, con altissimi costi
sociali e umani. Al quale proposito, e' vero cio' che ha detto Teresa Sarti,
di Emergency: "Finche' la guerra sara' una possibilita' della politica la
guerra ci sara'".
Per limitarci ora all'Italia, che ha, nel mondo, il piu' forte ripudio
costituzionale della guerra, troviamo stabilito, nella mentalita' politica
piu' ancora che nelle leggi (66), il monopolio militare della difesa, che in
realta' la riduce e ne restringe possibilita', efficacia, qualita' umana.
L'idea che un conflitto acuto, in definitiva, non possa essere risolto che
con la forma militare, e' quasi generale. Anzi, esponenti maggiori della
sinistra, da cui ci si aspetterebbe un pensiero politico nuovo e
disinteressato, nel '99 (guerra della Nato alla Serbia per il Kosovo)
dichiararono che saper governare si dimostra anche col saper fare la guerra.
Cosi', il governo di centro-sinistra di allora fece partecipare l'Italia a
quella guerra, ingiustificabile e voluta per loschi fini, come sa, al di la'
delle falsita' ufficiali, chiunque ha seguito dall'inizio, attivamente, per
tutto il periodo precedente la guerra, il dramma jugoslavo e in particolare
kosovaro, e la decennale difesa nonviolenta della popolazione albanese del K
osovo dal dominio serbo, ignorata e abbandonata dalla comunita' degli stati,
incapace di capirla. Per non dire, naturalmente, della servile e criminale
partecipazione del governo di centro-destra alle guerre Usa all'Afghanistan
e all'Iraq, guerre chiamate pace.
I movimenti nonviolenti, durante la campagna elettorale del 2006, hanno
fatto arrivare in sede politica suggerimenti e indicazioni precise per una
evoluzione, attraverso il transarmo (passaggio strutturale dagli armamenti
offensivi attuali ad armamenti esclusivamente difensivi), nella direzione
della difesa nonviolenta, e della politica di pace nei conflitti nel mondo.
Non sappiamo ancora con quale sperabile risultato siano state ricevute
queste proposte, ma certo senza una sensibile attenzione. E' la cultura del
conflitto che va affrontata e ripensata a fondo, con le risorse migliori che
il pensiero contemporaneo e l'esperienza ci offrono.
Ho cercato in questo articolo di rispondere al tema: le tecniche di difesa
nonviolenta. Tecniche nonviolente, si', ma prima l'opzione morale e politica
per la nonviolenza come forma piu' umana. Una intelligenza come quella di
Aristotele riteneva naturale la schiavitu', la differenza essenziale tra
uomini-persone e uomini-strumenti. Cosi', nel nostro tempo civile e
sviluppato, orgoglioso dei suoi progressi e conquiste, ci sono ancora
"intelligenze" politiche - la grande maggioranza dei filosofi, politologi, e
operatori della politica - che continuano o ritornano a giudicare
inevitabile, nel caso estremo, e dunque praticabile, utile e naturale, la
guerra, cioe' la morte procurata ad altri, lo stragismo organizzato e
studiato, scientifico e industriale, come uno degli strumenti della
politica. Brutta cosa, che nessuno di loro ama - figuriamoci! - ma una cosa
da fare, per necessita' politica. Restare fermi in questa concezione e' una
"stupidita'" - nel senso etimologico: abbacinazione sul fatto e sul passato,
senza uno sguardo e un'esigenza intima che lo trascenda - che impedisce di
vedere davvero che la politica e' l'arte di convivere e non di vivere
uccidendo, e che la politica e' pace e nonviolenza, oppure non e' politica,
abusa di questo nome. E non basta una concezione negativa dell'esistenza,
che vede morte e distruttivita' insediate come legge interna all'esistenza e
alla sopravvivenza, per giustificare tanta limitatezza di visuale davanti
alla storia e al futuro della nostra specie a rischio (67). Non basta,
perche' legittimare ancora, teoricamente e politicamente, lo strumento
dell'omicidio programmato di massa, significa non tanto custodire la propria
vita al prezzo drammatico e angosciante dell'uso inevitabile della morte
altrui, quanto ormai inchinarsi alla morte, la regina del nulla, la dea
negatrice di cio' che e'; significa puntare sulla distruzione della specie,
e forse della intera vita sul pianeta, per salvare una breve sopravvivenza
di qualche potente e della sua fazione, tenuta strettamente prigioniera
nell'ignoranza brillante e nell'illusione. Cecita' ingiustificabile, ormai
criminale. Costoro non sono nascosti in qualche antro brigantesco, ma
siedono, persino eletti dai popoli, nei luoghi visibili del potere (sebbene
spesso siano semplici strumenti di poteri ristretti e interessi occulti,
fuori dal controllo democratico), nelle sedi delle decisioni pubbliche non
solo sulle nostre vite, che e' il meno, ma sul senso dell'umanita'.
