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Minime. 145
- Subject: Minime. 145
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 9 Jul 2007 00:41:05 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 145 del 9 luglio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: L'accecamento 2. Enrico Peyretti: Nonviolenza e tecniche di difesa nonviolenta (parte prima) 3. Elena Vaccarino intervista Vanna Ugolini su "Tania e le altre" 4. Letture: AA. VV., Don Pino Puglisi prete e martire 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: L'ACCECAMENTO Mentre l'Italia continua a partecipare ala guerra terrorista e stragista in Afghanistan, guerra che e' l'inizio e il cuore del divampare del terrorismo nel mondo. Mentre l'Italia continua a violare la sua stessa legge costitutiva in uno dei principi fondamentali, in uno dei valori supremi, quello sancito dall'articolo 11 che ripudia la guerra "come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", e con questa violazione ogni patto e' infranto, ogni legalita' estinta, il nostro paese precipita nell'anomia, nella barbarie. Mentre l'Italia coopera alla guerra e al terrorismo che possono trascinare l'intera civilta' umana nel baratro. Mentre questo, questo accade. * Mentre questo, questo accade. Come e' possibile esser cosi ciechi da non rendersi conto delle dimensioni e degli esiti di questo immane crimine? Come e' possibile non provare orrore e vergogna della nostra corresponsabilita' con la carneficina in atto? Come e' possibile cianciare d'altro mentre l'ecatombe e' in corso? Come e' possibile immeschinire e pervertire e travolgere tutto cio' che ha nome di umanita' fino a ritenere che il massacro di un intero popolo possa essere una ragionevole contropartita per accaparrarsi qualche ministero, per essere ammessi al saccheggio del pubblico erario, per partecipare alla mensa ove s'imbandisce non il pane degli angeli ma la squartata carne umana d'infiniti innocenti disfatti? Cosa e' diventata l'Italia, cosa e' diventato il suo ceto politico, il suo ordinamento giuridico, e cosa e' diventata l'intera popolazione? Come sono riusciti a ridurci a cannibali? Come e' possibile non vedere che tanto sangue ricadra' anche su tutti noi, e sull'umanita' intera? Peche' non c'e' un'insurrezione morale che almeno tenti, almeno tenti di fermare la guerra, le stragi, il terrore? 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NONVIOLENZA E TECNICHE DI DIFESA NONVIOLENTA (PARTE PRIMA) [Dalla pagina web http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_20410.html riprendiamo il seguente saggio gia' pubblicato nell'Annuario di filosofia "Pace e guerra tra le nazioni", a cura di Vittorio Possenti, Guerini e Associati editori, Milano 2006, alle pp. 243-282, col titolo Nonviolenza e tecniche di difesa nonviolenta, e la seguente scansione in paragrafi: Lo spirito e le tecniche; Mezzi e fini; Satyagraha; Obiezione di coscienza; Disobbedienza civile; Capitini, Sharp, Semelin; L'altra Resistenza; Le lotte di Gandhi; Terrorismo atomico; Rigenerazione della politica. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68] Lo spirito e le tecniche E' giusto esigere efficacia da chi propone la nonviolenza nei conflitti umani. La nonviolenza non e' solo l'astenersi dal fare violenza. Questo e' il minimo di una vita umana moralmente decente. Se la nonviolenza vuole proporsi come sostituzione dei metodi armati per i fini giusti con essi cercati, deve promettere un'efficacia almeno pari a quella che si attende solitamente dalle armi. La nonviolenza e' la scelta fondamentale di un atteggiamento attivo, positivo, per sostituire nelle relazioni umane ogni comportamento offensivo e distruttivo con comportamenti rispettosi e costruttivi, e questo anche e proprio nei conflitti piu' acuti, anche e proprio quando si pensa di avere ragione contro il torto dell'avversario. "La nonviolenza - ha scritto Gandhi - appare nella sua vera e piu' profonda natura quando viene opposta alla violenza" (1). Percio', chi fa l'opzione nonviolenta si pone problemi pratici: come agire nei conflitti senza fare violenza, come lottare per le cause giuste con metodi che non duplichino la violenza altrui, e siano alternativi rispetto ai mezzi violenti giustificati da altri col perseguire un fine giusto. Cardine dell'etica e della politica nonviolenta e' il nesso inscindibile tra la qualita' dei mezzi, le forme dell'azione, e la qualita' del risultato, qualunque fosse il fine nell'intenzione di chi agisce. Insieme al lavoro interiore, di acquisto della padronanza di se', sperimentata continuamente da ciascuno nei piccoli o grandi conflitti della vita quotidiana; insieme alla indipendenza profonda dal conformismo nei metodi di azione, insieme soprattutto all'emancipazione dal rispetto per la legge della violenza; insieme alla fiducia nel valore ineliminabile della testimonianza del valore, abbia o no successo nel