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Nonviolenza. Femminile plurale. 114
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 114
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 9 Jul 2007 17:45:02 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 114 del 9 luglio 2007 In questo numero: 1. Claudio Canal presenta le "Lettere dalla mia Birmania" di Aung San Suu Kyi ed altri libri dalla e sulla Birmania 2. Piergiorgio Pescali: Aung San Suu Kyi, la spina nel fianco del regime birmano 3. Un profilo di Aung San Suu Kyi 4. Una newsletter 1. LIBRI. CLAUDIO CANAL PRESENTA LE "LETTERE DALLA MIA BIRMANIA" DI AUNG SAN SUU KYI ED ALTRI LIBRI DALLA E SULLA BIRMANIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 luglio 2007, col titolo "Cartoline birmane. Negli estremi orienti del silenzio" e il sommario "Appena uscite per Sperling & Kupfer le Lettere dalla mia Birmania di Aung San Suu Kyi, rivelano un paese economicamente e socialmente disastrato dove la letteratura non ha piu' un luogo in cui manifestarsi. Stretto tra due giganti come la Cina e l'India, per secoli il paese asiatico ha dovuto destreggiarsi per affermare la propria identita'. Ora la minaccia e' rappresentata dalla censura dei militari". Claudio Canal e' traduttore, saggista, viaggiatore, insegnante, formatore; dal sito de La Giuntina riprendiamo la seguente scheda: "Claudio Canal vive a Torino occupandosi di musiche, di discordie internazionali e di citta' mirabili"; dal sito del cineteatro Baretti di Torino (www.cineteatrobaretti.it) riprendiamo la seguente scheda: "Claudio Canal ha insegnato qua e la', ha scritto reportages per il quotidiano 'Il manifesto' da vari angoli del mondo, oltre ad articoli di politica internazionale, di storia e di musica. Pratica scritture di viaggio. E' consulente e formatore in diversi progetti di cooperazione a carattere sociale e culturale. Suona e si occupa di poesia, musica e teatro, ambito nel quale lavora particolarmente sugli intrecci tra racconto e suono". Tra le opere di Claudio Canal: Praga, Clupguide, 1987, 1997; Tutti mi chiamano Ziamele. Musiche yiddish, La Giuntina, Firenze 1990; Mose' (un viaggio da Dio), Clupguide, 1995; Amsterdam, Citta' Studi, 2002, De Agostini, 2005. Aung San Suu Kyi, figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - durissime persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 2005; Lettere dalla mia Birmania, Sperling & Kupfer, Milano 2007] Il paese vacilla anche nel nome, Birmania o Myanmar? Traballa ancora di piu' se lo si guarda dal punto di vista del suo sviluppo culturale. Un millennio di fiorente letteratura sembra oggi non avere luogo in cui manifestarsi, e non soltanto per il silenziatore agitato dalla giunta militare, ma anche per la devastante situazione sociale e scolastica cui proprio i militari lo hanno ridotto. Stretta tra due giganti culturali, la Cina e l'India, la Birmania ha sempre dovuto destreggiarsi. Si parla di Birmania, ma si dovrebbe intendere la pluralita' di lingue ed espressioni culturali che la compongono, anche se quello strano processo che qualcuno definisce di "birmanizzazione" ha fatto passi enormi. Non sempre con eleganza e lasciando dietro di se' numerose tracce di sangue. C'e' stato un tempo in cui la vita birmana si alimentava di infinite voci e differenze, tanto da essere considerata una specie di "paradiso per antropologi". Al contrario, oggi quella vita non sembra produrre altro che il silenzio. * Censura preventiva Il 30 marzo scorso, nei pressi dell'antica capitale Mandalay, il poeta Thu Moe Myint e' stato arrestato perche' non aveva sottoposto al controllo preventivo dell'Ufficio censura un libretto di suoi versi scritti e stampati per gli amici, in occasione del giorno di san Valentino. Nello stesso mese veniva chiuso un giornale locale dedicato al grande intellettuale e leader politico Sayagyi Thakin Kodaw Hmine (1876-1964), da trent'anni sottoposto a un duro e logorante ostracismo. Come