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Minime. 134
- Subject: Minime. 134
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 28 Jun 2007 00:35:45 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 134 del 28 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Severino Vardacampi: Ancora per la critica dell'economia politica 2. Anita Pasquali: Una meta' che vale il doppio 3. Giulio Vittorangeli: I rassegnati, i resistenti 4. Franco Ferrarotti ricorda Nicola Abbagnano 5. Desmoulins 6. Letture: Paolo Bergamaschi, Area di crisi 7. Letture: Agenor Brighenti, La Chiesa perplessa 8. Letture: Michele Nobile, Imperialismo 9. Libri: Heidegger. Vita, pensiero, opere scelte 10. Riedizioni: Menandro e la commedia nuova 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. LE ULTIME COSE. SEVERINO VARDACAMPI: ANCORA PER LA CRITICA DELL'ECONOMIA POLITICA Tutti coloro che in piena coscienza ritennero che come Parigi val bene una messa l'inclusione in una maggioranza di governo (e la marea di prebende al seguito, ça va sans dire) valeva la prosecuzione dello scannamento degli afgani, non dicano oggi piu' sozze, ipocrite, assassine parole. Deliberi piuttosto il parlamento la cessazione della partecipazione italiana a quel crimine. * Tu dici la brutta parola. E una persona muore. Tu spingi il bottone brillante. E una persona muore. Tu alzi distratto il ditino. E una persona muore. Possibile che non ne provi orrore? 2. INIZIATIVE. ANITA PASQUALI: UNA META' CHE VALE IL DOPPIO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org). Anita Pasquali, intellettuale e attivista femminista, copresidente dell'Affi (Associazione federale femministe italiane), e' impegnata nell'esperienza romana dell'Udi "La Goccia" e in varie altre esperienze e attivita' dei movimenti delle donne] Non era detto che fossi d'accordo con l'iniziativa [la proposta di legge d'iniziativa popolare per la democrazia paritaria e duale "50 e 50 ovunque si decida" promossa dall'Udi - Unione donne in italia, cfr. il sito www.50e50.it - ndr] poiche' il tema della rappresentanza e' complesso e semplificarlo e' sempre un errore o quanto meno una scorciatoia. Sono invece d'accordo con l'iniziativa della legge popolare "50 e 50" e sono tra le firmatarie in Cassazione. Perche'? Perche' ritengo che, nella situazione data di grave crisi istituzionale e nella frantumazione dell'associazionismo femminile, l'obiettivo 50 e 50 sia "semplice" da indicare e puo' nella sua radicalita' far maturare una consapevolezza, un comune "noi" delle donne sul grande tema dell'uguaglianza nella differenza come base che costruisce e nomina il potere civile, il potere come governo della cosa pubblica in tutti i campi, dalla famiglia al governo. Questa richiesta, nella sua nettezza, pone gli uomini di fronte alla loro costruzione minoritaria del potere come dato quasi naturale e quindi non lascia loro scampo, ma pone anche a noi donne l'enorme problema della politica, della responsabilita' e innanzitutto del rifiuto della pratica diffusa - che molte hanno ritenuto e ritengono vincente - della omologazione, della concorrenza nel potere e nelle relazioni umane, al modello maschile. Interrogarsi sulla nostra storia come soggetto politico collettivo, aprire una grande riflessione sulla nostra esperienza e' la ricchezza nobile a cui attingere per dire con forza: si' signori, 50 e 50 ovunque si decide. Questo non vuol dire che le donne vogliono piegare il mondo solo a loro misura, poiche' le donne e gli uomini hanno diritti e doveri inalienabili e comuni, ma certo vuol dire introdurre nel potere meccanismi e scelte di "umanizzazione totale". Ho quindi una speranza, forte anche della storia che rappresenta il documentario "Viaggio nel Novecento delle donne", che si generi passione politica: dire "50 e 50" e' molto di piu' di un problema di rappresentanza. Naturalmente questa legge per raggiungere il suo scopo di giustizia e liberta' deve presupporre una legge elettorale dove non sia demandato alle segreterie dei partiti di sceglierci ma, gentili signori, di lasciare agli elettori l'attuazione della democrazia paritaria. Vale la pena impegnarsi per questa posta alta. 3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: I RASSEGNATI, I RESISTENTI [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Non e' facile dar torto ai rassegnati; c'e' la