conflitto; insieme a tutto cio', chi sceglie la nonviolenza sceglie la lotta, niente affatto la rassegnazione all'ingiustizia. E scegliendo di lottare incontra subito, come problema centrale, la decisione sul tipo di mezzi dell'azione, sulla loro elaborazione, affinamento, articolazione, efficacia. Quindi, lo studio e l'esperienza relativi alle tecniche dell'azione sono un impegno centrale nella nonviolenza, tanto quanto il lavoro spirituale, interiore, culturale e filosofico per questa mutazione antropologica dall'uomo duramente competitivo all'uomo cooperativo. "Violenza e' distruzione della vita, nonviolenza e' amore per la vita, cura per la vita e forza che fa vivere" (2). "La storia dice: violenza. La coscienza ha un soprassalto e dice: amore" (3). Ma la cura e l'amore si concretano precisamente in forme accurate di azione, in tecniche. Le tecniche nonviolente, poi, non sono frutto di sola razionalita' strumentale, efficientistica, settoriale, per la quale la ragione e le sue capacita' sono strumenti per ottenere un risultato; sono invece azioni della ragione globale, valoriale e critica, che intende realizzare visioni e valori mediante rispetto, cura, amore. L'ossessione dell'efficienza immediata e totale e' ingannevole, porta al cortocircuito della violenza, forza i tempi e la realta' e compromette il futuro: "La regola dell'azione non e' [...] l'efficacia a ogni costo, ma anzitutto la fecondita'"(4). * Aldo Capitini Aldo Capitini (1899-1968), il filosofo e pedagogista che introdusse in Italia il pensiero nonviolento, per primo nel nostro paese cerco' di individuare le tecniche dell'azione nonviolenta gandhiana (5). Dal suo pensiero si coglie subito come per lui "la questione della prassi non sia riducibile a un fatto tecnico, organizzativo, e tanto meno a una ricerca di potenza da esercitare in nome di supposti fini superiori di bene". Pur interessandosi proprio degli aspetti operativi e tecnici dell'azione nonviolenta, pur mentre riferisce esperienze pratiche e istruzioni altrui, Capitini "non ha voluto presentare alcun manuale operativo, tattico o strategico. Piuttosto, ha insistito sulla natura e sulla qualita' dell'azione nonviolenta. Per lui, secondo l'insegnamento di Gandhi, la pratica della nonviolenza e' amore in atto" (6). * Mezzi e fini Il primo capitolo de Le tecniche della nonviolenza (nell'edizione del 1967) tratta della "coincidenza" di mezzi e fini. "Per Gandhi i mezzi sono piu' che strumentali, sono creativi, costruttivi gia' di per se stessi" (p. 13). "La cosa fondamentale non e' la conoscenza del metodo come il possesso di uno strumento, ma cio' che e' nell'animo, cioe' l'apertura allo spirito della nonviolenza" (p. 10). Capitini tratta quindi del Satyagraha (vedi oltre), nome del metodo nonviolento usato da Gandhi, il "contributo massimo" che Gandhi ha dato (7). Tecniche nonviolente individuali ci sono sempre state, sicche' si puo' veramente dire, contro le impressioni superficiali dovute al clamore delle violenze, che "la storia dell'uomo e' una lunga marcia verso una luce, una liberta', una mitezza piu' grandi. [...] Se la competizione ha alcune volte portato avanti la causa del progresso, la cooperazione e' stata fondamentale per la sopravvivenza della specie" (p. 15) (8). "Ma Gandhi ha decisamente preso la nonviolenza dall'esperienza soltanto individuale e ne ha fatto un metodo per moltitudini", alla luce della "influenza formidabile" che esercito' su di lui ancora bambino un verso di una poesia del Gugerat: "La vera bellezza consiste nel ricambiare il male col bene", specie dopo avere ritrovato questo principio nell'evangelico Discorso della Montagna, nella Bhagavad Gita, e definitivamente in Il Regno di Dio e' dentro di te, di Tolstoj (p. 16) (9). Da virtu' personale, sempre esistita, "antica come le montagne", Gandhi ha fatto della nonviolenza una virtu' politica, una possibile azione storica. * Satyagraha La forza di queste ispirazioni e' appunto il Satyagraha, cuore del nuovo metodo, che supera la "resistenza passiva", ed e' qualcosa di fortemente attivo e positivo. Gandhi lo spiega come "la Forza che e' generata da Verita' e Amore" (p. 18) (10). Capitini continua esponendo ampiamente la concezione gandhiana della Verita', e mostrando che questo e' un metodo per tutti, come prova l'esperienza contemporanea di Martin Luther King. Dunque, come si vede, non si tratta di dovere semplicemente applicare regole pratiche, ma di acquisire un metodo sostanziale di azione costruttiva, a rimedio della distruttivita'. Capitini espone dodici Tesi sulla nonviolenza, riassuntive del suo pensiero ormai maturo. Anche qui si tratta ancora di capire, di entrare nella realta' antica e nuova della nonviolenza. Capire l'essenziale per poter viverlo e' qualcosa di "pratico", e' un fare, ma non e' certo applicare meccanicamente formule tecniche come ricette. "Se si sceglie la nonviolenza, cioe' l'apertura incessante