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Minime. 138
- Subject: Minime. 138
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 2 Jul 2007 00:41:44 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 138 del 2 luglio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Ingrid Facchinelli: A Zackie Achmat il Premio Alexander Langer 2007 2. Anna Maria Gentili: Zackie Achmat e il Sudafrica del dopo-apartheid 3. Andrea Lollini: Albie Sachs. Dalla disobbedienza civile al Sudafrica democratico 4. Mariella Lajolo intervista Alberto L'Abate 5. Alessandro De Giorgi presenta "Migrare" di Federica Sossi 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. PROFILI. INGRID FACCHINELLI: A ZACKIE ACHMAT IL PREMIO ALEXANDER LANGER 2007 [Dal sito della Fondazione Alexander Langer (www.alexanderlanger.org). Ingrid Facchinelli, nata nel 1963 a Bolzano, dopo una formazione come educatrice ha svolto questa professione per otto anni, ha viaggiato a lungo in Sudamerica, Africa e Australia; laureata in storia e storia dell'arte a Innsbruck nel 2001 e' da allora archivista e coordinatrice della Fondazione Alexander Langer di Bolzano, di cui e' attualmente presidente. Zackie Achmat, nato nel 1962, attivista per i diritti umani sudafricano, ha preso parte alla lotta antiapartheid, nel 1998 ha fondato l'organizzazione non governativa "Treatment Action Campaign" contro la diffusione del virus Hiv e per il riconoscimento di un pieno diritto alle cure per i malati di Aids. Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992 esaurito). Dopo la sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero.Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di "Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995: "M acht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer. Impronte di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno di noi, Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Latemar 3, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org] Il comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer, composto da Annamaria Gentili (presidente), Anna Bravo, Barbara Bertoncin, Edi Rabini, Fabio Levi, Francesco Palermo, Franco Travaglini, Gianni Tamino, Grazia Barbiero, Helmuth Moroder, Liliana Cori, Mao Valpiana, Margit Pieber, Pinuccia Montanari, Ursula Apitzsch, ha deciso di attribuire il premio internazionale Alexander Langer 2007 a Zackie Achmat, direttore della ong Sudafricana "Treatment Action Campaign - Tac". L'aids e' una malattia globale, che riguarda tutto il mondo e sta devastando soprattutto le societa' e comunita' piu' vulnerabili, quelle che devono subire il peso di una crescente poverta', emarginazione e disuguaglianza. In Sudafrica la drammaticita' dei dati sulla diffusione e le conseguenze economiche e sociali dell'Hiv/Aids hanno avuto un profondo impatto sul modo in cui da un lato il governo e dall'altro le organizzazioni della societa' civile hanno riposto alla pandemia. La lotta all'aids ci mette di fronte a numerose questioni complesse e delicate. In particolare solleva il problema del bilanciamento tra i diritti delle case farmaceutiche in possesso dei brevetti internazionali (copyrights, patents ecc.) e altri diritti che l'avanzata Costituzione sudafricana definisce "fondamentali", come quelli alla vita, alla dignita' umana, alle cure sanitarie, alla giustizia economica. Zackie Achmat e l'organizzazione non governativa Tac (Treatment Action Campaign) lottano in Sudafrica contro la diffusione del virus Hiv e per il riconoscimento di un pieno diritto alle cure per i malati di Aids. A tale scopo hanno promosso forme di lotta fondate nello stesso tempo sull'azione giudiziaria, la mobilitazione internazionale e la disobbedienza civile, ispirandosi alle esperienze che anni prima avevano portato alla vittoria sull'apartheid. La Tac si rivolge con varie forme di protesta nonviolenta al governo sudafricano e alle industrie farmaceutiche, presentando a ogni passo i suoi argomenti alle Corti di giustizia, e nel contempo denunciando e intervenendo contro ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali. La rete realizzata dalla Tac riunisce la comunita' scientifica e gli uomini e le donne, soprattutto delle aree e comunita' piu' povere, sviluppando un vasto spazio di rivendicazione della promessa di una "cittadinanza sociale" ovvero il diritto di accesso alle cure sanitarie per tutti sancito dalla Costituzione. Durante le lunghe campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica Zacke Achmat, lui stesso sieropositivo, ha rifiutato per un lungo periodo di assumere le necessarie medicine antivirali, dichiarando di voler riprendere le cure solo quando il governo avesse garantito analoga possibilita' a tutti i sudafricani malati di Aids. Contemporeamente la Tac inizio' ad acquistare farmaci "generici", utilizzati per il trattamento dell'infezione, da altri