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Minime. 131
- Subject: Minime. 131
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 25 Jun 2007 00:39:02 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 131 del 25 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Carogno Mozzarecchi: Una delazione 2. Brenda Gazzar: Donne a Gaza 3. Raniero La Valle: Ultime notizie da Vicenza 4. Peppe Sini: Due obiezioni al testo che precede 5. Carlo Augusto Viano ricorda Nicola Abbagnano (2004) 6. Renata Dionigi presenta "La scomparsa delle donne" di Marina Terragni 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. LE ULTIME COSE. CAROGNO MOZZARECCHI: UNA DELAZIONE [Ringraziamo il nostro buon amico Carogno Mozzarecchi per averci messo a disposizione copia della seguente sua lettera-esposto a varie autorita'] Gentile comandante della guerra umanitaria, e lei signor ministro e lei gentile signor direttore della televisione, con gli ossequi piu' deferenti alle eccellenze vostre qui elenco altri presunti talebbani, e li segnalo alle signorie loro per i provvedimenti competenti. Mi pare sia un presunto talebbano il mio vicino che di notte fa rumore (pregasi tuttavia non bombardare l'appartamento, ma colpirlo mentre e' in auto). Mi pare sia un presunto talebbano tutto l'attacco del Real, l'intera squadra del Chelsea (lo si noti bene: giocano in Spagna e in Gran Bretagna, e' chiaro che c'e' un rapporto con quegli attentati). Mi pare sia un presunto talebbano mio cugino che mi chiede sempre un prestito (Goffredo, non Corrado che e' un brav'omo e non mi ha mai negato alcun favore). Infine - ma se voi saprete agire come si deve, da uomini veri, di certo altri vi mandero' elenchi - mi pare sia un presunto talebbano quel Littel Tony Bler, quel Giorgio Busce, e visto che ce so', pure Billade. Gradiscano i saluti piu' distinti e se ci fosse possibilita' di comparire alla televisione io sono sempre disponibile, anche per qualche gioco a premi, e so cantare e ballo il tango e il tuiste e gioco a bocce. 2. MONDO. BRENDA GAZZAR: DONNE A GAZA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo. Brenda Gazzar, giornalista indipendente, vive a Gerusalemme ed e' corrispondente per "We News"] Gerusalemme. In una situazione in cui crescono la violenza, l'inosservanza delle leggi, la radicalizzazione politica ed il deterioramento generale dei diritti umani, le attiviste per i diritti delle donne nella striscia di Gaza si stanno attrezzando per l'escalation delle aggressioni nei loro confronti. Lama Hourani, attivista per i diritti civili ed i diritti delle donne, non velata, ha dichiarato la scorsa settimana che non uscira' di casa sino a che non vedra' cosa accadra' sulle strade ora che le forze armate di Hamas hanno preso il controllo della striscia di Gaza e del suo milione e mezzo di abitanti. Poiche' membri di Hamas hanno tentato di forzare con la violenza le donne ad usare il velo, durante la prima Intifada iniziata nel 1987, Hourani sta aspettando di vedere se tenteranno la stessa cosa oggi: "Il punto critico e' capire quali sono le regole di Hamas. Non sappiamo piu' quali siano le leggi, qui, non solo come donne ma come palestinesi". Hourani aggiunge che le violazioni dei diritti umani delle donne, collegate ad una serie di fattori politici, economici e sociali, sono aumentate da quando l'organizzazione islamista palestinese ha vinto le elezioni nel marzo 2006. Colpi di arma da fuoco risuonano alle sue spalle mentre mi parla al telefono: "Le donne non velate sono state assalite per strada come mai era accaduto in precedenza". Dopo parecchi mesi di scontri, Hamas ha lanciato la scorsa settimana un attacco su larga scala contro l'Autorita' nazionale palestinese. Il presidente Mahmoud Abbas ha sciolto il governo di unita' nazionale, che aveva tre mesi di vita, e dichiarato un governo d'emergenza. La striscia costiera di Gaza, situata tra l'Egitto ed Israele, e la West Bank, territorio sulla sponda occidentale del fiume Giordano, sono ora controllate da forze rivali. "Cio' che sta accadendo nella striscia di Gaza e' una terribile guerra civile", dice Amal Kreisheh, direttrice della "Societa' delle donne palestinesi lavoratrici per lo sviluppo" di Ramallah, "Ogni sforzo possibile deve essere compiuto per mettere fine a questa follia". Mercoledi' scorso, le forze israeliane hanno ucciso numerosi militanti a Gaza, ed hanno intrapreso raid aerei in risposta ai razzi lanciati contro Israele. Circa 160 persone sono morte a Gaza durante gli scontri tra fazioni palestinesi tra il 10 ed il 17 giugno, inclusi 45 civili: sono i dati del Centro per i diritti umani "Al Mezan" di Gaza. Undici dei quarantacinque civili erano donne. Piu' di 400 persone sono morte a Gaza dal primo gennaio 2007. Come risultato degli scontri dei mesi passati fra Fatah ed Hamas centinaia di donne sono ora vedove. Improvvisamente vulnerabili ed isolate, si trovano in una societa' lacerata da una guerra civile che divide le famiglie; le istituzioni che dovrebbero sostenerle appaiono anch'esse vulnerabili. L'11 aprile scorso, la societa' di beneficenza al-Atta, che opera nella striscia di Gaza a favore di donne e bambini, apri' un centro di formazione professionale per le ragazze in