all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di tutti gli esseri, sta poi alla tecnica (giuridica, amministrativa, sociologica, ecc.) trovare i modi della sua attuazione. [...] L'importante e' rendersi conto che la scelta e' fatta per un principio" (p. 31). Il metodo di lotta nonviolenta creato da Gandhi "e' fondamentalmente un principio etico, l'essenza del quale e' una tecnica sociale di azione". Con questa parole (prese dal libro citato di Joan V. Bondurant), Capitini introduce il terzo capitolo La nonviolenza come rivoluzione permanente (questo termine si poneva come alternativo ad uno slogan del comunismo cinese, corrente in quegli anni). L'indicazione capitiniana essenziale e' la creazione di "centro al livello delle moltitudini", che corregge ogni potere accentrato ed escludente; e' il potere e controllo dal basso, o democrazia diretta, quella che chiamera' poi "onnicrazia, o potere di tutti" (11). "Per il problema sommo che e' 'il potere', cioe' la capacita' di trasformare la societa' e di realizzare il permanente controllo di tutti, bisogna che l'individuo non resti solo, ma cerchi instancabilmente gli altri, e con gli altri crei modi di informazione, di controllo, di intervento. Cio' non puo' avvenire che con il metodo nonviolento" (p. 39). "La sintesi di nonviolenza e di potere di tutti dal basso diventa cosi' un orientamento costante per le decisioni nel campo politico-sociale" (p. 40). Alle Tecniche individuali e collettive della nonviolenza e' dedicata la seconda parte del libro di Capitini. "La strategia della nonviolenza, con il rifiuto deliberato del metodo violento, cioe' con l'uso di certi modi o tecniche, a cui sia strettamente congiunta una speciale disposizione d'animo verso gli avversari, e' rara nel passato - rara non vuol dire assente - e si e' fatta molto piu' frequente in questo secolo, insieme con la pressante entrata di grandi moltitudini nella storia e nei diritti comuni". La possibilita' della distruzione atomica generale "ha reso piu' imperioso lo studio di una strategia della pace, ma anche di una strategia della nonviolenza, in quanto essa renda efficace la pressione dal basso sui nuclei ancora ispirati alla strategia della violenza" (p. 45). * Tu-tutti Ma anche qui, per Capitini, la tecnica nonviolenta e' soprattutto un fatto di spirito e di pensiero: "La prima tecnica nonviolenta da esaminare e' quella del tu, del rivolgersi con l'anima e con l'azione ad ogni singolo individuo, in modo da interiorizzarlo, da sentirlo come prossimo, come se stesso. Anzi, l'atteggiamento e' tanto importante che lo si puo' vedere come piu' che una tecnica, ma la premessa di molte tecniche, un orientamento dell'animo" (p. 46). Con l'"atto del tu", anzi del tu-tutti, siamo nel cuore della filosofia di Capitini: questo pensare e' gia' atto pratico. Egli vi si sofferma citando Gesu' Cristo, Ernesto Buonaiuti, Guido Calogero, lo estende poi alla zoofilia e al vegetarianesimo, ascoltando Buddha, i jainiti, l'imperatore Asoka, san Francesco, Piero Martinetti (di cui cita La psiche degli animali) (12), la Carta internazionale degli animali (Delhi 1953) che riporta da una pubblicazione della Societa' vegetariana italiana (pp. 47-55). "Una delle tecniche fondamentali della nonviolenza verso gli esseri umani e' il superamento della vendetta e del risentimento": la vera tecnica continua ad essere un atto interiore pratico. Le voci qui richiamate sono quelle di Socrate nel Critone, del profeta Isaia, la tradizione indiana, il vangelo, san Paolo e san Francesco, Tolstoj e Gandhi, Richard Gregg, autore de Il potere della nonviolenza (13) (pp. 55-59). Atti di questo rispetto religioso verso il tu, sono la preghiera, la persuasione (qui cita Giovanni XXIII, Calogero e Socrate), il dialogo (dove ricorda un grande atto coraggioso di padre Gauthier, prete-operaio), l'esempio, il digiuno (riferendo parole di Danilo Dolci e di Gandhi), la croce di Cristo, l'autoincendio religioso (dei monaci buddhisti in Vietnam, e vi riflette per comprenderlo), la pieta' verso i morti (porta ad esempio la storia del film giapponese di Kurosawa, L'arpa birmana) (pp. 59-70). Venendo sempre piu' ad azioni pratiche, Capitini le pone sotto il principio della noncollaborazione, della quale scrive che "non esclude il mantenimento di un rapporto di amicizia, di amore, di vicinanza. [...] Cioe', la noncollaborazione non e' totale, non esclude il tu, l'altro, l'unita' con tutti, il tu-tutti; ma esclude semplicemente di dare il proprio aiuto all'attuazione di una cosa che non si accetta". Essa "cosi' realizzata, viene ad essere una specie di sollecitazione all'altro [...], si puo' dire che e' una noncollaborazione collaborante [...], da' all'avversario un contributo che puo' avvertirlo e anche persuaderlo; e questa vicinanza all'altro compensa quella certa freddezza che potrebbe apparire nel rifiuto della collaborazione" (pp. 71-72). Esempi citati