Minime. 147



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 147 dell'11 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Oggi a Srebrenica
2. Carogno Mozzarecchi: Ancora una modesta proposta
3. Giulio Vittorangeli: Schiavitu'
4. Enrico Peyretti: Nonviolenza e tecniche di difesa nonviolenta (parte
terza)
5. Riletture: Marina I. Cvetaeva, Poesie
6. Riletture: Sylvia Plath: Lady Lazarus e altre poesie
7. Riedizioni: Walter Laqueur (a cura di), Dizionario dell'Olocausto
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. OGGI A SREBRENICA
[Dalla Fondazione Alexander Langer (per contatti: info at alexanderlanger.org)
riceviamo e diffondiamo]

L'11 luglio 2007 a Srebrenica: una delegazione della Fondazione Alexander
Langer sara' presente alla solenne cerimonia di sepoltura delle vittime del
genocidio in Bosnia.
Sono oltre duemila le vittime del genocidio fino ad oggi sepolte nel
memoriale di Potocari, situato poco distante da Srebrenica, ma sono
settemilaottocento quelle che aspettano di essere riconosciute, ricomposte e
affidate finalmente alla memoria dei loro cari.
Ogni anno, l'11 luglio, si svolge una cerimonia religiosa semplice e
coinvolgente, dove gli ospiti stranieri vengono accolti con amicizia, nella
consapevolezza di quanto sia importante la solidarieta' internazionale in
una citta' che e' tuttora un'enclave discriminata e mal sopportata, in un
territorio ostile.
Anche quest'anno, per la terza volta, la Fondazione Alexander Langer ha
voluto essere presente con un viaggio organizzato, partito domenica 8
luglio, che comprende anche incontri con testimoni e visite alle citta' di
Tuzla e Srebrenica.
Il viaggio e' una tappa verso un appuntamento di rilievo che la Fondazione
promuove insieme all'Associazione Tuzlanska Amica, diretta da Irfanka
Pasagic: una settimana internazionale di dialogo sul vasto e delicato tema
della memoria (International Cooperatioon for Memory) che si svolgera' a
Srebrenica dal 27 agosto al primo settembre.
Informazioni sul viaggio e iscrizione alla settimana internazionale sono
nella nuova sezione del sito www.alexanderlanger.org dedicata al progetto
"Adopt Srebrenica".

2. LE ULTIME COSE. CAROGNO MOZZARECCHI: ANCORA UNA MODESTA PROPOSTA
[Ad aver letto Swift da giovani, si sa, per tutta la vita si rischia una
querela]

Illustrissimo Signor Presidente,
non potrebbe l'astuto ammiccante Ministro bombardiere chiedere anche alla
mafia di contribuire a finanziare la famosa trionfale "riforma della
giustizia" in Afghanistan, fiore all'occhiello della guerra terrorista e
stragista e dell'occupazione militare di quel remoto paese che dai tempi
dell'Armata rossa si prolunga praticamente senza soluzione di continuita', e
per la quale gia' tanti fiumi di pubblici denari sono stati versati
conseguendo i prestigiosi risultati che ognun sa? Maggiore dei quali, come
e' noto, il potenziamento della produzione e del traffico dell'eroina
appunto, merce perfetta che tanto beneficio reca all'economia mondiale. E
quanto agli effetti collaterali, riducibili alla bagatella (questo soave
vocabolo che uso' una volta quel celebre scrittore Celine per un suo certo
opuscoletto) di un popolo pluridecennalmente massacrato oltre ogni dire,
suvvia, dal punto di vista della storia universale sono i risibili prezzi
del progresso, chi di noi vecchi hegeliani lo ignora?
E dunque: ragionevolissimo sarebbe chiedere che la signora mafia devolvesse
all'azione della signora comunita' internazionale in Afghanistan picciola
una parte dei proventi del traffico dell'eroina, la signora comunita'
internazionale apprezzerebbe assai, il risanamento - che altri chiamerebbe
soluzione finale del problema afgano - continuerebbe con vieppiu'
entusiasmo, e il Gabinetto che regge oggi il nostro bel paese ne trarrebbe
gran successo d'immagine e potrebbe risparmiar qualcosina del ben noto
tesoretto custodito nella grotta aulente di sesamo dei quaranta statisti.
Siamo certi che se il signor Ministro lo chiedesse (con le dovute forme, va
da se': magari potrebbe farsi dare qualche buon suggerimento da un illustre
senatore a vita) la signora mafia non disdegnerebbe un obolo, e non solo per
i benefici ricevuti, ma anche e ancor piu' in nome di una palese affinita'
nel modus operandi con governanti distintisi per aver cosi' eminentemente
contribuito alla mattanza degli jugoslavi nel '99 e per esser cosi'
flagrantemente devoti alla causa di una politica fondata sul terrore e
dedita alle stragi.