crisi della politica e la tendenza a vivere giorno per giorno e sempre un po' scontenti e astensionisti. La distanza tra istituzioni e paese reale cresce nell'indistinta palude della rappresentanza e nel principio del governo come fine unico della politica. L'attuale governo e' a termine, e' entrato nella sua fase finale (agonia quanto lunga non si sa) sulla spinta di voler far nascere il Partito Democratico che squilibra ancor di piu' i fragili assetti di una coalizione eterogenea e, soprattutto, che ha per fine il governo a tutti i costi. E questo - oggi in Italia - comporta lo snaturamento del centrosinistra e lo spostamento ulteriormente al centro del suo asse. Del resto, i referenti delle decisioni del governo Prodi sono nell'ordine l'Unione europea, il Fondo monetario internazionale, le agenzie di "rating" e i mercati. Un bell'esempio di rispetto per il funzionamento della democrazia. Nessuna, sia pur vaga, allusione a un gruppo sociale, a una categoria, non di "classe", perche' nella decomposizione in atto e' una parola che molti non capirebbero e ne rifuggirebbero. Quanto alla "sinistra radicale" non ha i mezzi per andare oltre una testimonianza fatta di incursioni su temi o singoli episodi particolarmente sensibili che possono salvare la coscienza ma che non intaccano la sostanza dei rapporti di forza. Fa difetto una strategia coerente per l'insieme dei problemi interni (non bastera' la lettera dei quattro ministri, prontamente accusati di indebolire il governo), e internazionali (il silenzio sulla Palestina e' assordante). "La stessa 'pace' per rimediare ai travagli della globalizzazione e' destinata a perdere punti di fattibilita' con l'abbandono del fronte anti-Bush da parte della Francia. Si puo' continuare a rintuzzare di crisi in crisi la lobby pro-americana senza porre la questione dell'appartenenza a un blocco di potenze e di potere che, a vario titolo, e' responsabile della predazione a livello mondiale ed esporta la guerra per difendere una condizione di privilegio, in una fase di estenuante transizione?" (Giampaolo Calchi Novati da "Il manifesto" del 2 giugno 2007). 'Non e' facile dar torto ai 'rassegnati', a chi pensa che non sia piu' possibile fare altro che proteggere il proprio minuscolo territorio o scavarsi la propria tana, perche' raramente si e' avvertito da parte nostra un cosi' generale e acuto sentimento di impotenza, di sconfitta, di solitudine. E pero' e' proprio questo a doverci dare la spinta a una presenza piu' decisiva e incisiva, benche' piu' minoritaria che mai. La rassegnazione non e' una virtu', anche se ha fatto molto comodo a tanti, in passato e ancora oggi, predicarla. E certamente c'e' bisogno oggi, contro gli opportunismi dei mascalzoni iperattivi e l'abulia dei subalterni, di uno scatto di volonta' legato a una presenza eticamente diversa ma anche politicamente affermativa. O, visto che di nichilismo e' inficiato il potere con tutta l'azione politica al suo servizio, anche quando propaganda il becero ottimismo dei pubblicitari, c'e' bisogno di dare un senso alla nostra sfiducia e di reagire alla nostra stessa tentazione di rassegnazione, facendo nascere dall'osservazione e riflessione sul negativo che ci condiziona e ci lega, lo scatto, la reazione, la proposta. E' sempre piu' difficile ed e' sempre piu' necessario". Sono parole di Goffredo Fofi, largamente condivisibili. Perche' come sosteneva Simone Weil, nella sua critica agli apparati (dei partiti), se gli altri capitolano bisogna, comunque, non cedere. Del resto, anche nei momenti piu' oscuri della storia, l'"humanitas" ha avuto la meglio sulla "animalitas"; all'avvilimento dell'uomo e' sempre seguito il riscatto dell'uomo: la non domabilita', l'impossibilita' di piegare mai del tutto chi non rinuncia alla dignita', avendo a nemica una societa' ostile a ogni forma di giustizia e di armonia. Nelle memorie sui lager di Primo Levi leggiamo che anche quando la dignita' fisica dell'uomo e' stata spezzata dalla macchina nazifascista, e' ancora possibile mantenere il rispetto di se stesso. Oggi, con l'esaltato neoliberismo, quotidianamente sperimentiamo la riduzione della liberta' dei piu' deboli, l'arbitrio dei piu' forti, la violenza morale e materiale. La riduzione delle persone - delle lavoratrici e dei lavoratori - a merce e' il coronamento di questa concezione. Si ripristina il dominio del capitale sul lavoro. Per masse enormi di donne e uomini del mondo anche il lavoro piu' svilito rappresenta un sogno. Contro questa deriva mondiale, resta la fierezza di interi popoli, la dignita' delle persone, che quotidianamente non solo subiscono tutto questo, ma lottano per un'autentica giustizia sociale. 