se non bastasse, nel giugno 2006 sono stati condannati a diciannove anni di carcere Aung Than e Zaya Aung, studentessa all'universita' di Pagu, per aver pubblicato il libro Dawn Mann, che in italiano potrebbe essere tradotto Lo spirito combattivo del pavone. Non a caso, il pavone e' il simbolo della Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) di cui e' leader Aung San Suu Kyi, figura simbolo della lotta contro la censura, oltre che premio Nobel per la pace nel 1991 ed eterna prigioniera politica. Non di crollo, dunque, si dovrebbe parlare, ma dello stritolamento da parte di un macchina censoria efficientissima nell'individuare chi si allontana anche solo di poco dalle posizioni ufficiali. Obiettivo della censura e' dunque quello di mettere a tacere tutto cio' che non sia evocazione di buoni sentimenti, di fiori profumati, albe dorate e felici amori coniugali. Originariamente pubblicate nel 1997, sono da poco uscite anche in Italia le Lettere dalla mia Birmania (Sperling & Kupfer, pp. 207, euro 16,50) di Aung San Suu Kyi. Si tratta di brevi testimonianze pervase di ironia e intelligenza politica che aprono un piccolo spiraglio di vita e di pensiero sul paese di cui Suu Kyi e' ormai l'icona di speranza. Le Lettere seguono il filo di un altro libro di San Suu Kyi, una raccolta di saggi apparsa nel 1996, sotto il titolo Libera dalla paura. Non ci sono altre voci dal cuore della Birmania, ma se ne trovano molte sulla Birmania. Fra i tanti, andrebbe segnalato un romanzo di Karen Connelly, scrittrice e poetessa canadese. Tradotto in italiano - un po' retoricamente - Il canto della liberta' (Frassinelli, pp. 467, euro 18), racconta la storia di Teza, famoso cantautore incarcerato per ragioni politiche. Ben costruito, scorrevole, efficace nella rappresentazione della vita in gabbia, il romanzo della Connelly si rivela troppo macchinoso quando si confronta direttamente con situazioni o caratteri politici del mondo birmano. Un altro scrittore di lingua inglese, Andrew Marshall, ha scritto invece un racconto che e' anche, o soprattutto, una indagine storica. In Birmania football club (Instar libri, pp. 304, euro 17), Marshall si mette sulle tracce di un avventuriero vittoriano, ordendo una trama avvincente fra il passato coloniale (la Birmania e' stata colonna britannica) e un presente dittatoriale. Birmania: storie di un paese in gabbia e' invece l'eloquente sottotitolo del libro di Cecilia Brighi, titolato Il pavone e i generali (Baldini Castoldi Dalai, pp. 310, euro 16,50). Come si vede la gabbia torna a far bella mostra di se' come immagine dell'attuale condizione birmana. Al lago Taungthaman, vicino a Mandaly, sullo sgangheratissimo e miracoloso ponte di tek che lo attraversa per intero, per poche monete i ragazzini ti offrono l'occasione di liberare gli uccellini che tengono in gabbia. Maggiore e' l'offerta di kyat, la valuta locale, piu' grande sara' l'uccello liberato. Nelle galere di stato, pero', non sembra ci siano soldi a sufficienza per liberare esseri umani. Forse la parola giusta, per descrivere questo stato di cose, e' ancora quella del poeta Maung Chaw Nwe: "Sono entrato nella casa delle nubi e, ora, provo e riprovo, non riesco ad uscirne". Nubi appiccicose, imperative, che condannano alla paura, come dimostrano bene due studiose, l'australiana Monique Skidmore con Karaoke Fascism: Burma and the Politics of Fear (Philadelphia University Press, 2004) e l'americana Christina Fink con Living Silence. Burma under Military Rule (Zed Books, 2001). Angolature diverse, ma le medesime conclusioni: la centralita' della paura nella vita birmana obbliga a svuotarsi emotivamente quando si tratti di ripetere le cantilene imposte dal regime militare e nello stesso tempo a dare sfogo a un mondo fantastico e magico sostitutivo, fatto di giochi, scommesse, pratiche occulte e rituali parareligiosi. Ma anche a una specie di postmodernismo d'obbligo in cui la scrittura ricorre a un pallottoliere