paesi, come la Thailandia, in cui le rispettive discipline legislative consentono la produzione di tali farmaci. Zackie Achmat ha portato di persona in Sudafrica un considerevole quantitativo di tali farmaci. Nel 1998 alcune multinazionali farmaceutiche, proprietarie dei brevetti, denunciarono davanti al Tribunale di Pretoria il governo sudafricano per la decisione di ridurre i costi delle medicine antivirali, ma una campagna di sensibilizzazione internazionale le convinsero a ritirare la denuncia e a concludere con il governo una trattativa per una riduzione consistente del prezzo di acquisto. Zackie Achmat, nato nel 1962, di origine indiana, tra il 1976 ed il 1980 e' stato arrestato piu' volte e incarcerato tre mesi per azioni di protesta contro l'apartheit e la repressione della rivolta di Soweto. Nel 1998 fonda la Tac. Per il suo impegno di lotta all'aids, affrontata in modo concreto e innovativo, Zackie Achmat ha ottenuto nel suo paese alcuni prestigiosi riconoscimenti, tra i quali nel 2003 il premio "Nelson Mandela". Ulteriori notizie sul suo lavoro si trovano nel sito dell'associazione Tac (www.tac.org.za). Il premio, dotato di 10.000 euro, offerti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, gli e' stato consegnato a Bolzano il 29 giugno 2007 nell'ambito dell'annuale incontro "Euromediterranea" (29 giugno - primo luglio), quest'anno dedicato al tema dell'esperienza sudafricana di lotta all'aids e del riconoscimento costituzionale dei diritti fondamentali. 2. RIFLESSIONE. ANNA MARIA GENTILI: ZACKIE ACHMAT E IL SUDAFRICA DEL DOPO-APARTHEID [Ringraziamo Edi Rabini (per contatti: edorabin at fastwebnet.it) per averci messo a disposizione il seguente articolo di Anna Maria Gentili. Edi Rabini, che e' stato grande amico e stretto collaboratore di Alex Langer, e' impegnato nella Fondazione Alexander Langer (per contatti: e-mail: langer.foundation at tin.it, sito: www.alexanderlanger.org), di cui e' infaticabile e generosissimo animatore. Anna Maria Gentili e' docente di Storia e istituzioni dell'Africa sub-sahariana alla facolta' di scienze politiche dell'Universita' di Bologna, presidente del corso di laurea in Sviluppo e cooperazione internazionale (Svic) e del Centro Amilcar Cabral (biblioteca, emeroteca, Iniziative) su Africa, Asia, America latina a Bologna; e' presidente del comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer. Opere di Anna Maria Gentili: Elites e regimi politici in Africa occidentale, Il Mulino, Bologna 1974; (a cura di, con B. Bernardi), Tradizione e modernita' in Africa sub-sahariana, Compositori, Bologna 1974; (a cura di, con G. Mizzau, I. Taddia), Africa come storia, Angeli, Milano 1980 ; (con M. Emiliani e M. C. Ercolessi), Sud Africa. I conflitti dell'apartheid, Editori Riuniti, Roma 1987; Il Leone e il cacciatore. Storia dell'Africa subsahariana, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1995; (a cura di, con M. Zamboni), Stato, democrazia e legittimita'. Transizioni politiche in Africa, America Latina, Balcani, Medio Oriente, Carocci, Roma 2005; (a cura di, con P. Chabal, U. Engels), Is Violence Inevitable in Africa: Theories of Conflict and Approaches to Conflict Prevention, Aegis, Brill 2005; ha inoltre curato il libro di Ruth First, Alle radici dell'apartheid, Angeli, Milano 1984] Nelson Mandela aveva definito la fine del regime d'apartheid nel 1994 un "miracolo". L'arcivescovo Desmond Tutu, presidente della Commissione per la verita' e la riconciliazione (Trc), salutava la promessa del " paese arcobaleno" finalmente riscattato dal cuore di tenebra dell'apartheid. L'istituzione della Truth and Reconciliation Commission, ispirandosi al primato del necessario riconoscimento di verita' per rendere alle vittime dell'apartheid la dignita' della loro umanita' violata e tramandare la memoria del loro sacrificio, nello stesso tempo avrebbe permesso la reintegrazione nella societa' dei perpetratori di crimini purche' riconoscessero pubblicamente le proprie colpe. La Trc fu il prodotto della tensione fra le ragioni della giustizia e quelle della pace e riconciliazione. Criticata da molti come un compromesso, ha certamente contribuito a lasciare ai posteri la memoria di quanto e' accaduto e ad iniziare un processo faticoso di avvicinamento fra le diverse componenti della popolazione che potrebbe rappresentare un paradigma per il resto del mondo. Il Sud Africa fu allora universalmente acclamato come il piu' importante esperimento riuscito di transizione a una "nuova democrazia": quattro anni di negoziati, inaugurati dalla liberazione di Nelson Mandela (1990), in cui le componenti sociali e politiche, pur divise da appartenenze razziali e etniche, radicate in una lunga storia di regimi segregazionisti e razzisti, si erano conclusi con le prime elezioni a suffragio universale, garantite da una Costituzione che sanciva l'avvio della nuova fase politica per