cui venivano insegnate tecnologie informatiche. Il giorno successivo i computer ed i materiali furono trafugati e fu dato fuoco all'edificio. La polizia sostiene che non si sia trattato di un crimine dell'odio di genere, ma le attiviste per i diritti umani delle donne di Gaza la pensano altrimenti, e credono che i loro centri potrebbero esseri i prossimi bersagli, ora che la striscia e' controllata da Hamas. "Sono contrari alle agende delle donne, a che le donne siano in posizioni di potere ed ai diritti delle donne", spiega Rima Alrakhawi, addetta alle pubbliche relazioni del Centro per le istanze delle donne di Gaza, che si occupa di ricerca e formazione professionale. "Domenica abbiamo riaperto il Centro dopo la settimana di combattimenti. Sappiamo che e' molto pericoloso anche ora, pero'". I cosiddetti "delitti d'onore" hanno avuto un picco di crescita durante l'anno scorso, a Gaza. Tra il gennaio 2006 ed il marzo 2007, diciassette donne sono state assassinate per motivi "d'onore". Di almeno cinque omicidi si e' accertato che sono stati perpetrati da gruppi religiosi, anziche' da membri delle famiglie delle vittime. Un fenomeno nuovo ed allarmante, sostiene Mahmoud Abu Rahma, coordinatore del Centro "Al Mezan" per i diritti umani di Gaza: "Il problema e' che non vediamo alcuna azione da parte di istituzioni e governo per proteggere le donne da tanta violenza". All'inizio di questo mese, un gruppo islamista che si autodenomina "Le spade della verita'" aveva minacciato le lavoratrici televisive di decapitarle per i loro "indumenti immodesti". I gruppi per i diritti umani hanno denunciato la minaccia e le giornaliste in questione hanno organizzato ben due manifestazioni di protesta a Gaza. Di recente anche gli uffici delle ong, i caffe', i negozi di dischi, i punti internet e i saloni dei parrucchieri sono stati attaccati o dati alle fiamme da gruppi religiosi. Uno di essi ha attaccato un evento sportivo il 6 maggio scorso, evento che si dava in una scuola gestita dal fondo umanitario delle Nazioni Unite, perche' le gare includevano bambini e bambine: un adulto e' stato ucciso durante l'attacco e sei sono stati i feriti, inclusi due giovanissimi studenti. Le attiviste dicono che una seria escalation dell'insicurezza a Gaza e in minor misura nella West Bank, incluso il rapido diffondersi della criminalita' e l'incremento dell'uso di armi, ha avuto inizio nel 2003, pochi anni dopo l'inizio della seconda Intifada. Esse indicano un numero di fattori per tale escalation che includono il modo in cui l'occupazione militare israeliana (le demolizioni di case, le detenzioni arbitrarie, la tortura) ha impedito ai territori palestinesi di svilupparsi economicamente e di stabilizzare le proprie istituzioni; e la diminuzione degli aiuti dall'occidente accoppiata al boicottaggio economico imposto dagli Usa, dall'Unione Europea e da Israele negli ultimi quindici mesi, fattore che ha indebolito ulteriormente un'economia gia' in condizioni critiche (a Gaza, il 70% della popolazione vive sotto la soglia di poverta'). Mercoledi' scorso, dopo l'attacco israeliano ai militanti palestinesi a Gaza, il governo israeliano ha posto fine all'embargo diplomatico ed aperto un contatto con il governo d'emergenza palestinese. Gli Usa e l'Unione Europea si stanno anche muovendo per riprendere il programma di aiuti e le relazioni con il nuovo governo. "In presenza di un tale disastro politico", dice Lama Hourani, "la societa' palestinese, come molte altre nel mondo, tende ad enfatizzare tratti di conservatorismo ed i diritti delle donne spesso non sono considerati una vera priorita'". "La radicalizzazione e' lo sbocco consueto per societa' che attraversano conflitti militari prolungati", aggiunge Maha Abu Dayyeh Shamas, direttrice del Centro d'aiuto e consulenza legale per le donne di Gerusalemme, "Non solo la radicalizzazione, ma anche il crollo di ogni tipo di legge e di ordine. Nelle societa' patriarcali, e tutte le societa' al mondo ancora lo sono, le donne sono l'elemento 'debole'. Se non ci sono politiche adeguate, sistemi di controllo, governo, le prime vittime del patriarcato e della militarizzazione saranno le donne ed i bambini". * Per maggiori informazioni: Al Mezan Center for Human Rights: www.mezan.org 3. DOCUMENTAZIONE. RANIERO LA VALLE: ULTIME NOTIZIE DA VICENZA [Ringraziamo Raniero la Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscali.it) per averci messo a disposizione il testo della sua relazione introduttiva al seminario nazionale di studio di "Vasti - Scuola di ricerca e critica delle antropologie" sul tema "Il futuro della convivenza, Vicenza e la guerra annunciata. Invece della base nucleare" svoltosi a Vicenza il 16 giugno 2007. Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di "Vasti - scuola di ricerca e critica delle antropologie", presidente del Comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003] Questa volta e' inusuale la sede in cui teniamo questo seminario - tutti gli altri si sono svolti a Roma - ed e' anche inusuale il rapporto tra le "Ultime notizie", che sempre inaugurano i nostri incontri, e il contenuto del seminario. Inusuale la sede: siamo venuti infatti a Vicenza, e lo abbiamo fatto per stare nel luogo dove il dramma accade, perche' nessuno possa dirci domani: e voi dove eravate? Vicenza e' oggi il crocevia delle contraddizioni che scuotono il nostro tempo. Ed e' in qualche modo l'emblema conclusivo del nostro tema di quest'anno, nel quale ci siamo interrogati sulla crisi della convivenza. Abbiamo sviluppato il tema della convivenza - nella politica, nella famiglia, nella scuola, nel rapporto di coppia, nella Chiesa - perche' abbiamo avuto la percezione che oggi non solo la convivenza sia in crisi, perche' non si riesce a vivere come pur si vorrebbe, ma addirittura che essa abbia cessato di essere un valore, una naturale prospettiva di vita, e sia diventata invece un ingombro, un ostacolo, l'oggetto di un rifiuto. Perfino nelle fasi piu' acute della guerra fredda, sempre in procinto di esplodere nella guerra nucleare, l'ideale della coesistenza era fuori discussione: si voleva coesistere, nel presupposto che tutti avessero diritto ad esistere. Oggi invece si vuole esistere, ma non coesistere; oggi c'e' solo la propria esistenza vissuta come incompatibile con l'esistenza degli altri. Allora la decisione di costruire la nuova base militare a Vicenza ha incrociato la nostra riflessione, che non e' mai una riflessione astratta, accademica, perche' per noi la cultura e' sempre innestata nella realta'. In tale decisione abbiamo visto un caso limite di rottura e di rifiuto della convivenza; ed e' per questo che siamo qui a discutere della convivenza nel luogo dove oggi questo tema si riveste di tutta la sua pregnanza storica. Ed e' per questo che il tema di queste "Ultime notizie", solitamente ricavato da una sollecitazione che viene dalla cronaca, anche se non pertinente col tema del seminario, si identifica oggi col tema stesso di questo seminario. * Tre rotture della convivenza In tre modi la decisione di costruire la nuova base militare americana, nonche' il modo in cui questa decisione e' stata presa e resa nota, rompono la convivenza. Prima di tutto rompono la convivenza interna della comunita' cittadina. La passione con cui gia' oggi si discutono le due opposte prospettive che sono di fronte alla citta', mostra che sempre piu' e' destinato a radicalizzarsi e a imbarbarirsi il conflitto tra favorevoli e contrari alla base, finche' la citta' stessa, rotta la pace sociale, si trovera' irrimediabilmente divisa in due. In secondo luogo si rompe la convivenza internazionale, per la sostituzione della guerra alla politica come modalita' di rapporto tra i popoli. Non siamo sicuri che a livello nazionale cio' sia stato percepito, che sia stata colta la portata politica generale del sacrificio di Vicenza; non crediamo che sia stato percepito in che modo la nuova destinazione d'uso della citta' di Vicenza diventi una grande questione nazionale, ne' e' stata percepita la novita' nella quale viene a trovarsi la situazione internazionale e mondiale per effetto di questo riarmo nucleare che qui viene avviato della piattaforma territoriale italiana. Il cuore del discorso sta infatti qui: non si tratta di un ampliamento e neanche di un raddoppio di una base preesistente, non si tratta di un accasermamento di altri duemila uomini di truppe aviotrasportate in modo che siano piu' vicini agli scenari di guerra. Si tratta di una base per azioni di deterrenza e ritorsione nucleare previste nel quadro di una pianificazione militare chiamata "Punta di diamante". Lo ha detto l'ex presidente Cossiga con quell'aria un po' beffarda con cui egli e' solito rivelare delle verita' che gli altri tengono nascoste. Nella sua dichiarazione di voto al Senato del 28 febbraio scorso, come si puo' leggere nel resoconto stenografico della seduta, egli si e' rallegrato - "americano e guerrafondaio come sono" ha detto con autoironia - della conferma della concessione "al Pentagono" della base militare di Vicenza, dalla quale operera' "il 173o reggimento d'attacco 'Airborne', strumento del piano di dissuasione e di ritorsione anche nucleare denominato 'Punta di diamante'". Dunque cio' di cui si discute non e' una caserma, ma una base per la guerra nucleare, ed una prospettiva politica secondo la quale il governo del mondo e delle sue risorse nei prossimi decenni sara' affidato non alla politica, ma alla guerra. La terza rottura che in tal modo si e' prodotta e' quella tra la comunita' e il governo. La domanda e' perche' il governo non ne ha voluto neanche parlare. Come se si trattasse di materia non disponibile, di "affari riservati" secondo una nomenclatura in uso in altri ordinamenti. Questo e' un Paese in cui si discute di tutto, e questo e' un governo che ha discusso su tutto. Per mesi si e' fatta e rifatta la finanziaria con trattative con tutte le lobbies possibili e le parti sociali. Si e' discusso e poi si e' cambiato il tracciato della Tav. Si discutono i piani di settore con artigiani, professionisti, piccole imprese; si sono discusse le liberalizzazioni di Bersani con benzinai, farmacisti, notai; si e' rinunziato ad abolire il Pra sotto la spinta dei suoi difensori. Si fermano i camion prima che arrivino alle discariche per non forzare la mano alle popolazioni locali. Perche' solo sulla base militare di Vicenza non si puo', non dico transigere, ma nemmeno discutere? La