di immagini, simboli, metafore, per fare anche solo un cenno alla realta' sociale e politica e sfuggire in tal modo alla greve lettura del censore. Anche il lettore normale pero' fa fatica a decifrare questa foresta di segni paralleli che vorrebbero sottrarsi al dominio mentale del regime narco-militare. Cosi', dopo un certo periodo di impegno, rockstar famose come Zam Win Htut si sono dovute piegare al compromesso e cantare di amori perduti e ritrovati piuttosto che di individui civilmente vivi. Un universo vuoto e sterile in cui per forza l'irrazionale e il fantastico la fanno da padroni, come ha dimostrato Guillaume Rozenberg nel suo Renoncement et Puissance (Olizane, 2005). Si potrebbe dire che quello birmano sia un universo orwelliano, non solo per l'ovvio rimando al clima allucinatorio che George Orwell ha ricreato in La Fattoria degli animali e in 1984, ma anche perche' nel 1934 ha scritto un bellissimo romanzo intitolato Giorni di Birmania, uscito prima negli Stati Uniti e solo l'anno dopo in Gran Bretagna, per rogne con la censura. L'immancabile storia sentimentale e' inserita in un contesto di indignazione e di denuncia del colonialismo britannico suscitatore di fantasmi di morte. Come l'indiano Amitav Ghosh aveva intrecciato storie di famiglie tra Birmania e India nel Palazzo degli specchi (Neri Pozza, pp. 673, euro 14) edito da Neri Pozza e nel reportage politico-culturale apparso da Einaudi con il titolo Estremi orienti (pp. 144, euro 9), allo stesso modo Thant Myint U, nipote del terzo segretario generale delle Nazioni Unite, nel suo The River of Lost Footsteps. Histories of Burma affianca due libri in uno. Alla storia della Birmania declinata insieme alle vicende della sua famiglia, si aggiunge un tono ironico che non guasta e facilita l'immersione in un contesto orientale che per il lettore europeo e' tutto da scoprire. Forse anche per il lettore birmano, se mai il libro verra' tradotto da New York a Yangon. Qualche timido segnale che anche la storia del paese comincia a essere letta non solo con lo sguardo coloniale o con quello egemonico e semplificatorio del nazionalismo militare si ha anche solo sfogliando a caso fra i libri accademici pubblicati nella capitale. * Una lenta erosione Si intuisce che le opzioni metodologiche dei Subaltern Studies indiani stanno erodendo le impalcature di una storiografia fin troppo irrigidita. Il processo, ovviamente, e' solo alla sua fase iniziale, e le giaculatorie non vengono lesinate in nessuno dei testi di storia disponibili in Birmania. Fra le altre, non e' difficile leggere frasi di tenore nazionalistico, superate le quali si puo' passare alla lettura del contenuto e trovare - per esempio - che la grande ribellione anticoloniale di Saya San del 1930 non e' piu' raccontata solo attraverso le consuete fonti coloniali, ma anche attraverso le memorie e i documenti dei protagonisti. "Il sigaro s'e' consumato / Il sole e' scuro / Qualcuno mi portera' a casa?". No, nessuno lo riportera' a casa, perche' il poeta Tin Moe e' morto in esilio a Los Angeles, il 23 gennaio scorso. Aveva lasciato il suo paese a settantuno anni, dopo aver vissuto l'esperienza del carcere, proprio a causa dei suoi versi. Tin Moe scrive di laghi trasparenti e di ponti sereni, oppure sforna racconti brevi da pubblicare sui giornali. L'occhio prensile del militare censore non sempre arriva fino alle pagine dei giornali, e, soprattutto, e' possibile guadagnare spazio e lettori, perche' il giornale e' piu' abbordabile, anche economicamente, da lettori e, soprattutto, lettrici birmane. Le donne birmane, infatti, sono molto attente. Inoltre, quella quella birmana moderna e' una letteratura che esprime figure femminili di primo piano, come Ma Ma Lei (o Lay) che aveva iniziato a scrivere nel 1938, pubblicando un articolo intitolato "Diventare donne avvedute". Complessa figura di editrice di periodici, scrittrice, terapeuta esperta di medicina tradizionale, politicamente