Nonviolenza. Femminile plurale. 112



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 112 del 5 luglio 2007

In questo numero:
1. Pina Nuzzo: A un mese dall'avvio della raccolta delle firme...
2. "Usciamo dal silenzio": Manifesto dei perche'
3. Martha Nussbaum: Compassione (una meditazione dopo l'11 settembre 2001)
4. Elisabetta Ambrosi intervista Martha Nussbaum
5. Ivana Arnaldi intervista Martha Nussbaum
6. Marcello Ostinelli presenta "Giustizia sociale e dignita' umana" di
Martha Nussbaum

1. 50 E 50 OVUNQUE SI DECIDE. PINA NUZZO: A UN MESE DALL'AVVIO DELLA
RACCOLTA DELLE FIRME...
[Dal sito www.50e50.it riprendiamo la seguente lettera del 25 giugno 2007.
Pina Nuzzo, apprezzata pittrice, e' una delle figure piu' prestigiose
dell'Unione delle donne in Italia (Udi)]

Carissime,
a un mese dall'avvio della raccolta, possiamo fare un primo bilancio sia in
termini di firme vere e proprie che di risposta da parte delle donne.
Dalla fine di maggio la sede nazionale dell'Udi si e' trasformata in un
ufficio pacchi, deposito materiali, pause pranzo sullo stesso tavolo su cui
facciamo i pacchi e una riunione ogni mattina per fare il punto, per
confrontarci tra noi e per sostenerci a vicenda.
Sono tante le donne che telefonano per chiedere di partecipare alla raccolta
delle firme, basta vedere sul sito la mappa dei centri di raccolta [delle
firme per la presentazione della proposta di legge d'iniziativa popolare "50
e 50 ovunque si decide" - ndr] che si allunga giorno per giorno.
I Centri di raccolta, ciascuno nella sua peculiarita', stanno sperimentando
e mettendo a frutto le pratiche politiche che fin dall'inizio l'Udi aveva
auspicato. Anche per questo, ritengo importante ribadire le caratteristiche
che devono avere i centri di raccolta, come gia' indicate nell'originario
promemoria.
Centri di raccolta locali possono essere costituiti da: sedi Udi registrate;
singole donne iscritte all'Udi, in contatto diretto  con il centro
nazionale; singole donne non iscritte all'Udi, in contatto diretto con il
centro nazionale; donne organizzate che decidono di sostenere la campagna,
in contatto diretto con il centro nazionale o locale dell'Udi.
Ogni centro di raccolta locale deve comunicare i propri dati al centro
nazionale. I dati sui centri locali saranno inseriti nella mappa dei centri
presente sul sito www.50e50.it scrivendo al seguente indirizzo:
50e50udinazionale at gmail.com
*
I centri di raccolta sono il cuore, non solo organizzativo, della campagna
50e50 perche', oltre a essere quelli che materialmente raccolgono le firme,
rappresentano nello spazio pubblico la qualita' della nostra iniziativa.
Di questa rappresentazione siamo tutte responsabili, chiediamo percio' di
averne cura perche' ognuna e' staffetta di questa marcia 50e50.
Deve essere evidente, fin dalla prima occhiata, che il "tavolino" su cui si
raccolgono le firme non pende ne' a destra ne' a sinistra ma sta sui propri
piedi, quelli delle donne.
Abbiamo apprezzato l'adesione di alcuni partiti alla nostra iniziativa, ma
non possiamo non sottolineare che essi hanno gia' strumenti predisposti e
adeguati per modificare la situazione. E apprezziamo anche quanti, piu'
lungimiranti, avevano gia' fatto proprio il 50e50 nelle sue linee
essenziali. Tutto questo pero' e' altro rispetto ai gesti autentici,
costanti e appropriati al ruolo che qualunque istituzione ha a sua
disposizione, quando si fa partito.
Noi guardiamo in modo piu' complessivo alla realta' del nostro Paese dove in
troppe cose si e' disponibili a parole e renitenti nei fatti.
Anche per questo, per evitare fraintendimenti e soprattutto invadenze
indebite e situazioni incresciose in luoghi differenti, si e' deciso - con
una decisione che non ammette deroghe, ne' aggiustamenti locali - che non
possono far parte dei centri di raccolta ne' sigle di partito, ne' uomini in
ruoli di responsabilita' o di adesione sbandierata.
Infine, le donne iscritte ad un partito vi partecipano con il proprio nome e
cognome, prima dell'eventuale sigla.
Se questo a qualcuna appare come un "eccesso di separatismo" rispondiamo con
la stessa franchezza che abbiamo usato nella "chiamata alla compromissione"
che abbiamo rivolto a chi e' poi entrata nel Consiglio delle donne.
Ci spiace, non saremo mai "politicamente corrette", da questo punto di
vista, per noi, il separatismo non e' mai ne' poco ne' troppo, semplicemente
e'.
Concludo con un pensiero particolare a quante, magari sole e magari da un
paesino sperduto e lontano, ci hanno scritto con passione mista a lieve
scoramento, dicendoci: come faccio? ce la faro'?
Vorrei dire a queste donne che le stesse domande ce le siamo fatte e
continuiamo a farcele noi tutte. E che insieme, si', ce la faremo.