ragione e' evidente: perche' il governo ritiene la cosa fuori della portata delle nostre decisioni. Esso da' atto che l'Italia non ha la disponibilita' non tanto della propria sovranita', ma di se stessa, del suo ruolo e del suo destino. Ma come non discutere della decisione di installare in Italia la prima base nucleare offensiva dopo la fine della guerra fredda, la rimozione del muro di Berlino e la scomparsa della contrapposizione tra i blocchi? * La politica come occultamento Il segreto mantenuto dal governo Berlusconi si capisce. Berlusconi crede che il Paese sia suo, si e' impadronito del suolo di questo Paese - da Milano 2 alla tenuta di Arcore alle coste della Sardegna al palazzo di via del Plebiscito a Roma - e anche dell'etere, paga 45 milioni di euro di tasse allo Stato e crede di esserselo comprato, quindi prende del suo e lo da' all'amico americano. Ma il governo Prodi? Aveva tutto il diritto di discuterne. Perche' la cessione di una parte della citta' di Vicenza agli Stati Uniti (e qui vale come non mai che "la parte e' per il tutto") era avvenuta senza alcuna deliberazione del governo e senza alcun dibattito parlamentare, solo in virtu' di una lettera del 12 dicembre 2005 dell'allora capo di stato maggiore della Difesa ammiraglio Di Paola al suo collega americano, dopo un parere tecnico del Genio Dife; si poteva impugnare da parte del governo successivo. Invece la decisione e' stata fatta passare per una "non decisione": "per l'ampliamento di una base militare - ha detto Prodi - non si pone certo un problema politico". Qui si apre una grande questione: la politica come occultamento. E' una novita': prima a occultare erano i Servizi deviati, non a caso detti segreti; oggi e' la politica che si fa alla luce del sole che occulta la verita'. E' un occultamento della realta' dire che Vicenza non e' un problema politico. E' il massimo dei problemi politici, perche' riguarda la scelta di come stare al mondo nei prossimi decenni; se vogliamo stabilire una data diciamo fino al 2050, data entro cui secondo gli scienziati dovremmo trovarci un altro pianeta perche' questo sara' esaurito. Il mondo e' davanti a un'alternativa molto precisa: o la convivenza, la decisione politica che tutti dobbiamo vivere, anche se giungeremo ad essere dieci miliardi, oppure il rifiuto della convivenza, la rottura dell'unita' umana, e la guerra dei diversi aggregati umani - che gia' viene chiamata guerra di civilta' - per spartirsi l'ultima eredita' della terra. Gli Stati Uniti hanno fatto quest'ultima scelta, con la lunga premeditazione concepita dalla Nuova Destra americana e il suo progetto di instaurare "il nuovo secolo americano", con la presidenza Bush W., con l'invasione dell'Iraq e dell'Afghanistan, con lo scudo spaziale, con lo spostamento delle frontiere militari e politiche del proprio Impero sempre piu' ad Oriente. Non sappiamo se dopo gli evidenti fallimenti di questa linea essa sara' confermata dalla prossima presidenza americana. In ogni caso Vicenza appartiene a questa scelta, a questa ipotesi di guerra continua per i prossimi decenni; una guerra a cui e' chiamato tutto l'Occidente, e in cui gli atei devoti vorrebbero coinvolgere anche la Chiesa. I nemici non sono ancora dichiarati, ma gia' si profilano: l'Iran, la Russia, la Cina. Vecchi esperti del Pentagono hanno dichiarato ufficialmente che stanno preparando la guerra con la Cina, che ci sara' tra 20 anni, e che si svolgera' "nei cieli e sott'acqua" (la terra cinese e' infatti troppo grande, meglio evitarla, visto come e' andata nelle terre invase finora). E allora ecco perche' e' cosi' importante la base, da non potersene discutere neppure. E' una base di intervento rapido nucleare, la casa madre dell'unica unita' aviotrasportata del Comando europeo degli Stati Uniti la cui area di responsabilita' abbraccia l'Europa, gran parte dell'Africa e del Medio Oriente. Essa dipende dal comando Setaf, il cui quartiere generale e' anch'esso a Vicenza, e che e' stato trasformato da comando di appoggio logistico in comando di teatro, responsabile - come viene spiegato - "del ricevimento, della preparazione al combattimento e del movimento avanzato delle forze che entrano nella regione meridionale per una guerra". E cio' in collegamento con le basi aeree di Aviano e Sigonella e con quella logistica di Camp Darby, che insieme vengono cosi' a formare il triangolo della piattaforma italiana per la guerra nucleare annunciata. La domanda e': puo' l'Italia opporsi a tutto questo? Non puo', il governo, da solo. Puo' darsi, a voler guardare le cose con realismo, che per il governo questa decisione fosse obbligata, perche' quella contraria, come ha detto D'Alema, sarebbe apparsa "un atto di ostilita' verso gli Stati Uniti". E non e' possibile una ostilita' con gli Stati Uniti perche' il Paese non e' ostile, non ci sarebbe affatto una base di opinione pubblica in Italia per alcuna ostilita' agli Stati Uniti, che e' un Paese amico; e nemmeno ce lo potremmo permettere, perche' siamo entrati in un tempo in cui lo squilibrio delle forze nel mondo e' tale per cui nessuno puo' sopravvivere all'ostilita' degli Stati Uniti; in Italia, come si ricordera', gli anni di Moro furono dominati dalla paura di