e giornalisticamente molto attiva, sempre in conflitto con il governo e con i conti di fine mese. Una vasta produzione di racconti brevi e di due romanzi costruiti sulle tensioni tra culture diverse e vite che invece si intersecano in contesti socialmente in forte trasformazione, come la Birmania del colonialismo e del dopoguerra. E' morta nel 1982 a sessantacinque anni. * Scritture refrattarie Continua invece intensamente a vivere Ludu Daw Amar, ora novantaduenne. Una vita refrattaria alla sopraffazione, di lotta contro gli inglesi, i giapponesi occupanti e la giunta militare. Febbrile la sua attivita' di giornalista, traduttrice, scrittrice e studiosa. Arrestata piu' volte, messa a ferro e fuoco la sua abitazione, ancora oggi manifesta apertamente il suo attrito con la giunta che avvelena il paese. In grande considerazione vanno inoltre tenuti i racconti di Khin Myo Chit (1915-1999), i lavori di Khin Khin Htoo, scrittore dell'ultima generazione piu' prudente, e poi San San Nweh, scrittrice e giornalista cinquantenne, che ha sofferto per sette anni in carcere, colpevole, secondo le solerti autorita' del regime, di "aver diffuso informazioni pregiudizievoli per lo Stato". Una storia fin troppo comune, in Birmania. Quando - si legge in alcuni versi di Tim Moe - "cambieranno le lacrime / e le campane suoneranno di nuovo dolcemente?". * Postilla. Da una generazione all'altra: donne intente a pratiche di scrittura Oltre ai libri citati nell'articolo, alcuni testi rappresentativi della letteratura birmana sono ormai disponibili in lingue ed edizioni europee. Di Ma Ma Lay si segnala Not out of hate, A novel of Burma (International Studies of Ohio University, 1991), uno dei romanzi piu' popolari in Birmania, tradotto anche in francese da Jean-Claude Auge e Khin Layon con il titolo La mal aimee (L'Harmattan, 2001). Su uno sfondo coloniale alla Kipling, sono narrate le vicende di una giovane che non vuole farsi assimiliare e trova la morte nel momento stesso in cui giunge a termine la lotta per l'indipendenza del paese, condotta da Aung San, padre del futuro premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Della stessa autrice, si segnala anche Blood Bond (University of Hawaii, 2006), mentre un prezioso sguardo sulla pratica di scrittura delle donne birmane si trova nel lavoro di Khing Mya Tchou, Les femmes de lettres birmanes (L'Harmattan, 1994). Ricca e' la silloge di racconti scritti a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso tradotti da Denis Bernot in Le Rire de la terre. Anthologie de nouvelles birmanes (L'Asiateque, 2003). 2. REPORTAGE. PIERGIORGIO PESCALI: AUNG SAN SUU KYI, LA SPINA NEL FIANCO DEL REGIME BIRMANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 giugno 2007, col titolo "Suu Kyi, la spina nel fianco" e il sommario "In maggio la giunta militare birmana ha prolungato di un anno gli arresti della donna simbolo dell'opposizione. In apparenza nulla e' cambiato. Ma girando per il paese si avverte che non e' cosi'". Piergiorgio Pescali, giornalista, collabora con varie testate, e' un attento conoscitore dell'Asia] Il prolungamento degli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi, confermato il 25 maggio scorso, non e' stato certo una sorpresa e i militari sanno fin troppo bene che la ola di indignazione mondiale che ha seguito la notizia, scemera' altrettanto velocemente. Tutto e' caduco, tutto muta e cio' che oggi e', domani non sara'. E' una delle leggi del buddismo e questa regola, aggiunta alle altre del dharma, ha contribuito a modellare la politica di tutte le forze del paese, sia militari che dell'opposizione. Bisogna partire da queste basi per poter comprendere il comportamento, per noi incomprensibile, del governo del Myanmar e perche' un popolo sottomesso e impoverito che, per il 60%, nel 1990 aveva votato per l'Nld, il partito di Suu, non si sia ribellato quando i militari hanno annullato le elezioni. Il dukkha, schematicamente tradotto in