Eppure, questa criminale cecita' volontaria non e' invincibile. Mai come nel
nostro tempo violentissimo, l'alternativa nonviolenta positiva e' stata
presente come possibilita' e necessita' politica, e non solo virtu'
personale. Le minoranze "persuase" (per usare il bel termine di Capitini)
della nonviolenza hanno il compito e la responsabilita' di questa battaglia
storica, di accusare la cultura di guerra, sviluppando pensieri, esperienze
positive e istituzioni di pace, di sistematica gestione nonviolenta dei
conflitti naturali, ad ogni livello micro, meso, macro.
Le generazioni venture dovranno giudicare e condannare questa nostra epoca
per le guerre condotte e preparate a difesa di piu' profonde strutture di
violenza, i cui effetti cadranno su di loro. E noi che ne abbiamo coscienza
saremo scusabili solo se avremo, oggi e qui, tenacemente combattuto la
cultura violenta e costruito la cultura nonviolenta.
*
Note
56. Cfr, per esempio, Marco Revelli, La politica perduta, Einaudi, Torino
2003, pp. 68 e ss; Francesco Vignarca, Mercenari S.p.A., Rizzoli, Milano
2004, pp. 169 ss.
57. Raimon Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, Edizioni Cultura
della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990, p. 47.
58. Cfr Capitini, Le tecniche della nonviolenza, cit., p. 67; Roberto
Mancini, L'amore politico, cit., p. 207.
59. Roberto Mancini, ivi, p. 135-136.
60. Ho riassunto parole di Gandhi e di Mancini, nell'opera citata, pp.
98-99.
61. Ivi, p. 109.
62. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, citato, pp. 162-163.
63. Antonino Drago, Storia e tecniche della nonviolenza, Tipografia La
Laurenziana, Barra (Napoli), 2006, p. 17.
64. Ivi, p. 22.
65. Ivi, p. 24. Mentre chiudo questo articolo e' annunciata l'uscita di un
nuovo libro di Pat Patfoort, Difendersi senza attaccare. La forza della
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006, che non ho ancora avuto
l'opportunita' di vedere. L'autrice, belga, nota teorica della nonviolenza,
ha fondato un centro per la gestione nonviolenta dei conflitti ed ha operato
in zone di conflitto. Dalle prime presentazioni del libro, sembra che tocchi
anche i temi a cui qui ci siamo avvicinati. La bibliografia, gia' veramente
ampia, sulla nonviolenza, si arricchisce continuamente di studi che spesso
nascono da esperienze rimeditate e che istruiscono nuove esperienze.
66. Nelle leggi italiane, caso unico tra le legislazioni nel mondo, compare
la nonviolenza: nella legge 230/1998 che riformava l'obiezione di coscienza
e il servizio civile, l'art. 8 lettera e, assegna all'Ufficio nazionale per
il servizio civile il compito di predisporre "forme di ricerca e di
sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta"; la legge 64/2001
che istituisce il nuovo servizio civile nazionale, all'art. 1 lettera a,
stabilisce che la prima finalita' di detto servizio e' "concorrere, in
alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con
mezzi ed attivita' non militari".
67. Hans Jonas ha formulato l'imperativo morale categorico adeguato: "Agisci
in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la
permanenza di un'autentica vita umana sulla terra" (e altre formulazioni
simili), in Il principio responsabilita'. Un'etica per la civilta'
tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p. 16.

4. LIBRI. CLOTILDE BARBARULLI PRESENTA "CRITICA DELLA VIOLENZA ETICA" DI
JUDITH BUTLER
[Da "Le Monde diplomatique" (edizione italiana) settembre 2006.
Clotilde Barbarulli, ricercatrice al Cnr, si occupa di scritture femminili e
di intercultura; e' impegnata nell'associazionismo politico-culturale di
donne (Societa' italiana delle letterate, Associazione Rosa Luxemburg, Il
giardino dei ciliegi...) e collabora a "Leggere Donna", "Il paese delle
donne", "Almanacco del ramo d'oro"; ha curato con Liana Borghi le
pubblicazioni che raccolgono i lavori della scuola estiva della Societa'
italiana delle letterate di Prato. Tra le pubblicazioni piu' recenti: AA.