4. MEMORIA. FRANCO FERRAROTTI RICORDA NICOLA ABBAGNANO [Questa commemorazione di Franco Ferrarotti del luglio 2002 e' stata pubblicata nel sito www.nicolaabbagnano.it col titolo "Nicola Abbagnano: la generosita' di un maestro". Franco Ferrarotti e' il piu' illustre sociologo italiano. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Franco Ferrarotti, nato il 7 aprile 1926 a Palazzolo Vercellese, si e' laureato in filosofia nell'Universita' di Torino nell'anno accademico 1949-1950 con una tesi su "La sociologia di Thorstein Veblen", di cui aveva tradotto La teoria della classe agiata. Duramente criticato da Benedetto Croce ne "Il Corriere della Sera" del 15 gennaio 1949, alla stroncatura crociana replica con due saggi nella "Rivista di Filosofia". Compie studi di perfezionamento a Parigi, Londra e Chicago. E' fra i fondatori del Consiglio dei Comuni d'Europa a Ginevra nel novembre 1949. Nel 1951 fonda, con Nicola Abbagnano, i "Quadeni di sociologia". E' deputato indipendente al Parlamento per la Terza legislatura (1958-1963) in rappresentanza del Movimento Comunita' di Adriano Olivetti, con cui collabora dal 1948. Non si ripresenta per la rielezione, avendo deciso di dedicarsi in piena autonomia allo studio e alla ricerca. Ottiene nel 1961 la cattedra di sociologia nell'Universita' di Roma, a seguito del primo concorso bandito in Italia per questa disciplina. Dal 1957 al 1962 e' direttore della Divisione dei fattori sociali nell'O.E.C.E. (ora O.C.S.E.) a Parigi. Nel 1965 e' Fellow del "Center for the Advanced Study in the Behavioral Sciences" a Palo Alto, California. Visiting Professor presso molte universita' europee e nordamericane, in Russia, Giappone e America Latina. Nel 1978 e' nominato "Directeur d' Etudes" alla Maison des Sciences de l'Homme a Parigi. Medaglia d'oro al merito della Cultura. Membro della New York Academy of Sciences. Attualmente dirige "La Critica sociologica", da lui fondata nel 1967 ed e' coordinatore del "Dottorato in Teoria e ricerca sociale" nell'Universita' di Roma "La Sapienza". Opere: Il dilemma dei sindacati americani, Comunita', Milano 1954; La protesta operaia, Comunita', Milano 1955; Il rapporto sociale nell'impresa moderna, Armando, Roma 1961; La sociologia come partecipazione, Taylor, Torino 1961; Max Weber e il destino della ragione, Laterza, Bari 1964; Trattato di sociologia, Utet, Torino 1968; Vite di baraccati, Liguori, Napoli 1975; Alle radici della violenza, Rizzoli, Milano 1979; La societa' come problema e come progetto, Mondadori, Milano 1980; Il paradosso del sacro, Laterza, Roma-Bari 1983; Homo sentiens, Liguori, Napoli 1985; Il ricordo e la temporalita', Laterza, Roma-Bari 1987; (con Pietro Crespi), La parola operaia, Scuola G. Reiss Romoli, L'Aquila 1994; L'Italia in bilico - elettronica e borbonica, Laterza, Roma-Bari 1994; Simone Weil: la pellegrina dell'Assoluto, Messaggero, Padova, 1996". Dell'immensa produzione di Ferrarotti segnaliamo qui in particolare anche Oltre il razzismo, Armando, Roma; La tentazione dell'oblio, Laterza, Roma-Bari. Nicola Abbagnano (Salerno 1901 - Milano 1990), illustre filosofo e storico della filosofia. Un'ampia notizia biobibliografica e' nelle "Notizie minime della nonviolenza" n. 127. Utilissimo il sito alla sua figura ed alla sua opera dedicato: www.nicolaabbagnano.it] La richiesta di informazioni circa le origini e l'idea dei "Quaderni di Sociologia" mi provoca una sorta di tempesta interiore. E' un fatto che l'idea dei "Quaderni" viene da lontano e si lega strettamente, forse inestricabilmente, al bisogno e alla passione che fin da giovanissimo avvertivo per la sociologia. E' vero che ho sempre avuto dentro di me l'esigenza di una rivista, di poter parlare alle persone conosciute ma anche, e piu' ancora, a quelle sconosciute attraverso un organo di stampa periodico, di cui fossi responsabile. Un primo tentativo di adolescente lo feci con "Progredi", un foglio durato pochi mesi. Non e' un'esperienza in Piemonte molto originale. Ricordo che proprio