sono Martin Luther King, l'opposizione al fascismo durante il ventennio, Antigone ("Io non sono nata per condividere l'odio, ma per condividere l'amore"), gli insegnanti statunitensi che rifiutano di addestrare gli allievi ad una falsa difesa nucleare. Anche manifestare il rimorso, come fa Claude Eatherly, un pilota di Hiroshima, per aver collaborato alla violenza, e' segno - come gli scrive Guenther Anders (14) - che e' possibile anche a noi tenere viva la coscienza (pp. 73-75). * Obiezione di coscienza Appunto l'obiezione di coscienza al servizio militare e' il mezzo d'azione trattato successivamente. Essa "si fonda su due tipi di ragioni. Il primo tipo e' di non riconoscere a nessuno e nemmeno allo Stato il diritto di costringere un uomo ad agire contro la propria coscienza. Il secondo tipo e' di porre come superiore al potere dello Stato il rapporto amorevole con tutti gli esseri umani, nessuno escluso" (pp. 77-78). Ricorda l'obiezione antica di san Massimiliano (15), quella dei terziari francescani (laici chiamati alle armi, difesi dal papa nella loro obiezione) nel 1221 a Rimini: "Noi non possiamo combattere ne' portare le armi, sia di offesa che di difesa, perche' noi vogliamo la pace con gli uomini e con Dio, conquistandola con opere di bonta', trasformando il male che e' nel mondo in bene". Ricorda le minoranze cristiane nonviolente, e specialmente i Quaccheri, poi il Movimento Internazionale della Riconciliazione (16) e la War Resisters International (17), nati rispettivamente prima e dopo la prima guerra mondiale. Ricorda l'obiezione di Claudio Baglietto, suo collega nella Scuola Normale di Pisa, morto in esilio nel 1940, e poi ampiamente Pietro Pinna, primo esplicito obiettore italiano, incarcerato nel 1949. La prima legge che riconosce l'obiezione e istituisce il servizio civile sostitutivo del militare si avra' in Italia solo nel 1972: qui Capitini registra il relativo dibattito, fino a quel momento, con le idee di Gandhi, di Calogero, i progetti legislativi di Nicola Pistelli e quello di Luciano Paolicchi, mentre ammira l'apertura mentale del ministro degli esteri norvegese Halvard Lange, e cita la lettera di don Milani ai cappellani militari (11 febbraio 1965) (18). Conclude sull'obiezione di coscienza: "Non ci sono leggi o istituzioni che possono farla contenta se non quelle che per sempre sostituiscano efficacemente il modo bellico di regolare i conflitti" (pp. 78-90). * La coscienza La necessita' che ha talora la coscienza di opporsi a qualche legge o comando, richiede di soffermarci un momento su questo atto centrale della lotta nonviolenta alla violenza. La coscienza non e' un mezzo tecnico o tattico, ma e' il movente e l'anima di tutte le azioni della nonviolenza, che cercano efficacia. La coscienza che deve negare collaborazione alla violenza organizzata e' quel principio a noi intimo, e nello stesso tempo superiore, che ci impegna a fare cio' che ci appare sinceramente un bene e a ripudiare cio' che ci appare un male. E' la nostra identita' piu' propria eppure ci trascende perche' puo' confliggere con l'istinto, col nostro interesse e la nostra volonta', alla quale sempre comanda come istanza superiore e, nello stesso tempo, e' la piu' vera realizzazione della stessa piu' propria volonta' nostra. La coscienza puo' essere tacitata, piegata, accomodata, e cosi' l'uomo si falsifica nel profondo, ma sta come voce della verita' che attira. Non occorre saper definire teoricamente la verita' per sentirne l'appello nella coscienza. Certo, essa e' condizionata in tanti modi, puo' confondersi ed errare, ma resta capace di chiarirsi e correggersi, specialmente se si tiene in dialogo con le coscienze altrui (19), come sorgente che zampilla di nuovo limpida nonostante fango e pietre che la otturano. Prima, dentro e oltre ogni argomentazione oggettiva - che pure e' da cercare con cura - e' la coscienza il criterio che giudica il male e il bene. Per quante siano le nostre incertezze e i campi di realta' sfumati, difficili da valutare, la coscienza sincera vede bene i due poli chiari, del bene e del male. Bene e' il rispetto positivo della realta', anzitutto dei viventi, evitando di far soffrire, male e' cio' che offende e distrugge. Noi non sapremmo che il male e' male se non avessimo il criterio intimo del bene. Tante volte non sappiamo con tutta chiarezza quale e' il bene, ma sappiamo quale e' il male da cui allontanarci: questo ci mette sulla via, per quanto sia lunga, del bene. La coscienza che, come a Socrate, indica che cosa non si deve fare, piu' che il da farsi, e' l'energia in prima istanza negativa, ma in realta' positiva, che muove l'obiettore. Gli obiettori di coscienza, anche quando non sapessero argomentare, sanno che devono obbedire al bene cercato. La coscienza richiede coraggio, ma anche da' il coraggio che richiede, e sta come energia interiore - il Satyagraha gandhiano, la voce di Dio, lo spirito dell'umanita' migliore, la consapevolezza illuminata - che sostiene l'obiettore, anche nella solitudine in cui spesso si trova. Il no degli obiettori a qualcosa di ingiusto e' soprattutto un si' alla verita' cercata della vita (20). * Note 1. Gandhi, citato da Giuliano Pontara, Prefazione a Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006, p. 11. 2. Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita, cit., p. 159. 3. Paul Ricoeur, citato ivi, p. 16, da L'uomo nonviolento e la sua presenza nella storia, in La questione del potere, Costantino Marco ed., Cosenza 1991, pp. 28-29. 4. Maurice Merleau-Ponty, Segni, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 102. Devo la citazione a Roberto Mancini, in Senso e futuro della politica. Dalla globalizzazione a un mondo comune, Cittadella, Assisi 2002, p. 198. 5. Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli, Milano 1967. Il libro, comparso un anno prima della morte dell'autore, e' stato ripubblicato da Linea d'ombra, Milano 1989. 6. Roberto Mancini, L'amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e Levinas, Cittadella editrice, Assisi 2005, p. 202. 7. Come vedremo, satyagraha significa sia il fondamento nella verita' del metodo di lotta, sia la campagna di lotta condotta con tale metodo, mentre satyagrahi e' il combattente con tale metodo in tale lotta. 8. Citazione da Humayun Kabir, Education in New India, George Allen and Unwin, London 1956, pp. 183-184. 9. Citazione da B. R. Nanda, Gandhi il Mahatma, Mondadori, Milano 1962, pp. 94-95. 10. Citazione da Joan V. Bondurant, Conquest of Violence, Princeton University Press, 1958, p. 8. 11. Con questo titolo, Il potere di tutti, esce presso La Nuova Italia, Firenze, nel 1969, un anno dopo la sua morte, un'ampia raccolta organica di scritti capitiniani, con una bellissima introduzione di Norberto Bobbio e una prefazione di Pietro Pinna. 12. Di questo libretto di Piero Martinetti abbiamo oggi una riedizione col titolo Pieta' verso gli animali, Il melangolo, Genova 1999, con l'aggiunta di una decina di frammenti su alcuni animali cari a Martinetti. 13. Richard Gregg, The power of non-violence, Routledge, London 1936, c. II, pp. 26-27. 14. Guenther Anders, in "Quaderni piacentini", n. 16. 15. Degli atti processuali di questo martire, condannato alla decapitazione, Capitini riporta una traduzione sintetica e approssimativa, dalla quale risulta solo l'opposizione tra il militare per Cristo e il militare per l'impero. Il testo originale si legge nel lavoro storico-filologico di Paolo Siniscalco, Massimiliano: un obiettore di coscienza del tardo impero, Paravia, Torino 1974, pp. 159-161. Da questo testo e dall'analisi di Siniscalco risulta che il motivo dell'obiezione di Massimiliano sta nelle parole: "Non possum militare; non possum malefacere", dove il malefacere riguarda non pratiche idolatriche, ma l'uso delle armi (p. 72 e 133-135). Si veda anche l'Introduzione di Sergio Tanzarella a Adolf Harnack, Militia Christi. La religione cristiana e il ceto militare nei primi tre secoli, L'Epos, Palermo 2004, pp. 33-37. 16. Questo movimento nasce nel 1914: allo scoppio della prima guerra mondiale, dopo aver partecipato a un convegno ecumenico a Colonia, l'inglese Henry Modgkin e il tedesco F. Siegmund Shultze promettono di non partecipare mai ad una guerra. Alla fine dello stesso anno, a Cambridge, 130 persone danno vita al Movimento e, divenuto obbligatorio il servizio militare in Gran Bretagna, nel 1917 piu' di 600 membri del Mir inglese si dichiarano obiettori di coscienza e vengono messi in prigione. Nel 1919 il Movimento diventa internazionale con la denominazione di Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) nei paesi latini e di International Fellowship Of Reconciliation (Ifor) nei paesi anglofoni. 17. "Believing war to be a crime against humanity, the War Resisters League, founded in 1923, advocates Gandhian nonviolence as the method for creating a democratic society free of war, racism, sexism, and human exploitation" (www.warresisters.org). Il ramo italiano e' il Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org), fondato da Capitini nel 1961. 18. Questa lettera si trova in molte successive edizioni, per lo piu' della Libreria Editrice Fiorentina, degli atti del processo a don Milani, col titolo L'obbedienza non e' piu' una virtu'. 19. Bernhard Haering, teologo morale, parlava di "reciprocita' delle coscienze". 