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Nonviolenza. Femminile plurale. 108
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 108
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 14 Jun 2007 11:20:41 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 108 del 14 giugno 2007 In questo numero: 1. Paisley Dodds: Storia di Banaz 2. Giuliana Sgrena: Ma non dovevano liberare le donne dal burqa? 3. Luisa Muraro: C'e' una vescova a Roma 4. Ida Dominijanni presenta "Orrorismo" di Adriana Cavarero 5. Caterina Ricciardi presenta "La madre che mi manca" di Joyce Carol Oates 1. MONDO. PAISLEY DODDS: STORIA DI BANAZ [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il segunte articolo di Paisley Dodds. Paisley Dodds e' giornalista dell'Associated Press] Londra. Un padre che ha ordinato il brutale assassinio della figlia perche' questa si era innamorata dell'uomo "sbagliato", organizzando uno dei cosiddetti "delitti d'onore", e' stato riconosciuto colpevole di omicidio lunedi' scorso. Banaz Mahmod, la giovane donna uccisa, aveva vent'anni: e' stata strangolata con un laccio da scarpe, rinchiusa in una valigia e con essa bruciata nel giardino dietro casa. La morte di Banaz e' l'ultimo episodio in una tendenza crescente di tali omicidi in Gran Bretagna. Piu' di cento casi sono al momento investigati quali potenziali "delitti d'onore". Mahmod Mahmod, il padre cinquantaduenne, e suo fratello Ari Mahmod, cinquantunenne, pianificarono l'assassinio durante un incontro familiare. Altri due parenti hanno confessato la propria colpevolezza, mentre altri due ancora sono fuggiti dal paese. Gli uomini della famiglia accusavano la giovane donna di averli "svergognati" perche' aveva messo fine ad un matrimonio impostole con un uomo violento che abusava di lei, e perche' si era successivamente innamorata di un uomo che non proveniva dal villaggio iracheno di cui la famiglia e' originaria. I Mahmod, curdi, arrivarono in Gran Bretagna nel 1998, quando Banaz aveva undici anni. Secondo la testimonianza della sorella ventiduenne, Bekhal Mahmod, Banaz veniva picchiata dal padre perche' usava "cose occidentali" come la lacca per capelli, e lo zio l'aveva minacciata di "ridurla in cenere" per la sua relazione con un curdo iraniano. Banaz era fuggita di casa quando era adolescente, ma vi fece ritorno quando suo padre le invio' un nastro registrato in cui minacciava di uccidere non solo lei stessa, ma la madre e le sorelle. In seguito, fini' in ospedale dopo essere stata picchiata dal fratello. Il fratello ha ammesso di essere stato pagato dal padre per "finire" Banaz, ma non riusci' a portare a termine il compito. La sorella Bekhal ha suffragato questa testimonianza davanti alla corte, completamente coperta da un burqa nero, ed ha attestato che anch'essa temeva costantemente per la propria vita. Gli anni di sofferenza di Banaz Mahmod hanno avuto la complicita' della polizia, che sottovalutava le sue richieste d'aiuto. Banaz ando' per la prima volta dalla polizia nel dicembre 2005, dicendo che suo zio stava tentando di uccidere lei ed il suo ragazzo. In seguito mando' alla polizia una lettera in cui indicava con nome e cognome gli uomini che poi in effetti l'avrebbero uccisa. L'ultimo dell'anno fu attirata da suo padre nella casa della nonna, dove la forzo' a bere del brandy e infine le si avvicino' indossando i guanti con cui voleva strangolarla: Banaz fuggi' gettandosi da una finestra e fu di nuovo ricoverata in ospedale. La polizia ritenne infondati i suoi sospetti ed uno degli ufficiali, attualmente sotto processo, considero' la possibilita' di incriminarla per aver danneggiato la finestra della casa della nonna. Quando fu dimessa dall'ospedale torno' a casa e tento' di convincere i familiari che aveva smesso di vedere il giovane curdo iraniano. Ma degli "amici" riferirono alla famiglia di aver scorto la coppia insieme il 22 gennaio 2006. Subito dopo, alcuni uomini tentarono di caricare di forza in un'automobile il ragazzo e fu questo episodio che spinse Banaz a rivolgersi di nuovo alla polizia. Questa volta le fu offerto di andare in un rifugio, ma la giovane rifiuto' credendo che la madre l'avrebbe protetta. Invece i genitori la lasciarono sola in casa il giorno dopo. Il suo ragazzo avverti' la polizia dopo che Banaz aveva mancato di mandargli all'ora stabilita il messaggio concordato. Il corpo di Banaz non fu scoperto che tre mesi dopo, grazie alle intercettazioni telefoniche. 2. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: MA NON DOVEVANO LIBERARE LE DONNE DAL BURQA? [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 giugno 2007. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005] Chi aveva detto che andava a bombardare l'Afghanistan per liberare le donne dal burqa? Non solo Bush non le ha liberate dall'ingombrante fardello ma ha garantito il potere ai signori della guerra che, tra l'altro, mettono a tacere le donne eliminandole fisicamente. Due giornaliste afghane sono state assassinate in una settimana. L'ultima della lista e' Zakia Zaki, di Parwan, a nord di Kabul, direttrice di Radio pace. Ma chi ha aiutato Zakia a realizzare l'emittente, che da' voce alla gente comune e alle donne, non ha potuto proteggerla da chi non vuole la pace e non vuole riconoscere i diritti delle donne. E non sono solo i taleban. Peraltro Zakia aveva iniziato il suo lavoro di giornalista prima ancora della caduta dei taleban: Parwan era sfuggita al controllo degli studenti di teologia. Ma la giornalista, che insieme alla liberta' di espressione difendeva il diritto allo studio delle donne (negato per legge dal presidente Karzai a quelle sposate), era anche direttrice di una scuola a Jabal al Siraj. E soprattutto, durante i lavori della Loya Jirga (il parlamento, che allora era una sorta di costituente) nel 2003, aveva denunciato i crimini dei signori della guerra. Un gesto imperdonabile. Che e' costato l'espulsione dalla Loya Jirga a un'altra giovane donna coraggiosa, Malalai Joya, eletta nella provincia di Farah. Dopo essere stata picchiata e minacciata di stupro all'interno del parlamento, e' stata espulsa (per aver paragonato la Loya Jirga a uno zoo), ora non puo' lasciare il paese e rischia di perdere la protezione. Quel che potrebbe succedere e' facilmente immaginabile. Malalai come Zakia, e altre donne che ci hanno fatto conoscere un Afghanistan diverso da quello dei signori della guerra e della droga, sembrano non avere cittadinanza nel proprio paese. Il pretesto della guerra al terrorismo lanciata da Bush ha legittimato un regime sanguinario, fondamentalista e corrotto (purtroppo sostenuto anche dall'Italia, con l'esercito e lauti finanziamenti) che non ha nulla a che vedere con le aspirazioni del popolo afghano, che pure aveva sperato in un aiuto dell'occidente. Abbiamo bisogno di una protezione per non essere eliminati, ci ha detto recentemente Malalai Joya, auspicando pero' un ruolo diverso dell'occidente con un'assunzione di responsabilita' da parte dell'Europa per porre fine all'aggressione americana. Se l'uccisione di Zakia dimostra l'efferatezza con cui gli ex mujahidin continuano a combattere la loro "guerra santa" (piu' per il potere che per dio) non meno allarmante e' l'assassinio di Shakiha Sanga Amaaj, 22 anni, conduttrice della tv privata Shamshad, che sarebbe stata uccisa per aver rifiutato una proposta di matrimonio. E' l'altra faccia della medaglia: le donne non possono scegliere, vengono date in sposa giovanissime e se hanno la possibilita' di rifiutare vengono uccise, altrimenti, spesso ricorrono al suicidio. Sono centinaia i casi ogni anno. Il suicidio e' l'ultima scelta per una donna che non ha altro modo per sfuggire agli abusi, ammette Sima Samar, presidente della Commissione indipendente per i diritti umani, gia' accusata di apostasia. 3. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: C'E' UNA VESCOVA A ROMA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo intervento di Luisa Muraro. Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Si', a Roma, nel centro del cattolicesimo, c'e' una vescova, si chiama Teodora. Il nome fa pensare che venga da Oriente, ma a Roma non e' affatto una straniera e non vive nascosta, io l'ho vista in una chiesa insieme ad altre signore, tutte calmamente sedute, intente forse a parlare o a celebrare una liturgia. La chiesa e' quella di Santa Prassede, si trova vicino a Santa Maria Maggiore, in una stretta traversa a destra di via Merulana. La notizia e' nuova ma il fatto e' antico, perche' la vescova Teodora si trova in quell'edificio fin dalle origini, piu' di mille anni fa, in un mosaico che la mostra in compagnia di Maria, madre di Dio, di santa Prassede e altre. "Theodora Episcopa" si legge vicino alla figura di lei, rivestita con abiti degni del suo sacro ministero. Ho voluto far conoscere la notizia su internet perche' l'anticlericalismo (che ha le sue ragioni, ma non esageriamo) a volte ci acceca e c'impedisce di vedere che la Chiesa cattolica ha una storia lunga e ricca: quello che il passato ci racconta con quel bellissimo mosaico, e' certo che tornera', forse molto prima di quel che pensiamo. Anzi, in un certo senso e' tornato, per ora solo in un alcune Chiese separate, come quella delle Valdesi, secondo la loro concezione del ministero episcopale. La mia ricetta e': avere fiducia nello "spirito santo" (quello originario, non quello di Hegel, ma un rapporto c'e' fra i due) e prendere a modello le grandi signore del passato. 4. LIBRI. IDA DOMINIJANNI PRESENTA "ORRORISMO" DI ADRIANA CAVARERO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 giugno 2007 riprendiamo il seguente articolo li' apparso col titolo "Il criterio dell'inerme", col sommario " L'inadeguatezza dei concetti moderni della guerra e del terrorismo impongono un salto di paradigma per interpretare la violenza globale. 'Orrorismo', la provocatoria proposta di Adriana Cavarero", e con la scheda "Fra due sponde. Il corpo, lo sguardo, la voce. Filosofa della politica, esponente di spicco del pensiero della differenza sessuale italiano, Adriana Cavarero insegna all'universita' di Verona e in varie universita' americane. Di questa collocazione a cavallo fra il dibattito europeo e quello americano Orrorismo (Feltrinelli, 14 euro) risente positivamente. Fra i suoi precedenti lavori, Nonostante Platone (la Tartaruga), Corpo in figure. Filosofia e politica della corporeita', Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, A piu' voci. Filosofia dell'espressione vocale (tutti Feltrinelli)". Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005. Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all’Università di Verona; dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato dal Center for Digital Discourse and Culture at Virginia Tech University (www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume [che abbiamo parzialmente aggiornato]: a) libri: Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984; L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento 1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990 (traduzione tedesca: Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei, Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997; Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999; A piu' voci. Filosofia dell'espressione vocale, Feltrinelli, Milano 2003; Orrorismo, Feltrinelli, Milano 2007. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980, pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp. 705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp. 173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991); "Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica, Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111; "Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp. 187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita, a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B. Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp. 15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994, pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp. 15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia Stoller und Helmuth Vetter, Wuv-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226; "Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino 1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225] I bambini iracheni dilaniati da un attentatore suicida a Baghdad il 12 luglio 2005. Gli invitati a un matrimonio di un villaggio iracheno al confine con la Siria, massacrati il 19 maggio 2004 dai missili lanciati "per sbaglio" dagli americani. La giovane kamikaze cecena di nome Ajza di cui, dopo l'autoesplosione, il padre raccoglie in un sacchetto cio' che resta, cioe' la testa coi capelli arruffati, una spalla e un dito. La donna con una maschera di garza sul viso che e' diventata l'icona fotografica degli attentati di Londra del 7 luglio 2005. I diciotto civili annientati a Damadola, Pakistan, il 14 gennaio 2006, in un prolungamento della guerra contro l'Afghanistan, da aerei americani senza pilota telecomandati da una base del Nevada. Le teste dei sequestrati occidentali mozzate davanti alla telecamera dalle bande irachene. I corpi umiliati a Abu Ghraib davanti alla macchina fotografica dalle torturatrici americane. Si muove fra questi e altri materiali di quel sequel dell'orrore che e' il nostro presente il nuovo libro di Adriana Cavarero, un titolo - Orrorismo - che e' un programma. "Orrorismo" e' una parola inesistente nel vocabolario italiano, orrenda e respingente come quello che, nelle intenzioni dell'autrice, vuole significare. Che cosa? Il salto di scala che la violenza sugli inermi sta compiendo nel teatro globale del terrorismo e della guerra. "Un neologismo - scrive Cavarero - e' sempre un azzardo, e quando sia coniato a tavolino lo e' ancora di piu'". Se decide di giocarlo, e' perche' i nomi tradizionali non bastano piu' a dire la realta'; la lingua va in scacco di fronte all'impazzimento dei fatti, e con la lingua il pensiero. Che i concetti della tradizione politica moderna non bastassero piu' a interpretare il presente fu improvvisamente chiaro l'11 settembre del 2001, davanti a quei quattro aerei-kamikaze nei cieli americani che piu' che un atto di terrorismo sembravano configurare una dichiarazione di guerra. E divenne ancor piu' chiaro un anno dopo, quando la National Security Strategy di Bush delineo' quel teorema della "guerra preventiva" che faceva carta straccia di tutte le definizioni e regolamentazioni della guerra convenzionale. Del resto, seguendo i tracciati di genealogia dei concetti moderni di guerra e terrorismo che Cavarero ricostruisce, si capisce che l'arte della distinzione esercita dalla filosofia politica e dalla scienza giuridica non ha mai retto granche' alla prova della storia: se e' vero che il paradigma della guerra regolare fra stati era gia' stato messo in mora nel Novecento dai combattenti irregolari, come comprese Carl Schmitt nella Teoria del partigiano gia' all'inizio degli anni Sessanta; e se e' vero che la definizione di terrorismo come forma criminale di violenza incompatibile con la guerra convenzionale e' messa in mora ab origine dal carattere statuale di tutti i regimi del terrore, da quello giacobino in avanti. Ma oggi piu' che mai, di fronte a "guerre regolari" che fanno dello sterminio dei civili la norma e a un terrorismo "irregolare" che agisce su scala planetaria, quell'arte della distinzione vacilla e si perde nel comune teatro della devastazione. Dove tuttavia, se "sul piano della macelleria la bilancia pende decisamente dalla parte della guerra e della sua propensione a tecnologizzare il massacro", sul piano concettuale va invece al terrorismo il primato di una doppia innovazione - l'uso del corpo suicida per uccidere altri corpi, e l'individuazione dell'obiettivo in chiunque, ovunque e in qualsiasi momento - che fa la differenza dal passato. Il salto di scenario