a Torino il giovanissimo Piero Gobetti, prima ancora di "Rivoluzione liberale" aveva dato vita a "Energie Nuove". Correvano gli ultimi anni Trenta. Ero un ragazzo inquieto. A credere alle testimonianze delle persone che allora mi conoscevano, ero anche piuttosto inquietante. Leggevo molto, voracemente, aiutato da una memoria prodigiosa. Per tenermi tranquillo e, fino a un certo punto, sotto controllo, un mio caro cugino primo, Mons. Leopoldo Ferrarotti, mi dava da studiare un canto al giorno della Divina Commedia, la sera per il mattino dopo. Esaurito Dante, mi aveva assegnato le Vite degli uomini illustri di Cornelio Nepote, in latino, tutto a memoria. Alle soglie della puberta' mi aveva colpito quello che dalle nostre parti si chiamava un "esaurimento nervoso", una sorta di collasso neurovegetativo, complicato da tendenze allucinatorie, forse un sospetto di schizofrenia, scarsa percezione del reale. Il tutto, in un corpo gia' minato da due broncopolmoniti in giovanissima eta', fra i due e i cinque anni, che mi avevano portato in fin di vita. Le sole scuole da me frequentate regolarmente furono i cinque anni delle scuole elementari, con la maestra Piera Mandelli per le prime tre, e il maestro Francesco Rossino, per la quarta e la quinta. Dopo, sia alla licenza ginnasiale, che alla maturita' classica dovetti presentarmi come privatista. Leggevo tutto il giorno, chiuso nello stanzone all'ultimo piano di casa mia, dove qualche parente aveva disordinatamente accumulato una gran quantita' di libri, da un dizionario della lingua piemontese ai sermoni del Cardinale Capecelatro e alla Grammatica comparativa delle lingue indoeuropee di Franz Bopp. Leggevo e tossivo. Preoccupati e temendo una fatale ricaduta, i miei mi mandarono a Sanremo, allora come oggi famosa per l'aria buona. Ma i miei non sapevano - non potevano sapere - che a Sanremo trascorrevo le mie giornate nella biblioteca comunale, allora nella Sanremo vecchia, in Piazza del Municipio, 11 o 13. Prima dei "Quaderni" avevo pensato e cominciato a pubblicare - eravamo agli inizi del 1946 o alla fine del 1945 - un periodico dal titolo programmatico "La rivoluzione umana - Quindicinale della generazione nuova". Nel titolo si sentiva distintamente l'influenza gobettiana. Benche' sostenuto da un contributo e da un abbonamento, del tutto inattesi, dell'allora presidente della Assemblea Costituente, Umberto Terracini, il periodico non ebbe molta fortuna. Lo stampavo in una piccola tipografia di Casale Monferrato, ancora oggi in funzione. Stampa "La Voce del Monferrato". Di tendenza essenzialmente anarchica, "inviso a Dio e a li inimici sui", bruciato in piazza dai fascisti e dai comunisti, "La rivoluzione umana" chiuse i battenti al terzo numero doppio. Ancora non lo sapevo, ma stavo solo facendo le prove per fondare una rivista scientificamente piu' critica, ma sempre aperta sui problemi del presente, non accademica nel senso deteriore del termine. Posso dire che l'idea dei "Quaderni" prende corpo dopo il fallimento di "La Rivoluzione umana", e mi accompagna durante tutta la laboriosa traduzione dell'opera iconoclastica La teoria della classe agiata di Thorstein Veblen, uscita da Einaudi il 3 gennaio 1949. Laureatomi a Torino con Nicola Abbagnano, mi sentivo pronto (eravamo nell'inverno 1949-'50 e dall'autunno 1948 avevo incontrato e cominciato a collaborare con Adriano Olivetti) a dar corso all'impresa di una rivista rigorosamente scientifica, ma extra-accademica. Ma perche' una rivista? E perche' quel titolo? Non ero mai stato uno studente modello. Augusto Guzzo, che aveva rifiutato di firmarmi la tesi (la firmo', generosamente, Nicola Abbagnano a scatola chiusa), mi chiamava il suo "clericus vagans". Trovavo la filosofia, soprattutto quella neo-idealistica e spiritualistica, che era allora dominante, pomposa e astratta nello stesso tempo; d'altro canto, le lezioni di economia politica di Bordin, che avevo seguito per qualche tempo a Piazza Arbarello (a Torino, dove Bordin teneva le sue lezioni nella Facolta' di Economia e Commercio), mi parevano noiose e inutilmente matematizzate. Volevo qualche cosa di scientificamente rigoroso, ma vicino all'esperienza quotidiana del vivente. Per me, era la sociologia. Con l'idea dell'"uomo in situazione", l'esistenzialista positivo Nicola Abbagnano mi era, senza che io lo sapessi