20. Sulla obiezione di coscienza, oltre gli studi giuridici di Rinaldo Bertolino, Rodolfo Venditti ed altri, che contengono anche ampi riferimenti storici, troviamo raccolte di storia, esperienze e testimonianze, per esempio, nei libri di Sergio Albesano, Storia dell'obiezione di coscienza in Italia, Santi Quaranta, Treviso 1993; Pietro Pinna, La mia obiezione di coscienza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1994; Jean Pezet, Tu ne tueras pas, Temoignage, Castres 1994; AA. VV., Le periferie della memoria. Profili di testimoni di pace, Anppia e Movimento Nonviolento, Verona 1999; Claudio Tognoli (a cura di), Maestri e scolari di nonviolenza, Franco Angeli, Milano 2000; Erna Putz, Franz Jaegerstaetter. Un contadino contro Hitler, Ed. Berti, Piacenza 2000; Francesco Comina, Non giuro a Hitler. La testimonianza di Josef Mayr-Nusser, Ed. San Paolo, Milano 2000; Alberto Trevisan, Ho spezzato il mio fucile, Edb, Bologna 2005; nel Canton Ticino il periodico "Obiezione!" (www.serviziocivile.ch) tiene vivo e segue il problema in Svizzera. (Parte prima - segue) 3. RIFLESSIONE. ELENA VACCARINO INTERVISTA VANNA UGOLINI SU "TANIA E LE ALTRE" [Dal sito di "Donne in viaggio" (www.div.it) riprendiamo la seguente intervista pubblicata il 4 luglio 2007 che presenta il libro-inchiesta di Vanna Ugolini, Tania e le altre. Storia di una schiava bambina, Stampa Alternativa, con prefazione di Lella Costa. Elena Vaccarino, giornalista, e' direttrice responsabile di "Donne in viaggio", la rivista dell'associazione omonima che cura insieme a Mary Nicotra. Dal sito www.lagazzettaweb.it riprendiamo la seguente scheda: "Elena Vaccarino, torinese, e' un tipo estroverso e caparbio. Da sempre coltivava un'idea fissa: diventare giornalista. Presa la laurea in lingue, ha cominciato a collaborare con diversi giornali locali piemontesi. Iscritta all'Ordine dei giornalisti dal 1990, ora fa parte dello studio giornalisti associati 'La Fonte'. Nel suo cammino di freelance si e' occupata d'un sacco di argomenti, dalla cronaca locale alla cultura, sia su testate a varia periodicita' sia come addetto stampa. In particolare, si e' avvicinata al mondo della sanita' lavorando dapprima come responsabile dell'ufficio stampa dell'Assessorato alla sanita' del Piemonte e poi per quelli dell'Ospedale ostetrico ginecologico infantile e dell'Ospedale Molinette di Torino. In questi ultimi due, che sono i maggiori ospedali della regione subalpina, ha anche fondato e diretto con successo i rispettivi periodici aziendali". Vanna Ugolini e' giornalista del quotidiano "Il messaggero" e saggista. Opere di Vanna Ugolini: Il ritorno della mela cotogna, Stampa Alternativa - Nuovi Equilibri, Roma-Viterbo 2001; Tania e le altre. Storia di una giovane schiava bambina, Stampa Alternativa - Nuovi Equilibri, Roma-Viterbo 2007] Il libro e' la ricostruzione dell'omicidio di Tania Bogus-Natalia Seremet, una ragazzina moldava ammazzata a martellate dal suo sfruttatore perche' non voleva prostituirsi nelle montagne del Folignate in Umbria. L'autrice ripercorre a ritroso la vita di questa bambina-schiava, sfruttata quando era ancora minorenne, e il tragico tragitto della sua vita, dalla ricerca di un lavoro, al viaggio verso l'Italia, gli stupri, i night umbri, la strada fino alla notte in cui mori'. Ma il libro non e' solo la ricostruzione della vicenda di Tania. Da qui si parte per altre inchieste sviluppate nei diversi capitoli del libro: dalle storie delle "altre" ragazze, finite nelle mani del racket della prostituzione, al problema del racket come vicino di casa, ai primi processi in Italia, dove, le ragazze costrette a prostituirsi denunciano, e fanno condannare, i loro sfruttatori. E ancora, il giro d'affari del racket e della prostituzione, le connessioni con l'economia locale e molto altro ancora. Ogni capitolo del libro e' corredato di dati e informazioni quantitative raccolte, sui vari argomenti trattati, dal 2004 al 2007. Abbiamo incontrato Vanna Ugolini e lei stessa ci parla delle sue inchieste. * - Elena Vaccarino: Vanna Ugolini, perche' ha scelto proprio di partire da un omicidio avvenuto nel 2000 e ormai risolto per sviluppare il suo libro-inchiesta? - Vanna Ugolini: Perche' la morte di Tania e' lo specchio della vita delle altre. E, proprio perche' l'omicidio di questa ragazza era risolto dal punto di vista giudiziario, era possibile spostare l'attenzione sul resto, su quello di cui le cronache non avevano parlato: e cioe' sul significato simbolico del tragitto tragico della vita di questa ragazza e della sua morte. * - Elena Vaccarino: Tania, dunque, come simbolo. Di cosa? - Vanna Ugolini: Di una parte di umanita' senza diritti ne' scelta ne' giustizia che convive ogni giorno con noi, che abita dietro la porta accanto alla nostra e che troppo spesso non vediamo o non vogliamo vedere. La storia di Tania spazza via tanti luoghi comuni e ci mette di fronte a una realta' durissima: la riduzione in schiavitu' di un numero enorme di donne della parte povera dell'Europa e dell'Africa. Con questo non voglio dare giudizi morali sulla prostituzione, non voglio dire che tutte le donne che vendono il proprio corpo sono schiave. Ma il problema che ho affrontato in questo libro e' un altro. * - Elena Vaccarino: Quale? - Vanna Ugolini: Tania e le altre non volevano prostituirsi, volevano lavorare. Non volevano essere violentate, picchiate, non volevano