Minime. 122



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 122 del 16 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maria Teresa Carbone ricorda Ousmane Sembene
2. Roberto Silvestri ricorda Ousmane Sembene
3. Cristina Piccino intervista Ousmane Sembene (2004)
4. Giovanna Providenti: Amal el Alim Alsoswa
5. Flavio Lotti: La Palestina abbandonata
6. Clara Jourdan presenta "Donne in relazione" di Maria-Milagros Rivera
Garretas
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. MARIA TERESA CARBONE RICORDA OUSMANE SEMBENE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 giugno 2007.
Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale,
curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete
www.zoooom.it
Ousmane Sembene (1923-2007), scrittore e regista cinematografico senegalese,
impegnato contro il colonialismo ed il neocolonialismo. Dal sito
ww.insenegal.org riprendiamo la seguente scheda di Cinzia Quadrati: "Ousmane
Sembene : primo autore di cinema di finzione in Africa. Sembene nasce nel
1923 a Ziguinchor, nella regione della Casamance, in Senegal, da una
famiglia modesta di pescatori. Non  conclude gli studi e, dopo essere stato
arruolato tra i fucilieri senegalesi nell'esercito coloniale durante la
seconda guerra mondiale, compie svariati lavori: muratore, meccanico,
scaricatore al porto di Marsiglia. Qui si iscrive al partito comunista
francese e diventa sindacalista. Negli anni Cinquanta si dedica alla
letteratura, scrive il primo romanzo nel 1956: Le Docker noir (Lo
scaricatore nero, Parigi, Ed. Debresse), romanzo autobiografico che racconta
l'esperienza dei lavoratori africani all'estero. A questo  seguono O pays,
mon beau peuple (O paese, mio bel popolo, Parigi, Ed. Amiot Dumont) del
1957, su un emigrato che ritorna in patria e cerca di formare i contadini
alle nuove tecniche occidentali; Les bouts de bois de Dieu (Le punte di
legno di Dio, Parigi, Ed. du Livre Contemporain) del 1960, sullo sciopero
che ha interessato i lavori della ferrovia Dakar-Niger tra il '47 e il '48,
che gli da' la notorieta'; Voltaique (Voltaico, Parigi, Ed. Presence
africaine) del 1961, raccolta di racconti; L'Harmattan (Parigi, Ed. Presence
africaine) del 1963, storia di un medico senegalese che cerca di coniugare
medicina moderna e tradizionale africana; Vehi-Ciosane (Parigi, Ed. Presence
africaine) del 1964, altra raccolta di racconti; Le Mandat (Il vaglia,
Parigi, Ed. Presence africaine) sempre del 1964, racconta di un uomo che
riceve un vaglia, ma non puo' ritirarlo per la mancanza di documenti di
identita'; Xala (L'impotenza temporanea, Parigi, Ed. Presence africaine) del
1973 e' la storia dell'impotenza temporanea di un rappresentante della
nascente borghesia senegalese; Le dernier de l'empire (L'ultimo dell'impero,
Parigi, Ed. L'Harmattan) del 1981, su un immaginario colpo di Stato
organizzato dal presidente senegalese. Tra il 1962 e il 1963 si rivolge al
cinema, sua passione fin dall'infanzia quando creava scompiglio davanti
all'ingresso delle sale per poter entrare gratis, ma che esplode dopo la
visione di Olympia di Leni Riefensthal. Frequenta la scuola di cinema di
Mosca, presso gli studi Gorky, sotto l'ala di Marc Donskoi e, poi, si da'
alla regia. Il primo film e' del 1962: Borom Sarret (Il Carrettiere , 20
minuti, b/n, 35 mm), primo film di un regista africano girato in Africa,
premiato con il "Premio opera prima" al Festival di Tours, a meta' strada
tra Neorealismo e Nouvelle Vague, narra la triste giornata di un
carrettiere, al lavoro per le vie di Dakar. Nel 1963 gira anche un
documentario prodotto dal governo del Mali, mai commercializzato: L'Empire
de Songhai (L'impero Songhai). Nel 1964 realizza un'altra pellicola mai
commercializzata, premiata al Festival di Tours e di Locarno nel 1965: Niaye
(35 minuti, b/n, 35 mm), storia di un capovillaggio che mette incinta la
figlia. La moglie, per espiare la colpa del marito, si uccide, mentre il
figlio si arruola nell'esercito francese ed impazzisce. Lo zio ne approfitta
e lo induce ad uccidere il padre, per prenderne il posto. Un film di
ambientazione esclusivamente rurale: l'unico riferimento all'Occidente e'
costituito dalla visita dell'ufficiale francese per riscuotere le imposte.