all'epoca, molto vicino. * La prima persona con cui parlai esplicitamente dei "Quaderni di Sociologia" fu una studentessa di Abbagnano che stava per laurearsi, Magda Talamo, e poi ne parlai anche con una sua amica, Anna Anfossi. Insieme si voleva fare un centro di ricerche, che da tempo proponevo, il Cris (che poi, quando io me ne andai per il mondo, loro due fecero). Recentemente, a Torino, in occasione della commemorazione di Nicola Abbagnano all'Universita' in Via Po, Magda Talamo, divertita, mi ricordava di quando, un giorno del 1950, la mattina (presto per dei cittadini) saranno state le sei e mezzo o le sette, fu svegliata di soprassalto dal padre che le diceva : "Magda alzati, vestiti: c'e' un giovanotto pazzo in mezzo al cortile (era il cortile interno dei vecchi caseggiati degli impiegati e della piccola borghesia) che urla e smanazza: 'Magda, vieni giu'. Vieni giu' subito. Dobbiamo parlare dei 'Quaderni'". Era proprio cosi'. I "Quaderni" erano diventati per me un'ossessione. Ne parlavo spesso anche con Pavese. Cesare Pavese mi consigliava di mettermi insieme con la "cocca" (cosi' diceva) di "Cultura e realta'", una rivista che stava per uscire a Roma, con Natalia Ginzburg, Mario Motta, Felice Balbo, Giorgio Ceriani Sebregondi, lui stesso e altri. Ma io, a naso, a giudicare dal comitato di redazione, trovavo l'imprese piuttosto precaria, e avevo ragione. Di "Cultura e realta'" non uscirono che due o tre numeri. Una possibilita' c'era, con la "Rivista di Filosofia", che in quel momento era pubblicata da Olivetti con le edizioni di Comunita'. Ma giocavano contro questa apparentemente ragionevole soluzione, due difficolta' piuttosto per me massicce: 1) non volevo aver niente da spartire con la filosofia "tradizionale"; 2) in secondo luogo, non volevo fare pasticci con Olivetti; i "Quaderni" dovevano essere gelosi della loro autonomia, ne' con l'universita' ne' contro l'universita', ma neppure al servizio di pur nobili ideali; dovevano servire solo a condurre una battaglia strettamente sociologica. Anche per questo motivo, rifiutavo ostinatamente qualsiasi apertura per un incarico di filosofia. No. Ero pronto a imbarcarmi, ma solo per la sociologia. Fu allora che di fronte alla mia ostinazione, Abbagnano, un giorno di fine '50, mi invito' a casa sua, in Via Talucchi. Si mangio'; si parlo' del piu' e del meno; lui fumo' una mezza sigaretta; io tracannai un bicchiere di rosso. Stavo per andarmene. Marian, mi spiego', era la sua seconda moglie. Era americana. Non era neppure il caso di dirlo. Lo vedevo da me. Alta, bionda, slanciata, con lo sguardo diritto e fermo di un'autentica businesswoman. Non avevamo parlato molto, ma coglievo una certa simpatia nei suoi occhi chiari. Sulla porta, Abbagnano mi fa: "Senti, Franco. Mi sembra che tu abbia qualche difficolta' a trovare uno che ti stampi i 'Quaderni'. Sai, mia moglie Marian ha una piccola casa editrice, la Taylor. Potremmo stamparla noi. Tu naturalmente saresti il direttore e il proprietario, hai avuto tu il permesso di stamparla dalla Questura. Io ti aiutero'". La sua generosita' incantava, detta in poche parole, sottovoce. Nell'estate del 1951 usciva il primo numero dei "Quaderni", con il mio "Piano di lavoro", e lui, Abbagnano, in funzione di vice-direttore. La cosa mi sembro' naturale. Ma aveva del miracoloso. * Nei miei propositi, i "Quaderni di sociologia" erano innanzitutto uno strumento di battaglia culturale, e nascevano in funzione extra-accademica e anche, occasionalmente, aspramente anti-accademica. A ripensarci, e' straordinario come Abbagnano, gia' da anni professore ordinario nell'universita' di Torino, mi assecondasse in questo senso. Forse, per capire a fondo questa situazione, bisogna ricordare che Abbagnano si era formato alla scuola di Aliotta, al di fuori dell'influenza crociana e gentiliana. Lombardi (Franco), anni dopo, mi diceva che ero stato io, con la sociologia, ad offrire ad Abbagnano una via d'uscita, attraverso la ricerca sociologica, capace di chiarire le condizioni effettive dell'"uomo in situazione" dell'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano. Sta di fatto che fin dai primi numeri dei "Quaderni" Abbagnano incrocio' il ferro con grande decisione con i rappresentanti dei neo-idealismo. Era appena uscito il primo numero dei "Quaderni" che apparve, estate del 1951, un