VV., Visioni in/sostenibili,  Cuec University Press, Cagliari 2003. Dal sito
www.tufani.it riprendiamo la seguente (non piu' recente) scheda: "Clotilde
Barbarulli, ricercatrice al Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto
"Opera del Vocabolario Italiano", e' impegnata nell'associazione 'Il
Giardino dei Ciliegi' di Firenze e nella Societa' Italiana delle Letterate.
Si dedica alle scritture di autrici dell'Ottocento e del Novecento.
Collabora a 'Leggere Donna' e 'Il paese delle donne'. Fra le pubblicazioni
recenti: con Luciana Brandi, I colori del silenzio. Strategie narrative e
linguistiche in Maria Messina, Tufani, Ferrara 1996 (II ed. 2001) e L'arma
di cristallo: sui 'discorsi trionfanti', l'ironia della Marchesa Colombi,
Tufani, Ferrara 1998. Con L. Brandi e U. Ceccoli, Un volto, tra le note per
oboe (Saggio su 'Lavinia fuggita' di Anna Banti) nei Quaderni del
Dipartimento di Linguistica dell'Universita' di Firenze, 1998. Dal 2001 e'
nel Comitato organizzatore e scientifico del Laboratorio per la formazione
di mediatrici interculturali 'Raccontar(si)' che si svolge a fine agosto a
Villa Fiorelli a Prato, a cura del Giardino dei Ciliegi e della Societa'
italiana delle letterate. Sta per uscire il volume relativo all'esperienza
del 2002, cui ha contribuito con un lavoro dal titolo L'immaginario
nell'erranza delle parole: scritture 'migranti' in lingua italiana. E' tra
le autrici di La finestra, l'attesa, la scrittura: ragnatele del se' in
epistolari femminili dell'Ottocento, Tufani, Ferrara 1997 e ha contribuito
al volume collettaneo Canonizzazioni (Atti del Convegno 'Grafie del se'.
Letterature comparate al femminile', Bari 2000) con il saggio 'Si prega di
non discutere Casa di bambola', Adriatica, Pescara 2002. Ha scritto inoltre
gli articoli: Il genere di una scelta (al Convegno di Ferrara, 7-8 aprile
2000, 'La qualita' dell'informazione culturale. Riviste letterarie e pagine
culturali'), in 'Leggere Donna', maggio-giugno 2000; Scrivere di/con/su
donne del passato, in 'Leggere Donna', marzo-aprile 2001; "A essere umani,
diceva Rosa, questo non posso insegnarvelo" (al Seminario su:'Rosa
Luxemburg: opposizione alle guerre, impegno morale e intellettuale', 8
dicembre 2001), in 'Il paese delle donne', 25 febbraio 2002; Per una
rilettura di Maria Corti, in 'Leggere Donna', luglio-agosto 2002;
Estraneita'/Infedelta', in 'Il paese delle donne', 28 ottobre 2002; con
Luciana Brandi, La biografia di un'idea, relazione al Seminario Sil di
Trevignano (28-30 luglio 2000), su 'Ma cos'e' questo canone?' (in corso di
stampa presso Manifestolibri, 2003)".