mezzo di un governo di unita' nazionale (1994-1996). Le successive elezioni si sono tenute regolarmente e in tutte l'African National Congress (Anc) ha vinto democraticamente. * La nazione arcobaleno Il miracolo della pacifica transizione del Sud Africa alla democrazia evocava l'inizio di un percorso verso l'adesione a una comune identita' nazionale che doveva fondarsi sulla promozione di eguaglianza, non solo di diritti formali, ma di diritti sostanziali di cittadinanza sociale. Diritti che sono riconosciuti anzi enfatizzati nella Costituzione e nel Bill of Rights. Dal 1994 il governo ha dovuto affrontare simultaneamente la sfida delle riforme, tentare di mettere mano agli immensi problemi della crisi abitativa, combattere l'aumento della criminalita', provvedere a programmi di riduzione della poverta'. Questo in un contesto economico internazionale che esigeva l'adozione di politiche macroeconomiche ispirate al risanamento e alla stabilizzazione del bilancio statale. Il conflitto razziale, peraltro sempre latente e evocato nella contrapposizione fra chi ha e chi continua a non aver accesso alle risorse economiche e sociali, si e' spostato sul campo di battaglia della lotta per le riforme. Trascorsi oltre dieci anni dalla fine del regime dell'apartheid si puo' affermare che in Sud Africa si e' consolidato un regime politico democratico, non razziale, legittimo agli occhi di tutte le componenti della popolazione, impegnato nel mantenere stabilita' economica, che gode di una forte credibilita' in Africa e in campo internazionale. Nello stesso tempo la situazione sociale dimostra come ai problemi ereditati dal regime di apartheid se ne siano aggiunti di nuovi, che la politica riesce a controllare, ma non a risolvere. Poverta', immensa disuguaglianza fra le diverse componenti della popolazione, disoccupazione, mancanza di accesso alle risorse di masse crescenti di giovani, insicurezza, violenza, caratterizzano soprattutto le immense citta' ghetto e le aree rurali in via di impoverimento. Si calcola che circa il 23% della popolazione debba vivere con meno di due dollari al giorno e circa il 37% si collochi sotto la soglia della poverta'. Il 40% della popolazione piu' povera riceve solo il 6,1% del reddito totale, mentre il 20% piu' ricco il 64%. Gli indici di disoccupazione, malgrado i molti provvedimenti per porvi rimedio, non sono migliorati e rimangono stabili al 40% della popolazione economicamente attiva. Cosi' per masse di giovani neri, poco sensibili a messaggi ideologici, le promesse d'istruzione e lavorosi sono realizzate solo in minima parte, costringendoli a forme di marginalita' di cui si nutre la crescente violenza dei ghetti urbani. Le politiche di risanamento e sviluppo sono criticate proprio per non aver potuto o voluto affrontare radicalmente la questione sociale. * La lotta della Tac e di Zackie Achmat Fra le molte battaglie che hanno visto l'emergere di una societa' civile responsabile, capace di aggregare forze anche nei settori piu' vulnerabili della popolazione e condurle con forme di lotta civile all'interno del sistema istituzionale e giuridico a rivendicare il rispetto dei propri diritti costituzionali, ha avuto particolare rilievo l'azione per veder riconosciuto il diritto al trattamento antiretrovirale per la cura contro l'Hiv/Aids. Il Sudafrica e' in Africa fra i paesi piu' colpiti, pur avendo un sistema sanitario piu' articolato ed efficiente di qualsiasi altro nel continente. La politica governativa, prima esitante a prendere atto della diffusione della malattia, lasciata trasformarsi in "epidemia" nel periodo dell'apartheid, poi tendenzialmente restio a riconoscerne le origini e i devastanti effetti, ha cambiato rotta solo in seguito alla campagna a vasto raggio delle organizzazioni della societa' civile. L'organizzazione non governativa Tac (Treatment Action Campaign) fondata nel 1998 da Zachie Achmat, gia' attivista anti-apartheid, che vede impegnati organizzazioni professionali di medici, infermieri, organizzazioni sindacali e sociali, uomini, giovani e soprattutto donne dei ghetti urbani, ha condotto una campagna a vasto raggio che si e' concentrata su obiettivi concreti: contro il monopolio e gli alti costi dei farmaci antiretrovirali e sul diritto universale d'accesso alla cura. La mobilitazione di massa si e' svolta nel quadro istituzionale e legale con continui ricorsi alla giustizia fino alla corte suprema, con azioni di disobbedienza civile nonviolenta. Azioni che sono state determinanti nel far cambiare indirizzo nella politica sanitaria e ammettere il diritto d'accesso alle cure per tutti, ad ottenere infine che fosse adottato un programma di trattamento della malattia comprensivo e credibile. L'azione del Tac e la chiave del suo successo sta proprio nella mobilitazione di base che ha consentito di ottenere vittorie contro la discriminazione verso persone sieropositive, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli ospedali, cioe' creare e affermare spazi di diritti di cittadinanza. Un'azione che ha una proiezione globale pur dedicandosi a pieno tempo alla mobilitazione e protezione dei diritti dei piu' vulnerabili, dei piu' poveri dei poveri, dando loro voce nelle corti di giustizia, attivando le garanzie di quella Costituzione in cui finalmente "coloro che era consentito ignorare", e cioe' i piu' poveri e marginali, possano riconoscersi e con questo rivendicare la loro dignita' di cittadini. 