articolo duramente polemico di Carlo Antoni, crociano di stretta osservanza, nel settimanale diretto da Mario Pannunzio, "Il Mondo", che raccoglieva soprattutto gli intellettuali di orientamento liberal-crociano: da Enzo Forcella al giovane Eugenio Scalfari, e i liberali detti "radicali". L'articolo di Antoni si intitolava "La scienza dei manichini" e ripeteva le solite obiezioni alla sociologia, considerata come la disciplina che mirava a studiare il comportamento umano, riducendo pero' le condotte degli individui a rigide tipizzazioni e con cio' negando l'imprevedibile "spiritualita'" delle persone. Era il vecchio argomento gia' usato da Croce nella polemica con Vilfredo Pareto agli inizi del Novecento. Abbagnano rispose punto per punto con un articolo intitolato "I manichini della scienza", in cui ritorceva contro i neo-idealisti la loro inadeguata concezione della ricerca scientifica e difendeva la possibilita' e, anzi, la necessita' di analizzare gli individui e il mondo umano, le condizioni delle persone e la struttura delle istituzioni con gli strumenti delle scienze sociali. Anni dopo, in occasione di un convegno tenutosi a Roma sul tema "Abolire la miseria" al teatro Vittoria di Via Vittoria nei pressi di Piazza di Spagna, in cui avevo tenuto una relazione su "Sociologia e realta' sociale", insieme con Guido Calogero, Riccardo Lombardi, Ernesto Rossi (gli atti furono pubblicati sulla rivista fiorentina "Criterio", diretta da Carlo Ludovico Ragghianti), Carlo Antoni riconobbe esplicitamente l'utilita' della sociologia non solo come funzione classificatoria, secondo il pensiero di Croce, ma anche come disciplina capace di offrire risultati conoscitivi in senso pieno. * Lo stesso anno in cui usci' il primo numero dei "Quaderni", estate 1951, a giugno partivo per gli Stati Uniti. L'anno prima, 1950, Olivetti era stato colpito dal suo primo infarto. Le iniziative di cui ero responsabile erano praticamente ferme, specialmente per l'opposizione della famiglia. Io decisi allora, contro la volonta' dello stesso Adriano Olivetti, di andarmene in America. Anche Pampaloni (Geno) mi sconsigliava di lasciare la Olivetti in quel momento. C'era un gran movimento di posizioni all'interno della ditta: Tullio Fazi, direttore della pubblicita', sarebbe andato a Napoli a dirigere la nuova fabbrica di Pozzuoli; Ignazio Weiss, segretario personale di Olivetti, sarebbe andato alla pubblicita'; lui, Pampaloni, stava bene dove stava, a dirigere la biblioteca; sarebbe toccato certamente a me fare il salto e diventare, giovanissimo, segretario personale del Presidente Olivetti, ecc. ecc. Ma nessuno poteva rendersi conto del fascino che l'avventura, la scoperta dell'America potevano esercitare su un giovane come me. Il viaggio in America, che allora si poteva fare solo per nave (gli aerei ad elica e poi a reazione sarebbero venuti anni dopo), era ancora concepito come un'impresa pericolosa, ai limiti dell'irresponsabilita'. La traversata dell'Oceano Atlantico, che viene oggi familiarmente chiamato l'Atlantic rivers, se non l'Atlantic lake, all'epoca si presentava piena di incognite. Era di dominio pubblico che molti emigranti non erano mai piu' tornati. Gli anni '50 sapevano ancora di guerra. Anche per queste ragioni, prima di imbarcarmi su una piccola nave bianca, l'Atlantic, della Home Lines, da Genova, il 10 o l'11 giugno 1951, lasciai a mani di Marian Taylor una lettera di questo tenore (cito a memoria): "Nel pieno possesso delle mie facolta' fisiche e mentali, dichiaro che, in caso di mia morte o comunque di non ritorno dagli Stati Uniti, va riconosciuta la proprieta' dei 'Quaderni di sociologia' a tutti gli effetti alla casa editrice di Marian Taylor". * Dalla fondazione a tutto il 1967, quando diressi i "Quaderni", ebbi grandi soddisfazioni. Forse fu un errore, una volta ottenuta la cattedra all'universita' di Roma - era la prima cattedra a livello pieno di sociologia nell'universita' italiana - chiamare alla redazione dei "Quaderni" degnissime persone, che erano pero' estranee allo spirito originario dell'impresa che, nei suoi indubbi limiti, mi aveva dato notevoli risultati. Basti ricordare che al terzo numero, mentre io mi trovavo negli Stati Uniti, fui raggiunto da una lettera del presidente della Repubblica in carica, Luigi Einaudi, il quale mi mandava alcune carte topografiche