L'obiettivo della denuncia di Sembene e' il potere, tanto quello francese
che interferisce e scavalca quello del capovillaggio, tanto quello di questa
comunita', con le sue contraddizioni: condanna, difatti, il parricidio, ma
non l'incesto. Il 1966 e' l'anno del primo lungometraggio di Sembene e della
cinematografia africana con La Noire de... (La Nera di.., 70 minuti, b/n, 35
mm), che ha vinto il "Premio Jean Vigo", l'"Antilope d'Argento" al Festival
delle Arti Negre di Dakar e il "Tanit d'Oro" alle Giornate cinematografiche
di Cartagine. Cruda ed essenziale storia di una giovane donna senegalese che
segue i suoi padroni in Francia, dove si togliera' la vita per la
desolazione. Due anni dopo, nel 1964, dirige Mandabi (Il Vaglia, 90 minuti,
v. francese, 105 minuti, v. wolof, colore, 35 mm), vincitore di una menzione
e del "Premio internazionale della critica" alla Biennale di Venezia e del
"Premio dei cineasti sovietici" al  Festival di Tachkent, sulle peripezie di
un uomo che riceve un vaglia dal nipote, ma non puo' ritirarlo, perche'
privo di carta d'identita'. Del 1969 sono due documentari: Traumatisme de la
femme face a' la polygamie (Trauma della donna di fronte alla poligamia) e
Les derives du chomage (Gli sbandati della disoccupazione). Nel 1970 ne gira
un altro su commissione del Consiglio ecumenico delle chiese statunitensi
interessate ad un bilancio delle condizioni dei giovani senegalesi a 10 anni
dall'indipendenza: Taw (Il figlio maggiore, 24 minuti, colore, 16 mm). Si
seguono le vicende di un ragazzo alla ricerca di un lavoro, non piu'
credente e attratto dalla cultura francese. Offrono lavoro al porto, ma egli
non possiede i soldi per avervi accesso, cosi' la madre gli da' da vendere
un paio di pantaloni del padre (simbolo della spoliazione a cui e' stata
soggetta ed e' ancora sottoposta l'Africa). Il giovane non si decidera' a
compiere questo atto sacrilego per un africano e fuggira' con la fidanzata,
rimasta in cinta. Sembene fa un excursus sullo smarrimento della gioventu'
senegalese allo sbaraglio e ha dichiarato che, non soddisfatto, forse un
giorno ne fara' un lungometraggio. Nel 1971 realizza Emitai (Dio del tuono,
95 minuti, colore, 35 mm), che ha ottenuto la Medaglia d'argento al Festival
del cinema di Mosca. E' un film storico, per scrivere il quale Sembene ha
tratto spunto da una leggenda di un'eroina senegalese, An Sitoe, che si era
opposta, durante la seconda guerra mondiale, alla requisizione di riso da
parte delle truppe francesi. La pellicola narra della resistenza a questo
sopruso dell'esercito della Francia, che pretendeva la consegna delle scorte
di riso, di un villaggio joola, un popolo della regione della Casamance
presso cui il regista ha veramente effettuato le riprese. Mentre gli uomini
interrogano gli dei sul da farsi, le donne si danno, stoicamente, a una
resistenza passiva. Ancora attenzione all'universo femminile di cui viene
messa in luce la forza, celata sotto l'apparente docilita'. Dopo due
documentari di carattere sportivo del 1972: L'Afrique aux Olympiades
(L'Africa alle Olimpiadi) e Basket africain aux J. O. du Muenich R. F. A.
(Basket africano ai giochi olimpici di Monaco R. F. A), nel 1975 trae un
film dal suo romanzo Xala (L'impotenza sessuale temporanea, 90 minuti,
colore, 35 mm). E' la storia di un uomo arricchitosi vendendo i terreni un
tempo di dominio pubblico, che si sposa per la terza volta con una giovane
donna, ma e' colpito dalla xala, una forma d'impotenza temporanea (concetto
esteso simbolicamente all'intera nuova classe borghese). Guarira' solamente
dopo un rito espiatorio: verra' coperto di sputi da quella povera gente di
cui si e' preso gioco. Compaiono qui le tematiche piu' care all'autore:
l'accusa alla borghesia senegalese di aver calcato le orme di quella
francese, la poligamia con le sue implicazioni e la questione della lingua
wolof, a cui viene preferito il francese. Per questo l'opera ha subito
alcuni tagli da parte della censura del Paese. Nel 1977 porta a termine
Ceddo (Il popolo, 120 minuti, colore, 35 mm), film ambientato nel XVII
secolo che narra l'islamizzazione forzata di una comunita' gia' divisa tra
la religione animista e quella cattolica. A tutto questo si oppongono i
ceddo, gli uomini del rifiuto, che lottano contro questa imposizione. Una
forte accusa contro l'assolutismo religioso ad opera di un regista che si
dichiara materialista e ateo. Il film e' stato proibito in Senegal con la
scusa di non conformita' del titolo all'ortografia ufficiale, in verita'
perche' una sferzata contro la potente classe dei marabut. Nel 1988, insieme
a Thierno Faty Sow, realizza Camp de Thiaroye (Campo Thiaroye, 150 minuti,
colore, 35 mm), presentato alla Mostra del cinema di Venezia, vincitore del
Gran premio speciale della giuria, del Premio Unicef, del "Premio rivista
Cinema Nuovo" e del "Premio speciale Ciack d'oro". Tratta del periodo
trascorso dai "tiralleurs senegalaises" (cosi' erano chiamati i fucilieri
dell'esercito coloniale, anche se tra loro c'erano uomini provenienti da
gran parte dell'Africa) nel campo di smistamento prima del ritorno a casa,
durante il quale non verra' riconosciuto loro il giusto salario. Alla loro
rivolta pacifica i francesi risponderanno con il fuoco, compiendo una
strage. Episodio deplorevole della storia francese su cui Sembene pone
l'attenzione per fare un'"opera della memoria e dell'identita'".