dolore, l'ingrediente principale che edifica la vita di questo mondo secondo la filosofia buddista, consente al birmano di accettare con rassegnazione e ineluttabilita' tutto quanto gli viene imposto dall'alto. Sara' nella prossima rinascita che raccogliera' i frutti di questa sua passivita' non violenta. E' per questo che le lotte per l'autodeterminazione e l'indipendenza che ancora oggi affliggono parti del paese, sono per lo piu' condotte da popolazioni di fede animista, cristiana o islamica. Non e', inoltre, un caso che i movimenti di ribellione birmani siano stati fondati e coordinati da due personaggi la cui formazione intellettuale e' stata influenzata da idee occidentali: Aung San e la figlia, Aung San Suu Kyi, appunto. E' questo sincretismo culturale che noi occidentali non riusciamo a comprendere appieno. Per noi, Suu e' soprattutto il premio Nobel per la pace, la donna che vuole portare la democrazia in Birmania. Qui, in questa parte d'Asia, invece, e' conosciuta come la figlia dell'eroe nazionale Aung San, il generale stratega, intellettuale, che con la sua politica dono' al paese l'indipendenza. Ed e' proprio quest'ultima pesante eredita' storica che ha fatto di Aung San Suu Kyi una delle spine nel fianco del regime birmano. Le accuse che dal 1988, anno in cui l'allora quarantatreenne Suu rientro' da Oxford per accudire la madre morente, i militari le hanno lanciato, si sono focalizzate sulla presunta estraneita' al tessuto sociale e culturale birmano. "Aung San Suu Kyi ha vissuto all'estero dall'eta' di 15 anni, ha frequentato scuole delle elite occidentali, ha sposato un inglese. Cosa ne puo' sapere di cio' che e' bene o male per il popolo?", mi ha detto alla fine degli anni '90 un alto ufficiale della giunta. Da allora la visione che il governo nutre di questa donna non e' mutata. Eppure, viaggiando in questo paese che dal 1989, in nome di un ripescaggio culturale anticolonialista e antioccidentale, non si chiama piu' Birmania, ma Myanmar, la visione della politica sta mutando. Certo, per scoprirlo occorre scavare, grattare la patina di intonaco mentale che 45 anni di oppressione e dittatura hanno cementato, annichilendo la volonta' di lottare dei birmani. Ma loro, i birmani, hanno voglia di parlare, di esprimere le loro idee. E a microfoni spenti, a bassa voce, al chiuso di una stanza per essere sicuri di non essere spiati, si sfogano. Basta saperli ascoltare anche se non sempre cio' che dicono e' esattamente quello che ci aspetteremmo di sentire. Come in Afghanistan, in Iran, in Iraq, anche in Myanmar i buoni non sempre sono buoni e i cattivi non sempre sono cosi' cattivi. Il quadro e' piu' complicato visto che molti, specie tra gli intellettuali e gli stranieri che lavorano nelle ong, hanno parole per criticare tutti: militari, Nld, socialisti, comunisti... "Conosco alcuni militanti locali dell'Nld e non mi sentirei di esultare se andassero al potere al posto dei militari", confida uno studente che fa parte di un movimento militante di sinistra. "L'Nld? E' la nostra unica speranza, ma senza l'aiuto dell'Occidente 55 milioni di birmani sono ostaggio della giunta", controbatte un altro studente apertamente a favore della Lega Nazionale per la Democrazia. E in questo mitragliare tutto e tutti, solo lei si salva: la Daw o la Lady, come e' stata soprannominata per evitare di pronunciare un nome che potrebbe "incuriosire" qualcuna delle 30 o 50.000 spie prezzolate disseminate ovunque. "Aung San Suu Kyi e' isolata, nella sua casa di Yangon non conosce la realta' della nazione e deve fidarsi di cio' che le viene riferito dai suoi compagni di partito - afferma un volontario straniero che lavora in Birmania da diversi anni -. Lei e' la pura del partito, la faccia onesta che viene mostrata al mondo, ma il partito, i suoi dirigenti, non sono diversi dai militari e una volta conquistato il potere, Suu potrebbe far la fine che fece Sihanouk in Cambogia durante il regime dei Khmer