e ottime considerazioni sulla divisione della proprieta' agricola in quel di Castellamonte, un comune canavesano cui avevo dedicato un rapporto di ricerca in due puntate. Personalmente, non avendo alcuna esperienza del mondo accademico, essendo a tutti gli effetti un outsider, credo di aver sottovalutato le grandi pressioni che si sarebbero scatenate per nuovi concorsi e nuove cattedre, tanto piu' che a sociologia, nuova disciplina priva di controlli interni molto rigidi e collaudati (come, per esempio, medicina e giurisprudenza), avrebbero aspirato tutti coloro che si sentivano esclusi dalle piu' antiche materie, dai filosofi agli storici e agli italianisti. Ricordo in proposito, poiche' la riunione prevedeva anche una discussione sui "Quaderni di Sociologia", un incontro a Roma nel 1962, nell'ufficio di Sergio Cotta, titolare di filosofia del diritto, alla "Sapienza", con Norberto Bobbio. Questi mi disse (cito a memoria e riassumo) : "Caro Franco, hai una grande responsabilita'. Resisti alle pressioni. Ti voglio ricordare un colloquio fra Cesare Musatti, psicologia, alla Statale di Milano, e Agostino Gemelli, della Cattolica: una cattedra a te, una cattedra a me, poi ancora una a te e una a me, e poi basta. Si chiude". Questa impostazione, come dire? malthusiana, mi era, ovviamente, profondamente estranea. Debbo pero' oggi ammettere a distanza di tanti anni, nel momento in cui la sociologia e' tanto diffusa quanto mal compresa e grossolanamente strumentalizzata, che forse l'aneddoto ricordatomi da Bobbio aveva molto piu' senso di quanto io non fossi disposto a riconoscergli. 5. TRISTIZIE. DESMOULINS Ogni Desmoulins prima o poi prova orrore di aver scritto la sua Storia dei brissottini. 6. LETTURE. PAOLO BERGAMASCHI: AREA DI CRISI Paolo Bergamaschi, Area di crisi. Guerre e pace ai confini d'Europa, La meridiana, Molfetta (Bari) 2007, pp. 184, euro 15. Paolo Bergamaschi lavora alla Commissione esteri del Parlamento europeo, da sempre impegnato nei movimenti ecopacifisti, amico della nonviolenza, gia' amico e collaboratore di Alexander Langer (ma anche medico veterinario, musicista e cantautore); ha raccolto in questo volume i reportage (sovente assai amari) di alcuni dei suoi molti viaggi in "aree di crisi", dai Balcani al Caucaso al Medio Oriente, e le sue riflessioni - sempre concrete e contestuali - su quella che dovrebbe essere a suo avviso la politica estera dell'Unione Europea. Con una prefazione di Daniel Cohn-Bendit. Per richieste alla casa editrice: Edizioni la meridiana, e-mail: info at lameridiana.it, sito: www.lameridiana.it 7. LETTURE. AGENOR BRIGHENTI: LA CHIESA PERPLESSA Agenor Brighenti, La Chiesa perplessa. A nuove domande nuove risposte, La Piccola Editrice, Celleno (Viterbo) 2006, pp. 160, euro 12. Un impegnato e vivace saggio che conferma la ricchezza della teologia latinoamericana nel porre ardue domande in un cammino condiviso con i poveri e le loro lotte. i poveri: di tutto spogliati e in questa concreta crudele chenosi ancor piu' fulgida splende la sapienza di cui sono autocoscienti portatori, la sapienza profetica che contesta l'orrore del mondo ed afferma la dignita' umana di ogni essere umano, e convoca alla lotta teorica e pratica qui e adesso. Con una simpatetica prefazione di Carlo Molari. Un punto debole del libro, se ci e' consentito segnalarlo, e' forse nella vastita' dell'affresco, con referenze documentarie ed esiti ermeneutici non sempre puntuali e persuasivi. Per richieste: La Piccola Editrice, via Roma 5, 01020 Celleno (Vt), tel. e fax: 0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito: www.conventocelleno.it/lapiccola.index.htm 8. LETTURE. MICHELE NOBILE: IMPERIALISMO Michele Nobile, Imperialismo. Il volto reale della globalizzazione, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2006, pp. 256, euro 11. Un libro da leggere (e saranno da leggere anche i preannunciati due volumi che completeranno la trilogia che questo libro inaugura). Con molte analisi sode ed acute, naturalmente alcune opinioni non condivisibili, e con tre limiti - a nostro modestissimo avviso - su cui vorremmo aggiungere qualche parola ancora. Il primo: una palese sopravvalutazione di Lenin come teorico. Il secondo: un effettuale misconoscimento della nonviolenza come uno degli svolgimenti complessi, adeguati e decisivi del pensiero (e delle