comporta dunque un salto di paradigma interpretativo, contro l'ostinazione sia degli specialisti sia dei mass-media a leggere quello che accade con lo schema usurato della guerra fra stati (o di provvisorie deroghe a quello schema). La chiave dell'orrorismo proposta da Cavarero apre invece almeno due porte. Per un verso, punta lo sguardo sull'orrore come ingrediente centrale, e non collaterale, sia della guerra sia del terrorismo di oggi: per orrore intendendosi il salto dell'obiettivo dalla morte al massacro del nemico, e dalla sua sconfitta alla sua disumanizzazione attraverso lo sfiguramento del suo corpo e della "singolare umanita'" che ogni corpo racchiude. Per l'altro verso, la chiave dell'orrorismo domanda uno spostamento del punto di vista: dal criterio del guerriero, dominante nei paradigmi tradizionali e della guerra e del terrorismo, al criterio della vittima inerme - spostamento che a sua volta comporta l'abbandono della logica mezzi-fini come bussola di valutazione politica della violenza e dei suoi effetti. * Non si tratta solo - solo? - di sostituire alla centralita' del carnefice la centralita' della vittima. Nel "criterio dell'inerme" proposto da Cavarero precipita una piu' ampia riflessione filosofica, non a caso femminile, che dall'11 settembre in poi accompagna la rilettura del mondo globale, dei suoi dispositivi di dominio, delle sue strutture politiche ed economiche, con una rilettura dell'ontologia del presente incentrata su un ripensamento dell'umano, in contrapposizione ai processi di disumanizzazione innescati dalla violenza globale. Di questo ripensamento, la vulnerabilita' e l'esposizione di ciascuno/a all'altro (alla violenza e alla cura dell'altro) sono perni cruciali, comuni a Adriana Cavarero, a Judith Butler (Vite precarie, Meltemi; Critica della violenza etica, Feltrinelli) e a quante altre abbiano elaborato lo shock dell'11 settembre prima e della guerra poi non nella logica della ritorsione o della vendetta ma nell'apertura alla vulnerabilita' e all'interdipendenza come condizione che accomuna la popolazione del pianeta globale. Nel libro di Cavarero la figura dell'inerme - di chi cioe', ontologicamente vulnerabile, e' anche contingentemente privo di mezzi per difendersi - prosegue e completa questo tracciato. E si sporge non solo sul presente, ma, sulla scia di Hannah Arendt e di Primo Levi, anche sul passato, nella stazione su Auschwitz e sui metodi pianificati di annientamento dell'umano nei campi di sterminio che in un libro sull'orrore non poteva mancare, e in altre stazioni che ripercorrono le tappe dell'orrore novecentesco, dal genocidio degli armeni a Hiroshima, dal Vietnam al Ruanda ai Balcani. Lo scopo non e' iconografico - un'ennesima galleria degli orrori, e' il caso di dire - e l'intenzione non e' di marca "buonista"; si tratta piuttosto di una ruvida convocazione a interrogarci sulle poste in gioco ultime e ultimative del presente, che non si risparmia una decisa presa di distanza sia dai paradigmi etico-politici che giustificano la violenza estrema sulla base di "piu' alti" valori (la retorica dell'eroe), sia dalle correnti culturali che da Bataille in poi hanno associato alla guerra il sublime, l'erotismo e il godimento, sia da una certa deriva della psicoanalisi che ha fatto della pulsione di morte freudiana un criterio di naturalizzazione della violenza. Sia ancora, last non least, da qualsivoglia visione salvifica del femminile, che in questo libro viene al contrario interrogato nelle sue maschere orrorifiche piu' sintomatiche: dalle figure mitiche di Medusa e di Medea a quelle contemporanee delle suicide bombers cecene e palestinesi e delle torturatrici di Abu Ghraib. Nessuna delle quali va interpretata come eccezione dalla "retta via" del femminile che mette al mondo, cura e accudisce, bensi' come il suo inquietante rovescio: perche' e' proprio quando l'orrore assume un volto femminile che la deriva verso la messa a morte e la disumanizzazione arriva al suo