avere un bambino ne' essere costrette ad abortire. Volevano una vita diversa, migliore. Volevano avere la possibilita' di fare una scelta. Il destino di Tania ci insegna che i grandi cambiamenti storici non passano poi tanto distante da noi. A volte ci sfiorano, altre volte deflagrano nella nostra vita obbligandoci a cambiarla o a subirli. * - Elena Vaccarino: E' la societa' civile dunque, se cosi' si puo' definire, che non vuole ne' vedere ne' sentire? - Vanna Ugolini: Tania ha urlato il suo dolore, in tanti l'hanno sentita ma nessuno ha mosso un dito. Tania aveva 17 anni quando e' finita nelle mani di un aguzzino sadico e violento, aveva paura. Nessuno l'ha consolata, rassicurata, tantomeno difesa. Ha chiesto aiuto, ha ricevuto in cambio i soldi di chi ha comprato il suo corpo. Tania ci e' passata vicino, l'abbiamo guardata senza vederla. E' vissuta insieme noi, forse l'abbiamo sfiorata in un negozio, senza mai renderci conto della sua disperazione ne' della sua condizione. Questo sta succedendo oggi, con Tania e le altre: non siamo in grado di distinguere, di quello che sta succedendo non ci rendiamo conto fino in fondo, o non vogliamo farlo. * - Elena Vaccarino: Nel suo libro si puo' anche leggere una forte richiesta di giustizia per questa giovane donna. - Vanna Ugolini: Tania non ha avuto alcuna giustizia da viva e nemmeno da morta. La sta ancora aspettando. Il suo corpo e' rimasto nove mesi in una cella frigorifera dell'obitorio prima che potesse essere sepolta nella sua terra. Il suo assassino e' ancora libero, nessuno ha fatto appelli per lei, nessuno ha chiesto che le ricerche fossero intensificate. Lui e' un uomo libero e non c'e' motivo di credere che abbia cambiato il suo mestiere. Probabilmente continuera' a fare lo schiavista, a violentare e privare di tutti i diritti altre ragazze da qualche altra parte del mondo. * - Elena Vaccarino: Quali speranze ci sono per le tante "Tania" che arrivano in Italia? - Vanna Ugolini: La speranza viene sempre da Tania. La sua morte ha, in qualche modo, accelerato una inchiesta importante che ha portato a centinaia di arresti e alla liberazione di una trentina di ragazze che erano costrette a prostituirsi nei locali o per la strada. Il processo, pero', dal 2001 non e' ancora stato celebrato. E si e' scoperto recentemente che alcune persone che erano state arrestate all'epoca, nella prima inchiesta, avevano ricominciato a ridurre in schiavitu' ragazze e a farle prostituire. La speranza viene da tutte quelle persone che affrontano questi problemi per lavoro, ma che in questo lavoro mettono molto piu' che un semplice impegno professionale. * - Elena Vaccarino: Nella seconda parte del libro si affronta il problema del racket in una citta' di provincia. Una presenza forte, alla quale pero' Perugia ha saputo dare risposte altrettanto ferme. - Vanna Ugolini: Negli ultimi dieci anni Perugia e' stata al centro di grandi cambiamenti. Alcuni inevitabili, altri intrinseci, legati alle modalita' di sviluppo economico e urbanistico e anche alle scelte politiche e sociali che sono state fatte. Intanto, sfaterei il luogo comune della "provincia felice". Il crimine, oggi, non conosce legami territoriali, e' spesso, stando alle statistiche, un crimine che parla straniero e che, anzi, nelle province come Perugia storicamente a basso tasso di criminalita', ha trovato un accesso facilitato, senza "barriere all'ingresso": non si e' dovuto scontrare o scendere a patti con nessun'altra forza criminale. Detto questo ogni provincia in qualche modo interessata dal fenomeno criminale, ha dato le sue risposte, ha tirato fuori i suoi "anticorpi". * - Elena Vaccarino: Quali strumenti ha usato Perugia per reagire a tutto questo? - Vanna Ugolini: Perugia e' sicuramente da questo punto di vista una citta' dei record. E' a Perugia che si e' conclusa la prima indagine in Italia con l'accusa di associazione a delinquere per sfruttamento della prostituzione. Il Comune di Perugia e' stato il primo a costituirsi parte civile contro gli sfruttatori, a sostenere le ragazze nel percorso giudiziario di denuncia. Il progetto Free Woman funziona molto bene e tante indagini sono andate a segno, compresa, appunto, quella sull'uccisione di Tania. Ma, come si dice, contro il racket non bisogna mai abbassare la guardia. * - Elena Vaccarino: E adesso, pensa che la guardia sia abbassata? - Vanna Ugolini: Ci sono state e ci sono ancora indagini in corso molto importanti e la risposta delle forze dell'ordine e' stata spesso efficace. Ma va detto che il racket ha sempre cercato di adeguarsi per non avere problemi e non perdere guadagni. La gente protestava perche' c'erano troppe prostitute per strada? Man mano, molte ragazze sono state fatte prostituire in casa. E mentre da decenni in parlamento si discute se e come modificare la legge Merlin, sul si' o il no alle case chiuse, in realta' se non proprio i quartieri a luci rosse