rossi". Quale futuro quindi per il Myanmar, o Birmania? La giunta militare sa che il paese deve cambiare; lo status quo non puo' durare a lungo e l'anno di prolungamento degli arresti di Suu potrebbe anche essere un periodo transitorio in attesa del cambio al vertice. Cambio che, ormai sempre piu' analisti considerano inevitabile, ma che tutti sperano lento per evitare di far precipitare del paese nell'anarchia etnica. Oggi il Myanmar e' unito solo perche' c'e' un'entita' - il Tatmadaw - che con la forza e il terrore riesce a contrastare le forze centrifughe del nazionalismo etnico. Than Shwe, il numero uno dell'Spdc, e' malato e mostra segni di squilibrio mentale, ma riesce ancora a mantenere i suoi uomini chiave nei tre centri strategici del potere: il comando militare di Yangon, il responsabile della sicurezza di Yangon e il comando generale del Tatmadaw, le forze armate. La sua morte potrebbe riaprire la via della democrazia che il suo predecessore, Khin Nyunt, aveva inaugurato invitando la Lady al dialogo. "Daw e' stata troppo intransigente", ha detto U Than Tun, espulso dall'Nld nel 1997 per essersi mostrato favorevole al dialogo con i militari. Forse era profeta in patria, visto che Kin Nyunt oggi e' agli arresti domiciliari proprio per la sua apertura all'opposizione mentre l'ala dura dei militari ha ripreso il potere epurando tutti i moderati. Nel frattempo Maung Aye, vicepresidente dell'Spdc e probabile successore di Than Shwe, sta facendo le sue prime mosse: la nuova costituzione, riscritta in modo da garantire ai militari un ruolo preminente nel futuro del paese comunque vadano le cose, procede lentamente. Per riavvicinare il popolo al Tatmadaw e assicurarsi un esito favorevole al referendum costituzionale, a meta' febbraio, circa mille ufficiali di medio livello hanno avuto l'ordine di dimettersi da incarichi pubblici, lasciando il posto a civili comunque compiacenti. Il cambio sarebbe di facciata, ma potrebbe essere una prima mossa per una nuova stagione politica con un posto anche per Aung San Suu Kyi. Solo lei potrebbe garantire la sicurezza dei militari in caso di un cambio al vertice. E' per il loro futuro che Suu e' ancora in vita. * Postilla prima Aung San Suu Kyi. "Liberatela!". Ma pochi fanno qualcosa Chi liberera' Aung San Suu Kyi? In Europa e nel mondo esistono diversi movimenti che si occupano di informare l'opinione pubblica della situazione birmana e di non far dimenticare ai governi cio' che sta accadendo nel paese asiatico. Ma, oltre a queste organizzazioni piu' o meno volontarie, che influenza hanno i politici su Pyinmana (la nuova capitale del Myanmar)? Neppure i cinquantanove capi di Stato firmatari della lettera che chiedeva alla giunta di liberare Aung San Suu Kyi, sono riusciti a convincere Than Shwe ad aprire il cancello del numero cinquantaquattro di University Avenue. Non che le firme apposte in calce all'appello rappresentassero la purezza, l'onesta' e l'incorruttibilita' della politica mondiale. Il sudcoreano Kim Dae Jung, il giapponese Junichiro Koizumi, il malaysiano Mahatir Mohammad, sono stati a capo di nazioni che con la giunta birmana hanno concluso e continuano a concludere lucrosi affari, alla faccia del boicottaggio totale invocato da Aung San Suu Kyi. Benazir Bhutto e' stata campione di nepotismo e corruzione in Pakistan e chiaro e' il suo tentativo di sillogismo nel farsi passare come la Aung San Suu Kyi pakistana e rientrare in politica. Infine, George Bush non si puo' certo definire un fulgido esempio di pace e democrazia. Ma anche in casa nostra, la classe politica non si distingue per la percezione del problema Myanmar. Lo ha dimostrato ultimamente il buon Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, il quale, durante il comizio del primo maggio a Torino, ha inveito contro la brutale giunta militare birmana, presentando una Aung San Suu Kyi al maschile, sindacalista (sic!) e pronunciando il nome Kyi con la c dura ("chi" anziche' "ci"). Difficile, di