limite estremo. Da questo limite, il corpo torna a interrogare la politica. In un testo di qualche anno fa, Corpo in figure, Adriana Cavarero aveva egregiamente descritto il processo di astrazione che lungo tutta la storia del politico occidentale neutralizza il corpo singolare per metaforizzarlo e disciplinarlo nella figura del corpo politico. Uno degli effetti imprevisti del presente globale e' che il corpo sembra oggi presentarci il conto di questo processo di neutralizzazione e metaforizzazione, ripresentandosi nella forma - e nella forza - irriducibile di un corpo-arma, che non punta a preservarsi dalla morte ma a uccidere uccidendosi; o nella forma di un corpo messo a nudo, umiliato, sadomasochisticamente deriso e orgiasticamente fotografato com'e' accaduto a Abu Ghraib. La spettacolarizzazione, anzi l'intrinseca mediaticita' di queste figurazioni contemporanee del corpo non deve fare velo - qui Cavarero e' in sintonia con Susan Sontag - alla materialita' della sofferenza inflitta e autoinflitta. Ma e' pur sempre dal corpo che viene, in forma di sintomo, un'indicazione al pensiero. Se e' il volto di Medusa la maschera estrema dell'orrore, l'antico mito racconta di una specularita' dello sguardo, di una reciprocita' del vedere e dell'essere visto, intrinseche alla sua produzione: "C'e' a quanto pare, nell'orrore, un faccia a faccia che non puo' essere evitato". La politica dell'orrore non riguarda mai solo l'altro: dal volto dell'altro, implacabilmente ci guarda e ci interpella. 5. LIBRI. CATERINA RICCIARDI PRESENTA "LA MADRE CHE MI MANCA" DI JOYCE CAROL OATES [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 giugno 2007. Caterina Ricciardi e' saggista e docente di lingue e letterature angloamericane all'Universita' di Roma Tre; si e' occupata di modernismo americano (Gertrude Stein, Djuna Barnes, F. Scott Fitzgerald, Wallace Stevens, W. C. Williams, William Faulkner, Ezra Pound) e di postcolonialismo. Opere di Caterina Ricciardi: The Lost generation, Liguori, 1978; Poesia canadese del Novecento, Liguori, 1986; Eikones. Ezra Pound e il Rinascimento, Liguori, 1991; Northrop Frye o delle finzioni supreme, Edizioni Empiria, 1992; (a cura di, con Valerio M. De Angelis), Voci dagli Stati Uniti. Prosa, poesia, teatro del secondo Novecento, Universita' La Sapienza, 2004; (a cura di, con Sabrina Vellucci), Miti americani oggi, Diabasis, 2006. Joyce Carol Oates (Lockport, New York, 1938), e' una delle maggiori scritrici nordamericane viventi, autrice di oltre 70 volumi, insegna nel dipartimento di scrittura creativa all'Universita' di Princeton. Tra le opere di Joyce Carol Oates disponibili in italiano: Un'educazione sentimentale, e/o, Roma 1989; Marya, e/o, Roma 1990; Figli randagi, e/o, Roma 1994; Notturno, e/o, Roma 1996; Zombie, Tropea, Milano 1996; Perche' sono uomini, Tropea, Milano 1998; Nel buio dell'America, Sellerio, Palermo 1999; Blonde, Bompiani, Milano 2000; La ballata di John Reddy Heart, Tropea, Milano 2001; Acqua nera, Net, Milano 2002; Bruttona & la lingua lunga, Mondadori, Milano 2002; Bestie, Mondadori, Milano 2002; Una famiglia americana, Tropea, Milano 2003; Figlie e mari, Tropea, Milano 2003; L'eta' di mezzo, Mondadori, Milano 2003; Misfatti. Racconti di trasgressione, Bompiani, Milano 2003; Stupro. Una storia d'amore, Bompiani, Milano 2004; Ragazze cattive, Net, Milano 2004; Un giorno ti portero' laggiu', Mondadori, Milano 2004; Storie americane, Tropea, Milano 2005; Occhi di tempesta. Vuoi davvero conoscere la verita'?, Mondadori, Milano 2005; Le cascate, Mondadori, Milano 2006; La madre che mi manca, Mondadori, Milano 2007] "Controllo imposto sulla passione": cosi' Joyce Carol Oates descrive il suo metodo di scrittura. Una prima stesura di getto e poi la revisione, fino a raggiungere il risultato immaginato. Di solito l'opera, cosi' completata, restera' chiusa in un cassetto per diversi mesi, persino un anno, in attesa che lieviti per l'ultimo ritocco prima della pubblicazione. Molto