Illustrissimo Signor Presidente,
qualora la cosa andasse in porto, non altro avrei a pretendere che un misero
cinque per cento degli appalti eventualmente finanziati col citato
contributo. Con mio cugino Armando abbiamo gia' costituito all'uopo
un'impresetta edile, di security e quant'altro (e se ci fosse da unger
qualche ruota, insomma, siamo anche noi italiani e sappiamo come va il
mondo).

3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: SCHIAVITU'
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Il dibattito politico italiano, in questi giorni, e' stato caratterizzato
essenzialmente dal tema delle pensioni; un'alternanza di "scalone" e
"scalini", sulla base di una presunta contrapposizione tra giovani ed
anziani.
Banale ricordare, come da piu' parti giustamente ' stato fatto notare, che
il governo semplicemente avrebbe dovuto abolire il famoso "scalone", perche'
questo era nel programma con cui ha vinto le elezioni e su questo ha preso i
voti.
Piu' difficile aspettarsi una qualche proposta di riorganizzazione delle
politiche sociali per un paese, come il nostro, dove gli anziani aumentano e
dove l'economia per funzionare ha sempre piu' bisogno di lavoratori
immigrati.
Il dibattito sulle pensioni avrebbe dovuto mettere al centro il tema del
lavoro e dell'immigrazione; invece, cosi' com'e' impostato e portato avanti,
avviene al di fuori di questi temi, al di fuori delle scelte del capitale
(nazionale ed internazionale), delle condizioni di vita reale di milioni di
persone.
Nella incapacita' di saper dare risposte allo scontro tra capitale e lavoro
su scala mondiale, con le nuove forme determinate da quella che per
comodita' definiamo come globalizzazione, si afferma la schiavitu'; non come
un residuo di secoli passati, ma come drammatica realta' in forte
espansione.
Non c'e' solo la Cina del "miracolo economico". E' di questi giorni la
notizia relativa all'Amazzonia brasiliana, con le sue immense distese di
canna da zucchero nella fazenda Pagrisa, a 250 chilometri da Belem, capitale
dello stato amazzonico orientale del Para'. La polizia ha "liberato" 1.106
di questi "schiavi", ridotti a vivere e lavorare come animali in una fazenda
che oltre ad allevare bestiame coltiva la canna da zucchero, da cui produce
circa 40 milioni di litri di etanolo (dal "Manifesto" del 7 luglio 2007).
*
Esistono anche altre forme di lavoro, vicino alla schiavitu', che sono una
vera e propria panacea del neoliberismo. Pensiamo alle maquilas
centroamericane: non luoghi di lavoro, bensi' dei luoghi di violazione dei
diritti umani, che rappresentano gli ambiti in cui si violano maggiormente i
diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Per le imprese sono paradisi
fiscali, mentre per i lavoratori sono centri di sfruttamento intensivo nei
quali si mescolano il lavoro e la sofferenza.
Maquila indica quella fabbrica in cui capitale straniero, in via diretta o,
piu' spesso, tramite imprese locali subcontrattate, controlla l'intero ciclo
produttivo, per il quale fornisce anche la materia prima di lavorazione, e
la commercializzazione finale del prodotto. Per attrarre tali fabbriche, i
governi dei paesi del Sud del mondo offrono agevolazioni fiscali e altri
vantaggi. Di solito, le maquilas sorgono in zone franche prossime a porti
marittimi ed aeroporti, da cui il prodotto prende la rotta dei paesi del
Nord. Non a caso, una zona di forte insediamento di maqiulas e' la frontiera
messicana con gli Usa, a seguito del trattato sul libero commercio in
Nordamerica (Nafta).
Vi lavorano, in grande maggioranza, donne giovani e giovanissime, sottoposte
a pesanti pressioni, persino sessuali. In queste fabbriche, la
sindacalizzazione e', di fatto, vietata. Le condizioni lavorative sono
spesso insalubri e il clima che vi si respira e', spesso, repressivo.
Una delle caratteristiche di tale fenomeno produttivo, figlio della
globalizzazione neoliberista, e' l'estrema volatilita' del capitale
investito in queste fabbriche. In altri termini, la bassa
professionalizzazione richiesta, un piu' o meno basso investimento in
macchinari, la grande disponibilita' di manodopera a buon mercato, la
ipersensibilita' rispetto ai vantaggi relativi offerti da altri paesi, sono
tutti fattori che fanno si' che queste fabbriche possano essere spostate
facilmente da un paese all'altro, allorquando le condizioni produttive di un
paese non siano piu' ritenute convenienti da chi detiene il controllo della
catena produttiva.