2. 50 E 50 OVUNQUE SI DECIDE. "USCIAMO DAL SILENZIO": MANIFESTO DEI PERCHE'
[Dal sito www.usciamodalsilenzio.org]

50 e 50 ovunque si decide: siamo la meta' dell'umanita', non vogliamo essere
l'altra meta'.
Siamo poche nei luoghi in cui si decide, a cominciare da quel 16% che siede
in Parlamento.
Le leggi, gli integralismi religiosi, certe politiche della famiglia, il
lavoro tentano di ricondurci nei ruoli tradizionali e di ostacolare la
liberta' di disporre della nostra vita.
C'e' una responsabilita' maschile in tutto cio': basti pensare ai vantaggi
che l'uomo continua a garantirsi, e alla violenza materiale e simbolica di
cui il corpo femminile continua a essere oggetto.
Non bastano presenze minoritarie di donne nei luoghi delle decisioni: non
sono finora servite a rappresentare i profondi mutamenti delle donne e dei
rapporti fra i sessi, e talvolta si sono dissolte nell'omologazione ai
modelli di comportamento maschile.
La politica da' ogni giorno di se' una immagine che allontana dalla
partecipazione non solo le donne.
Perche' la democrazia paritaria puo' cambiare la politica? La proposta
dell'Unione Donne in Italia "50 e 50 ovunque si decide", cui "Usciamo dal
silenzio" di Milano aderisce, parla di una democrazia che riconosca e
rappresenti paritariamente le differenze.
"50 e 50 ovunque si decide", perche':
- E' l'attuazione di un principio di democrazia contenuto nella nostra
Costituzione (art. 3 e 51) ma mai applicato: per questo vogliamo che la
nuova legge elettorale prescriva (pena la non validita' delle liste), la
eguale presenza di candidature di uomini e di donne.
- Il Parlamento dovrebbe essere il luogo politico della relazione con
l'altro, del conflitto che non esclude, in particolar modo del conflitto tra
i sessi, che dovrebbe agire su tutti gli aspetti della vita e sulla qualita'
della democrazia: l'evidente disparita' dei numeri impedisce che cio'
avvenga.
- La maggioranza degli uomini non si rende conto della propria
responsabilita' quando si parla di violenza, sessualita', cura, rispetto
delle diversita'. Solo una forte presenza femminile, visibile, protratta nel
tempo, puo' far divenire "senso comune" la condivisione delle
responsabilita'.
- Vogliamo porre il problema, incrinare il monopolio maschile che esclude le
donne dallo spazio pubblico: una societa' fondata sul diritto alla piena
esistenza di soggetti differenti e' una societa' che cambia le regole e i
ruoli imposti.
- Il lavoro di sostegno e di cura svolto dalle donne, che spesso impedisce o
rende precario e meno pagato il lavoro fuori casa, deve trovare spazi per
poter essere ridistribuito tra i sessi e le generazioni. La pari presenza
delle donne nei luoghi dove si decide favorisce questa maggiore presenza e
sottrae le relazioni affettive alla gabbia del servizio gratuito di
riproduzione e cura.
- Una presenza paritaria dei sessi nella politica puo' cambiare l'idea che
si ha ancora della donna come corpo che va controllato e regolato, ma che si
puo' anche sfruttare e violare. Puo' essere l'inizio di un cambiamento
culturale significativo che investa la scuola, tutti i luoghi formativi
della persona e delle relazioni sociali, il sistema dei media, tv comprese.
- La maternita' e' una delle esperienze della vita di una donna: dunque il
libero uso delle tecnologie riproduttive non e' una vergogna, e il ricorso
all'aborto non deve pesare sulle donne come una colpa.
- Finche' la rappresentanza femminile sara' minoritaria, resisteranno gli
stereotipi della femminilita': materna, omologata, complementare. Anche fra
le donne ci sono differenze, ci puo' essere conflitto: la democrazia
paritaria puo' permettere e regolare questo conflitto.
- Alcune donne manifestano il desiderio di essere partecipi e presenti in
politica, ma da sole rischiano di non farcela: troppo pesante conciliare il
ruolo pubblico con quello privato, troppo facile arrendersi alla
omologazione.
- La politica cosi' com'e' ricaccia indietro le donne, spegne la loro
creativita' e la loro volonta' di partecipazione: la campagna 50e50 e' uno
strumento per scuotere la politica e per indicare una prospettiva. Con la
nostra parola pubblica sulla democrazia paritaria vogliamo affermare che ci
vuole un deciso cambio di passo.

