Minime. 138



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 138 del 2 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Ingrid Facchinelli: A Zackie Achmat il Premio Alexander Langer 2007
2. Anna Maria Gentili: Zackie Achmat e il Sudafrica del dopo-apartheid
3. Andrea Lollini: Albie Sachs. Dalla disobbedienza civile al Sudafrica
democratico
4. Mariella Lajolo intervista Alberto L'Abate
5. Alessandro De Giorgi presenta "Migrare" di Federica Sossi
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. PROFILI. INGRID FACCHINELLI: A ZACKIE ACHMAT IL PREMIO ALEXANDER LANGER
2007
[Dal sito della Fondazione Alexander Langer (www.alexanderlanger.org).
Ingrid Facchinelli, nata nel 1963 a Bolzano, dopo una formazione come
educatrice ha svolto questa professione per otto anni, ha viaggiato a lungo
in Sudamerica, Africa e Australia; laureata in storia e storia dell'arte a
Innsbruck nel 2001 e' da allora archivista e coordinatrice della Fondazione
Alexander Langer di Bolzano, di cui e' attualmente presidente.
Zackie Achmat, nato nel 1962, attivista per i diritti umani sudafricano, ha
preso parte alla lotta antiapartheid, nel 1998 ha fondato l'organizzazione
non governativa "Treatment Action Campaign" contro la diffusione del virus
Hiv e per il riconoscimento di un pieno diritto alle cure per i malati di
Aids.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e'
tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite
iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una
sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose
di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata
pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986
(poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie
di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992 esaurito). Dopo la
sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La
scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore
leggero.Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo,
Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin
1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma
1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and
Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta',
Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta"
1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere
dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war
Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la
catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer
non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi
la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i
materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la
Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite.
La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una
vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo -
Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli
incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si
vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di
luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della
Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di
"Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la
Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer
(esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995: "M
acht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer. Impronte
di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno di noi,
Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander Langer
Stiftung, via Latemar 3, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691; e-mail:
info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org]

Il comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer, composto da
Annamaria Gentili (presidente), Anna Bravo, Barbara Bertoncin, Edi Rabini,
Fabio Levi, Francesco Palermo, Franco Travaglini, Gianni Tamino, Grazia
Barbiero, Helmuth Moroder, Liliana Cori, Mao Valpiana, Margit Pieber,
Pinuccia Montanari, Ursula Apitzsch, ha deciso di attribuire il premio
internazionale Alexander Langer 2007 a Zackie Achmat, direttore della ong
Sudafricana "Treatment Action Campaign - Tac".
L'aids e' una malattia globale, che riguarda tutto il mondo e sta devastando
soprattutto le societa' e comunita' piu' vulnerabili, quelle che devono
subire il peso di una crescente poverta', emarginazione e disuguaglianza.
In Sudafrica la drammaticita' dei dati sulla diffusione e le conseguenze
economiche e sociali dell'Hiv/Aids hanno avuto un profondo impatto sul modo
in cui da un lato il governo e dall'altro le organizzazioni della societa'
civile hanno riposto alla pandemia.
La lotta all'aids ci mette di fronte a numerose questioni complesse e
delicate. In particolare solleva il problema del bilanciamento tra i diritti
delle case farmaceutiche in possesso dei brevetti internazionali
(copyrights, patents ecc.) e altri diritti che l'avanzata Costituzione
sudafricana definisce "fondamentali", come quelli alla vita, alla dignita'
umana, alle cure sanitarie, alla giustizia economica.
Zackie Achmat e l'organizzazione non governativa Tac (Treatment Action
Campaign) lottano in Sudafrica contro la diffusione del virus Hiv e per il
riconoscimento di un pieno diritto alle cure per i malati di Aids.
A tale scopo hanno promosso forme di lotta fondate nello stesso tempo
sull'azione giudiziaria, la mobilitazione internazionale e la disobbedienza
civile, ispirandosi alle esperienze che anni prima avevano portato alla
vittoria sull'apartheid.
La Tac si rivolge con varie forme di protesta nonviolenta al governo
sudafricano e alle industrie farmaceutiche, presentando a ogni passo i suoi
argomenti alle Corti di giustizia, e nel contempo denunciando e intervenendo
contro ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro, nelle scuole,
negli ospedali. La rete realizzata dalla Tac riunisce la comunita'
scientifica e gli uomini e le donne, soprattutto delle aree e comunita' piu'
povere, sviluppando un vasto spazio di rivendicazione della promessa di una
"cittadinanza sociale" ovvero il diritto di accesso alle cure sanitarie per
tutti sancito dalla Costituzione.
Durante le lunghe campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica Zacke
Achmat, lui stesso sieropositivo, ha rifiutato per un lungo periodo di
assumere le necessarie medicine antivirali, dichiarando di voler riprendere
le cure solo quando il governo avesse garantito analoga possibilita' a tutti
i sudafricani malati di Aids.
Contemporeamente la Tac inizio' ad acquistare farmaci "generici", utilizzati
per il trattamento dell'infezione, da altri paesi, come la Thailandia, in
cui le rispettive discipline legislative consentono la produzione di tali
farmaci. Zackie Achmat ha portato di persona in Sudafrica un considerevole
quantitativo di tali farmaci.