3. PROFILI. ANDREA LOLLINI: ALBIE SACHS. DALLA DISOBBEDIENZA CIVILE AL SUDAFRICA DEMOCRATICO [Ringraziamo Edi Rabini (per contatti: edorabin at fastwebnet.it) per averci messo a disposizione il seguente articolo di Andrea Lollini. Andrea Lollini e' ricercatore di diritto costituzionale comparato all'Universita' di Bologna e docente nel master "Operatore di pace nei conflitti internazionali" realizzato dal Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Universita' di Bologna e dalla Formazione professionale italiana della Provincia autonoma di Bolzano. Nel 2005 ha pubblicato con la casa editrice Il Mulino il saggio "Costituzionalismo e giustizia di transizione, il ruolo costituente della Commissione sudafricana verita' e riconciliazione". Albie Sachs, illustre giurista sudafricano, una delle figure piu' vive della lotta antiapartheid, e' presidente della Corte costituzionale sudafricana] Non e' facile immaginare che accanto a chi divenne icona internazionale della lotta all'apartheid come Nelson Mandela, Oliver Tambo, Albert Luthuli e Steven Biko ci furono anche cittadini sudafricani che non appartenevano alla black people. Donne e uomini che, pur essendo cresciuti in un paese che aveva fatto della discriminazione razziale l'ideologia fondante dello Stato e pur appartenendo a famiglie di origine europea, furono capaci di consacrare la loro vita alla battaglia per l'affermazione dei diritti fondamentali. Molti i "bianchi", dunque, che non esitarono a rifiutare la mitologia della segregazione istituzionale cavalcata dai governi afrikaner scegliendo, invece, l'utopia di un Sudafrica multirazziale e democratico. Albie Sachs, nato da una famiglia d'origine britannica e cresciuto a Cape Town, fu uno di questi; uno degli uomini e delle donne che si unirono in giovane eta' alla lotta di neri, indiani e coloured per il riconoscimento dei diritti umani. Avvocato, giovanissimo, Albie Sachs inizio' negli anni '50 a lavorare per l'affermazione dei diritti civili difendendo cittadini sudafricani neri davanti ai giudici di Cape Town, partecipando alle campagne di disobbedienza civile ed avviandosi, contestualmente, sulla strada dell'attivita' politica nelle file dell'African National Congress. A meta' degli anni Cinquanta, fu tra quelli che parteciparono al Congress of the People a Kliptown in cui venne redatta ed adottata la Freedom Charter. * La carta della liberta' Vero e proprio manifesto politico della lotta antirazzista, la Freedom Charter riuniva tratti del gandhismo e del costituzionalismo liberaldemocratico. Questo documento conteneva principi che solamente quarant'anni dopo sarebbero stati ufficialmente riconosciuti dalla nuova Costituzione democratica post-apartheid del 1996. Tra questi, i piu' importanti, erano il principio di democrazia maggioritaria, il diritto alla proprieta' della terra, il divieto di discriminazione su base razziale, etnica o sessuale ed il principio fondamentale dell'unita' nazionale tra bianchi e neri. Quest'ultimo e' stato l'elemento piu' importante che ha caratterizzato la nascita del nuovo Sudafrica democratico, la pietra angolare che ha permesso di gettare le basi di un difficile cammino verso la pacificazione interrazziale. Infatti, fin dalla redazione della Freedom Charter, i movimenti di liberazione avevano espresso l'idea secondo cui, abolita l'apartheid, il Sudafrica sarebbe comunque divenuto uno Stato democratico e multirazziale in cui avrebbero vissuto neri e bianchi. Questo principio e' espresso oggi nella metafora con cui s'identifica la nuova nazione sudafricana chiamata, appunto, rainbow nation (la nazione arcobaleno). Il prezzo dell'attivismo politico e giuridico che Albie Sachs ha pagato fu assai elevato. Le forze di sicurezza sudafricane in molteplici occasioni hanno disposto nei suoi confronti provvedimenti restrittivi della liberta' di movimento, venne arrestato ed incarcerato in due circostanze ed indotto all'esilio nel 1966. La prima destinazione fu l'Inghilterra, ma undici anni dopo fece ritorno in Africa, in Mozambico, dove continuo' l'attivita' di professore di diritto. * A costo della vita Durante questo soggiorno, si consumo' tuttavia uno degli episodi piu' importanti e drammatici della vita di Albie Sachs. Era il 1980, in Sudafrica il livello dello scontro interno aveva raggiunto livelli di grande