*
Ora, i fautori del libero mercato (solo per le merci e non per le persone)
di casa nostra, dovrebbero spiegarci come pensano di realizzare prodotti che
siano concorrenziali con quanto prodotto nelle maquilas. Esiste, in realta',
una sola risposta: tramite il lavoro (ridotto in schiavitu') degli
immigrati. E' quanto gia' sta succedendo. Basta guardare quanto avviene,
ormai da anni, nelle campagne con lo sfruttamento dei braccianti stranieri.
Il caso piu' eclatante, denunciato anche da "Medici senza frontiere",
riguarda la provincia di Siracusa: in 20.000 raccolgono patate, fragole,
arance, uva e olive per 25 euro al giorno, e i contributi li pagano ai
caporali. Il 70% denuncia di aver subito maltrattamenti.
Davanti ad un fenomeno cosi' complesso, non e' facile trovare delle
risposte. Iniziare pero' a porci le domande giuste, invece di inseguire una
presunta contrapposizione tra giovani ed anziani, puo' aiutare a comprendere
quali possono essere le scelte da fare.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NONVIOLENZA E TECNICHE DI DIFESA
NONVIOLENTA (PARTE TERZA)
[Dalla pagina web http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_20410.html
riprendiamo il seguente saggio gia' pubblicato nell'Annuario di filosofia
"Pace e guerra tra le nazioni", a cura di Vittorio Possenti, Guerini e
Associati editori, Milano 2006, alle pp. 243-282, col titolo Nonviolenza e
tecniche di difesa nonviolenta, e la seguente scansione in paragrafi: Lo
spirito e le tecniche; Mezzi e fini; Satyagraha; Obiezione di coscienza;
Disobbedienza civile; Capitini, Sharp, Semelin; L'altra Resistenza; Le lotte
di Gandhi; Terrorismo atomico; Rigenerazione della politica.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di
pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato
con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di),
Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?,
Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'.
Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu'
volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia
degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n.
68]

Senz'armi di fronte a Hitler
Il libro di Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler (37), studia la
resistenza civile al dominio nazista in Europa. Si limita al periodo
1939-1943 allo scopo di illustrare le sole forme di lotta nonarmata (38)
autonome dalla lotta armata, e non quelle successive, combinate con questa.
Semelin studia propriamente, da sociologo, le forme sociali della resistenza
nonarmata al nazismo in tutti i paesi occupati e nella stessa Germania, ma
cosi' facendo ne realizza la raccolta storica finora piu' ampia, per il
periodo indicato.
E' particolarmente importante che l'obiettivo di queste lotte, scelte da
Semelin, fosse il potere militare nazista, cioe' la forma piu' violenta che
abbiamo conosciuto nell'eta' contemporanea. Se resistenze nonarmate e/o
nonviolente hanno potuto sorgere come riscatto di dignita' e con speranza di
riuscita, se hanno potuto contenere quel terribile potere, imporgli
restrizioni, frustrarne almeno alcuni obiettivi, cio' significa che se la
nonviolenza diventasse cultura politica e strategia, se disponesse di un
centesimo dei mezzi economici e organizzativi e simbolici di cui dispone la
difesa statale armata, militare, costruita per uccidere vite umane, la
difesa nonviolenta potrebbe diventare anche la forma istituzionale con cui
una societa' politica si difende dalle aggressioni tanto esterne quanto
interne.
Questa osservazione non e' annullata dalla abituale obiezione che Hitler e'
stato vinto dalla guerra degli stati democratici e non dalle resistenze
nonviolente. Questo e' vero (senza dimenticare il contributo di queste
lotte) sul piano semplicemente fattuale, ma rimangono ben aperte due
domande: una diversa cultura della politica, dei conflitti e della difesa
non avrebbe potuto contrastare e impedire la violenza di Hitler fin
dall'inizio con mezzi alternativi, anziche' quegli stessi usati da lui, le
armi e la guerra, cioe' l'uso della morte? La vittoria su Hitler mediante la
guerra, certo da lui provocata, ma accettata dalle democrazie come unico
piano possibile di confronto, non ha trasmesso alle democrazie stesse quel
virus bellico e quel distruttivismo che era l'essenza del nazismo e a cui le
democrazie non hanno saputo essere radicalmente alternative?