Nel 1998 alcune multinazionali farmaceutiche, proprietarie dei brevetti,
denunciarono davanti al Tribunale di Pretoria il governo sudafricano per la
decisione di ridurre i costi delle medicine antivirali, ma una campagna di
sensibilizzazione internazionale le convinsero a ritirare la denuncia e a
concludere con il governo una trattativa per una riduzione consistente del
prezzo di acquisto.
Zackie Achmat, nato nel 1962, di origine indiana, tra il 1976 ed il 1980 e'
stato arrestato piu' volte e incarcerato tre mesi per azioni di protesta
contro l'apartheit e la repressione della rivolta di Soweto. Nel 1998 fonda
la Tac.
Per il suo impegno di lotta all'aids, affrontata in modo concreto e
innovativo, Zackie Achmat ha ottenuto nel suo paese alcuni prestigiosi
riconoscimenti, tra i quali nel 2003 il premio "Nelson Mandela".
Ulteriori notizie sul suo lavoro si trovano nel sito dell'associazione Tac
(www.tac.org.za).
Il premio, dotato di 10.000 euro, offerti dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Bolzano, gli e' stato consegnato a Bolzano il 29 giugno 2007
nell'ambito dell'annuale incontro "Euromediterranea" (29 giugno - primo
luglio), quest'anno dedicato al tema dell'esperienza sudafricana di lotta
all'aids e del riconoscimento costituzionale dei diritti fondamentali.

2. RIFLESSIONE. ANNA MARIA GENTILI: ZACKIE ACHMAT E IL SUDAFRICA DEL
DOPO-APARTHEID
[Ringraziamo Edi Rabini (per contatti: edorabin at fastwebnet.it) per averci
messo a disposizione il seguente articolo di Anna Maria Gentili.
Edi Rabini, che e' stato grande amico e stretto collaboratore di Alex
Langer, e' impegnato nella Fondazione Alexander Langer (per contatti:
e-mail: langer.foundation at tin.it, sito: www.alexanderlanger.org), di cui e'
infaticabile e generosissimo animatore.
Anna Maria Gentili e' docente di Storia e istituzioni dell'Africa
sub-sahariana alla facolta' di scienze politiche dell'Universita' di
Bologna, presidente del corso di laurea in Sviluppo e cooperazione
internazionale (Svic) e del Centro Amilcar Cabral (biblioteca, emeroteca,
Iniziative) su Africa, Asia, America latina a Bologna; e' presidente del
comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer. Opere di Anna Maria
Gentili: Elites e regimi politici in Africa occidentale, Il Mulino, Bologna
1974; (a cura di, con B. Bernardi), Tradizione e modernita' in Africa
sub-sahariana, Compositori, Bologna 1974; (a cura di, con G. Mizzau, I.
Taddia), Africa come storia, Angeli, Milano 1980 ; (con M. Emiliani e M. C.
Ercolessi), Sud Africa. I conflitti dell'apartheid, Editori Riuniti, Roma
1987; Il Leone e il cacciatore. Storia dell'Africa subsahariana, La Nuova
Italia Scientifica, Roma 1995; (a cura di, con M. Zamboni), Stato,
democrazia e legittimita'. Transizioni politiche in Africa, America Latina,
Balcani, Medio Oriente, Carocci, Roma 2005; (a cura di, con P. Chabal, U.
Engels), Is Violence Inevitable in Africa: Theories of Conflict and
Approaches to Conflict Prevention, Aegis, Brill 2005; ha inoltre curato il
libro di Ruth First, Alle radici dell'apartheid, Angeli, Milano 1984]

Nelson Mandela aveva definito la fine del regime d'apartheid nel 1994 un
"miracolo". L'arcivescovo Desmond Tutu, presidente della Commissione per la
verita' e la riconciliazione (Trc), salutava la promessa del " paese
arcobaleno" finalmente riscattato dal cuore di tenebra dell'apartheid.
L'istituzione della Truth and Reconciliation Commission, ispirandosi al
primato del necessario riconoscimento di verita' per rendere alle vittime
dell'apartheid la dignita' della loro umanita' violata e tramandare la
memoria del loro sacrificio, nello stesso tempo avrebbe permesso la
reintegrazione nella societa' dei perpetratori di crimini purche'
riconoscessero pubblicamente le proprie colpe. La Trc fu il prodotto della
tensione fra le ragioni della giustizia e quelle della pace e
riconciliazione. Criticata da molti come un compromesso, ha certamente
contribuito a lasciare ai posteri la memoria di quanto e' accaduto e ad
iniziare un processo faticoso di avvicinamento fra le diverse componenti
della popolazione che potrebbe rappresentare un paradigma per il resto del
mondo.
Il Sud Africa fu allora universalmente acclamato come il piu' importante
esperimento riuscito di transizione a una "nuova democrazia": quattro anni
di negoziati, inaugurati dalla liberazione di Nelson Mandela (1990), in cui
le componenti sociali e politiche, pur divise da appartenenze razziali e
etniche, radicate in una lunga storia di regimi segregazionisti e razzisti,
si erano conclusi con le prime elezioni a suffragio universale, garantite da
una Costituzione che sanciva l'avvio della nuova fase politica per mezzo di
un governo di unita' nazionale (1994-1996). Le successive elezioni si sono
tenute regolarmente e in tutte l'African National Congress (Anc) ha vinto
democraticamente.