Apprezzabile, caso piu' unico che raro, la produzione, nata dalla
cooperazione di Algeria, Tunisia e Senegal. Guelwaar (115 minuti, colore, 35
mm) e' del 1992: e' stato anch'esso in concorso al Festival di Venezia, in
cui ha conquistato la Medaglia d'oro della presidenza del Senato. E' la
ricostruzione della morte di un leader cattolico, promotore del rifiuto
degli aiuti internazionali che rendono l'Africa schiava e per questo ucciso,
e dell'equivoco sorto con la comunita' musulmana per la sua sepoltura.
Infatti all'obitorio e' avvenuto uno scambio di salma con quella di un'alta
personalita' musulmana, che portera' allo scontro tra le due parti. Un film
che vuole restituire al continente africano, umiliato dall'assistenzialismo,
la dignita' e la forza di risollevare da solo le sue sorti. Il suo
successivo film, Faat-Kine' (120 minuti, colore, 35 mm) e' del 1999, narra
la storia di una donna abbandonata dal marito, rimasta sola con due figli,
ai quali riuscira', con coraggio e fatica, a far terminare gli studi. In
questo film si scontrano e si incontrano diverse tipologie della societa'
africana: la nonna, la nipote e la personalita' moderna di Faat-Kine'. [Nel
2004 ha realizzato il film Moolaade']". Scritti di Ouusmane Sembene tradotti
in Italiano: Vehi-ciosane, Jaca Book, Milano 1979; Il vaglia, Jaca Book,
Milano 1980, 1997; Il fumo della savana, Edizioni Lavoro, Roma 1990; La nera
di..., Sellerio, Palermo 1991]

Fu con una poesia, Liberta', pubblicata sulla rivista marsigliese "Cahiers
du Sud", che Ousmane Sembene fece il suo pubblico debutto di scrittore. Era
il 1956, Sembene aveva trentatre' anni e alle spalle una vita accidentata,
dalla quale sarebbe stato difficile prevedere il suo futuro ruolo di
figura-guida per intere generazioni di africani. Nato in una famiglia
modesta a Ziguinchor, capoluogo di quella regione sotto ogni punto di vista
eccentrica del Senegal che e' la Casamance, cacciato a tredici anni da
scuola per insubordinazione, Ousmane Sembene aveva cominciato giovanissimo a
lavorare collezionando una serie di impieghi - meccanico, muratore,
portuale - e dimostrando una voracita' intellettuale per nulla limitata
dallo scarso livello di istruzione: libri, fumetti, film accompagnarono
costantemente questa fase di apprendistato segnata da una attivita' politica
e sindacale sempre piu' intensa, prima a Dakar e dopo la guerra - nel corso
della quale, come tanti senegalesi, combatte' in Francia contro gli
occupanti nazisti - a Marsiglia.
A determinare il passaggio alla scrittura fu un incidente sul lavoro che lo
costrinse per molti mesi all'inattivita'. Ma a quella "scuola della vita",
che avrebbe sempre rivendicato con orgoglio, il giovane autore attinse da
subito i materiali per i suoi romanzi: non a caso protagonista del primo, Le
docker noir (1956), e' uno scaricatore senegalese del porto di Marsiglia che
uccide una donna bianca, colpevole di essersi attribuita i meriti di un
libro scritto dall'uomo; mentre il secondo, O pays, mon beau peuple (1957),
ambientato in una comunita' di pescatori africani, ruota intorno alla figura
di un militare da poco congedato, costretto ad affrontare l'ostilita' del
proprio clan che non accetta il suo matrimonio con una francese. Gia' in
questi due libri emergono alcuni dei temi - il metissage, il peso della
tradizione, il rapporto fra individuo e collettivita' - che avrebbero
segnato tutta l'opera di Sembene. E' pero' con il suo terzo romanzo, Les
bouts de bois de Dieu (in italiano Il fumo della savana, Edizioni Lavoro,
Roma 1990), che Sembene compose nel 1960 quello che resta forse il suo
capolavoro, di certo un testo su cui ancora oggi si formano tanti
adolescenti dell'Africa francofona.
In questo libro, che consegna alla storia lo sciopero dei ferrovieri
senegalesi fra il 1947 e il 1948, lo scrittore mette in scena il formarsi di
una coscienza di classe e l'evoluzione della societa' africana, all'interno
della quale le donne sono destinate a occupare un ruolo centrale. Ma qui,
come nei libri (e nei film) successivi, primo fra tutti Le mandat (uscito
nel 1964 e tradotto come Il vaglia per Jaca Book nel '78), la grande forza
di Sembene consiste nel suo scompaginare le carte, nel non rinunciare alla
forza della narrazione in nome della "morale" politica, in quella
flessibilita' che lo avrebbe portato a prediligere il cinema, mezzo ben piu'
adatto dei libri per dialogare con il pubblico cui teneva di piu', quello
africano, infine nel suo umorismo caustico e per nulla allineato, con cui
avrebbe spiazzato sempre i suoi interlocutori: come l'afroamericano che,
avendogli chiesto cosa ne pensasse del mancato pentimento degli Stati Uniti
rispetto allo schiavismo, si senti' rispondere: "E chi le dice, caro amico,
che a vendere il suo bisbisnonno ai bianchi non sia stato il mio
bisbisnonno?".