durezza. Gli effetti dei boicottaggi internazionali al regime segregazionista avevano innescato una profonda crisi economica e le azioni anche molto violente dei movimenti di liberazione nazionale avevano scatenato la brutalita' delle reazioni dello Stato. Sono in molti, in questo periodo, a parlare di guerra civile. In questo contesto, Albie Sachs fu vittima di un attentato dinamitardo. Come sarebbe stato appurato chiaramente negli anni successivi, le forze di sicurezza sudafricane specializzate nelle "operazioni politiche" (ovvero l'eliminazione sistematica degli oppositori) collocarono un ordigno nella sua auto, a Maputo. Nell'esplosione perse un braccio ed un occhio. Paradossalmente, fu proprio negli anni successivi all'attentato che Albie Sachs intensifico' l'attivita' politica attraverso lo strumento giuridico. Scrisse una serie di testi in materia di diritti umani e lavoro' alacremente ad un progetto che poteva sembrare a tratti utopico: quello di una nuova Costituzione democratica per il Sudafrica. I tempi del cambiamento sarebbero rapidamente maturati; nel febbraio del 1990 il neopresidente del Sudafrica F. De Klerk pronuncio' innanzi al Parlamento il celebre discorso in cui si prendeva atto dell'ineluttabile: caduto il muro di Berlino, il sistema d'apartheid andava riformato in profondita'. Contestualmente De Klerk comunico' al Sudafrica ed al mondo l'imminente liberazione di Nelson Mandela. Lo Stato si preparava alla lunga fase di negoziati con i movimenti di liberazione nazionale; il rientro dei numerosissimi esuli politici era ormai improcrastinabile. Tra questi, anche Albie Sachs, che rientro' in Sudafrica nel 1990 divenendo immediatamente delegato dall'Anc per il Constitutional Committee che avrebbe negoziato la nuova Costituzione. * Una costituzione avanzata Seguirono gli anni convulsi della transizione alla democrazia. Pur nella ferma decisione di continuare il dialogo, l'establishment politico del vecchio regime ed i movimenti di liberazione nazionale (ormai pienamente riabilitati) non si risparmiarono colpi bassi. In un contesto di violenza politica diffusa furono in molti, nel mondo, a preannunciare l'esplosione della vendetta dei neri sui bianchi che venne tuttavia scongiurata. La nuova Costituzione venne scritta progressivamente e a tappe, cosa questa che consenti' l'inclusione nei negoziati di un numero elevatissimo di attori politici. Gia' nel 1995, prima ancora dell'adozione della Costituzione definitiva, venne istituita la Corte Costituzionale. L'anno precedente si erano tenute le prime storiche elezioni universali e multirazziali che avevano portato Nelson Mandela alla presidenza della Repubblica. Per Albie Sachs comincio' da quel momento una nuova forma di lotta, diversa nei metodi ma identica nella sostanza: quella per l'affermazione concreta dei principi sanciti dalla Costituzione. La lettera del diritto, senza gli strumenti e gli uomini che si impegnano per la sua applicazione, non ha forza. Questa e' la ragione che ha condotto al fallimento molteplici dichiarazioni internazionali o testi costituzionali adottati in paesi dell'Africa. Le parole, seppur importanti, non hanno forza demiurgica intrinseca. Di questo il giudice Sachs e' stato sempre pienamente cosciente e da qui comincio' la storia giurisprudenziale della Corte costituzionale sudafricana oggi impegnata, da ormai dodici anni, sul difficile terreno della mediazione tra i principi costituzionali e la complessa realta' sociale ed economica del nuovo Sudafrica. La storia del Sudafrica forse insegna proprio questo. Non esistono "vie brevi" o colpi di mano attraverso la violenza. I cambiamenti si producono attraverso il dialogo ed il confronto tenace tra le parti, con un costante bilanciamento tra principi e diritti, in un contesto reso favorevole da istituzioni aperte alla differenze di interessi e istanze. 4. RIFLESSIONE. MARIELLA LAJOLO INTERVISTA ALBERTO L'ABATE [Da "Buddismo e Societa'", n. 115, marzo-aprile 2006 (disponibile anche nel sito: www.sgi-italia.org) riprendiamo la seguente intervista, dal titolo "Il potere dell'impegno personale". Mariella Lajolo, dell'Istituto buddhista Soka Gakkai, e' formatrice alla pace. Alberto L'Abate e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario di sociologia dei conflitti e ricerca per la pace, promotore del corso di laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" dell'Universita' di Firenze, e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; amico e collaboratore di Aldo Capitini, ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, e si e' impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione"; e' portavoce dei "Berretti Bianchi" e promotore dei Corpi civili di pace. Tra le opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001] Esperto di mediazione dei conflitti, con una lunga esperienza sul campo nell'area balcanica, in particolare