*
La nazione arcobaleno
Il miracolo della pacifica transizione del Sud Africa alla democrazia
evocava l'inizio di un percorso verso l'adesione a una comune identita'
nazionale che doveva fondarsi sulla promozione di eguaglianza, non solo di
diritti formali, ma di diritti sostanziali di cittadinanza sociale. Diritti
che sono riconosciuti anzi enfatizzati nella Costituzione e nel Bill of
Rights. Dal 1994 il governo ha dovuto affrontare simultaneamente la sfida
delle riforme, tentare di mettere mano agli immensi problemi della crisi
abitativa, combattere l'aumento della criminalita', provvedere a programmi
di riduzione della poverta'. Questo in un contesto economico internazionale
che esigeva l'adozione di politiche macroeconomiche ispirate al risanamento
e alla stabilizzazione del bilancio statale. Il conflitto razziale, peraltro
sempre latente e evocato nella contrapposizione fra chi ha e chi continua a
non aver accesso alle risorse economiche e sociali, si e' spostato sul campo
di battaglia della lotta per le riforme.
Trascorsi oltre dieci anni dalla fine del regime dell'apartheid si puo'
affermare che in Sud Africa si e' consolidato un regime politico
democratico, non razziale, legittimo agli occhi di tutte le componenti della
popolazione, impegnato nel mantenere stabilita' economica, che gode di una
forte credibilita' in Africa e in campo internazionale. Nello stesso tempo
la situazione sociale dimostra come ai problemi ereditati dal regime di
apartheid se ne siano aggiunti di nuovi, che la politica riesce a
controllare, ma non a risolvere. Poverta', immensa disuguaglianza fra le
diverse componenti della popolazione, disoccupazione, mancanza di accesso
alle risorse di masse crescenti di giovani, insicurezza, violenza,
caratterizzano soprattutto le immense citta' ghetto e le aree rurali in via
di impoverimento. Si calcola che circa il 23% della popolazione debba vivere
con meno di due dollari al giorno e circa il 37% si collochi sotto la soglia
della poverta'. Il 40% della popolazione piu' povera riceve solo il 6,1% del
reddito totale, mentre il 20% piu' ricco il 64%. Gli indici di
disoccupazione, malgrado i molti provvedimenti per porvi rimedio, non sono
migliorati e rimangono stabili al 40% della popolazione economicamente
attiva. Cosi' per masse di giovani neri, poco sensibili a messaggi
ideologici, le promesse d'istruzione e lavorosi sono realizzate solo in
minima parte, costringendoli a forme di marginalita' di cui si nutre la
crescente violenza dei ghetti urbani. Le politiche di risanamento e sviluppo
sono criticate proprio per non aver potuto o voluto affrontare radicalmente
la questione sociale.
*
La lotta della Tac e di Zackie Achmat
Fra le molte battaglie che hanno visto l'emergere di una societa' civile
responsabile, capace di aggregare forze anche nei settori piu' vulnerabili
della popolazione e condurle con forme di lotta civile all'interno del
sistema istituzionale e giuridico a rivendicare il rispetto dei propri
diritti costituzionali, ha avuto particolare rilievo l'azione per veder
riconosciuto il diritto al trattamento antiretrovirale per la cura contro
l'Hiv/Aids.
Il Sudafrica e' in Africa fra i paesi piu' colpiti, pur avendo un sistema
sanitario piu' articolato ed efficiente di qualsiasi altro nel continente.
La politica governativa, prima esitante a prendere atto della diffusione
della malattia, lasciata trasformarsi in "epidemia" nel periodo
dell'apartheid, poi tendenzialmente restio a riconoscerne le origini e i
devastanti effetti, ha cambiato rotta solo in seguito alla campagna a vasto
raggio delle organizzazioni della societa' civile.
L'organizzazione non governativa Tac (Treatment Action Campaign) fondata nel
1998 da Zachie Achmat, gia' attivista anti-apartheid, che vede impegnati
organizzazioni professionali di medici, infermieri, organizzazioni sindacali
e sociali, uomini, giovani e soprattutto donne dei ghetti urbani, ha
condotto una campagna a vasto raggio che si e' concentrata su obiettivi
concreti: contro il monopolio e gli alti costi dei farmaci antiretrovirali e
sul diritto universale d'accesso alla cura. La mobilitazione di massa si e'
svolta nel quadro istituzionale e legale con continui ricorsi alla giustizia
fino alla corte suprema, con azioni di disobbedienza civile nonviolenta.
Azioni che sono state determinanti nel far cambiare indirizzo nella politica
sanitaria e ammettere il diritto d'accesso alle cure per tutti, ad ottenere
infine che fosse adottato un programma di trattamento della malattia
comprensivo e credibile.