3. RIFLESSIONE. MARTHA NUSSBAUM: COMPASSIONE (UNA MEDITAZIONE DOPO L'11
SETTEMBRE 2001)
[Dal "Corriere della sera" del 17 novembre 2001, col titolo "America, gli
incerti confini della compassione" e l'indicazione che "L'articolo compare
in versione integrale nel nuovo numero del bimestrale 'Reset' nell'ambito di
un dossier sulla guerra. Martha Nussbaum e' docente di Diritto ed Etica
presso l'Universita' di Chicago. La traduzione e' di Chiara Rizzo".
Martha Nussbaum e' una delle piu' influenti pensatrici contemporanee,
insegna diritto ed etica all'Universita' di Chicago. Fra le opere di Martha
Nussbaum: (con Gian Enrico Rusconi, Maurizio Viroli), Piccole patrie grande
mondo, Donzelli, Roma 1995; La fragilita' del bene. Fortuna ed etica nella
tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna 1996; Il giudizio del
poeta. Immaginazione letteraria e civile, Feltrinelli, Milano 1996; Terapia
del desiderio. Teoria e pratica nell'etica ellenistica, Vita e Pensiero,
Milano 1998; Coltivare l'umanita'. I classici, il multiculturalismo,
l'educazione contemporanea, Carocci, Roma 1999; Diventare persone. Donne e
universalita' dei diritti, Il Mulino, Bologna 2001; Giustizia sociale e
dignita' umana. Da individui a persone, Il Mulino, Bologna 2002; Capacita'
personale e democrazia sociale, Diabasis, 2003; L'intelligenza delle
emozioni, Il Mulino, Bologna 2004; Nascondere l'umanita'. Il disgusto, la
vergogna, la legge, Carocci, Roma 200ç. Un'ampia bibliografia delle opere di
Martha Nussbaum, aggiornata fino al 2000, compilata da Eddie Yeghiayan, e'
dsponibile alla pagina web: http://sun3.lib.uci.edu/eyeghiay/nussbaum.html]

La compassione e' un sentimento probabilmente radicato nel nostro patrimonio
biologico. Ma questo non vuol dire che essa sia priva di razionalita'.
Infatti, come affermo' Aristotele, di solito essa ha bisogno, per
manifestarsi, di tre condizioni: che un avvenimento seriamente negativo
abbia colpito qualcun altro; che tale evento non sia dipeso (o almeno non
interamente) dalla responsabilita' di quella persona; e che noi stessi siamo
vulnerabili nella stessa maniera. Quindi la compassione crea un legame
psicologico tra i nostri interessi egoistici e la realta' di cio' che, nel
bene o nel male, capita ad un'altra persona. Per questo motivo e' un
sentimento di alto valore morale, quando si manifesta nella giusta maniera.
Spesso, tuttavia, la compassione non puo' manifestarsi perche' non riesce a
mettere in contatto con l'individuo che soffre delle persone distanti dalle
sue concrete possibilita' e debolezze. A volte, inoltre, la compassione
fallisce perche' non comprende la serieta' del male: a volte, per esempio,
semplicemente non prendiamo davvero sul serio la fame e la malattia di
persone lontane da noi.
Questi limiti sono probabilmente impliciti nella natura della compassione,
cosi' come si sviluppa nell'infanzia e nell'eta' adulta: prima elaboriamo un
intenso attaccamento per la dimensione locale e solo gradualmente impariamo
a provare compassione per le persone fuori della nostra cerchia sociale piu'
immediata. Per molti americani, tale estensione del proprio interessamento
morale si ferma ai confini nazionali.
La maggior parte di noi e' cresciuta nella convinzione che tutti gli esseri
umani abbiano uguale dignita'. Almeno, le maggiori religioni del mondo e la
maggior parte delle filosofie laiche ci insegnano questo. Ma la nostra
emotivita' non ci crede.
Proviamo dolore per coloro che conosciamo, non per gli estranei. E la
maggior parte di noi prova dei sentimenti profondi nei confronti
dell'America, dei sentimenti che non proviamo per l'India o la Russia o il
Ruanda. Ma dobbiamo uscire fuori dai nostri abituali schemi mentali,
altrimenti la nostra vita morale finira' per essere priva di ogni
coinvolgimento emotivo. Aristotele affermo', plausibilmente, che la
sollecitudine verso gli altri si impara in piccoli gruppi, cementati da un
piu' intenso attaccamento.
Se vogliamo che la nostra esistenza accanto al prossimo sia ricca di una
vigorosa passione per la giustizia in un mondo in cui regna l'ingiustizia e
di una forte propensione alla solidarieta' in un mondo dove molti vanno
avanti senza cio' di cui hanno bisogno, faremo bene a cominciare, per lo
meno, dai nostri potenti e familiari sentimenti nei confronti della nostra
famiglia, della nostra citta', del nostro Paese.
Ma il coinvolgimento emotivo non dovrebbe arrestarsi ai confini nazionali.
Gli americani sono tutti troppo inclini a una tale limitatezza emotiva.
Mentre altri si davano da fare per tentare di salvare gli ebrei durante
l'Olocausto, l'inazione e la (generale) mancanza d'interesse dell'America si
rivelava severamente condannabile. C'e' voluta Pearl Harbor per indurci
quantomeno al sostegno dei nostri alleati. E peggio: la nostra convinzione
che il "noi" sia tutto cio' che importa puo' facilmente degenerare nella
demonizzazione di un immaginario "loro", di un gruppo di estranei che
vengono percepiti come nemici dell'invulnerabilita' e dell'orgoglio di un
"noi" pieno di prosopopea. Oggi e' troppo facile per gli americani, a
esempio, vedere il mondo in termini di un confronto tra un'America buona e
un Islam cattivo, e di conseguenza demonizzare tutti i musulmani, sia qui
che all'estero. La compassione ha la sua origine nell'ambito locale. Ma dal
momento che ha anche una componente di riflessione, essa puo' essere
educata. Possiamo prendere questo disastro come un'occasione per restringere
il nostro punto di vista, diffidando del resto del mondo e provando
solidarieta' solo per gli americani. O possiamo prenderlo come un'occasione
per allargare i nostri orizzonti etici.
Accorgendoci di quanto sia vulnerabile il nostro grande Paese, possiamo
imparare qualcosa riguardo alla vulnerabilita' che tutti gli esseri umani
condividono, possiamo comprendere che cosa significhi per degli estranei
lontani perdere coloro che amano a causa di una tragedia che non dipende da
loro, che sia la fame o un'inondazione o la pulizia etnica. In questo
frangente terribile possiamo rinnovare il nostro impegno per un'uguale
dignita' del genere umano, pretendendo dai media, e dalle scuole, che
alimentino e potenzino la nostra immaginazione presentando l'esistenza dei
non americani come intensa, ricca e degna di una partecipazione emotiva da
parte nostra.