Non sembrino domande eccessive o irreali. La nonviolenza, che il pensiero e
l'azione della politica non hanno finora capito, ha posto con Gandhi, fino
dal primo Novecento, questa domande radicali. Egli vide subito (lo disse nel
1925), che gli intenti, in astratto nobili, della rivoluzione sovietica, non
potevano realizzarsi ne' durare perche' ottenuti con la violenza (39). Egli
propose agli inglesi, nel 1940, mentre erano sotto attacco tedesco, un
coraggioso metodo alternativo di resistenza nonviolenta, perche', con la
guerra, non avrebbero potuto eliminare il nazismo, e, per vincerlo in
guerra, avrebbero dovuto diventare piu' crudeli dei nazisti. Egli aveva
scritto, nel 1938, che "democrazia e violenza non possono coesistere". Nel
1940, con un severo giudizio che non possiamo liquidare in fretta, disse
che, poiche' non esclude la violenza e non da' al piu' debole le stesse
possibilita' del piu' forte, "la democrazia occidentale, nelle sue attuali
caratteristiche, e' una forma diluita di nazismo o di fascismo" (40). Per
questo, la domanda "Chi ha vinto la seconda guerra mondiale? L'ha forse
vinta Hitler?", domanda paradossale ma non assurda, e' stata posta da
diversi studiosi che si sono interrogati in profondita', sotto la superficie
dei fatti (41). Un pensatore che da molto tempo medita seriamente su questi
temi, in un ampio lavoro di prossima pubblicazione su Gandhi come via
d'uscita dalla nuova barbarie del XXI secolo, osserva che molte
caratteristiche essenziali della mentalita' e pratica nazista, sotto vesti e
forme diverse, e con diversa retorica, sono pure le caratteristiche del
sistema di potere vigente oggi nel mondo.
*
Forme di resistenza nonviolenta al dominio nazista
Alla fine del suo lavoro, Semelin raccoglie gli esempi storici citati, nel
tempo e luoghi detti, classificandoli secondo le forme di resistenza e di
lotta.
Forme generali sono: il lavoro al rallentatore, la stampa clandestina,
l'infiltrazione delle amministrazioni.
Le mobilitazioni di popolazioni comprendono le manifestazioni (almeno dieci
casi), gli scioperi (quasi altrettanti), la disobbedienza civile di massa
(rifiuto del lavoro obbligatorio in Francia), movimenti particolari di
resistenza "professionale" (medici olandesi, insegnanti norvegesi,
l'insegnamento clandestino in Polonia).
Una categoria di azioni particolarmente significativa comprende i movimenti
di solidarieta' e assistenza agli ebrei perseguitati, in Francia, Belgio,
Danimarca, Paesi Bassi, Bulgaria. Sul caso danese, il piu' efficace di tutti
nel salvare il 95% degli ebrei di quella nazione, e' noto il giudizio di
Hannah Arendt (a parte l'improprieta' del vecchio nome di "resistenza
passiva" per un'azione nonviolenta di massa altamente attiva e organizzata):
'Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le
universita' in cui vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare
un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva,
anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente
superiori" (42).
Le mobilitazioni istituzionali si attuarono in proteste (responsabili delle
chiese della Germania, Paesi Bassi, Bulgaria, Francia, Belgio, associazioni
norvegesi, politici e intellettuali della Bulgaria, organi giudiziari del
Belgio), in forme di noncooperazione limitata (opposizione alla persecuzione
e deportazione degli ebrei, da parte degli stati danese, finlandese,
italiano, rumeno, ungherese; consegna ai tedeschi delle navi danesi rese
inutilizzabili; resistenza parziale della corte di cassazione in Belgio), in
forme di noncooperazione totale (nella Norvegia occupata: resistenza al
colpo di stato di Quisling, fermezza dello stato, dimissioni della corte
suprema e della chiesa di stato norvegese; nella Danimarca occupata:
dimissioni del governo per non cedere alle pressioni tedesche, dopo aver
mantenuto una dignitosa quasi-indipendenza, e conseguente legittimazione
della resistenza popolare, in larga parte nonarmata).
*
L'altra Resistenza
La ricerca storica, piu' attenta a protagonisti e forme di resistenza non
soltanto armata e militare, ha fatto progressivamente scoprire aspetti non
visti nei primi anni e nelle prime fasi della storiografia resistenziale.
Anzitutto, la "Resistenza taciuta", quella delle donne, scoperta e
valorizzata, cominciando dalla memorialistica e dalla storia orale,
arrivando quindi a individuare e a proporre nella piu' vasta storiografia il
concetto strategico e politico di resistenza civile, o nonviolenta,
soprattutto ad opera di donne ricercatrici e studiose di storia (43).