2. MEMORIA. ROBERTO SILVESTRI RICORDA OUSMANE SEMBENE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 giugno 2007.
Roberto Silvestri, acuto studioso di cinema, di cinema scrive sul
"Manifesto"]

Vado al cinema per vedere cose mai viste. Parola di Man Ray. Ottimo
consiglio. E farebbe sensazione vedere, da stasera in tv, qualche film di
Ousmane Sembene, lo scrittore e cineasta senegalese d'origine operaia,
pioniere di un'arte africana indipendente, critica, saporita e di ricerca,
morto sabato 9 giugno a 84 anni.
Susciterebbe salutari strepiti. Per i temi affrontati, per i set e gli
sfondi inediti (l'"interno qualunque di una casa africana d'oggi" e'
l'invisibile per eccellenza, il tabu' estremo nei canali tv intossicati
d'esotismo), per il punto di vista appassionato, per la liberta' con la
quale, non senza humor sferzante, Ousmane Sembene fabbrica piaceri schermici
e sgretola divieti e pregiudizi (religiosi, sessuali, politici).
I suoi film, per lo piu' cucinati (metafora che usava spesso) secondo
collaudate tradizioni popolari (cioe' mai noiosi, e, se realisti,
"all'americana", alla Claude McKay) e in lingua wolof o diola, perche' l'85%
del suo pubblico e' analfabeta, altro che francofono, sono interrogazioni
complesse, senza risposte ne' proclami ("denuncio i mali dei peggiori"), che
rovesciavano astutamente i rapporti di potere bianco/nero;
comunita'/individuo; vecchio/giovane; uomo/donna, ricco/povero... Vediamole,
queste sue interrogazioni: l'ipocrisia colposa dei cooperanti bianchi? Le
noire de... ('66), primo lungo a soggetto subsahariano della storia e gia'
premio Vigo. La corruzione nelle societa' postcoloniali? Le Mandat ('68).
L'orrore aberrante delle tradizioni, quanto piu' ancestrali tanto piu'
reazionarie? Emitai ('71). L'impotenza sessuale e politica della nuova elite
al potere, al guinzaglio dell'Europa? Xala ('75). I crimini del
fondamentalismo animista, islamista e cristiano nel continente nero? Ceddo
('77), il piu' censurato. Il perfido trattamento dei soldati africani usati
prima come carne da macello e, vinto Hitler, massacrati se rivendicavano
l'eguaglianza? Camp de Thiaroye ('87). L'Islam spiegato, da un ateo, ai
neo-guerrafondai cristiani? Guelwaar ('92). Come le donne sfibrano il
machismo e rifiutano le mutilazioni genitali (tollerate in 38 dei 54 stati
del continente)? Faat Kine' - omaggio esplicito a Billy Wilder e Jerry
Rawlings - e Moolaade' (2000 e 2004).
Pensare a sinistra, per lui, come per Rossellini, e' uno scavare continuo
sotto la superficie della storia vincente, un'autopsia dallo sguardo plurale
(Autopsia d'un cinema e' il titolo dell'ultimo saggio). Con Sankara vivo il
progetto della vita, la saga anticoloniale su Samory Toure' che guida' la
resistenza armata antifrancese si sarebbe realizzata. Ma con la Francia che
controlla ormai il cinema del continente? Come Chaplin, come l'adorato von
Stroheim, il pur omaggiato (dai transalpini) Ousmane Sembene (l'intera
collezione in dvd e' appena uscita), fu via via messo in condizione di non
nuocere.
Se il nostro servizio pubblico tv ("Fuori orario" escluso), ignaro delle
responsabilita' che ha, continuera' a rimuovere giocondamente tutto questo,
come anche altri ricchi giacimenti culturali e il terzo cinema di cui il
padre del cinema africano Sembene fu esponente radicale ("ne' con Hollywood
ne' col cinema borghese d'autore"), molto piu' grave e' l'indifferenza
euro-progressista verso la "nuova sinistra" del sud (si vedano i necrologi
sbrigativi dei quotidiani "democratici" di ieri). Sembene, "soldato di De
Gaulle", fu iscritto al Pcf dalla guerra fredda fino al 1960. Le posizioni
razziste e neocoloniali del partito (e di Mosca) in Algeria lo costrinsero
all'esodo, a inventare, prima di Berkeley e del '68, con Frantz Fanon e i
panafricanisti al lavoro, W. E. B. Dubois (che incontra nel '58), N'Krumah,
Lumumba, Sankara, altri tragitti rivoluzionari piu' che comunisti
(istantaneamente repressi) mentre la macchina di Thorez-Marchais imboccava
il moderato viale del tramonto che conosciamo.