L'azione del Tac e la chiave del suo successo sta proprio nella
mobilitazione di base che ha consentito di ottenere vittorie contro la
discriminazione verso persone sieropositive, nelle scuole, nei luoghi di
lavoro, negli ospedali, cioe' creare e affermare spazi di diritti di
cittadinanza. Un'azione che ha una proiezione globale pur dedicandosi a
pieno tempo alla mobilitazione e protezione dei diritti dei piu'
vulnerabili, dei piu' poveri dei poveri, dando loro voce nelle corti di
giustizia, attivando le garanzie di quella Costituzione in cui finalmente
"coloro che era consentito ignorare", e cioe' i piu' poveri e marginali,
possano riconoscersi e con questo rivendicare la loro dignita' di cittadini.

3. PROFILI. ANDREA LOLLINI: ALBIE SACHS. DALLA DISOBBEDIENZA CIVILE AL
SUDAFRICA DEMOCRATICO
[Ringraziamo Edi Rabini (per contatti: edorabin at fastwebnet.it) per averci
messo a disposizione il seguente articolo di Andrea Lollini.
Andrea Lollini e' ricercatore di diritto costituzionale comparato
all'Universita' di Bologna e docente nel master "Operatore di pace nei
conflitti internazionali" realizzato dal Dipartimento di scienze
dell'educazione dell'Universita' di Bologna e dalla Formazione professionale
italiana della Provincia autonoma di Bolzano. Nel 2005 ha pubblicato con la
casa editrice Il Mulino il saggio "Costituzionalismo e giustizia di
transizione, il ruolo costituente della Commissione sudafricana verita' e
riconciliazione".
Albie Sachs, illustre giurista sudafricano, una delle figure piu' vive della
lotta antiapartheid, e' presidente della Corte costituzionale sudafricana]

Non e' facile immaginare che accanto a chi divenne icona internazionale
della lotta all'apartheid come Nelson Mandela, Oliver Tambo, Albert Luthuli
e Steven Biko ci furono anche cittadini sudafricani che non appartenevano
alla black people.
Donne e uomini che, pur essendo cresciuti in un paese che aveva fatto della
discriminazione razziale l'ideologia fondante dello Stato e pur appartenendo
a famiglie di origine europea, furono capaci di consacrare la loro vita alla
battaglia per l'affermazione dei diritti fondamentali. Molti i "bianchi",
dunque, che non esitarono a rifiutare la mitologia della segregazione
istituzionale cavalcata dai governi afrikaner scegliendo, invece, l'utopia
di un Sudafrica multirazziale e democratico.
Albie Sachs, nato da una famiglia d'origine britannica e cresciuto a Cape
Town, fu uno di questi; uno degli uomini e delle donne che si unirono in
giovane eta' alla lotta di neri, indiani e coloured per il riconoscimento
dei diritti umani.
Avvocato, giovanissimo, Albie Sachs inizio' negli anni '50 a lavorare per
l'affermazione dei diritti civili difendendo cittadini sudafricani neri
davanti ai giudici di Cape Town, partecipando alle campagne di disobbedienza
civile ed avviandosi, contestualmente, sulla strada dell'attivita' politica
nelle file dell'African National Congress. A meta' degli anni Cinquanta, fu
tra quelli che parteciparono al Congress of the People a Kliptown in cui
venne redatta ed adottata la Freedom Charter.
*
La carta della liberta'
Vero e proprio manifesto politico della lotta antirazzista, la Freedom
Charter riuniva tratti del gandhismo e del costituzionalismo
liberaldemocratico. Questo documento conteneva principi che solamente
quarant'anni dopo sarebbero stati ufficialmente riconosciuti dalla nuova
Costituzione democratica post-apartheid del 1996. Tra questi, i piu'
importanti, erano il principio di democrazia maggioritaria, il diritto alla
proprieta' della terra, il divieto di discriminazione su base razziale,
etnica o sessuale ed il principio fondamentale dell'unita' nazionale tra
bianchi e neri. Quest'ultimo e' stato l'elemento piu' importante che ha
caratterizzato la nascita del nuovo Sudafrica democratico, la pietra
angolare che ha permesso di gettare le basi di un difficile cammino verso la
pacificazione interrazziale. Infatti, fin dalla redazione della Freedom
Charter, i movimenti di liberazione avevano espresso l'idea secondo cui,
abolita l'apartheid, il Sudafrica sarebbe comunque divenuto uno Stato
democratico e multirazziale in cui avrebbero vissuto neri e bianchi. Questo
principio e' espresso oggi nella metafora con cui s'identifica la nuova
nazione sudafricana chiamata, appunto, rainbow nation (la nazione
arcobaleno).
Il prezzo dell'attivismo politico e giuridico che Albie Sachs ha pagato fu
assai elevato. Le forze di sicurezza sudafricane in molteplici occasioni
hanno disposto nei suoi confronti provvedimenti restrittivi della liberta'
di movimento, venne arrestato ed incarcerato in due circostanze ed indotto
all'esilio nel 1966. La prima destinazione fu l'Inghilterra, ma undici anni
dopo fece ritorno in Africa, in Mozambico, dove continuo' l'attivita' di
professore di diritto.
*
A costo della vita
Durante questo soggiorno, si consumo' tuttavia uno degli episodi piu'
importanti e drammatici della vita di Albie Sachs. Era il 1980, in Sudafrica
il livello dello scontro interno aveva raggiunto livelli di grande durezza.