una "sindrome cilena" per mano americana: percio' i missili vennero installati a Comiso anche allora senza alcuna obiezione ufficiale (ma con grandi lotte popolari). Pero' queste ragioni dovevano essere discusse, anche col movimento della pace. Il non farlo e' un'offesa per il Paese, ma soprattutto e' un atto di rottura del governo con i cittadini, con una parte rilevante della sua base elettorale, politica e perfino religiosa. La resistenza alla base, quale si e' cosi' vigorosamente attivata qui a Vicenza, non puo' ora servire da sola a rovesciare con la forza, con una spallata, la decisione gia' presa. Ci vuole la politica. Percio' non crediamo e anzi riteniamo un grave errore il ricorso a mezzi di lotta che non siano non violenti. Crediamo alla politica. E la resistenza serve appunto a rendere di nuovo possibile la politica, serve a impedire che sia chiuso o dichiarato come non esistente il problema politico, serve a rivendicare alla politica (ma anche alla cultura e alla fede) il compito di esprimere e realizzare una alternativa allo strumento della guerra con cui l'Occidente si sta preparando ad affrontare le future sfide mondiali. Il Paese-comunita', non il governo da solo, puo' farcela. Insieme all'Europa, puo' farcela. Non contro gli Stati Uniti, ma anche "per" gli Stati Uniti, perche' siano distolti dal correre verso la rovina trascinandosi tutto il mondo con se'. Ma per fare questo non si puo' occultare la vera natura della scelta. Bisogna parlare col movimento della pace, con l'elettorato, con i giovani, con le donne, e anche con quella piccola Italia della provincia italiana che viene cavalcata dalla destra e dalla Lega, nel presupposto che l'interesse in gioco e' lo stesso per tutti, e allo scopo di riaprire tutti insieme il problema politico, per vedere in che modo attraverso la politica, come diceva don Milani, "se ne puo' uscire". * I frutti del rifiuto della convivenza: la questione palestinese Proprio in questi giorni vediamo a quali tragedie portino delle politiche che esplicitamente si pongono contro la convivenza. Non era mai accaduto quello che ora sta avvenendo in Palestina: una lotta di liberazione straordinaria condotta dal popolo palestinese per quarant'anni, dal 1967, viene fatta a pezzi, distrutta, rottamata, gettata nel crogiuolo di una guerra civile tra palestinesi, tra istituzioni palestinesi. Chi in tutti questi anni ha congiurato per la cancellazione del popolo palestinese e' riuscito ad ottenere ora che il popolo palestinese cambiasse il proprio nemico, e si facesse nemico di se stesso. Questo risultato e' stato perseguito fin dagli accordi di Oslo, che avevano aperto una via politica alla costituzione di uno Stato palestinese, di cui l'Autorita' Nazionale Palestinese doveva essere solo l'anticipazione. Ma Israele non ha mai accettato questa prospettiva, non ha mai ammesso che accanto a se', su quella che considera la terra d'Israele, nascesse un vero Stato palestinese. Rabin fu ucciso per questo, e da allora lo scopo della politica israeliana, sostenuta dagli Stati Uniti, e' stato quello di rovesciare Oslo e di impedire che un'altra Oslo fosse mai possibile. Sharon dichiaro' che gli accordi di Oslo erano stati il piu' tragico errore strategico di Israele, e avvio' una strategia che chiudesse per sempre quella strada. Non doveva esserci nessuna "road map" di questa strada. Cio' doveva passare attraverso la liquidazione di Arafat, che rappresentava appunto l'ala politica e negoziale, laica e statuale, nella dignita', del movimento palestinese. Per Israele e per gli Stati Uniti la gestione di un conflitto con un movimento laico di liberazione nazionale era diventata troppo difficile, era in difetto di egemonia. Bisognava riuscire a togliere il conflitto palestinese dalla sua singolarita' e riportarlo nella lotta generale contro il terrorismo, e in particolare contro l'Islam, che fin dal 1991 nei nuovi "Modelli di difesa" occidentali elaborati dopo la fine della guerra fredda, era stato individuato come il nuovo nemico dell'Occidente. Nel Nuovo Modello di Difesa italiano nel 1991 - subito dopo la prima guerra del Golfo - il conflitto israelo-palestinese veniva indicato come "il paradigma" del futuro conflitto tra Islam e Occidente. Occorreva che la resistenza palestinese fosse trasformata in estremismo islamico. Cio' e' avvenuto non lasciando ai palestinesi altra strada che quella di Hamas. Ed e' qui che il problema palestinese cessa di essere un conflitto di indipendenza di un popolo i cui territori, pur ridotti al minimo, sono occupati, e diventa un capitolo della grande sfida dell'Occidente contro i suoi nemici: oggi l'Islam, sia arabo che iraniano, domani di nuovo la Russia, tra vent'anni forse la Cina e l'India. La guerra mondiale, guerra di eredita' tra i figli per aggiudicarsi le ultimerisorse del pianeta che si stanno esaurendo (tra queste risorse c'e' anche la democrazia), e' gia' cominciata. E' a questa guerra che serve la base nucleare di Vicenza. A noi tocca pensare e propugnare un altro futuro. 4. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: DUE OBIEZIONI AL TESTO CHE PRECEDE Ci perdonera' un maestro illustre ed amatissimo come Raniero La Valle se ci permettiamo di esprimere il nostro dissenso su due punti dell'intervento sopra riportato. * Nel merito della vicenda vicentina una sola obiezione al ragionamento di un maestro come La Valle, ma e' un'obiezione capitale: il governo italiano poteva e doveva, puo' e deve opporsi alla decisione americana di fare di Vicenza una cruciale servitu' militare che avra' un ruolo strategico decisivo nelle guerre - anche nucleari - che la follia dei signori della Casa Bianca e del Pentagono vanno preparando a distruzione dell'umanita'. Il governo italiano poteva e doveva, puo' e deve opporsi. De jure, in forza della stessa Costituzione della Repubblica Italiana: poiche' - come nitidamente La Valle argomenta - la decisione americana su e contro Vicenza e' una decisione ordinata alla guerra (e alla guerra atomica), l'Italia, che - giusta il dettato costituzionale - "ripudia la guerra", a tale decisione non puo' esprimere alcun consenso, anzi ad essa deve assolutamente opporsi. E de facto, poiche' e' veramente grottesco stare a questionare se un governo di un ordinamento giuridico democratico puo' accettare di cooperare allo sterminio dell'umanita'. E quindi le dichiarazioni di Prodi e dei ministri suoi sono solo sofismi e tracotanza, sofismi e tracotanza di complici degli stragisti, dei terroristi di stato e di regime, sofismi e tracotanza indegni di essere discussi. Sofismi e tracotanza le dichiarazioni, crimine scellerato la decisione imposta come fatto compiuto. Infame decisione che e' giusto e necessario rovesciare. * Una seconda obiezione sull'analisi della situazione in Palestina: finche' si continuera' a non affermare con chiarezza che come la popolazione palestinese anche la popolazione di Israele ha diritto alla vita ed al proprio ordinamento giuridico statuale, non si fara' un passo avanti; finche' si continuera' ad addossare all'intera popolazione israeliana le certo gravissime responsabilita' del governo del loro stato, non si fara' un passo avanti; finche' si continuera' a sottovalutare la concretezza della minaccia - tanto di non pochi regimi arabi e islamici del Medio Oriente quanto di tutti i movimenti fondamentalisti islamici in armi - di distruggere Israele e la sua popolazione, non si fara' un passo avanti. So bene che Raniero La Valle non commette questi errori, ma sarebbe di grande utilita' se ogni volta che parla della tragedia palestinese ricordasse anche questi aspetti della questione, proprio perche' la sua voce e' autorevole e ci sono cose che occorre ripetere sempre. Soprattutto devono essere sempre ripetute dagli europei, consapevoli che in Europa qualche decina di anni fa e' stata realizzata la Shoah: e che coloro che minacciano la distruzione di Israele e della sua popolazione alla scuola di Hitler - e dell'Europa romana e cristiana e razzista della bimillenaria persecuzione antiebraica - si sono messi. Hic et nunc l'unica solidarieta' reale, coerente ed efficace col popolo palestinese e' quella che solidarizza altresi' col popolo israeliano; hic et nunc l'unica solidarieta' reale, coerente ed efficace col popolo palestinese e' quella che sostiene le forze della pace e del dialogo dei due popoli palestinese ed israeliano, e che si batte per il diritto all'esistenza, alla sicurezza e al benessere dei due popoli palestinese e israeliano in due stati liberi e indipendenti. 5. MEMORIA. CARLO AUGUSTO VIANO RICORDA NICOLA ABBAGNANO (2004) [Dal quotidiano "La stampa" del 14 ottobre 2004, col titolo "Abbagnano, laici con filosofia. Le risposte del neoilluminismo all'Italia del dopoguerra". Carlo Augusto Viano ha insegnato storia della filosofia nelle Universita' di Milano, Cagliari e Torino; e' stato membro del Comitato nazionale di bioetica, fa parte del comitato direttivo della "Rivista di filosofia", dell'Accademia europea e dell'Accademia delle scienze di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni, Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni (Torino 2005). Dal sito www.emsf.rai.it riprendiamo la seguente scheda: "Carlo Augusto Viano e' nato ad Aosta il 10 luglio 1929 e si e' laureato in filosofia nella Facolta' di Lettere dell'Universita' di Torino nel 1952. In questa Facolta' e' stato allievo e assistente di Nicola Abbagnano; poi ha insegnato nelle Universita' di Milano e Cagliari. Attualmente e' professore ordinario di Storia della filosofia nella Facolta' di Lettere dell'Universita' di Torino. E' anche membro del Comitato direttivo della 'Rivista di filosofia', del Comitato Nazionale di Bioetica, dell'Accademia Europea e socio nazionale dell'Accademia delle Scienze di Torino. Carlo Augusto Viano ha dedicato i propri studi alla storia della filosofia e all'etica. Nel primo campo si e' occupato di filosofia antica e di filosofia moderna classica. Al mondo antico ha dedicato i volumi: La logica di Aristotele, Torino 1954 e La selva delle somiglianze. Il filosofo e il medico, Torino, 1985, oltre a numerosi saggi; ha inoltre tradotto la Metafisica, la Politica e la Costituzione di Atene, di Aristotele. Frutto degli studi sulla filosofia moderna sono stati la monografia John Locke, Dal razionalismo all'Illuminismo, Torino 1960, l'edizione di inediti e la traduzione di scritti di Locke, la cura dell'edizione italiana delle opere