*
Nato il primo gennaio 1923, Sembene e' allevato da uno zio religioso,
scrittore dilettante, Abdu Raxman Joop, che gli insegna l'arabo, il
francese: "e a non farmi mai toubabizzare (colonizzare dall'uomo bianco),
pero' non sono credente, credo soltanto nell'uomo". Autodidatta, "il mio
training - diceva - l'ho fatto nell'universita' della strada", fa 36
mestieri, e' pescatore a 15 anni, sara' metalmeccanico Citroen. Si
trasferisce a Dakar, e' tirailleur dal '42 al '45, leader sindacale, prima
in patria poi a Marsiglia (dove arriva clandestino e per dieci anni e'
portuale). Partecipa negli anni '50 ai cortei per Vietnam e Algeria liberi e
ripudia la politica dell'assimilazione. Entra nel gruppo di Presence
Africaine e, resosi conto che "in Africa, con i libri, si raggiungono poche
persone", su consiglio di Sartre e Rouch studia cinema al Vgik di Mosca, e
negli studi Gorki, maestri Donskoi e Gherassimov. Viaggia molto (Danimarca,
Cina, Cuba...). Esordisce col corto Borom Sarret, '62; seguono L'Empire
Songhay ('63, mai distribuito), Niaye ('64), Polygamie e Probleme de
l'emploi ('69), Taw (un giovane diplomato, disoccupato a Dakar...) e i
lunghi di cui abbiamo parlato. Premiato immediatamente nei festival
internazionali, la sua celebre pipa non si perdera' piu' un'edizione di
Tunisi e Ouagadougou. "L'artista deve essere la bocca e le orecchie del
popolo. Siamo i moderni griot, lo specchio che riflette e sintetizza i
problemi, le lotte e le speranze del nostro popolo". Al "patriarca del
cinema africano" fu conferito nel gennaio 2007 il premio Nonino (in giuria
anche Ermanno Olmi e Morando Morandini), ma il cineasta era gia' malato e
non venne.
Non amava i critici ("non leggo mai cosa scrivono"), non amava le interviste
("io parlo, loro pubblicano il libro e incassano i diritti"), non amava i
giovani cineasti impertinenti (nel caso di Camp de Thiaroye) che lo
rimproveravano di aver scippato un copione altrui. Ma le sue restano le
fruste brechtiane messe piu' a segno contro lo sfruttamento e le ingiustizie
di un continente che sa farsi molto male anche da solo. Opere piu' che
realiste che aprirono la storia del cinema africano postcoloniale,
ricominciando dallo stile fertile nouvelle vague, vivisezionando e
combattendo con ogni mezzo necessario i mali dell'Africa "a sovranita'
limitata" che sono anche i nostri.

3. MEMORIA. CRISTINA PICCINO INTERVISTA OUSMANE SEMBENE (2004)
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 giugno 2007.
Cristina Piccino scrive sul quotidiano "Il manifesto", si occupa
prevalentemente di cinema, spettacolo, cultura]

L'intervista che pubblichiamo e' stata fatta un pomeriggio di sole durante
il festival di Cannes del 2004. Sembene Ousmane aveva presentato il
magnifico Moolaade' vincendo la sezione del Certain regard. E' stato quel
film anche il suo ultimo, il curatore artistico Thierry Fremaux non l'aveva
voluto in concorso, piu' che una figuraccia una scelta politica che dichiara
rapporti di forza verso la cultura critica oltralpe e non solo. Moolaade'
racconta la rivolta delle donne contro la pratica dell'escissione, il
regista lo aveva dedicato alla madre che ha vissuto lottando per
sconfiggerla. La sua Africa e' dunque un'Africa vitale, non riconciliata.
Qualcosa che nel lavoro di Sembene ha sempre disturbato.
*
- Cristina Piccino: Ha dedicato il film a sua madre, pioniera nella lotta
contro l'escissione che continua in 38 dei 54 stati nell'Unione africana. E'
dal suo insegnamento che nasce Moolaade'?
- Ousmane Sembene: Non riesco mai a spiegare con precisione come si formano
le idee in un processo creativo. Certamente il punto di partenza e' la
realta' quotidiana in cui le donne rappresentano per me l'anima
contemporanea dell'Africa. Sono loro a compiere un percorso verso nuove
consapevolezze. La protagonista del film ha subito l'escissione da
ragazzina. E' una ferita dolorosa e non solo fisicamente. Questo la spinge
ad aiutare le altre. Si e' opposta all'escissione della figlia ed e'
diventata un punto di riferimento per chi comincia a prendere coscienza
della propria individualita'. Al tempo stesso convive con la cultura della
tradizione, la poligamia... Conosco la mia societa', so come sono le donne
della mia famiglia: l'uomo pensa di occupare un certo posto e loro lo
lasciano fare cosi' si sente un maestro. Il problema riguarda la societa'
che cerca di imporre ruoli e regole. Forse anni fa da voi in Italia era la
stessa cosa.
*
- Cristina Piccino: La radio. Nel film e' un mezzo sovversivo.
- Ousmane Sembene: In Africa e' un medium molto diffuso e molto potente.
Abbiamo ancora tanti analfabeti e radio e satelliti nelle lingue nazionali
arrivano a tutti. Per questo i capi religiosi li vietano, sono un'arma di
conoscenza. In generale temono il ruolo della cultura che non sono solo i
libri ma e' sapere quanto accade nel mondo per rispondere all'oppressione.
*
- Cristina Piccino: La presenza della moschea al centro del villaggio vuole
dirci che in Africa sta dilagando l'integralismo?
- Ousmane Sembene: Non proprio. In Africa c'e' rispetto per le religioni, le
moschee hanno fatto sempre parte della societa' come le chiese cristiane.
Non e' questione di integralismi: gli uomini sono molto piu' conservatori
delle donne, utilizzano tutti i mezzi per mantenere la situazione bloccata.
*
- Cristina Piccino: Moolaade' arriva quattro anni dopo Feat-Kine'. Questo
perche' il cinema africano oggi non riesce piu' a trovare i finanziamenti?