nel Kossovo dove attraverso molte iniziative ha favorito la riapertura della comunicazione tra le parti in conflitto, Alberto L'Abate e' una delle persone piu' esperte e impegnate nel campo della nonviolenza nel nostro paese. Lo abbiamo intervistato a Torino, nel dicembre scorso, in occasione del convegno La mediazione: dal livello interpersonale al livello internazionale organizzato dal Centro studi Sereno Regis. * - Mariella Lajolo: Come e quando ha iniziato a occuparsi di nonviolenza e di mediazione dei conflitti? - Alberto L'Abate: Non e' facile individuare un punto di inizio preciso. Certamente ci sono stati alcuni avvenimenti importanti nel mio percorso di vita. Uno sicuramente risale a quando avevo dodici-tredici anni, durante la guerra. Il fronte era nella strada in cui abitavo e spesso mi fermavo a parlare con i partigiani, e cosi' una mattina vidi uccidere dai fascisti uno che era diventato mio amico. Il fatto che degli italiani ammazzassero dei propri conterranei mi fece riflettere sull'assurdita' della guerra. Un altro aspetto fondamentale fu l'avvicinamento a Gandhi, su cui lessi un bel libro che proposi di tradurre in italiano perche' ritenevo fosse una lettura importante. Scrissi ad Aldo Capitini, che segnalo' la cosa a una casa editrice. Il libro fu pubblicato molti anni dopo, non tradotto da me e quando ormai ne erano stati pubblicati molti altri di e su Gandhi, ma per me fu l'occasione per incontrare Capitini, con cui instaurai un'amicizia che duro' tutta la vita. Entrai cosi' in contatto con il pensiero della nonviolenza e conobbi Danilo Dolci, con il quale lavorai per circa due anni e mi laureai con lui con una tesi su un quartiere di Palermo. Con Goffredo Fofi mi occupai di formazione (io degli adulti, lui dei bambini). Si educava con un metodo interessante: ognuno era sia maestro che allievo. La conoscenza di Capitini, il mio rapporto con Lamberto Borghi a Firenze (anche lui un pedagogista nonviolento), il mio coinvolgimento nella fondazione del Movimento Nonviolento, di cui sono stato segretario nazionale per un certo periodo, il rapporto con mia moglie Anna Luisa (attualmente vice presidente del Mir, il Movimento internazionale per la riconciliazione - ndr), con cui ho scoperto da subito moltissime affinita' e con cui ho aperto una Casa per la pace a San Gimignano, in quanto entrambi eravamo convinti dell'importanza di formare alla pace e alla nonviolenza, posso dire siano state le tappe fondamentali. Altri momenti importanti sono stati un processo a mio carico a Firenze, in cui fui condannato a un anno di carcere per vilipendio alla patria a causa di una manifestazione noviolenta in occasione del 4 novembre (la festa della vittoria dell'Italia nella prima guerra mondiale), e il processo per il blocco della linea ferroviaria a Capalbio durante una manifestazione contro le centrali nucleari. A proposito di quest'ultimo processo - che si protrasse per oltre un anno - la sera prima di ogni udienza si organizzava un contro-processo a cui venivano invitati grandi esperti del problema del nucleare come Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Enzo Tiezzi, Giorgio Cortellessa, Giorgio Nebbia, che mettevano in rilievo non solo tutti gli elementi di pericolosita', ma anche l'inutilita' del nucleare dal punto di vista energetico, a cui si poteva sostituire il potenziamento dell'energia alternativa. Venimmo tutti assolti in quanto fu riconosciuto il fatto che avevamo agito in stato di necessita' per tutelare la salute pubblica. Questa fu un'occasione che confermo' l'importanza della formazione alla nonviolenza. Capii che certe decisioni sono assolutamente personali, non si possono prendere a maggioranza se poi implicano conseguenze giuridiche sui singoli. Mi appassionai quindi al metodo del consenso, che sperimentai per la prima volta in occasione della marcia Catania-Comiso, che permette a ognuno di scegliere il tipo di azione da fare concordandola con gli altri. Abbiamo dedicato molti dei nostri training alla mediazione dei conflitti, lavorando cosi' non solo a livello intellettuale, ma anche al livello della psicologia profonda. Capimmo che dovevamo esporci anche in situazioni esterne. Cosi' decidemmo di andare in Iraq durante la guerra del Golfo e poi in Kossovo. La nostra preoccupazione era quella di creare alternative. Infatti secondo me non basta dire no alla guerra, occorre occuparsi di prevenzione, mediazione e riconciliazione. * - Mariella Lajolo: Ha sempre tenuto insieme la ricerca, la formazione e l'azione. Da questa triade e' nata l'idea del corso di laurea in Operatori per la pace? - Alberto L'Abate: Questa triade e' fondamentale, infatti io ho dedicato quasi tutta la mia vita alla relazione tra la ricerca e l'azione, al legame tra dati, valori e teorie, al passaggio continuo dalla teoria alla pratica. Saper tutto e non fare nulla serve a poco. Il corso di laurea