fronte ad una sfilza di errori cosi' grossolani e racchiusi in poche frasi, pensare a una deprecabile coincidenza. Del resto, nessuno in platea sembra essersene accorto (ma quanti sapevano esattamente di chi si stava parlando?). I militari sanno quanto difficile sia offrire al mondo una facciata accettabile del loro regime, ma sono anche a conoscenza del fatto che il frinio delle cicale sovrasta l'esemplare lavoro silenzioso delle formiche. Saranno loro, alla fine, e non la politica, a salvare Aung San Suu Kyi. * Postilla seconda Da 45 anni un generale dopo l'altro Than Shwe, il numero uno, e' svanito. Maung Aye, il numero due, e' un ubriacone. Soe Win, il numero tre, forse ha la leucemia. Solo le malattie fanno sperare? Sono oramai 45 anni che in Birmania i vertici militari detengono il potere. Visto dall'esterno, il governo della giunta appare solido e unito: nel paese sono pochissime le voci che esprimono dissenso, i turisti che vengono scarrozzati tra splendide pagode e monumenti non vedono grosse sacche di miseria, i sorrisi che li accompagnano ovunque mostrano la facciata di un popolo felice e sereno, i manifesti della propaganda riflettono un'unica via condivisa da tutti. In realta' le rivalita' individuali e la frantumazione sociale, rendono il governo assai piu' debole di quanto possa apparire. Neppure nell'atteggiamento da tenere verso Aung San Suu Kyi vi e' unita' di vedute. Lo dimostra la lunga serie di destituzioni, di cambi di denominazioni e di rimpasti al vertice avvenuti dal 1962 ad oggi. L'ultima, in ordine di tempo, si e' consumata nel 2004, quando l'allora primo ministro, generale Khyn Nyunt, da molti indicato come colui che avrebbe traghettato il paese verso il pluralismo politico ed economico, e' stato posto agli arresti domiciliari. Nessuno all'interno della Spdc puo' considerarsi intoccabile: Nyunt, ad esempio era a capo dei potenti servizi segreti, ma questa posizione privilegiata non lo ha preservato da una fine miserabile. Le informazioni in suo possesso non sono servite ad arrestare l'ascesa del suo piu' acerrimo nemico, quel generale Than Shwe che, partendo da un posto pubblico nelle poste birmane, e' riuscito a mettere da parte prima il generale Ne Win e poi lo stesso Nyunt. Molti analisti indicano nel rifiuto di Aung San Suu Kyi di accettare il dialogo offertole dal primo ministro, una delle principali cause della sua caduta. Paradossalmente per questi osservatori (e per alcuni membri dell'Nld poi espulsi dal partito per le critiche rivolte a Suu), l'intransigenza di Aung San Suu Kyi avrebbe favorito l'ascesa dell'ala dura dei militari. Oggi il settantottenne Than Shwe e' l'indiscusso presidente dell'Spdc, il Consiglio di Stato per la Pace e la Democrazia, e comandante delle Forze Armate. Nonostante le sua apparizioni televisive cerchino di nascondere la paralisi al braccio dovuta a diversi attacchi di ischemia, e' a tutti chiaro che la sua salute e, quel che e' piu' grave, la sua mente, sono compromesse. In un suo discorso ha farfugliato che prima di morire non vuole vedere piu' una faccia bianca nel Myanmar e che nella nuova costituzione vorrebbe reintrodurre la figura del re; ruolo che gli spetterebbe di diritto in caso di un suo ritiro dalle cariche militari. Il suo vice, Maung Aye, potrebbe essere il successore di Than Shwe, ma il vizio di bere ha reso il suo fisico debole. Xenofobo, crudele, Maung Aye, oltre ad essere contrario ad ogni dialogo con Aung San Suu Kyi, e' stato l'artefice degli accordi con i signori della droga in cambio di una pace con le diverse etnie. Il piu' giovane tra i militari al vertice e' l'attuale primo ministro Soe Win, 63 anni, da molti considerato il mandante dell'attacco che nel 2003 ha cercato di uccidere Aung San Suu Kyi. E' stato Soe Win a comandare la divisione di fanteria responsabile di aver trucidato centinaia di studenti nel 1988. Insomma, e' lui che si sporca le mani. Malato (forse di leucemia), Soe Win