4. RIFLESSIONE. ELISABETTA AMBROSI INTERVISTA MARTHA NUSSBAUM
[Dal sito di "Reset doc" (www.resetdoc.org), col titolo "L'Islam? E'
perfettamente compatibile con i diritti delle donne".
Elisabetta Ambrosi e' caporedattrice del bimestrale "Reset". Opere di
Elisabetta Ambrosi: (a cura di), Il bello del relativismo. Quel che resta
della filosofia nel XXI secolo, Marsilio Editore - I libri di Reset, Venezia
2005]

"Lei sa cosa disse il nostro primo presidente George Washington, motivando
ai quaccheri la ragione per la quale non avrebbe richiesto loro di adempiere
il servizio militare? 'Gli scrupoli di coscienza di tutti gli uomini
dovrebbero essere trattati con la piu' grande delicatezza e tenerezza'.
Ecco, vorrei vedere piu' di questa delicatezza e tenerezza in Europa".
Secondo la famosa filosofa politica Martha Nussbaum, "e' semplicemente
spaventoso che le nazioni vogliano bandire il velo". La religione, e in
particolare quella islamica, e' compatibile non solo con la democrazia ma
anche con i diritti delle donne (in questo senso il caso indiano e'
esemplare).
*
- Elisabetta Ambrosi: Nelle sue riflessioni sulle capacita' e i diritti
umani, lei ha sempre sottolineato l'importanza sia di uno sviluppo fisico e
psichico armonioso sia della possibilita' per l'individuo di esprimere le
sue idee e emozioni in modo aperto e libero. Se persino nel ricco Occidente
le donne soffrono di restrizioni di vario genere, non crede che i diritti di
cui lei parla siano sistematicamente negati alle donne nel mondo islamico?
- Martha Nussbaum: Non penso che esista qualcosa come "il mondo islamico" e
di conseguenza "una via" per essere donna al suo interno. Ci sono diversi
tipi di musulmani e, cosi' come nel caso dei cristiani e degli ebrei, le
donne trovano diversi modi di essere all'interno delle loro tradizioni. I
miei amici musulmani in India non corrispondono ad alcun tipo di
stereotipo - e perche' dovremmo aspettarci che essi lo facciano? - non piu',
d'altro canto, dei miei amici buddisti o indu'. Credo che in tutte le
religioni ci siano persone che vogliono vivere una vita tradizionale ed
altre che ambiscono invece ad essere parte della modernita', e noi dobbiamo
accogliere entrambe e mostrare loro lo stesso rispetto. Quando vado nel
quartiere ebreo tradizionale di Boston, chiamato Brookline (come ho fatto
recentemente, per comprare dei regali per la Pasqua ebraica), ho visto molte
donne che vivono una vita ortodossa (e cio' non significa che non siano
avvocate o dottoresse. D'altro canto piu' o meno tutti a Brookline sono
dottori o avvocati); ma naturalmente ci sono anche persone come me, la cui
versione dell'ebraismo e' moderna e basata sull'Illuminismo. Possiamo
rispettarci l'un l'altro, e lo facciamo.
*
- Elisabetta Ambrosi: Tuttavia, lei non potra' negare che esistono casi di
drammatica tensione tra religione islamica e condizione femminile.
- Martha Nussbaum: Come esperta d'India, vorrei farle innanzitutto notare
che le tre nazioni islamiche piu' grandi sono l'Indonesia, il Pakistan e
l'India. Ci sono circa gli stessi musulmani in India che in Pakistan, anche
se in India ovviamente sono una minoranza. Proprio recentemente ho scritto
un libro sulle tensioni tra indu' e musulmani, per cui conosco bene questo
tema (il libro e' intitolato The Clash Within: Democracy, Religious
Violence, and India's Future, e uscira' in aprile). Ultimamente ci sono
stati due importanti studi sulla situazione dei musulmani in India: uno
commissionato dal governo e l'altro, focalizzato sulle donne, portato avanti
da due eccellenti sociologi (il cui capo era Zoya Hasan della Jawaharlal
Nehru University, che e' anche un membro della commissione governativa sulle
minoranze). Entrambe le indagini hanno rilevato che i musulmani sono
drasticamente poveri e che soffrono di vari tipi di discriminazioni.
Tuttavia, la condizione delle donne musulmane non e' peggiore, a conti
fatti, di quella delle donne indu' in tutte le regioni: in altre parole, le
variazioni significative sono regionali piuttosto che basate sulla
religione. Le donne musulmane sono strenue sostenitrici dell'educazione
delle loro figlie, e in molti casi il fatto che i loro figli maschi
fronteggino discriminazioni sul lavoro le ha spinte a porre maggiore enfasi
sull'educazione delle ragazze.
*
- Elisabetta Ambrosi: Insomma, potremmo parlare di un "caso indiano", che
sembra smontare tutti gli stereotipi occidentali.
- Martha Nussbaum: Dovremmo ricordare che questi musulmani sono spesso molto
devoti. Ad esempio, un musulmano estremamente religioso, Maulan Azad, e'
stato uno dei principali alleati del Mahatma Gandhi, e uno dei primi leader
del partito del Congresso. Ma persone come lui non interpretano la loro
religione in un modo che fa delle donne cittadini di seconda classe. Voglio
ricordare che al tempo dell'indipendenza coloro che protestavano piu'
animatamente contro leggi "progressiste", per esempio quelle che aumentavano
l'eta' per il matrimonio, erano gli indu' tradizionalisti. Le donne devono
fronteggiare ineguaglianze in ogni regione dell'India, ma hanno gli stessi
identici diritti come cittadini, ed esiste un fronte unito di donne e uomini
che attraversa tutte le religioni e che combatte per l'eguaglianza sessuale
contro i costumi repressivi. Non c'e' dunque ragione per pensare che i
musulmani siano maggiormente contrari all'eguaglianza femminile che gli
indu' o i parsi o i cristiani. In tutte le religioni ci sono persone
sessiste. Le donne cristiane in India hanno avuto il diritto a divorziare, e
in maniera drammatica e travagliata, solo nel 2001, ben dopo che le altre