e' nato un po' dal basso, in modo un po' casuale. Mentre all'Universita' di Firenze il corso di laurea in Operatori per la pace e' interfacolta', tra le facolta' di Economia e di Scienze politiche, a Pisa la situazione e' stata piu' favorevole, perche' la' hanno creato proprio un Centro interdipartimentale di studi per la pace. * - Mariella Lajolo: Che tipo di prospettive si aprono dopo il corso di laurea? - Alberto L'Abate: Molti studenti si sono gia' impegnati nell'educazione alla pace nelle scuole, hanno tenuto dei training di formazione alla nonviolenza agli studenti che a Locri si oppongono alla mafia, tutto il collettivo dell'Universita' sta collaborando nel lavoro di inserimento degli stranieri nella citta'. Cercano di unire la teoria all'azione, di mantenere un collegamento. Il problema di fondo e' cambiare la nostra cultura: non c'e' prevenzione, la prevenzione non e' un ideale condiviso. Cio' si vede anche dagli esigui investimenti in questo campo. La gente sta ferma finche' non succede il disastro. Credo che sia importantissimo imparare a muoversi prima, a studiare, prevedere i fenomeni che poi conducono alle guerre, ai disastri, quindi prevenirli. Non si tratta di prevenire il conflitto, che e' inevitabile, ma la sua degenerazione. Questo purtroppo ancora non c'e' ed e' il vero campo di impegno per la pace. 5. LIBRI. ALESSANDRO DE GIORGI PRESENTA "MIGRARE" DI FEDERICA SOSSI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 giugno 2007, col titolo "Vite ribelli alla segnaletica della sofferenza" e il sommario "Migrare: spazi di confinamento e strategie di esistenza, di Federica Sossi per il Saggiatore. Le storie recuperate di uomini e donne altrimenti cancellate dal linguaggio burocratico usato dalle istituzioni del controllo sociale". Alessandro De Giorgi (Saarbruecken, Germania, 1974), criminologo, svolge attivita' di ricerca presso l'Universita' di Keele (Inghilterra) e l'Universita' di Padova; ha svolto attivita' di ricerca presso l'Universita' del Saarland (Germania) e presso l'Universita' di Berna (Svizzera); collabora alle riviste "Dei delitti e delle pene" e "DeriveApprodi". Opere di Alessandro De Giorgi: Zero Tolleranza. Strategie e pratiche della societa' di controllo, Deriveapprodi, 2000; Il governo dell'eccedenza. Postfordismo e controllo della moltitudine, Ombre corte, 2002. Federica Sossi e' docente di filosofia teoretica all'universita' di Bergamo. Tra le sue opere: (a cura di), Pensiero al presente, Cronopio, Napoli 1999; Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma 2002; Migrare: spazi di confinamento e strategie di esistenza, il Saggiatore, Milano 2007] Federica Sossi e' una studiosa che ha fatto una scelta particolare attorno alla sua produzione relativa ai migranti. La caratteristica dei suoi precedenti libri, Autobiografie negate (Manifestolibri) e Storie migranti (DeriveApprodi), volumi che sono intervenuti in due momenti significativi della discussione italiana attorno alla migrazioni contemporanee, risiedeva infatti nella loro capacita' di formulare una narrazione profondamente "soggettiva" dell'esperienza migratoria, in cui tuttavia l'autrice non cedeva in alcun caso alla tentazione di farsi osservatrice esterna intenzionata a "dare voce" ai migranti e alle loro storie. In quei testi, l'antidoto a un tale posizionamento sembra consistere per Federica Sossi nel rendersi parte in causa della medesima narrazione, implicando e svelando cosi' fino in fondo le proprie inquietudini politiche e intellettuali nei confronti della questione migratoria, al riparo cioe' del linguaggio rassicurante della politica e dell'accademia. Ma non certo al riparo dalla complessita' della riflessione teorica. * Biografie negate Accade cosi' che nel suo recente Migrare: spazi di confinamento e strategie di esistenza (il Saggiatore, pp. 155, euro 15) Federica Sossi riesca a tenere proficuamente insieme un vivido e a tratti intimo diario di viaggio tra gli spazi militarizzati, i luoghi sospesi e gli angusti passaggi attraverso cui sono oggi costrette ad insinuarsi le traiettorie delle migrazioni tra Africa ed Europa, e un'importante riflessione sulle mutazioni che hanno investito le tecnologie politiche di controllo della mobilita' umana, segnalando la transizione da un arcipelago di istituzioni, pratiche e saperi disciplinari orientati all'individuazione e alla fissazione biografica dei soggetti, verso un paradigma di tipo seriale in cui le soggettivita' individuali sembrano di fatto scomparire, "prive di storia, di possibilita' di diventare storia gia' mentre si stanno vivendo". A queste riflessioni Federica Sossi perviene muovendo dagli archivi nei quali le odierne burocrazie di governo delle migrazioni hanno stancamente preso nota dei naufragi che negli ultimi anni hanno trasformato i mari del Mediterraneo in luoghi di morte. Registrazioni mute, al limite segnaletiche nella