Gli effetti dei boicottaggi internazionali al regime segregazionista avevano
innescato una profonda crisi economica e le azioni anche molto violente dei
movimenti di liberazione nazionale avevano scatenato la brutalita' delle
reazioni dello Stato. Sono in molti, in questo periodo, a parlare di guerra
civile. In questo contesto, Albie Sachs fu vittima di un attentato
dinamitardo. Come sarebbe stato appurato chiaramente negli anni successivi,
le forze di sicurezza sudafricane specializzate nelle "operazioni politiche"
(ovvero l'eliminazione sistematica degli oppositori) collocarono un ordigno
nella sua auto, a Maputo. Nell'esplosione perse un braccio ed un occhio.
Paradossalmente, fu proprio negli anni successivi all'attentato che Albie
Sachs intensifico' l'attivita' politica attraverso lo strumento giuridico.
Scrisse una serie di testi in materia di diritti umani e lavoro' alacremente
ad un progetto che poteva sembrare a tratti utopico: quello di una nuova
Costituzione democratica per il Sudafrica.
I tempi del cambiamento sarebbero rapidamente maturati; nel febbraio del
1990 il neopresidente del Sudafrica F. De Klerk pronuncio' innanzi al
Parlamento il celebre discorso in cui si prendeva atto dell'ineluttabile:
caduto il muro di Berlino, il sistema d'apartheid andava riformato in
profondita'. Contestualmente De Klerk comunico' al Sudafrica ed al mondo
l'imminente liberazione di Nelson Mandela. Lo Stato si preparava alla lunga
fase di negoziati con i movimenti di liberazione nazionale; il rientro dei
numerosissimi esuli politici era ormai improcrastinabile. Tra questi, anche
Albie Sachs, che rientro' in Sudafrica nel 1990 divenendo immediatamente
delegato dall'Anc per il Constitutional Committee che avrebbe negoziato la
nuova Costituzione.
*
Una costituzione avanzata
Seguirono gli anni convulsi della transizione alla democrazia. Pur nella
ferma decisione di continuare il dialogo, l'establishment politico del
vecchio regime ed i movimenti di liberazione nazionale (ormai pienamente
riabilitati) non si risparmiarono colpi bassi. In un contesto di violenza
politica diffusa furono in molti, nel mondo, a preannunciare l'esplosione
della vendetta dei neri sui bianchi che venne tuttavia scongiurata. La nuova
Costituzione venne scritta progressivamente e a tappe, cosa questa che
consenti' l'inclusione nei negoziati di un numero elevatissimo di attori
politici.
Gia' nel 1995, prima ancora dell'adozione della Costituzione definitiva,
venne istituita la Corte Costituzionale. L'anno precedente si erano tenute
le prime storiche elezioni universali e multirazziali che avevano portato
Nelson Mandela alla presidenza della Repubblica.
Per Albie Sachs comincio' da quel momento una nuova forma di lotta, diversa
nei metodi ma identica nella sostanza: quella per l'affermazione concreta
dei principi sanciti dalla Costituzione. La lettera del diritto, senza gli
strumenti e gli uomini che si impegnano per la sua applicazione, non ha
forza. Questa e' la ragione che ha condotto al fallimento molteplici
dichiarazioni internazionali o testi costituzionali adottati in paesi
dell'Africa. Le parole, seppur importanti, non hanno forza demiurgica
intrinseca. Di questo il giudice Sachs e' stato sempre pienamente cosciente
e da qui comincio' la storia giurisprudenziale della Corte costituzionale
sudafricana oggi impegnata, da ormai dodici anni, sul difficile terreno
della mediazione tra i principi costituzionali e la complessa realta'
sociale ed economica del nuovo Sudafrica.
La storia del Sudafrica forse insegna proprio questo. Non esistono "vie
brevi" o colpi di mano attraverso la violenza. I cambiamenti si producono
attraverso il dialogo ed il confronto tenace tra le parti, con un costante
bilanciamento tra principi e diritti, in un contesto reso favorevole da
istituzioni aperte alla differenze di interessi e istanze.

4. RIFLESSIONE. MARIELLA LAJOLO INTERVISTA ALBERTO L'ABATE
[Da "Buddismo e Societa'", n. 115, marzo-aprile 2006 (disponibile anche nel
sito: www.sgi-italia.org) riprendiamo la seguente intervista, dal titolo "Il
potere dell'impegno personale".
Mariella Lajolo, dell'Istituto buddhista Soka Gakkai, e' formatrice alla
pace.
Alberto L'Abate e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario di
sociologia dei conflitti e ricerca per la pace, promotore del corso di
laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti"
dell'Universita' di Firenze, e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella
Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle
attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; amico e
collaboratore di Aldo Capitini, ha collaborato alle iniziative di Danilo
Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e
programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del
Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso
e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, e si e'
impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione";
e' portavoce dei "Berretti Bianchi" e promotore dei Corpi civili di pace.