religioni avevano ottenuto quel diritto.
*
- Elisabetta Ambrosi: Ma, appunto, questo esempio mostra l'esistenza di una
difficolta'. Non a caso alcune intellettuali di peso, mi riferisco in
particolare a Ayaan Hirsi Ali, arrivano persino a sostenere che l'Islam e'
contro le donne e che non c'e' mediazione possibile.
- Martha Nussbaum: Quello che vediamo in alcune nazioni non e' l'Islam in
se', ma una sua versione politicizzata che non e' un'interpretazione
obbligatoria dei suoi testi religiosi. Questo punto e' stato sottolineato
ripetutamente dai dissidenti delle societa' in cui questa versione
politicizzata dell'Islam e' influente, come Shirin Ebadi e Akbar Ganji in
Iran. Entrambi sono musulmani devoti ed entrambi insistono, con argomenti
convincenti, che non c'e' nulla nelle loro proposte democratiche circa la
parita' dei sessi che sia incompatibile con l'Islam. Sfortunatamente, la
gente occidentale spesso non sa molto dell'Islam, cosi' mette in relazione
l'intera religione con la sua versione politicizzata di cui magari ha
sentito parlare.
*
- Elisabetta Ambrosi: Anche Hirsi Ali?
- Martha Nussbaum: Per quanto riguarda Hirsi Ali, penso che forse avrebbe
dovuto trasferirsi in India invece che negli Usa: sicuramente avrebbe avuto
migliori chance di avere un ruolo da leader nella vita politica o
intellettuale di laggiu', come donna, di quanto ne abbia negli Stati Uniti.
Potremmo anche citare il Bangladesh, una democrazia dove l'85% della
popolazione e' musulmana e dove due donne (entrambe musulmane) sono a capo
dei due principali partiti politici.
*
- Elisabetta Ambrosi: Arriviamo al problema della compatibilita' tra Islam e
democrazia. Lei sicuramente avra' notato che il livello della tensione e'
cresciuto, dopo i violenti attacchi a scrittori e registi occidentali da
parte di islamici. Le cito a proposito una recente disputa tra Ian Buruma e
Timoty Garton Ash da un lato, e Pascal Bruckner e Ayaan Hirsi Ali
dall'altro, sulla possibilita' o meno che l'Islam diventi liberale.
- Martha Nussbaum: Le persone che dubitano della possibilita' di un Islam
liberale dovrebbero andare a vivere in India per un po'. Per quanto riguarda
il dibattito europeo, credo che esso sia basato sull'assunzione secondo cui
essere un buon cittadino democratico significa accettare le norme e i
comportamenti della maggioranza. Ma perche' dovremmo pensar questo? Forse
una buona democrazia e' un posto dove le persone si esprimono ciascuna a
proprio modo, e tuttavia vivono con gli altri rispettandosi reciprocamente.
A questo proposito, sto finendo un libro sul tema della liberta' religiosa
nella tradizione americana e credo che per una volta tanto qualcosa vada
detto in favore delle tradizioni della mia nazione. Qui le persone diverse
dalla norma non solo ottengono scrupolosa giustizia, che persino John Locke
auspicava, ma ottengono anche quelli che vengono chiamati "diritti di
accoglienza" (rights of accommodation): cio' significa che non devono
osservare alcune norme che peserebbero sulla loro coscienza, a meno che non
ci sia uno 'stringente interesse di stato".
*
- Elisabetta Ambrosi: Puo' fare qualche esempio?
- Martha Nussbaum: Se tu sei ebreo e ricevi una citazione in giudizio per
testimoniare in tribunale di sabato, puoi rifiutarti senza alcuna
conseguenza penale. Se sei un prete cattolico romano, e stai testimoniando
sotto giuramento in un processo criminale, puoi rifiutarti di diffondere le
informazioni che hai avuto in confessionale, senza alcuna pena. Se la tua
religione ti vieta il servizio militare, vieni esonerato dalla coscrizione
militare, senza andare in carcere per il tuo rifiuto. Ancora: se la tua
religione richiede l'uso di droghe illegali nelle cerimonie sacre, puoi
essere esentato, relativamente a quel contesto, dalle leggi sulla droga. Io
credo che questa tradizione di "accoglienza" esprima uno spirito di rispetto
per le minoranze che vivono all'interno di maggioranze. Il nostro primo
presidente Gorge Washington, motivando ai quaccheri la ragione per la quale
non avrebbe richiesto loro di adempiere il servizio militare, disse: "Gli
scrupoli di coscienza di tutti gli uomini dovrebbero essere trattati con la
piu' grande delicatezza e tenerezza". Bene, vorrei vedere piu' di questa
delicatezza e tenerezza in Europa.
*
- Elisabetta Ambrosi: In che senso?
- Martha Nussbaum: Credo sia spaventoso che le nazioni vogliano bandire il
tradizionale velo islamico. L'argomentazione secondo cui le donne velate in
strada costituiscono un problema di sicurezza e' davvero comica (ho scritto
un articolo in proposito su un quotidiano olandese): noi abbiamo a che fare
ogni giorno con persone dal volto coperto, dai chirurghi e dentisti agli
abitanti di Chicago quando escono in inverno! E nessuno sostiene che ci sia
un rischio per la sicurezza, fino a quando uno straniero la cui religione ci
sembra non familiare vuole fare la stessa cosa per motivazioni religiose.
Per fare un altro esempio: lo stato del New Jersey ha emanato una norma
secondo cui nessun ufficiale di polizia puo' avere la barba e ha licenziato
alcuni ufficiali musulmani che si erano rifiutati di radersi. Naturalmente
hanno detto che si trattava di una questione di disciplina e sicurezza, ma
alla fine e' risultato che, in realta', avevano gia' permesso ad alcuni
poliziotti con problemi di pelle di tenere la barba. Per questo,
giustamente, la Corte d'appello degli Usa ha deciso che gli ufficiali
musulmani dovevano essere reintegrati senza obbligo di radersi. Insomma, la
gente ama l'omogeneita', ma la legge deve difendere i diritti di chi e'
diverso.