*
Le lotte di Gandhi: verita', nonviolenza, sofferenza
Fulvio Cesare Manara, nel libro gia' citato dal bel titolo Una forza che da'
vita, dedica il terzo capitolo, Tra profezia e strategia: pratiche di
satyagraha, alle lotte gandhiane, non senza aver prima chiarito origine e
significato dell'idea e del metodo che Gandhi chiama satyagraha: "Satyagraha
significa, etimologicamente, 'fermezza nella verita'','"ferma adesione alla
verita'', 'insistenza sulla verita'. (...) Aderire fermamente alla verita'
implica mettere alla prova - agendo con piena trasparenza - le proprie
verita' 'soggettive', avendo cura di non assolutizzarle e di aprirsi alla
Verita' che le trascende" (44). Questa e' per Gandhi "la forza piu' grande
nel mondo"; va oltre la "non-resistenza" tolstojana; dista "come il Polo
Nord dal Polo Sud" dalla "resistenza passiva" che e' "l'arma del debole".
Satyagraha e' la nonviolenza "di principio" e non solo "pragmatica"; si
oppone al "duragraha", che e' "l'ostinata aderenza a una causa sbagliata, o
una cattiva maniera di perseguire una causa giusta", "un modo di agire
diabolico", e tale e', per Gandhi, la prima guerra mondiale in corso mentre
dice queste cose (pp. 101-118).
Quindi, Manara elenca le principali lotte condotte da Gandhi tra il 1906 e
il 1942. Gandhi stesso aveva redatto un primo elenco delle lotte da lui
realizzate fino al 1923-1925, quando scrive Satyagraha in South Africa (45).
Si tratta, nell'insieme, di conflitti in difesa degli indiani in Sudafrica,
di contadini e operai in India, contro leggi e atti repressivi degli
inglesi, contro l'esclusione degli intoccabili, contro aumenti esosi di
tasse ai contadini, contro il monopolio inglese del sale, contro la guerra,
per l'indipendenza. "Molto importante e' comprendere che Gandhi in questo
metodo d'azione mira non semplicemente alla realizzazione di una politica di
potere, ma al consolidamento di una forma diversa di potere, basata
sull'autorita' morale, la quale a sua volta si fonda sull'autonomia morale
individuale" (46). Una costante di queste lotte e' la presenza di regole
fondamentali, un vero codice di disciplina, e della previsione di gradi o
fasi della contesa, invariabili nei diversi casi.
Al combattente "satyagrahi" era richiesto anzitutto un impegno scritto, una
specie di "voto solenne", da inviare alla Commissione del Congresso per il
satyagraha. Chi firma questa promessa si impegna a restare nonviolento nelle
parole e nelle azioni, a credere nell'unita' di tutte le componenti etniche
e religiose dell'India, a rimuovere "il male dell'intoccabilita'" e a
"rendere servizio alle classi sommerse", a praticare il lavoro manuale per
l'indipendenza economica dell'India dagli inglesi, ad eseguire le istruzioni
di chi guida la lotta "non incompatibili con lo spirito di questa promessa",
si dichiara "preparato a soffrire l'imprigionamento o anche la morte per
questa causa e per il mio Paese, senza risentimento" (47).
Le regole fondamentali di una campagna satyagraha si basano sulla
distinzione tra forza e violenza: la forza nonviolenta "costringe"
l'avversario senza offenderlo, conquistandone l'animo con la capacita' di
soffrire piuttosto di far soffrire lui, rendendogli meno costoso l'accordo
che l'ostinazione. Quelle regole possono essere indicate cosi':
autosufficienza del gruppo; mantenere l'iniziativa nelle mani dei
satyagrahi; diffondere gli obiettivi, strategie e tattiche della campagna;
richiedere il minimo coerente con la verita'; avanzamento progressivo e
graduale del movimento; esame delle debolezze interne al gruppo; ricerca
continua di cooperazione onorevole con l'avversario; disponibilita' al
compromesso su punti non essenziali e rifiuto di cedimento sui punti
essenziali; insistere per un pieno accordo sui fondamenti prima di accettare
una soluzione. In sintesi: verita', nonviolenza, accettazione della propria
sofferenza.
Gandhi stesso preciso' il "codice di disciplina" durante le campagne del
1930, che prescriveva: non nutrire alcuna rabbia, ma soffri per la rabbia
dell'oppositore e non restituire i suoi colpi; non sottometterti ad alcun
ordine dato nella rabbia; astieniti da insulti e provocazioni; proteggi gli
oppositori da insulti e aggressioni, anche a rischio della vita; non
resistere all'arresto ne' all'attacco alla proprieta' (a meno che tu non ne
sia amministratore fiduciario: allora difendila a rischio della vita); se
fatto prigioniero, comportati in modo esemplare; obbedisci agli ordini dei
leader del satyagraha e dimettiti dall'azione in caso di serio disaccordo.
Una campagna satyagraha ha diverse fasi: negoziato e arbitrato; preparazione
del gruppo per l'azione diretta; agitazione; lancio di un ultimatum;
boicottaggio economico e scioperi; noncooperazione; disobbedienza civile;
usurpazione di funzioni di governo; governo parallelo (48).