- Ousmane Sembene: C'e' voluto un anno e mezzo di preparazione, gli attori
sono quasi tutti non professionisti, dovevano appropriarsi dei loro
personaggi. E' la lezione di Rossellini: il cinema deve essere un po' parola
e molto silenzio. Gli africani come gli italiani non stanno mai zitti,
quindi si deve lavorare per tirare fuori l'emotivita'.
*
- Cristina Piccino: Il finale del suo film e' ottimista.
- Ousmane Sembene: Penso che l'escissione finira' come altri problemi gravi
del nostro continente. Gli uomini saranno liberati dalle donne perche' ogni
conquista e' un passo avanti in cui ci guadagnano tutti. Faccio film per
l'Africa dove si affrontano temi che non vediamo trattati in altre
cinematografie. La societa' africana sta vivendo un'evoluzione, e' molto
cambiata da quando ho cominciato a fare cinema. Ecco perche' mi sembra
sempre di essere a un nuovo inizio.

4. PROFILI. GIOVANNA PROVIDENTI: AMAL EL ALIM ALSOSWA
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org).
Giovanna Providenti e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's
and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di
nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla
prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa  al Circolo Bateson di Roma.
Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a
mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il
volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha" - Libreria Editrice
Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in
volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane
Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare
la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M.
Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e
genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come
progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria
Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti; sta
preparando un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra
Alfassa e Maria Montessori, e un libro su Goliarda Sapienza.
Amat el Alim Alsoswa e' assistente del segretario generale dell'Onu,
direttrice dell'ufficio regionale dell'Undp per i paesi arabi, a capo del
programma "Millennium Development Goals"]

Dal 2006 e' assistente del segretario generale dell'Onu e direttrice
dell'ufficio regionale dell'Undp per i paesi arabi e coordina uno staff di
piu' di 500 persone attive negli uffici delle Nazioni Unite di 18 paesi
arabi, di cui uno nei territori della Palestina occupata. Inoltre e' a capo
del programma "Millennium Development Goals", rivolto alla promozione di
governi democratici ed alla costruzione di societa' sempre piu' consapevoli
e istruite.
Tiene conferenze in tutto il mondo insistendo soprattutto su un punto: per
far si' che le donne arabe emergano dalla condizione di oppressione in cui
si trovano servono certo le misure che le organizzazioni internazionali
possono mettere loro a disposizione, ma soprattutto e' importante sostenere
quello che parte da loro stesse, e mettere in luce i molti progressi che
sono gia' in corso. "L'Occidente spesso presenta la donna islamica oppressa,
controllata, discriminata, ma soprattutto negli ultimi dieci anni sono
proprio le donne che hanno cominciato a porre nuove sfide all'interno della
societa', contestando le tradizionali politiche religiose e l'uso della
religione per fini discriminatori. Sono le donne musulmane, piu' degli
uomini, ad avere il coraggio di spingere per le riforme nell'Islam e nelle
societa' islamiche", emerge dal Rapporto curato da una donna che ha
sperimentato personalmente cosa significhi trasformare se stessa affermando
i propri diritti in un contesto sociale particolarmente difficile come
quello yemenita. Amat el Alim Alsoswa e' stata la prima ministra donna dello
Yemen e l'unica ministra per i diritti umani del mondo arabo.
Navigando in internet abbiamo scoperto che e' nata in una famiglia povera di
un villaggio a 300 chilometri da Sana'a. Ultima di sette figli, orfana di
padre, Amat el Alim deve a sua madre, che non sapeva ne' leggere ne'
scrivere, non solo il fatto di essere emersa da una condizione di
oppressione, ma anche di essere diventata una persona cosi' fiduciosa e
attiva: "Mia madre - racconta in un'intervista ad Imma Vitelli - mi ha
insegnato che possiamo fare la differenza, che il mondo si puo' cambiare". E
per questo ha insistito affinche' i suoi figli studiassero ed ha sostenuto i
successi della figlia, che intanto si laureava all'Universita' del Cairo,
perfezionandosi poi con un master in comunicazione internazionale
all'American University di Washington.
Avrebbe potuto restare in America ed essere una delle tante donne arabe che
fanno carriera, a capo coperto o meno, nelle organizzazioni internazionali.
Forse sarebbe potuta ugualmente approdare agli uffici delle Nazioni Unite,
grazie alle sue capacita' di studiosa e lavoratrice. Ma Amat ha scelto una
via molto piu' spericolata: tornata nel proprio paese si mette a
collezionare tutta una serie di "firsts", divenendo la prima anchorwoman
delle tv yemenita, la prima sottosegretaria, la prima ambasciatrice e la
prima ministra dei diritti umani di uno dei paesi arabi piu' arretrati nel
mondo riguardo i diritti delle donne, che in Yemen rischiano la lapidazione
per adulterio, sono costrette a sposarsi giovanissime, dipendono interamente
dal potere del padre prima e del marito poi, e camminano interamente coperte
da un manto nero. Tra il 2000 e il 2003 Alsoswa e' stata ambasciatrice in
Svezia, Danimarca e Paesi Bassi, dove ha avuto l'incarico di rappresentare
lo Yemen per l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Dal
1997 al 1999 era stata sottosegretaria del Ministero yemenita
dell'informazione e presidente della Commissione nazionale delle donne.
Prima della riunificazione dello Yemen, aveva guidato la Yemeni Women's
Union.