5. RIFLESSIONE. IVANA ARNALDI INTERVISTA MARTHA NUSSBAUM
[Dal quotidiano "L'eco di Bergamo" del 6 marzo 2002, col titolo "Per battere
il terrorismo, sconfiggiamo fame e poverta'" e il sommario "Intervista alla
sociologa Martha Nussbaum, docente di diritto ed etica presso l'Universita'
di Chicago: 'Nuove pagine saranno scritte con il sangue di innocenti'".
Ivana Arnaldi e' giornalista e saggista]

'Per cinquant'anni Stati Uniti ed Unione Sovietica hanno temuto un attacco
reciproco. Entrambe le potenze si basavano sulla minaccia della distruzione
nucleare e quell'equilibrio militare ha assicurato la pace per mezzo secolo.
Oggi fanatici kamikaze continuano a seminare morte e terrore". A parlare in
questi termini e' la sociologa Martha C. Nussbaum, docente di diritto ed
etica presso l'Universita' di Chicago che continua: "Nello spartiacque della
storia, altre pagine continueranno ad essere scritte con il sangue di tanti
innocenti".
*
- Ivana Arnaldi: Il terrorismo si sta rivelando la grande minaccia del terzo
millennio e tutti i governi sono allertati...
- Martha Nussbaum: Purtroppo, la contestazione violenta e antagonista ai
governi democratici occidentali sta assumendo le forme piu' varie e,
talvolta, estreme, con il rischio di cadere nell'estremismo anarchico o nel
velleitarismo utopistico e ideologico. Secondo me, e' necessaria la teoria
filosofica per risolvere bene questo problema. Un approccio filosofico si
basa su una visione universalista delle funzioni umane cardinali
strettamente unita ad una forma di liberalismo politico. Scopo del progetto,
nel suo insieme, e' di fornire la base filosofica ad un esame dei principi
costituzionali fondamentali che dovrebbero essere rispettati e fatti
rispettare dai governi di tutte le Nazioni, come minimo essenziale richiesto
dal rispetto della dignita' di ogni singolo individuo. Posso sostenere con
fermezza che le norme universali di tolleranza religiosa, di liberta' di
associazione e di altre liberta', sono essenziali per impedire, ai vari
sottogruppi illiberali, di minacciare le forme legittime di pluralismo. Una
strategia internazionale, volta a neutralizzare il terrorismo, dovrebbe
essere valutata per la sua capacita' di analizzare questi problemi e
consigliarne le soluzioni.
*
- Ivana Arnaldi: Da oggi in poi, sia che il terrorismo colpisca ancora
violentemente, sia che venga sconfitto dalla forza multinazionale, la vita
degli americani potra' essere come prima?
- Martha Nussbaum: Ciascuno di noi, vedendo quelle macerie, e' stato pervaso
da rabbia e dolore. Ci si e' chiesti il perche', e non si son trovate
giustificazioni. Si tratta di azioni che hanno una dimensione globale e
volte a colpire la societa' mondiale. Gli americani, che da sempre sono
stati molto orgogliosi della liberta' di circolazione delle idee e delle
persone, con il trascorrere dei mesi, si sono resi conto che la
quotidianita' non puo' essere piu' la stessa. Qualche esempio? I controlli
accurati e le pesanti restrizioni individuali a cui siamo tutti sottoposti.
Negli aeroporti, centinaia di migliaia di passeggeri sono accolti da guardie
con mitra spianati e devono fare lunghe code per il check-in. Una volta in