prassi) della liberazione che sceglie, eredita e invera anche elementi fondamentali e aggettanti della corrente calda del marxismo (ma va detto a merito di Nobile che non accoglie, anzi denuncia quell'infame mistificazione condivisa invece purtroppo dalla quasi totalita' della sinistra burocratica italiana e della sua intellighenzia in particolare che giunge fino a consentire una contraffazione sesquipedale come quella secondo cui avrebbe qualche cosa a vedere con la nonviolenza la politica corruttrice, predatrice e bellica sostenuta de facto dalle gerarchie dei radicali, dei verdi e del Prc: Nobile smaschera questo non innocente travisamento a p. 16 del suo lavoro, sebbene ivi traspaia forse una sorta di riduzione implicita della nonviolenza per cosi' dire a istanza etica e pratica testimonale, invece di coglierle la complessita', dialetticita', contestualita' e - cruciale - il decisivo significato di appello alla lotta politico-sociale, di metodologia d'azione collettiva trasformatrice, e di proposta politica rivoluzionaria socialista). Il terzo: una certa acredine e sciatteria nell'espressione polemica in rfierimento a personaggi ed episodi a tal punto miseri e contingenti che forse era preferibile stendere un velo pietoso di silenzio; ma questi abbassamenti e dispersioni purtroppo sono frequenti nella pubblicistica militante. Di Nobile segnaliamo anche il precedente volume Merce natura ed ecosocialismo, del 1993, sempre per Massari Editore. Per richieste alla casa editrice: Massari Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail: erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme 9. LIBRI. HEIDEGGER. VITA, PENSIERO, OPERE SCELTE Heidegger. Vita, pensiero, opere scelte, Il sole - 24 ore, Milano 2006, pp. 880, euro 12,90 (in supplmento a "Il sole - 24 ore"). Nella collana de "I grandi filosofi" curata dal benemerito Armando Massarenti che in ogni volume presenta una biografia, un'analisi del pensiero (di solito riproducendo le monografie della collana laterziana de "I filosofi"), e opere o brani di alcuni dei principali pensatori del canone occidentale (questa terza sezione e' quella editorialmente meno curata di una serie altrimenti assai meritoria), questo trentesimo volume e' uno dei piu' raccomandabili: reca la consueta breve introduzione di taglio pubblicistico di Armando Massarenti (di volume in volume sono poche e perlopiu' prescindibili paginette, talvolta frivole, talvolta tuttavia frizzanti), una biografia di Paola Pettinotti, l'Introduzione a Heidegger di Gianni Vattimo, ed Essere e tempo ovviamente nella classica traduzione di Pietro Chiodi e a cura di Franco Volpi, e per meno di 13 euro non si puo' proprio volere di piu'. Chi scrive queste righe in anni ormai lontani lesse Sein und Zeit (ed ebbe invero anche la ventura di ascoltare Gennaro Sasso leggerne e commentarne alcune pagine alla Sapienza), e - come dire - il fascino, l'incanto di questo capolavoro ti accompagna per sempre. Invece del piccolo mago di Messerkirch sempre pensammo tutto il male possibile, e non solo ovviamente per quel cedimento al nazismo, ma anche per la sensazione di cialtroneria oracolare supponente e grottesca che tanta parte della sua opera, del suo atteggiarsi e del suo agire trasuda (che e' proprio la cialtroneria per cui veniva portato sugli scudi ancora in quegli anni Settanta della nostra gioventu'). Eppure occorre leggerlo, e non solo nel capolavoro (per gli studenti un buon viatico per un primo accostamento sono le monografie introduttive scritte ad esempio da George Steiner, da Umberto Galimberti, e da Vattimo certo; ed anche quel libro di Levinas, e quello di Loewith - e ci fermiamo qui, del resto chi non ha scritto un volume su Heidegger?). 10. RIEDIZIONI. MENANDRO E LA COMMEDIA NUOVA Menandro e la commedia nuova, Einaudi, Torino 2001, Mondadori, Milano 2007, pp. LXX + 1090, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Franco Ferrari, con testo greco a fronte e buoni apparati, quel che resta di Menandro, Filemone, Difilo, Apollodoro di Caristo, insomma quella Nea che solo il Novecento ha cominciato a restituirci per la gioia - ci si passi l'espressione - dell'intelletto e dei sensi. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 134 del 28 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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