Judith Butler, pensatrice femminista americana, nata nel 1956, insegna
attualmente retorica e letteratura comparata all'Universita' di Berkeley,
California; e' figura di primo piano del dibattito contemporaneo su
sessualita', potere e identita'; le sue ricerche rappresentano uno dei
contributi piu' originali all'interno dei cultural studies e della queer
theory. Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003 riprendiamo questa
presentazione di Judith Butler scritta da Ida Dominijanni: "Judith Butler e'
una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria
femminista. Docente di filosofia politica all'universita' di Berkeley in
California, ha pubblicato nell'87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e
nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus
americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del
genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that matter (Corpi che contano,
Feltrinelli, Milano 1995), del '97 The Psychic Life of Power. Filosofa di
talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di
pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la
psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione
del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle
differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione
dell'identita' che ne consegue. Decostruzione dell'identita', analisi del
corpo fra materialita' e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei
dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e
del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano
politico sfocia in una strategia di radicalita' democratica basata sulla
destabilizzazione e lo shifting delle identita'. Fin da subito attenta ai
nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione antiterrorista sulla
democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali americani maggiormente
imegnati nel movimento no-war. 'La rivista del manifesto' ha pubblicato sul
n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d'accusa del
passaggio di sovranita' che negli Stati Uniti si va producendo all'ombra
dell'emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo
svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello
stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale
(demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale
(violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in
nome della liberta' e la soppressione delle liberta' si saldino in un'unica
offensiva di abiezione dei 'corpi che non contano', per le strade di Baghdad
e nelle gabbie di Guantanamo". Opere di Judith Butler disponibili in
italiano: Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995; La rivendicazione di
Antigone, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Vite precarie. Contro l'uso
della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004; Scambi
di genere. Identita', sesso e desiderio, Sansoni, Firenze 2004; Critica
della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006. Da "Alias" del 7 ottobre
2006) riprendiamo anche la seguente scheda: "Di Judith Butler, filosofa
californiana fra le piu' amate e discusse del panorama femminista
internazionale, sono disponibili in italiano Scambi di genere (Sansoni 2004,
opinabile traduzione di Gender Trouble, il libro del 1990 che l'ha resa
famosa, consacrandola come teorica queer), Corpi che contano (Feltrinelli
1996), La rivendicazione di Antigone (Bollati Borighieri 2003), Vite
precarie (Meltemi 2003), La vita psichica del potere (Meltemi 2005). Critica
della violenza etica testimonia la piu' recente curvatura del percorso di
Butler, che la porta ben oltre il dirompente inizio di Gender Truble, come
lei stessa argomenta in Undoing Gender (Routledge 2004) di prossima uscita
(Meltemi): la sua ricezione italiana, troppo legata alla sua immagine di
partenza, dovrebbe giovarsene. Per un confronto fra posizioni diverse
all'interno di una comune matrice femminista poststrutturalista, cfr. Il
resoconto di un recente incontro in Polonia fra Butler e Rosi Braidotti in
www.metamute.org"]

Butler continua nel suo discorso sulla vulnerabilita' dell'essere umano, per
arrivare alla necessita', oggi, di un'etica della responsabilita'
planetaria. Si puo' parlare di filosofia morale, solo partendo da un
contesto di relazioni sociali, ed il primo passo dell'agire individuale e'
nel "dar conto di se'" (titolo originale), attraverso la narrazione, senza
sottrarsi alla scena interlocutoria. Dialogando con i testi di Adorno,
Foucault, Levinas e altri pensatori, Butler sottolinea come rendere conto di
se' significhi analizzare, nello stesso tempo, la formazione del soggetto ed
il suo rapporto con la responsabilita'.
Non esiste un "io" totalmente sovrano e capace di rendere conto di se'
completamente, ma questo non significa che non possa esistere una etica
della responsabilita' verso l'altro in relazione al contesto in cui viviamo.
Inevitabilmente "il mio essere straniera a me stessa chiama in causa l'altro
dentro di me" ed "e' paradossalmente fonte del mio legame etico con gli
altri". Sentirsi annullati dall'Altro e' una necessita' quindi, ma anche una
possibilita', perche' vuol dire essere interpellati, spinti a rivolgersi
fuori da se', abbandonando ogni dimensione autosufficiente dell'io. Come in
altri suoi scritti, emerge non solo la categoria, ma la pratica della
relazione, quale forma sociale impostaci dalla condizione di fragilita' e di
esposizione all'Altro che accomuna uomini e donne di ogni cultura.
Questa responsabilita' si contrappone alle concezioni violente dell'etica
che pretendono di fondare i propri principi sulla visione di un io sovrano:
basti pensare, ricorda Butler, alla soluzione imposta da Bush all'autorita'
palestinese o al modo in cui e' stato abbattuto il governo iracheno, laddove
l'universale si manifesta come qualcosa di violento che ignora gli esseri
umani stessi. Recentemente alla Casa della cultura di Milano si e' tenuto un
seminario di filosofi proprio sull'etica nello spazio-mondo: cosi'
nell'arena globale, all'interno della quale ciascuna identita' non puo'
considerarsi se non in relazione alle altre, emerge - di fronte all'aumento
di sfide e minacce - l'esigenza proprio di un'etica nonviolenta, fondata
sulla consapevolezza della precarieta' della vita umana, per una nuova
grammatica della convivenza.
Spivak direbbe che dobbiamo imparare ad abitare il pianeta andando verso
l'Altro, il che soltanto ci rende umani. Il libro di Butler dovrebbe essere
meditato ed introiettato dai vari signori della guerra, in Israele, negli
Usa e in altri paesi del Nord e Sud del mondo.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 148 del 12 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it