di Condillac e parecchi contributi minori. All'etica Carlo Augusto Viano ha dedicato il volume Etica, Milano 1975 e molti saggi, soprattutto sulle teorie utilitaristiche; ha anche curato il volume Teorie etiche contemporanee, Torino 1990. Attualmente sta dirigendo in collaborazione con Pietro Rossi, per l'editore Laterza, la pubblicazione di una grande Storia della filosofia in sei volumi. Nel volume sull'antichita' Carlo Augusto Viano ha scritto numerosi capitoli, sui filosofi presocratici, i sofisti, Socrate, Platone, Aristotele ed Epicuro. Dalla sua esperienza di storico della filosofia ha ricavato una serie di lavori sulla filosofia come istituzione culturale, quale si e' venuta delineando nella tradizione occidentale, con particolare attenzione per il linguaggio dei filosofi e il loro pubblico. Come membro del Comitato nazionale di bioetica e nella propria attivita' accademica Carlo Augusto Viano continua a interessarsi di etica, con particolare riguardo alla bioetica, alla quale ha dedicato diversi saggi". Nicola Abbagnano (Salerno 1901 - Milano 1990), illustre filosofo e storico della filosofia. Un'ampia notizia biobibliografica e' nelle "Notizie minime della nonviolenza" n. 127. Utilissimo il sito alla sua figura ed alla sua opera dedicato: www.nicolaabbagnano.it] A Torino, dopo la seconda guerra mondiale, dei filosofi veri e propri immaginarono di poter risuscitare l'illuminismo, tanto che chiamarono se stessi "neoilluministi". Quello di loro che aveva un qualche legame con le radici gobettiane era Norberto Bobbio, che era stato scolaro di Solari, aveva frequentato gli ambienti cittadini nei quali il ricordo dell'esperienza gobettiana era ancora vivo e aveva praticato l'antifascismo azionista. L'altro esponente di spicco del neoilluminismo, anzi quello che aveva proposto la formula, era Nicola Abbagnano, che riscopriva l'illuminismo dopo aver tentato molte strade, nessuna delle quali sembrava dovesse portare qui. Da ultimo aveva dato vita a una varieta' italiana di esistenzialismo, meno drammatico delle filosofie dell'esistenza tedesche, "positivo", come lui stesso lo chiamava, che aveva perfino preteso di essere una specie di filosofia nazionale e fascista, capace di sostituire la dottrina gentiliana. All'illuminismo Abbagnano si rivolse dopo la fine della guerra, quando sposto' la propria attenzione dalla cultura tedesca, cui si era ispirato per l'impresa esistenzialistica, a quella americana, che stava diventando l'alternativa ideologica alla filosofia marxista e all'ideologia comunista. Abbagnano associava il ricupero dell'illuminismo alla filosofia di John Dewey, che considerava compatibile con l'esistenzialismo positivo. Erano cose che non stavano insieme, perche' Dewey era un filosofo hegeliano, che aveva sempre respinto l'empirismo settecentesco e tutto cio' che sembrava derivare dalle teorie della conoscenza care agli illuministi. Del resto i pragmatisti in generale diffidavano degli illuministi, nei quali vedevano gli eredi del cartesianesimo o che consideravano insensibili ai temi religiosi e all'esperienza interiore. Lo stesso Bobbio era stato educato alla filosofia di Kant, di Fichte e di Hegel, ma anche al culto di Croce, e aveva praticato Martinetti e fatto esperienza di fenomenologia: tutti antidoti antilluministici. E, mentre Abbagnano costruiva l'esistenzialismo, Bobbio lo aveva demolito con qualche simpatia per un personalismo spiritualistico. Era stato Abbagnano il vero animatore del programma neoilluministico. Bobbio diceva di essersi fatto convincere quando Abbagnano aveva messo sotto il segno dell'illuminismo un'interpretazione della conoscenza scientifica diversa da quella del positivismo ottocentesco, per il quale la scienza rivela l'ordine necessario della realta'. Nel loro piccolo i fondatori del neoilluminismo torinese avevano gia' celebrato, ciascuno per proprio conto, i dovuti scongiuri antipositivistici, ma ora era comparso il neopositivismo, e il richiamo all'illuminismo poteva servire per esorcizzare anche quest'ultimo fantasma. All'impresa guardava anche Ludovico Geymonat, un vecchio amico di Bobbio, diviso tra interesse per il neopositivismo e ideologia comunista. Quest'ultima lo rendeva diffidente verso una cosa che il marxismo ufficiale considerava una faccenda borghese, ma guardava con simpatia l'anticrocianesimo, antico in Abbagnano e piu' recente in Bobbio. Frattanto all'orizzonte compariva la filosofia analitica, che al momento della nascita del neoilluminismo non si sapeva tanto bene che cosa fosse, ma che nasceva dal rifiuto del primato del linguaggio scientifico. Dunque un altro alleato, ma anche un'altra associazione arrischiata dell'eredita' dell'illuminismo con cose che non c'entravano. Ricostruendo la propria adesione al neoilluminismo, Bobbio ne ha recentemente individuato le radici nel rifiuto della "filosofia romantica, idealistica, di Croce e Gentile" e delle "filosofie di ispirazione religiosa come il neotomismo dell'Universita' cattolica del Sacro Cuore... filosofie regressive anche perche' avevano in qualche modo accompagnato il fascismo, o lo avevano giustificato e sostenuto". I neoilluministi inserivano la polemica antidealistica nella polemica contro le filosofie