*
Un esempio concreto
Manara fornisce ancora un esempio concreto di questo metodo di lotta,
descrivendo bene il caso del satyagraha di Vykom, cittadina dell'estremo sud
dell'India, nell'autunno 1925, per affermare il diritto di passaggio sulla
strada di un tempio, negato dai bramani agli intoccabili. Il racconto mostra
nel concreto l'applicazione di quei principi e regole, il loro valore
altamente morale e la loro efficacia pratica. Gli avversari erano rispettati
nei loro sentimenti. Quando, alla fine, fu tolto dalle autorita' il blocco
della strada, i satyagrahi non vollero passare fin quando i bramani non si
fossero detti persuasi che gli intoccabili ne avevano il diritto. Cosi'
avvenne quando quelli dichiararono: "Non possiamo resistere ulteriormente
alle preghiere che ci sono state rivolte, e siamo pronti ad accogliere gli
intoccabili" (49). Questa e' la "coercizione nonviolenta", quella che Gandhi
in altra occasione disse essere la stessa che Cristo dalla croce esercita
sui cuori umani (50).
Oggi, sempre di piu', tante lotte sociali e politiche cercano di ispirarsi
alla nonviolenza, almeno come vaga intenzione. Se si curasse anzitutto la
preparazione interiore dei lottatori, la scelta di principio e non solo
pragmatica, quindi l'organizzazione strategica e la chiara comunicazione,
qualificate nel modo che abbiamo visto, si eviterebbe molto di piu'
(evitarlo del tutto era impossibile anche a Gandhi) che episodi,
intemperanze o infiltrazioni e provocazioni violente inquinino o
addirittura - per opera dell'informazione deformante, sensibile solo alla
violenza - occultino e rovinino del tutto il messaggio di tante
manifestazioni giuste. La nonviolenza non e' solo l'astensione dalla
violenza, o una bella intenzione, ma una cultura e un addestramento
profondo, da imparare. La nonviolenza si impara, come dicono i ricercatori,
come fanno i formatori. Si impara dalla storia, dall'esperienza,
dall'immaginazione di cio' che e' giusto, ma anzitutto educando in noi
stessi personalita' intimamente nonviolente (51). Questa e' la prima forma
di lotta nonviolenta, la lotta con noi stessi. La quale, contro un diffuso
equivoco, e' anche il primo e principale significato dello jihad islamico:
lo jihad maggiore, jihad del cuore, lotta contro il male e la debolezza che
sono in noi (52).
*
Nonviolenza e societa'
Dall'esempio descritto di Vykom, ma anche dall'insieme delle sue lotte,
risulta che Gandhi combatte' per fini sociali, di giustizia, piu' che per
fini politici nazionali. Questi sono rimasti i piu' noti nella conoscenza
comune, sicche' solitamente si chiede alla nonviolenza di dimostrare le
proprie capacita' fermando le guerre, e la si sfida a sostituirsi ad esse
come efficace alternativa. Ma e' chiaro che solo con una profonda riforma
della societa' e della cultura politica, e poi col loro sviluppo
istituzionale, i metodi nonviolenti possono presentarsi per tempo come
efficace alternativa alla corrente concezione tutta bellica dei conflitti e
della difesa.
Forse un lettore, partendo dal titolo di questo articolo, poteva aspettarsi
un resoconto su difese nonviolente, anziche' belliche e militari, di
territori, confini statali, istituzioni politiche. Anche questo si trova
nella storia della nonviolenza - e la progettazione e sperimentazione di
Difesa Popolare Nonviolenta (questo e' il termine usato in Italia) e' un
impegno centrale degli studi e delle pratiche relative (53) - ma, prima che
a livello politico istituzionale, la lotta e la difesa nonviolente si
fondano nella vita e nella cultura sociale, e prima ancora, come abbiamo
visto, nella vita personale.
Se guardiamo il "programma costruttivo" di Gandhi notiamo anzitutto che per
lui esso ha la massima importanza, come azione sociale, rispetto alle lotte
di opposizione: 'Se la disobbedienza civile non e' accompagnata da un
programma costruttivo, e' un atto criminale e una dispersione di energie,
(...) e' soltanto una bravata ed e' peggio che inutile" (54). Poi,
guardandone i contenuti, gli undici punti precisi che Gandhi individuo' fin
dal 1909, vediamo che sono tutti obiettivi di risanamento sociale:
riconciliazione religiosa, abolizione della intoccabilita' come primo passo
verso l'abolizione delle caste, lotta all'uso di alcol e droghe, lavoro
manuale per l'indipendenza economica e la dignita' del capitale umano, la
piccola industria di villaggio, l'educazione di bambini e adulti, la parita'
tra i due sessi, miglioramento fisico e psichico mediante la "semplicita'
volontaria", propagazione della lingua nazionale, promozione
dell'uguaglianza economica come condizione per una societa' nonviolenta
(55).