loro indifferenza alle vite degli "uomini infami" i cui passaggi interrotti esse si limitano a trascrivere nella forma di numeri o codici dall'effetto disumanizzante: "immigrante n. 1", "cognome: cadavere A1 n. 11", "nome: sesso maschile". Le narrazioni presenti in questo volume cercano, all'opposto, di recuperare, tra le righe di una contabilita' dei decessi e dei ferimenti che ricorda da vicino le pratiche di enumerazione gia' osservabili nei campi nazisti, proprio quell'elemento biografico che gli archivi tendono oggi a respingere nell'oblio. E tuttavia, in quelli che definisce "luoghi del nessun dove" - gli archivi e i cimiteri anonimi del Mediterraneo, appunto, ma anche i campi di detenzione costruiti su impulso europeo nelle regioni dell'Africa settentrionale, i voli charter in partenza da Lampedusa con destinazioni spesso ignote agli stessi deportati, le "spiagge di guerra" del Marocco da cui i militari maghrebini difendono un'Europa loro preclusa, o ancora le foreste-ghetto di Ceuta e Melilla dove i migranti si appostano in attesa di un varco per poter passare - Federica Sossi non individua piu' solo delle autobiografie negate e rese silenziose dall'essere in ogni caso fuori luogo. Al contrario, tra Milano e Rabat, e piu' in generale negli interstizi di un territorio globale sul quale la moltiplicazione dei confini iscrive forme peculiari di spazialita' e temporalita' caratterizzate dalla sospensione - campi, zone d'attesa e di transito, anni di viaggio, infiniti ritorni, attese di momenti propizi per saltare dall'altra parte - l'autrice ricostruisce la trama complessa di biografie al confine, che si definiscono intorno alle strategie di sottrazione, fuga e aggiramento dei vincoli continuamente opposti alla mobilita' umana: "autobiografie inventate... storie minori e spesso dette in lingue minori, brusio di storie incomprensibili alla lingua maggioritaria e per questo inosservate e non udite, relegate in uno spazio dell'inesistenza in cui, pero', c'e' un lavorio continuo di invenzioni di se', di strategie e tattiche di esistenza e permanenza messe in atto dai soggetti per sfuggire alle pratiche di potere". Ma d'altra parte Sossi non concede alcuno spazio a facili retoriche resistenziali: le finzioni, le infinite variazioni sul tema della propria vita, gli innumerevoli alias e le tante identita' "girevoli" di cui i migranti si servono per eludere quei dispositivi di archiviazione e controllo che vorrebbero fissarne la soggettivita' a una qualunque provenienza nazionale purche' compatibile con una rapida deportazione, rappresentano infatti altrettante strategie di esistenza in uno scenario in cui l'atto di respingere nella morte e' stato compiutamente normalizzato. * Strategie di contenimento A Federica Sossi non sfugge quindi la dimensione di autentica sofferenza in cui le strategie di contenimento della mobilita' sospingono l'esperienza concreta della migrazione. Di questa sensibilita' costituiscono efficace testimonianza le pagine del libro dedicate in particolare ai campi e alle deportazioni: qui prende infatti forma un drammatico inventario delle forme di violenza quotidiana che solcano questi spazi di confinamento: "Tra i novemila e diecimila arrivi ogni anno... a cui distribuire per tutti i giorni di permanenza un'unica saponetta anziche' una saponetta al giorno, una bottiglia d'acqua anziche' le bottiglie previste, qualche straccio anziche' i vestiti messi in capitolo, a cui far comprare le schede telefoniche anziche' distribuirle gratuitamente", scrive Sossi a proposito del Centro di permanenza temporanea di Lampedusa: uno tra i tanti "teatri del sud" - accanto al Marocco, alla Libia o alle Isole Canarie - in cui va quotidianamente in scena la vigenza del confine e la messa al bando di coloro che lo violano. * Fuori dal controllo Migrare: spazi di confinamento e strategie di esistenza non e' pero' un testo attraversato dal pessimismo. L'incontestabile normalizzazione di istituzioni e politiche orientate a respingere nella morte coloro che si sottraggono alla duplice e complementare ingiunzione di restare la' dove si trovano - ovvero di muoversi ordinatamente secondo esigenze, quote e traiettorie stabilite altrove - nel bel libro di Federica Sossi non si traduce mai in una rassegnata registrazione della realta', quasi a riprodurre paradossalmente l'effetto di scarna enunciazione tipico della logica d'archivio descritta sopra. Al contrario: "a un potere che non archivia piu' in base a criteri biografici e che si serve unicamente di una scrittura per cosi' dire segnaletica in sintonia con il proprio compito di vigilanza globale, rispondono storie non archiviabili che si ribellano alla possibilita' della storia". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 138 del 2 luglio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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