Tra le opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla
nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento
sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana,
Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999;
Giovani e pace, Pangea, Torino 2001]

Esperto di mediazione dei conflitti, con una lunga esperienza sul campo
nell'area balcanica, in particolare nel Kossovo dove attraverso molte
iniziative ha favorito la riapertura della comunicazione tra le parti in
conflitto, Alberto L'Abate e' una delle persone piu' esperte e impegnate nel
campo della nonviolenza nel nostro paese.
Lo abbiamo intervistato a Torino, nel dicembre scorso, in occasione del
convegno La mediazione: dal livello interpersonale al livello internazionale
organizzato dal Centro studi Sereno Regis.
*
- Mariella Lajolo: Come e quando ha iniziato a occuparsi di nonviolenza e di
mediazione dei conflitti?
- Alberto L'Abate: Non e' facile individuare un punto di inizio preciso.
Certamente ci sono stati alcuni avvenimenti importanti nel mio percorso di
vita. Uno sicuramente risale a quando avevo dodici-tredici anni, durante la
guerra. Il fronte era nella strada in cui abitavo e spesso mi fermavo a
parlare con i partigiani, e cosi' una mattina vidi uccidere dai fascisti uno
che era diventato mio amico. Il fatto che degli italiani ammazzassero dei
propri conterranei mi fece riflettere sull'assurdita' della guerra.
Un altro aspetto fondamentale fu l'avvicinamento a Gandhi, su cui lessi un
bel libro che proposi di tradurre in italiano perche' ritenevo fosse una
lettura importante. Scrissi ad Aldo Capitini, che segnalo' la cosa a una
casa editrice. Il libro fu pubblicato molti anni dopo, non tradotto da me e
quando ormai ne erano stati pubblicati molti altri di e su Gandhi, ma per me
fu l'occasione per incontrare Capitini, con cui instaurai un'amicizia che
duro' tutta la vita. Entrai cosi' in contatto con il pensiero della
nonviolenza e conobbi Danilo Dolci, con il quale lavorai per circa due anni
e mi laureai con lui con una tesi su un quartiere di Palermo.
Con Goffredo Fofi mi occupai di formazione (io degli adulti, lui dei
bambini). Si educava con un metodo interessante: ognuno era sia maestro che
allievo.
La conoscenza di Capitini, il mio rapporto con Lamberto Borghi a Firenze
(anche lui un pedagogista nonviolento), il mio coinvolgimento nella
fondazione del Movimento Nonviolento, di cui sono stato segretario nazionale
per un certo periodo, il rapporto con mia moglie Anna Luisa (attualmente
vice presidente del Mir, il Movimento internazionale per la
riconciliazione - ndr), con cui ho scoperto da subito moltissime affinita' e
con cui ho aperto una Casa per la pace a San Gimignano, in quanto entrambi
eravamo convinti dell'importanza di formare alla pace e alla nonviolenza,
posso dire siano state le tappe fondamentali.
Altri momenti importanti sono stati un processo a mio carico a Firenze, in
cui fui condannato a un anno di carcere per vilipendio alla patria a causa
di una manifestazione noviolenta in occasione del 4 novembre (la festa della
vittoria dell'Italia nella prima guerra mondiale), e il processo per il
blocco della linea ferroviaria a Capalbio durante una manifestazione contro
le centrali nucleari.
A proposito di quest'ultimo processo - che si protrasse per oltre un anno -
la sera prima di ogni udienza si organizzava un contro-processo a cui
venivano invitati grandi esperti del problema del nucleare come Gianni
Mattioli, Massimo Scalia, Enzo Tiezzi, Giorgio Cortellessa, Giorgio Nebbia,
che mettevano in rilievo non solo tutti gli elementi di pericolosita', ma
anche l'inutilita' del nucleare dal punto di vista energetico, a cui si
poteva sostituire il potenziamento dell'energia alternativa. Venimmo tutti
assolti in quanto fu riconosciuto il fatto che avevamo agito in stato di
necessita' per tutelare la salute pubblica. Questa fu un'occasione che
confermo' l'importanza della formazione alla nonviolenza. Capii che certe
decisioni sono assolutamente personali, non si possono prendere a
maggioranza se poi implicano conseguenze giuridiche sui singoli.
Mi appassionai quindi al metodo del consenso, che sperimentai per la prima
volta in occasione della marcia Catania-Comiso, che permette a ognuno di
scegliere il tipo di azione da fare concordandola con gli altri.
Abbiamo dedicato molti dei nostri training alla mediazione dei conflitti,
lavorando cosi' non solo a livello intellettuale, ma anche al livello della
psicologia profonda. Capimmo che dovevamo esporci anche in situazioni
esterne. Cosi' decidemmo di andare in Iraq durante la guerra del Golfo e poi
in Kossovo. La nostra preoccupazione era quella di creare alternative.
Infatti secondo me non basta dire no alla guerra, occorre occuparsi di
prevenzione, mediazione e riconciliazione.
*
- Mariella Lajolo: Ha sempre tenuto insieme la ricerca, la formazione e
l'azione. Da questa triade e' nata l'idea del corso di laurea in Operatori
per la pace?
- Alberto L'Abate: Questa triade e' fondamentale, infatti io ho dedicato
quasi tutta la mia vita alla relazione tra la ricerca e l'azione, al legame
tra dati, valori e teorie, al passaggio continuo dalla teoria alla pratica.