modello Amsterdam, a Perugia (e probabilmente anche da altre parti) ci sono gia' i palazzi a luci rosse, abitati, ormai, quasi interamente, da ragazze che si prostituiscono o sono costrette a prostituirsi. Questo ha in parte calmato gli animi di molte persone che vedono lo sfruttamento della prostituzione soprattutto come un problema di decoro. E, forse, sta anche facendo guadagnare qualcuno. * - Elena Vaccarino: Chi guadagna e quale e' il meccanismo? - Vanna Ugolini: Le indagini hanno via via dimostrato che nelle bande di sfruttatori arrestati c'erano spesso anche degli italiani che non avevano un ruolo diretto nella gestione delle ragazze ma che fornivano una copertura al racket: facevano i prestanome, gli autisti, fornivano alloggi e cosi' via. Una sorta di "tuttofare" del racket. Bisogna chiedersi non solo quanto lo sfruttamento della prostituzione toglie ad una citta' in termini di sicurezza e di dignita', di decoro, ma anche quanto da'. Piu' l'intreccio tra economia reale e sommersa e' forte, o, comunque si allarga, e piu' diventa confuso il confine tra lecito e illecito, piu' lo sfruttamento della prostituzione - che spesso, troppo spesso, lo ripeto, e' riduzione in schiavitu' - viene tollerato. * - Elena Vaccarino: Collusioni, patti d'affari? - Vanna Ugolini: Non intendo dire che ci sia una collusione, un patto d'affari di una parte della citta' con la malavita. Pero' queste zone indefinite esistono. Credo, stando anche agli elementi che ho raccolto durante il mio percorso professionale e le ricerche svolte per il libro, che questo sia un fenomeno complesso, in cui giocano tante variabili. E una delle tante chiavi di interpretazione del fenomeno sta anche nello sviluppo urbanistico della citta', che ha completamente snaturato la struttura di alcuni quartieri periferici, altri ne ha fatti lievitare: una certa periferia di Perugia non e' diversa da quella delle grandi citta', con tutti i problemi che, poi questo sta creando. Questo significa anche, ad esempio, che c'e' una grande disponibilita' di appartamenti anonimi che possono essere affittati, per la stragrande maggioranza dei casi in nero, permettendo cosi' al racket di sistemarvi le ragazze. * - Elena Vaccarino: Allora, secondo lei cosa bisognerebbe fare? - Vanna Ugolini: Intanto, arrestare il suo assassino. Per Tania e per le altre. In secondo luogo vanno fatti interventi sia repressivi sia preventivi di lungo respiro. Il problema della riduzione in schiavitu' di queste ragazze non e' un'emergenza, e' un dato di fatto, una realta', un cambiamento storico in atto. Va affrontato, quindi, con strategie durature e su piu' fronti. Per questo, oltre a tutto quello che si sta facendo, sarebbe interessante, secondo me, far partire un'indagine seria e mettere sotto sequestro gli appartamenti affittati in nero a chi li usa per commettere reati, dallo spaccio allo sfruttamento della prostituzione, appunto. * - Elena Vaccarino: Ritiene dunque, che questa potrebbe essere una strada alla soluzione del problema? - Vanna Ugolini: Almeno fino a quando il racket non disporra' di immobili di proprieta'. Fino ad allora, lo ritengo un deterrente importante perche' un cittadino che si vede sequestrare un bene per mesi e, quindi, tagliare una fonte consistente di reddito, starebbe ben attento prima di darlo in locazione. Infine e' comunque importante alzare in ogni settore il livello di legalita', perche' anche le istituzioni, la citta', possano fare "barriera" contro l'insediamento del racket; e che ci sia una continuita' e comunanza d'intenti fra le istituzioni, le forze di polizia, il cittadino. Un cittadino che vuole denunciare situazioni poco chiare o vuole capire o protestare deve poter avere un riferimento riconoscibile, istituzionale. Altrimenti i risultati sono le petizioni, le chiusure, gli scontri, le retate, tutti interventi che non hanno effetti nel tempo. Il problema della riduzione in schiavitu' e dello sfruttamento delle donne, lo ripeto, ci riguarda, va affrontato seriamente, con progetti a lungo termine, anche a costo di essere impopolari. 4. LETTURE. AA. VV.: DON PINO PUGLISI PRETE E MARTIRE AA. VV., Don Pino Puglisi prete e martire, Libreria editrice "Il pozzo di Giacobbe", Trapani 2000, pp. 128, euro 8,26. Il volume presenta le relazioni di un convegno svoltosi a Palermo nel 1998 per iniziativa della Facolta' Teologica di Sicilia dedicato alla figura e all'opera don Pino Puglisi, assassinato dalla mafia nel 1993. Presentazione di Salvatore De Giorgi, contributi - acuti ed appassionati - di Giuseppe Bellia, Cosimo Scordato, Salvatore Di Cristina, Mario Golesano, Francesco Michele Stabile. Per richieste alla casa editrice: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.ilpozzodigiacobbe.com 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 145 del 9 luglio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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