ottocentesche della necessita' e contro le filosofie della storia romantiche, nelle quali la liberta' dello spirito universale prevale sulla liberta' dei singoli. In un saggio importante Bobbio segno' il proprio distacco dal crocianesimo, delineando un'interpretazione della democrazia liberale fondata sui principi dell'89, ai quali Croce aveva sempre guardato con irriguardosa diffidenza. Il neoilluminismo intendeva opporsi anche all'ideologia comunista. L'anticomunismo di Abbagnano era piu' radicale, anche se meno esplicito, mentre quello di Bobbio era piu' tormentato, perche' il richiamo all'impegno politico degli intellettuali, cosi' forte per i comunisti, non lo lasciava indifferente. Su questo terreno il riferimento all'illuminismo poteva diventare particolarmente interessante, perche' gli illuministi costituivano il caso tipico di intellettuali impegnati in progetti politici e tuttavia non vincolati a qualcosa come i partiti di massa, che ovviamente non conoscevano; ma essi avevano saputo resistere alle pretese di obbedienza che despoti e chiese avevano fatto valere. Ma il tema piu' sentito e piu' diffuso tra i neoilluministi era la resistenza al controllo dei cattolici sulla cultura e sulla vita civile dell'Italia del dopoguerra e la critica di ogni filosofia che presupponesse il primato della religione sulle altre attivita' intellettuali. E si trattava non soltanto della filosofia neoscolastica, come poi Bobbio avrebbe detto, ma anche, e forse soprattutto, dello spiritualismo cattolico, in parte erede dell'idealismo gentiliano, ampiamente presente nelle universita' statali e non confinato nell'Universita' cattolica milanese. Piu' che contro la filosofia neotomista il neoilluminismo cercava di mettere le premesse per una cultura laica, cioe' indipendente dalle pressioni esercitate da autorita' e intellettuali cattolici. Cio' che univa la difesa della laicita' alla discussione dell'impegno politico era il rifiuto della sottomissione degli intellettuali a qualsiasi autorita' che pretendesse di esercitare un qualche potere sulla cultura: i potenti non dovevano pretendere di svolgere una politica culturale, mentre gli intellettuali dovevano intervenire nella politica, in primo luogo per salvaguardare la liberta' e l'indipendenza della cultura. 6. LIBRI. RENATA DIONIGI PRESENTA "LA SCOMPARSA DELLE DONNE" DI MARINA TERRAGNI [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it). Renata Dionigi, intellettuale femminista, e' impegnata nell'esperienza della Libreria delle donne di Milano. Marina Terragni, giornalista, e' editorialista di "Io Donna" e scrive sul "Corriere della Sera" e su "Il foglio". Opere di Marina Terragni: (con Vittorino Andreoli), E vivremo per sempre liberi dall'ansia, Rizzoli, Milano 1997; La scomparsa delle donne, Mondadori, Milano 2007] Marina Terragni, La scomparsa delle donne. Maschile, femminile e altre cose del genere, Mondadori, Milano 2007, pp. 235, euro 16. "La differenza sessuale rappresenta uno dei problemi o il problema che la nostra epoca ha da pensare" e' stato scritto nel 1984 dalla filosofa Luce Irigaray. Una differenza femminile che rischia di estinguersi, scrive oggi Marina Terragni, perche' molte, troppe giovani donne si adeguano, imitano comportamenti maschili come se l'unico modo di darsi valore e di esistere socialmente sia la cancellazione dell'essere donna e l'agire come un uomo. Partendo dalla sua esperienza di infelice emancipata, sempre di corsa per le difficolta' di tenere insieme le mille cose della propria vita, l'autrice analizza e riflette su molti testi del femminismo e pone domande sui tanti temi d'attualita', dal rapporto con l'uomo alla sessualita', al lavoro, alla maternita', alla religione, alla politica, alla bellezza... E racconta il suo cambiamento, il suo imparare a "star ferma", a vivere il vuoto, l'ascolto di se' e delle altre per capire il proprio desiderio e decidere di stare felicemente e liberamente nel mondo come donna, senza passare attraverso la competizione con gli uomini. Un libro prezioso che getta un ponte tra generazioni diverse di donne e anche verso gli uomini perche', per avere un rapporto nuovo tra i sessi, "essere donna e' tutto quello che noi possiamo fare per loro". Marina Terragni ha iniziato il lavoro di giornalista presso Radio Popolare di Milano. Editorialista per "Io donna - Corriere della sera", "Il Foglio", "Via Dogana" (periodico della Libreria delle donne di Milano). Opinionista in trasmissioni tv e radiofoniche Rai (Domenica In, L'Italia sul 2) e La 7 (Otto e mezzo, L'Infedele). Ha condotto una trasmissione per la rete 2 Rai e ha collaborato con radio Rai. Gia' autrice di un saggio sulla condizione delle donne nella Chiesa (Vergine e piena di grazia, Gammalibri) e di un libro-intervista con Vittorino Andreoli (E vivremo finalmente liberi dall'ansia, Rizzoli). Ha lavorato per "Europeo", "Epoca", "Panorama mese", "Linus", "Anna", per il quotidiano "Reporter" e per numerose altre testate. Ha collaborato a un film documentario sulla Pirelli Bicocca diretto da Silvio Soldini. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 131 del 25 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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