Saper tutto e non fare nulla serve a poco.
Il corso di laurea e' nato un po' dal basso, in modo un po' casuale. Mentre
all'Universita' di Firenze il corso di laurea in Operatori per la pace e'
interfacolta', tra le facolta' di Economia e di Scienze politiche, a Pisa la
situazione e' stata piu' favorevole, perche' la' hanno creato proprio un
Centro interdipartimentale di studi per la pace.
*
- Mariella Lajolo: Che tipo di prospettive si aprono dopo il corso di
laurea?
- Alberto L'Abate: Molti studenti si sono gia' impegnati nell'educazione
alla pace nelle scuole, hanno tenuto dei training di formazione alla
nonviolenza agli studenti che a Locri si oppongono alla mafia, tutto il
collettivo dell'Universita' sta collaborando nel lavoro di inserimento degli
stranieri nella citta'. Cercano di unire la teoria all'azione, di mantenere
un collegamento.
Il problema di fondo e' cambiare la nostra cultura: non c'e' prevenzione, la
prevenzione non e' un ideale condiviso. Cio' si vede anche dagli esigui
investimenti in questo campo. La gente sta ferma finche' non succede il
disastro. Credo che sia importantissimo imparare a muoversi prima, a
studiare, prevedere i fenomeni che poi conducono alle guerre, ai disastri,
quindi prevenirli. Non si tratta di prevenire il conflitto, che e'
inevitabile, ma la sua degenerazione. Questo purtroppo ancora non c'e' ed e'
il vero campo di impegno per la pace.

5. LIBRI. ALESSANDRO DE GIORGI PRESENTA "MIGRARE" DI FEDERICA SOSSI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 giugno 2007, col titolo "Vite ribelli
alla segnaletica della sofferenza" e il sommario "Migrare: spazi di
confinamento e strategie di esistenza, di Federica Sossi per il Saggiatore.
Le storie recuperate di uomini e donne altrimenti cancellate dal linguaggio
burocratico usato dalle istituzioni del controllo sociale".
Alessandro De Giorgi (Saarbruecken, Germania, 1974), criminologo, svolge
attivita' di ricerca presso l'Universita' di Keele (Inghilterra) e
l'Universita' di Padova; ha svolto attivita' di ricerca presso l'Universita'
del Saarland (Germania) e presso l'Universita' di Berna (Svizzera);
collabora alle riviste "Dei delitti e delle pene" e "DeriveApprodi". Opere
di Alessandro De Giorgi: Zero Tolleranza. Strategie e pratiche della
societa' di controllo, Deriveapprodi, 2000; Il governo dell'eccedenza.
Postfordismo e controllo della moltitudine, Ombre corte, 2002.
Federica Sossi e' docente di filosofia teoretica all'universita' di Bergamo.
Tra le sue opere: (a cura di), Pensiero al presente, Cronopio, Napoli 1999;
Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma
2002; Migrare: spazi di confinamento e strategie di esistenza, il
Saggiatore, Milano 2007]

Federica Sossi e' una studiosa che ha fatto una scelta particolare attorno
alla sua produzione relativa ai migranti. La caratteristica dei suoi
precedenti libri, Autobiografie negate (Manifestolibri) e Storie migranti
(DeriveApprodi), volumi che sono intervenuti in due momenti significativi
della discussione italiana attorno alla migrazioni contemporanee, risiedeva
infatti nella loro capacita' di formulare una narrazione profondamente
"soggettiva" dell'esperienza migratoria, in cui tuttavia l'autrice non
cedeva in alcun caso alla tentazione di farsi osservatrice esterna
intenzionata a "dare voce" ai migranti e alle loro storie. In quei testi,
l'antidoto a un tale posizionamento sembra consistere per Federica Sossi nel
rendersi parte in causa della medesima narrazione, implicando e svelando
cosi' fino in fondo le proprie inquietudini politiche e intellettuali nei
confronti della questione migratoria, al riparo cioe' del linguaggio
rassicurante della politica e dell'accademia. Ma non certo al riparo dalla
complessita' della riflessione teorica.
*
Biografie negate
Accade cosi' che nel suo recente Migrare: spazi di confinamento e strategie
di esistenza (il Saggiatore, pp. 155, euro 15) Federica Sossi riesca a
tenere proficuamente insieme un vivido e a tratti intimo diario di viaggio
tra gli spazi militarizzati, i luoghi sospesi e gli angusti passaggi
attraverso cui sono oggi costrette ad insinuarsi le traiettorie delle
migrazioni tra Africa ed Europa, e un'importante riflessione sulle mutazioni
che hanno investito le tecnologie politiche di controllo della mobilita'
umana, segnalando la transizione da un arcipelago di istituzioni, pratiche e
saperi disciplinari orientati all'individuazione e alla fissazione
biografica dei soggetti, verso un paradigma di tipo seriale in cui le
soggettivita' individuali sembrano di fatto scomparire, "prive di storia, di
possibilita' di diventare storia gia' mentre si stanno vivendo".