volo, poi, si nota un'insolita presenza di squadriglie di F15 ed F16 dell'Us
air force, costantemente in volo sui cieli di Chicago, Washington, New York,
San Diego, S. Francisco. Inoltre, mentre prima, tra molti afroamericani, era
diffusa la moda di scegliersi nomi musulmani per richiamarsi all'Islam,
oggi, gli stessi temono che tale scelta possa diventare un boomerang che
risvegli imprevisti conflitti sociali. Alcuni di quelli che abitavano a
Manhattan sono tornati nell'antico quartiere di Harlem per paura di
rappresaglie.
*
- Ivana Arnaldi: La vita economica degli americani e cambiata?
- Martha Nussbaum: Certamente la nostra vita, e non solo quella economica,
e' molto cambiata. Abbiamo una recessione in atto, anche se molti economisti
affermano che ne usciremo entro qualche mese. Ma, attualmente, tutto il
corpo dell'economia reale sembra attraversare uno stato di shock. E le
misure di stimolo che il presidente Bush ha presentato al Congresso, secondo
alcuni, sono insufficienti. Per stimolare i consumi, bisognerebbe proteggere
soprattutto le famiglie, i senza lavoro, i giovani in cerca di occupazione e
quelli che non hanno un'assicurazione sanitaria. Ma la maggior parte degli
americani, secondo i sondaggi, resta compatta intorno al proprio presidente
e questo nonostante le misure di sicurezza varate abbiano avuto un
inevitabile impatto sulle liberta' civili di ciascuno di noi.
*
- Ivana Arnaldi: Contro il relativismo culturale, da non intendersi
tolleranza, lei propone un universalismo aperto ai contributi di ogni
civilta' e con il rispetto delle idee migliori tratte dai diversi ambiti
culturali.
- Martha Nussbaum: Il mio vuol essere un dialogo tra la filosofia classica
ed i problemi dell'oggi; tra le nostre teorie sul diritto e la giustizia
internazionali e i diritti esistenti. Per esempio, la tradizione che tratta
con disprezzo le donne, o altri gruppi minoritari, negando loro i diritti
civili e politici, va decisamente criticata. Rispettare le persone, infatti,
vuol dire anche criticare la tradizione che le opprime. Inoltre, noi che
viviamo in Paesi opulenti, abbiamo il dovere di salvare dalla fame, dalla
poverta' e dalla malattia gli abitanti delle Nazioni povere, anche perche' i
doveri legati al senso di giustizia, non si devono limitare a concedere solo
rispetto e dignita' ma anche aiuto materiale.

6. LIBRI. MARCELLO OSTINELLI PRESENTA "GIUSTIZIA SOCIALE E DIGNITA' UMANA"
DI MARTHA NUSSBAUM
[Dal quotidiano "Corriere del Ticino" del 29 luglio 2002, col titolo "Le
teorie della giustizia sociale e il problema della cura secondo Martha
Nussbaum".
Marcello Ostinelli insegna filosofia all'Alta scuola pedagogica e al Liceo
cantonale di Locarno. Ha pubblicato saggi di etica, di filosofia politica e
di teoria dell'educazione in volumi collettanei e su varie riviste italiane
e svizzere. Tra le opere recenti di Marcello Ostinelli: Il diritto del
bambino ad un futuro aperto e il liberalismo, in "Scuola e citta'", 2004;
Questioni di cittadinanza, in Oltre il postmoderno, a cura di G. Ghisla e F.
Merlini, Dada' 2004; L'educazione civica democratica di fronte alla sfida
del multiculturalismo, in Multiculturalismo: ideologie e sfide, a cura di C.
Galli, Il Mulino, 2006]