*
Note
37. Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler. La resistenza civile in
Europa 1939-1943, Ed. Sonda, Torino 1993, edizione originale Sans armes face
a' Hitler, Payot, Paris 1989. L'edizione italiana contiene anche una
appendice di Stefano Piziali, Commento bibliografico. La resistenza
nonarmata in Italia (pp. 227-234); e un'appendice mia, Un caso italiano: lo
sciopero come strumento di lotta (pp. 235-240) (con un contributo di Sergio
Albesano), sugli scioperi operai del '43 e '44 in Italia, trascurati da
Semelin. Non riconosco piu' questo scritto; un rifacimento molto riveduto e
corretto e' ora compreso in La resistenza nonviolenta al nazifascismo in
Italia, presente solo nel sito
http://italy.peacelink.org/storia/articles/art_14371.html
38. Adotto a ragion veduta la grafia ancora poco usata "nonarmato,
nonarmata" (come, sopra, per la parola "noncollaborazione") in parola unica,
per analogia con la scrittura gia' largamente invalsa "nonviolenza,
nonviolento". Lo scopo e' lo stesso: suggerire il significato positivo, e
non soltanto negativo, dell'idea detta con quelle parole. A me pare un uso
da incoraggiare. Non si tratta solo, qui, di non avere le armi, ma di usare
metodi che fanno a meno delle armi, pur realizzando una vera attiva difesa,
ben distinta da quella armata. Nello stesso tempo, "nonarmata" dice una
condizione di fatto, una rinuncia alle armi pragmatica, o tattica, o
necessitata, mentre "nonviolenta" e' una scelta che esclude i mezzi armati
per ragioni di principio.
39. Ho raccolto le relative indicazioni dei testi gandhiani nel libro
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, cit., pp. 41-42.
40. Anche questi testi sono indicati ivi, pp. 72-75.
41. Vedi in Enrico Peyretti, Dov'e' la vittoria? Piccola antologia sulla
miseria e la fallacia del vincere, Il Segno dei Gabrielli editori, San
Pietro in Cariano (Vr), 2005, pp. 67-70.
42. Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme,
Feltrinelli, Milano 2001, p. 178.
43. Citero' almeno Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, La Resistenza
taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, Bollati Boringhieri, Torino
2003 (ma la prima edizione esaurita e ricercatissima era del 1976); Anna
Bravo e Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne
1940-1945, Laterza 1995. E' da notare che Claudio Pavone, uno dei maggiori
storici della Resistenza, presentando il numero della rivista "Il Ponte"
dedicato al Cinquantenario della Liberazione, nel 1995, integrava il suo
lavoro piu' importante (Una guerra civile. Saggio sulla moralita' nella
Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991), accogliendo dal volume di
Bravo e Bruzzone il concetto di "resistenza civile" ivi proposto. Pavone ne
rilevava il "valore euristico", parlandone come di "qualcosa di piu' ampio"
della cosiddetta resistenza passiva, cioe' come una "pratica di lotta" con
mezzi diversi dalle armi. Il concetto di resistenza civile vale dunque a
superare la tendenza, rilevata da Claudio Dellavalle (nello stesso fascicolo
de "Il Ponte"), ad adottare "il criterio militare come criterio prevalente".
In questa nuova storiografia va citato anche Antonio Parisella, Sopravvivere
liberi. Riflessioni sulla storia della Resistenza a cinquant'anni dalla
liberazione, Gangemi editore, Roma 1997. Vedi il mio saggio La Resistenza
nonviolenta al nazifascismo in Italia, in
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti
44. Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita, cit., p. 104. Di tutte le
citazioni gandhiane Manara indica con cura la collocazione in The Collected
Works of Mahatma Gandhi, New Delhi, Government of India, 1958-1984.
45. Il libro e' importante per la ricostruzione dei fatti e delle idee con
cui Gandhi costrui' la nonviolenza moderna. E' tradotto per la prima volta
in italiano a cura di Rocco Altieri, col titolo Una guerra senza violenza.
La nascita della nonviolenza moderna, Libreria Editrice Fiorentina 2005. La
scelta di questo titolo, differente dall'originale, e' stata criticata, ed
effettivamente non mi pare appropriata, anche se l'espressione, per quel che
ne so, compare, solo en passant, almeno in un testo gandhiano del 10 aprile
1930, ora in Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, cit., p. 206.