Mentre Alsoswa era ministra, volendo raggiungere anche gli analfabeti (il
60% delle donne e il 25% degli uomini), aveva fatto diffondere per radio,
giornali e tv yemeniti un messaggio semplice: "Hai dei diritti, prenditeli".
Inoltre il ministero, attraverso l'istituzione di un centro di ascolto,
aveva potuto dare spazio alle denuncie di bambine costrette a sposarsi a 13
anni, gente ingiustamente imprigionata, beduini discriminati dal governo
centrale e giornalisti minacciati dal ministro dell'informazione:
"Esaminiamo ogni esposto e, legge alla mano, inoltriamo i casi ai vari
pubblici ministeri o uffici competenti. Dobbiamo educare i cittadini ad
essere coscienti dei loro diritti. Soltanto allora sapranno riconoscere gli
abusi", raccontava Alsoswa, mentre era ministra, alla giornalista Imma
Vitelli, dal cui articolo traiamo anche l'informazione che i due maggiori
partiti religiosi, Islah (Riforma) e El Haq (Giustizia) l'hanno messa
all'indice prima ancora che diventasse ministra, ai tempi in cui faceva la
sottosegretaria al ministero per l'informazione: "Un gruppo di sceicchi
emise una fatwa contro di me per dire che gli uomini non possono prendere
ordini da una donna. Alle elezioni furono puniti e persero malamente. Da
allora non e' piu' un tabu' avere una donna come capo".
Piccoli grandi risultati ai quali Amat el Alim preferisce dare piu'
importanza delle pur molte sconfitte da affrontare giorno dopo giorno.
Comprese quelle provenienti dai paesi piu' avanzati, come ad esempio gli
Stati Uniti.
"E' paradossale, non trova? - diceva ancora a Vitelli - Che io stia qui a
combattere con l'arretratezza del nostro sistema, che vada in giro a
ispezionare prigioni, a promuovere rapporti sulle condizioni di vita nelle
nostre carceri, a farmi ridere dietro perche' dico che per trasparenza
mettero' tutto su internet, e gli Stati Uniti rifiutano qualsiasi accesso e
qualsiasi diritto a centinaia di persone. L'impressione e' che noi facciamo
dei passi avanti, loro indietro".

5. RIFLESSIONE. FLAVIO LOTTI: LA PALESTINA ABBANDONATA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 giugno 2007 riportiamo il seguente
articolo, scritto prima delle ultime terribili vicende.
Flavio Lotti e' coordinatore della Tavola della pace, la principale rete
pacifista italiana, organizzatrice della marcia Perugia-Assisi]

Arriva Bush a Roma, e proprio per questo non dimentichiamo la ferita aperta
del Medio Oriente. E con le parole di David Grossman: "Domandatevi se non
sia arrivata l'ora di riscuoterci dalla paralisi". Era il 5 giugno 1967.
Israele, in un clima di crescenti tensioni con il mondo arabo, lanciava un
"attacco preventivo" contro l'Egitto, la Siria, l'Iraq e poi la Giordania e
in sei giorni occupa le alture del Golan, la Striscia di Gaza, il Sinai,
Gerusalemme e la Cisgiordania. Sei mesi piu' tardi, il Consiglio di
Sicurezza dell'Onu adottava la Risoluzione numero 242 che conferma
l'inammissibilita' dell'acquisizione di territori con la forza militare,
chiede a Israele di ritirarsi dai territori occupati, ribadisce il diritto
di tutti gli Stati della regione di vivere in pace all'interno di confini
sicuri e riconosciuti e sollecita una giusta soluzione del problema dei
rifugiati.
L'occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza compie
in questi giorni quarant'anni e invita il mondo intero a riflettere. Com'e'
possibile che una simile tragedia abbia potuto trascinarsi cosi' a lungo?
Com'e' stato possibile un cosi' clamoroso fallimento della comunita'
internazionale? Com'e' stato possibile accettare che questo accadesse? Sono
domande forti che investono centinaia di governi e parlamenti, decine di
migliaia di uomini politici, istituzioni internazionali: dove eravate mentre
accadeva tutto questo? Come avete fatto a non sentire le disperate grida di
aiuto dei bambini, delle donne e degli uomini che hanno vissuto l'angoscia e
le sofferenze infinite inflitte da questa lunghissima guerra?
Sono domande gravi che scuotono la coscienza umana. Eppure, ancora oggi, ci
sono governi e forze politiche che continuano a trattare questa tragedia
come se fosse una storia infinita, come se avessimo tutto il tempo a
disposizione. In realta' di tempo ce n'e' sempre meno e lo spazio per
intervenire si fa sempre piu' stretto. Da anni invochiamo la pace in Medio
Oriente ma la guerra ha continuato a fare strazio di appelli e di vite
umane. E' dunque venuto il tempo di cambiare atteggiamento. Basta con le
invocazioni. Basta con gli appelli alla buona volonta'. Smettiamola di
chiedere agli israeliani e ai palestinesi di fare qualcosa. Ma noi cosa
stiamo facendo? Cosa sta facendo il nostro governo? E il parlamento? La
lunga scia di sangue e di sofferenze che segna la Terra Santa ha molti
responsabili e tra questi ci siamo anche noi. Noi che alziamo le mani, noi
che giriamo le spalle, noi che fingiamo di non sentire.