Si deve soprattutto all'opera del filosofo americano John Rawls se la teoria
normativa della giustizia sociale sia divenuta il punto focale della
filosofia politica contemporanea. Una delle premesse del ragionamento
rawlsiano sulla giustizia riguarda la concezione della persona: per Rawls,
come per molti altri filosofi contemporanei, la struttura fondamentale della
societa' giusta deve essere il risultato di un accordo stipulato tra
individui che sono per loro natura "liberi, eguali ed indipendenti", secondo
la celeberrima descrizione che ne dava gia' Locke nel Secondo trattato sul
governo alla fine del Seicento.
Una teoria della societa' che consideri le persone libere, eguali ed
indipendenti e' valida nei casi normali, cioe' puo' essere applicata quando
tratta delle relazioni tra individui che sono in grado di stabilire tra di
loro rapporti paritari e simmetrici. Essa si presta percio' a pensare la
struttura fondamentale della societa' a condizione che essa sia costituita
di soli individui adulti, autonomi, che abbiano le capacita' di badare
pienamente a se stessi o, almeno, che non si trovino in condizioni di
estrema dipendenza dalla cura e dall'assistenza di altri.
Qualcuno potrebbe obiettare pero' che nella vita reale le cose non stanno
proprio cosi' o, quantomeno, che non stanno sempre cosi'.
Nessuno nega che una teoria della societa' giusta debba essere in grado di
esaminare anche le situazioni nelle quali i rapporti tra le persone non
siano paritari e simmetrici, allorche' ad esempio una delle parti abbisogna
di cure particolari. Rawls sostiene tuttavia che a questi problemi la teoria
dovra' dedicarsi soltanto in una fase successiva, quando avra' gia' dato
buona prova di se' nella risoluzione dei casi normali. Soltanto a quel punto
la teoria sara' pronta per affrontare le questioni speciali, quelle che
riguardano quella parte dell'umanita' che non e' ancora o non e' piu' o non
sara' mai indipendente dagli altri.
*
Non e' di questo parere Martha Nussbaum, una delle voci piu' profonde ed
impegnate della filosofia femminista contemporanea. L'illustre filosofa
americana ritiene infatti che qualsiasi teoria della giustizia abbia bisogno
di considerare adeguatamente questi problemi sin dall'inizio, includendo nel
proprio nucleo fondamentale anche le condizioni di bisogno, di dipendenza e
di cura che caratterizzano alcune fasi importanti di ogni vita umana e che,
per taluni di noi,  persistono lungo l'arco dell'intera esistenza. In questi
casi le teorie della giustizia in voga nella filosofia politica
contemporanea non funzionano, in quanto esse ignorano l'esperienza della
dipendenza nella vita umana o quantomeno la considerano marginale.
Secondo Martha Nussbaum occorre formulare una teoria della giustizia che
includa nel proprio nucleo normativo fondamentale il problema della cura.
La questione della cura richiede pertanto che la concezione politica della
persona che e' alla base delle teorie della giustizia sia modificata;
occorre abbandonare il modello di matrice lockiana e kantiana dell'individuo
libero, eguale ed indipendente e sostituirlo con un modello di stampo
aristotelico che consideri la persona umana "come un essere dotato tanto di
capacita' quanto di bisogni". Secondo la filosofa americana la persona umana
e' caratterizzata infatti tanto dalla capacita' razionale di guidare
dall'interno la propria vita e di compiere scelte autonome quanto da una
condizione materiale e sociale di bisogno. Una societa' giusta non ignora i
bisogni di cura: essa  elargisce le cure necessarie a chi ne ha bisogno e
considera adeguatamente l'onere che grava sulle persone che provvedono a
dispensarle.
Il contributo di Martha Nussbaum ci appare particolarmente allettante
nell'esame e nella risoluzione di alcune questioni fin qui considerate
marginali dalle teorie della giustizia: questioni che toccano ad esempio la
cura dei neonati, dei bambini, degli anziani, dei malati e dei disabili. La
loro peculiare vulnerabilita' non puo' essere ignorata da una teoria
completa della giustizia sociale. "Il genere di reciprocita' in cui gli
individui sono coinvolti ha i suoi periodi di simmetria, ma anche, e
necessariamente, i suoi periodi di asimmetria piu' o meno acuta", osserva la
filosofa. Percio' la cura costituisce un bene fondamentale che deve essere
dispensato a chiunque viva temporaneamente o durevolmente in condizioni di
dipendenza.
Si prenda il caso dell'educazione dei bambini: la teoria della societa'
giusta deve considerare da un lato la liberta' dei genitori di poter
condurre la loro vita a proprio modo e di perseguire liberamente la loro
concezione del bene; d'altra parte pero' i bambini non debbono neppure
essere dei meri ostaggi della famiglia nella quale sono cresciuti. Una
teoria della giustizia deve pertanto farsi carico del diritto di questi
bambini di disporre di un futuro aperto e di eque opportunita' di scelta nel
corso della loro esistenza. Da un lato vi e' il diritto dei genitori di
perseguire il proprio ideale di vita buona; dall'altro vi e' il dovere dello
Stato di impedire che i bambini, membri vulnerabili della famiglia e
particolarmente bisognosi di cura, siano posti sotto un potere tirannico che
limiti eccessivamente la liberta' e le opportunita' di scelta nella loro
vita futura. "La tensione che risulta da questo duplice principio - scrive
Martha Nussbaum nelle pagine conclusive di questo aureo volume (Giustizia
sociale e dignita' umana, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 149) - costituisce il
nucleo del liberalismo: si tratta pero' di una tensione valida e produttiva,
che non dimostra affatto confusione o insuccesso morale.  In generale, la
tensione presente in una teoria non prova necessariamente che questa sia
difettosa; puo' essere semplicemente la dimostrazione che si trova in
contatto con le difficolta' della vita".

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 112 del 5 luglio 2007

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