46. F. C. Manara, Una forza che da' vita, citato, p. 121.
47. Il testo intero e' a p. 122 del libro citato di Manara. Un analogo
giuramento era emesso dai khudai khidmatgar, "servi di Dio", che componevano
l'esercito nonviolento di centomila uomini formato da Abdul Ghaffar Khan
(Badshah Khan, nome onorifico), detto "il Gandhi musulmano", leader dei
Pathan della Frontiera indiana (oggi Pakistan). In collaborazione col
Mahatma, egli educo' alla lotta nonviolenta contro le repressioni molto
violente del dominio inglese, quelle popolazioni notoriamente guerriere e
feroci, basando la nonviolenza sulla fede islamica. Cfr Eknath Easwaran,
Badshah Khan, il Gandhi musulmano, Ed. Sonda, Torino 1990 (1984). Il bel
testo del giuramento si legge a p. 132. Il fatto e' molto significativo per
indicare, contro il facile luogo comune, che la nonviolenza puo' essere
scoperta e scelta in societa' di qualunque cultura, costume e religione,
quando l'educazione sa mostrarne le forti basi umane.
48. F. C. Manara, Una forza che da' vita, cit., pp. 122-125. Si noti la
corrispondenza, ora completa, ora minore, tra questa classificazione di
regole e fasi con quelle presentate dagli altri autori citati sopra.
49. Ivi, pp. 125-132.
50. Gandhi citato da Capitini, Le tecniche della nonviolenza, cit., p. 67.
51. Giuliano Pontara, La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1996. L'autore individua dieci caratteristiche che, integrandosi una
con l'altra, formano una tale personalita': il ripudio della violenza, la
capacita' di identificare la violenza, l'empatia, il rifiuto dell'autorita',
la fiducia negli altri, la disposizione al dialogo, la mitezza, il coraggio,
l'abnegazione, la pazienza.
52. Chaiwat Satha-Anand, Islam e nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1997, specialmente p. 10, e tanti altri studi in argomento.
53. In Italia questa ricerca si e' sviluppata in una quantita' di studi,
convegni dei movimenti nonviolenti, esperienze sul campo in zone di
conflitto. Mi limito a segnalare qui i punti di partenza nel convegno di
Verona, ottobre 1979, atti pubblicati col titolo Difesa popolare
nonviolenta, Ed. Lanterna, Genova 1980, e nel libro di Theodor Ebert, La
difesa popolare nonviolenta. Una alternativa democratica alla difesa
militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984 (testi originali tedeschi del
1967-1982). Per i casi storici rinvio alla bibliografia Difesa senza guerra,
presente in rete, segnalata sopra.
54. Gandhi, citato da Dhawan, The Political Philosophy of Mahatma Gandhi,
Navaijivan, Ahmedabad 1957, p. 191, e da Pontara in Il pensiero
etico-politico di Gandhi, citato, p. CXVI.
55. Pontara in Il pensiero etico-politico di Gandhi, citato, pp.
LXXVII-LXXVIII.
(Parte terza - segue)

5. RILETTURE. MARINA I. CVETAEVA: POESIE
Marina I. Cvetaeva, Poesie, Feltrinelli, Milano 1967, 1992, pp. 240, lire
14.000. Nella traduzione ed a cura di Pietro A. Zveteremich, una raccolta
dei versi di una delle maggiori voci poetiche del Novecento. Ad ogni pagina
trovi il grido e il sussurro, la parola esatta e lo strazio senza fine, il
limpido sguardo, il cuore accecato; il respiro e la foresta e la statua di
sale.

6. RILETTURE. SYLVIA PLATH: LADY LAZARUS E ALTRE POESIE
Sylvia Plath, Lady Lazarus e altre poesie, Mondadori, Milano 1976, 1999, pp.
208, lire 12.000. Nella traduzione e a cura di Giovanni Giudici, con un
saggio di John Frederick Nims e l'introduzione di Robert Lowell ad Ariel (il
volume postumo dei versi della poetessa suicidatasi nel '63), una raccolta
delle tragiche liriche di Sylvia Plath in cui quasi ogni lassa, quasi ogni
verso ti interroga con una profondita' di sguardo che ti lascia senza
respiro.

7. RIEDIZIONI. WALTER LAQUEUR (A CURA DI): DIZIONARIO DELL'OLOCAUSTO
Walter Laqueur (a cura di), Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino 2004,
2007, pp. XXXIV + 934, euro 30. Un'utilissima opera di consultazione ed un
utilissimo strumento di lavoro soprattutto per l'attivita' didattica: in
ogni scuola ed ogni biblioteca ed ogni redazione dovrebbe essercene qualche
copia a disposizione di lettori e scrittori, docenti e studenti. L'edizione
italiana e' curata da Alberto Cavaglion.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 147 dell'11 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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