A queste riflessioni Federica Sossi perviene muovendo dagli archivi nei
quali le odierne burocrazie di governo delle migrazioni hanno stancamente
preso nota dei naufragi che negli ultimi anni hanno trasformato i mari del
Mediterraneo in luoghi di morte. Registrazioni mute, al limite segnaletiche
nella loro indifferenza alle vite degli "uomini infami" i cui passaggi
interrotti esse si limitano a trascrivere nella forma di numeri o codici
dall'effetto disumanizzante: "immigrante n. 1", "cognome: cadavere A1 n.
11", "nome: sesso maschile". Le narrazioni presenti in questo volume
cercano, all'opposto, di recuperare, tra le righe di una contabilita' dei
decessi e dei ferimenti che ricorda da vicino le pratiche di enumerazione
gia' osservabili nei campi nazisti, proprio quell'elemento biografico che
gli archivi tendono oggi a respingere nell'oblio.
E tuttavia, in quelli che definisce "luoghi del nessun dove" - gli archivi e
i cimiteri anonimi del Mediterraneo, appunto, ma anche i campi di detenzione
costruiti su impulso europeo nelle regioni dell'Africa settentrionale, i
voli charter in partenza da Lampedusa con destinazioni spesso ignote agli
stessi deportati, le "spiagge di guerra" del Marocco da cui i militari
maghrebini difendono un'Europa loro preclusa, o ancora le foreste-ghetto di
Ceuta e Melilla dove i migranti si appostano in attesa di un varco per poter
passare - Federica Sossi non individua piu' solo delle autobiografie negate
e rese silenziose dall'essere in ogni caso fuori luogo.
Al contrario, tra Milano e Rabat, e piu' in generale negli interstizi di un
territorio globale sul quale la moltiplicazione dei confini iscrive forme
peculiari di spazialita' e temporalita' caratterizzate dalla sospensione -
campi, zone d'attesa e di transito, anni di viaggio, infiniti ritorni,
attese di momenti propizi per saltare dall'altra parte - l'autrice
ricostruisce la trama complessa di biografie al confine, che si definiscono
intorno alle strategie di sottrazione, fuga e aggiramento dei vincoli
continuamente opposti alla mobilita' umana: "autobiografie inventate...
storie minori e spesso dette in lingue minori, brusio di storie
incomprensibili alla lingua maggioritaria e per questo inosservate e non
udite, relegate in uno spazio dell'inesistenza in cui, pero', c'e' un
lavorio continuo di invenzioni di se', di strategie e tattiche di esistenza
e permanenza messe in atto dai soggetti per sfuggire alle pratiche di
potere".
Ma d'altra parte Sossi non concede alcuno spazio a facili retoriche
resistenziali: le finzioni, le infinite variazioni sul tema della propria
vita, gli innumerevoli alias e le tante identita' "girevoli" di cui i
migranti si servono per eludere quei dispositivi di archiviazione e
controllo che vorrebbero fissarne la soggettivita' a una qualunque
provenienza nazionale purche' compatibile con una rapida deportazione,
rappresentano infatti altrettante strategie di esistenza in uno scenario in
cui l'atto di respingere nella morte e' stato compiutamente normalizzato.
*
Strategie di contenimento
A Federica Sossi non sfugge quindi la dimensione di autentica sofferenza in
cui le strategie di contenimento della mobilita' sospingono l'esperienza
concreta della migrazione. Di questa sensibilita' costituiscono efficace
testimonianza le pagine del libro dedicate in particolare ai campi e alle
deportazioni: qui prende infatti forma un drammatico inventario delle forme
di violenza quotidiana che solcano questi spazi di confinamento: "Tra i
novemila e diecimila arrivi ogni anno... a cui distribuire per tutti i
giorni di permanenza un'unica saponetta anziche' una saponetta al giorno,
una bottiglia d'acqua anziche' le bottiglie previste, qualche straccio
anziche' i vestiti messi in capitolo, a cui far comprare le schede
telefoniche anziche' distribuirle gratuitamente", scrive Sossi a proposito
del Centro di permanenza temporanea di Lampedusa: uno tra i tanti "teatri
del sud" - accanto al Marocco, alla Libia o alle Isole Canarie - in cui va
quotidianamente in scena la vigenza del confine e la messa al bando di
coloro che lo violano.
*
Fuori dal controllo
Migrare: spazi di confinamento e strategie di esistenza non e' pero' un
testo attraversato dal pessimismo. L'incontestabile normalizzazione di
istituzioni e politiche orientate a respingere nella morte coloro che si
sottraggono alla duplice e complementare ingiunzione di restare la' dove si
trovano - ovvero di muoversi ordinatamente secondo esigenze, quote e
traiettorie stabilite altrove - nel bel libro di Federica Sossi non si
traduce mai in una rassegnata registrazione della realta', quasi a
riprodurre paradossalmente l'effetto di scarna enunciazione tipico della
logica d'archivio descritta sopra. Al contrario: "a un potere che non
archivia piu' in base a criteri biografici e che si serve unicamente di una
scrittura per cosi' dire segnaletica in sintonia con il proprio compito di
vigilanza globale, rispondono storie non archiviabili che si ribellano alla
possibilita' della storia".

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 138 del 2 luglio 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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