Lo scorso 18 novembre, a Milano, insieme ad oltre cinquantamila persone,
organizzazioni ed enti locali abbiamo promosso una grande manifestazione per
sollecitare una nuova decisa iniziativa dell'Italia. E ancora oggi, mentre
ci prepariamo a marciare nuovamente da Perugia ad Assisi (la marcia si
svolgera' domenica 7 ottobre dopo una settimana nazionale di mobilitazione)
sentiamo la responsabilita' di sollecitare con forza il nostro governo a
fare di piu' e meglio.
Noi chiediamo all'Italia, che siede nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, di
mettersi alla guida di tutti quei paesi che intendono impegnarsi per dare
una soluzione definitiva al conflitto israelo-palestinese. L'Italia deve
assumere un'iniziativa politica nuova e coraggiosa tesa a promuovere la
ripresa del dialogo e del negoziato a tutto campo, cogliere le opportunita'
offerte dalla formazione del nuovo governo palestinese di unita' nazionale e
dal piano di pace presentato dai paesi arabi. L'Italia deve sollecitare la
ripresa dei finanziamenti all'Autorita' palestinese e organizzare, insieme
alla rete degli enti locali e delle organizzazioni della societa' civile,
una grande azione umanitaria per portare soccorso alle popolazioni di Gaza e
dei villaggi palestinesi, alleviare le sofferenze quotidiane delle persone,
dei piu' deboli e vulnerabili, rigenerare la speranza e la fiducia tra i
giovani di entrambi i popoli.
Nei limiti delle possibilita' di ciascuno, ci dobbiamo sentire tutti
impegnati a collaborare al successo di questa che e' una grande sfida
politica, umana e culturale. C'e' molto da fare per ciascuno di noi, per il
mondo dell'informazione e della cultura, per le organizzazioni della
societa' civile e per i movimenti, per le organizzazioni sindacali e per
quelle religiose. Non attardiamoci ancora.

6. LIBRI. CLARA JOURDAN PRESENTA "DONNE IN RELAZIONE" DI MARIA-MILAGROS
RIVERA GARRETAS
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it).
Clara Jourdan, prestigiosa intellettuale femminista, e' particolarmente
impegnata nelle esperienze  della Libreria delle donne di Milano e della
rivista "Via Dogana".
Maria-Milagros Rivera Garretas, pensatrice femminista, storica, docente
universitaria di Storia medioevale a Barcellona, animatrice del Centre de
recerca de dones e della rivista "Duoda", da anni collabora con la rivista
italiana "Via Dogana" e con la comunita' filosofica femminile Diotima. Dalla
rivista "Via Dogana" riprendiamo la seguente scheda di presentazione:
"Maria-Milagros Rivera Garretas vive a Barcellona, dove insegna Storia
medievale all'Universita', portando la sua passione ben oltre le mura
dell'istituzione. La rete di relazioni che ha saputo creare con il Centre de
recerca de dones e con la rivista 'Duoda' si e' allargata alla Rete mondiale
con un master on line e con un cd-rom sulle memorie di Leonor Lopez de
Cordoba, la prima autobiografia conosciuta in lingua spagnola di una donna
vicina alla regina di Castiglia tra il 1404 e il 1412. In italiano possiamo
leggere Nominare il mondo al femminile (trad. di Emma Scaramuzza, Editori
Riuniti 1998). Da anni ha un intenso rapporto di scambio con 'Via Dogana' e
con [la comunita' filosofica femminile] Diotima, anche come traduttrice: e'
in gran parte a lei che dobbiamo la conoscenza nei paesi di lingua spagnola
del pensiero italiano della differenza sessuale". Tra le opere di
Maria-Milagros Rivera Garretas: Nominare il mondo al femminile, Editori
Riuniti, Roma 1998; Mujeres en relacion. Feminismo 1970-2000, Icaria
Editorial, 2003, edizione italiana Donne in relazione. La rivoluzione del
femminismo, Liguori, Napoli 2007; La diferencia sexual en la historia,
Universitat de Valencia, 2005]

Maria-Milagros Rivera Garretas, Donne in relazione. La rivoluzione del
femminismo, Liguori, Napoli 2007, euro 11.
Donne in relazione racconta il femminismo che ha vissuto l'autrice dagli
anni Settanta in poi e insieme offre nuovi punti di vista su questioni
urgenti di oggi. Per esempio, fa pensare all'attuale immigrazione in Europa
quando mostra che a fondamento della civilta' c'e' lo scambio femminile:
"Spostandosi da un paese all'altro, le donne hanno reso multiculturale la
cultura con i doni del tempo e della parola". Sul doloroso problema del
maltrattamento domestico, viene aperta una prospettiva originale, che mette
l'accento sulla "dignita' della donna maltrattata", il cui enigma "incarna
la capacita' di essere due del corpo femminile, anche quando le cose vanno
male". Un libro in cui il pensiero della differenza sessuale guadagnato dal
movimento delle donne e' messo al lavoro anche su temi attuali e
controversi, riuscendo in poche pagine a darci chiavi di lettura per una
intelligenza piu' profonda del mondo in cui viviamo.
Maria-Milagros Rivera Garretas vive a Barcellona dove insegna Storia
medievale. Ha creato una fitta rete di relazioni tra donne partendo dal
Centre de recerca de dones e attraverso la rivista "Duoda". Da anni ha un
intenso rapporto di scambio con la rivista "Via Dogana" e con la comunita'
filosofica femminile Diotima.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 122 del 16 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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