sarebbe stato recentemente scavalcato nella scala gerarchica da Shwe Mann e Thein Sein, che non hanno pero' ancora consolidato le loro posizioni. Le malattie che minano il fisico dei generali piu' vecchi, lasciano qualche speranza nel futuro del paese. Sono in molti, anche e soprattutto tra i militari, ad aspettare la morte di Than Shwe. E' la sua presenza, infatti, che impedisce ogni cambiamento. La nuova generazione di militari, piu' moderata e incline al compromesso, e' pronta a prendere le redini del potere per poi condividerlo con l'opposizione. * Postilla terza Quale nome? Myanmar, Birmania o Burma Myanmar o Birmania? Sul nome ufficiale del paese e' sorta una vera e propria discussione politica. I generali al potere hanno cambiato il termine ufficiale in Myanmar nel 1989, affermando che Birmania e' il nome dato dai colonizzatori inglesi. L'opposizione, invece, rifiuta la nuova denominazione dicendo che chi governa senza l'appoggio del popolo non ha alcun diritto a cambiare il nome della nazione. Nella letteratura locale si e' sempre utilizzato il nome Myanmar, mentre il popolo utilizza piu' spesso Buma, inglesizzato in Burma. 3. PROFILI. UN PROFILO DI AUNG SAN SUU KYI [Dal sito www.educational.rai.it riprendiamo la seguente breve notizia biografica] Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991 "per la sua lotta nonviolenta in favore della democrazia e dei diritti umani". Rinchiusa agli arresti domiciliari dal governo birmano, Aung San Suu Kyi non e' potuta essere presente alla cerimonia di premiazione: a Stoccolma c'erano al suo posto il marito e i due figli che hanno consegnato ai membri della Fondazione una sua fotografia. Loro stessi, d'altronde, non avevano contatti con lei dal 1990, l'anno in cui e' cominciata la sua detenzione. Aung San Suu Kyi e' la leader del movimento democratico che nel Myanmar (cosi' la giunta militare che ha preso il potere nel 1988 ha ribattezzato la Birmania) persegue la cosiddetta "seconda lotta per l'indipendenza". Il movimento ha vinto le elezioni del 1990, ma la giunta ha respinto il verdetto popolare e ha reagito con una dura repressione. Nata nel 1945, figlia di Aung San, leader del movimento indipendentista assassinato nel 1947, ha conosciuto e apprezzato la filosofia gandhiana della nonviolenza fin da bambina, in India, dove ha vissuto al seguito di sua madre, ambasciatrice. Ha avuto una formazione cosmopolita: ha studiato a Oxford, ha lavorato all'Onu, e' sposata con un inglese. Il suo interesse per la politica si e' manifestato tardi, quando, nel 1988, tornata in Birmania per accudire la madre malata, si e' trovata coinvolta nella lotta contro il regime militare. Nel '90, in piena repressione, ha detto "no" all'offerta di andare in esilio e ha preferito restare nel paese, detenuta nella sua casa, senza possibilita' di alcun contatto. Aung San Suu Kyi e' diventata, come riporta il comunicato del Comitato norvegese del Nobel, "un importante simbolo della lotta contro l'oppressione". Lei spiega che a fondamento della sua azione c'e' la fede buddista e ha raccolto i suoi saggi sotto il titolo "Liberta' dalla paura": "Non e' il potere che corrompe, ma la paura..." e' l'incipit del libro. Che, secondo la logica buddista, continua enunciando i tre valori "verita', giustizia e compassione", che sono "spesso i soli baluardi contro un potere inumano". Aung San Suu Kyi e' stata l'ottava donna premiata col Nobel per la pace. 4. STRUMENTI. UNA NEWSLETTER "Burma_news" (per contatti: burma_news at verizon.net) e' la newsletter di Euro-Burma Office (per contatti: Square Gutenberg 11/2, 1000 Bruxelles, Belgium, tel. (322) 2800691 - 2802452, fax: (322) 2800310, e-mail: burma at euro-burma.be), struttura impegnata a sostegno dell'impegno per la democrazia in Myanmar (Birmania). ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 114 del 9 luglio 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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