prolifica - dal 1963 ha al suo attivo un centinaio di titoli fra romanzi, racconti, saggi - Oates lavora dunque contemporaneamente su piu' fronti (inclusi l'insegnamento a Princeton, e le consulenze sul pugilato, sport del quale e' esperta e a cui ha dedicato un libro), muovendosi su un territorio ormai familiare ai suoi lettori. L'ambientazione e' in genere perimetrata - e di recente in modo piu' sistematico - nella zona settentrionale dello Stato di New York, fra Rochester, Buffalo e Niagara Falls, sulle rive del Lago Ontario, al confine col Canada, luoghi che conosce dalla nascita (a Lockport nel 1938, da famiglia modesta di origini irlandesi), densi di memorie di storia coloniale, su cui va sovrapponendo una sua saga ossessiva intesa a scavare, spesso impietosamente, negli ultimi quattro decenni del secolo scorso. Momenti e situazioni ordinari o cruciali di quella che allora si mostrava come una ormai non piu' perfetta famiglia-societa' americana prendono corpo nelle sue pagine offrendo un panorama sofferto, poco edificante nell'esposizione delle fenomenologie grottesche che l'America sembra avere coltivato inconsapevolmente nel profondo delle proprie viscere. Alla narrativa di Joyce Carol Oates non e' estraneo un elemento "gotico", rielaborato da una tradizione che viene dal sud degli Stati Uniti e ha come suoi rappresentanti principali Poe, Faulkner, Flannery O'Connor; ma la scrittrice la situa in un'area del paese e in un tempo molto diversi. E diversa e' anche l'elaborazione della materia che il mondo offre all'artista: la crisi dell'individuo di fronte alle complessita' della fine del secolo, la dialettica fra una sorta di nuovo determinismo, riconosciuto ai livelli piu' elementari dell'esistenza, e gli spazi della liberta' e della volonta' umana, secondo temi propri all'etica calvinista. Si apre cosi', alla Oates, il sipario appropriato per una lettura tragica della vita americana in un'era che, a partire dagli anni '50, scivola via via nelle maglie di allucinati scompensi. Sono elementi, questi, ricercati nelle variegate mediocrita' della provincia, nei conflitti di razza e di religione, nel proletariato urbano (come nel celebre Them, sulla Detroit del 1968), nei clan del potere e della politica, (descritti in Acqua nera, dove si parla del pantano in cui nel 1969 fini' Ted Kennedy), o del cinema (come in Blonde), nel mondo accademico, nei residui di una cultura rurale, nei paradisi artificiali dei ricchi, nello sconquasso doloso del sistema ecologico. In questi contesti prende a dominare una precisa metafisica di attrazione-repulsione verso la violenza, sia privata - quella che si consuma all'interno delle famiglie - sia del corpo sociale e istituzionale. L'importante per Joyce Carol Oates e' obbedire all'impulso, a quella sorta di chiamata che impone di scrivere, descrivere, rappresentare la realta' cosi' come le circola con prepotenza nelle vene, nella testa, nei sogni, fino a che quel vissuto pubblico pretende di tornare alla luce ricomposto nelle pagine di un libro o di una rivista (si contano circa settecento suoi racconti, alcuni memorabili). Cosi', una operazione di scrematura si rende indispensabile: lo ammette persino la stessa scrittrice che, pero', pur correndo per il Nobel, guarda serenamente al busillis quantita'-qualita'. * In Italia la Oates e' una scoperta relativamente recente per il mercato editoriale, forse anche sulla spinta di Blonde, quel romanzo-documento fiume su Marilyn Monroe, pubblicato da Bompiani nel 2000. Negli anni '90 le edizioni e/o (con Un'educazione sentimentale, Marya, Notturno) e Tropea (Zombie, Perche' sono uomini) avevano cominciato a pescare in un canone gia' trentennale, mentre ora e' la Mondadori e essersi impegnata nel tenere il passo con gli appuntamenti orditi dalla mano esperta e veloce della scrittrice americana. Ecco dunque apparire con ritmo piu' serrato: Bruttona e la lingua lunga (2002), L'eta' di mezzo (2003), Mike Tyson (2003), Un giorno ti portero' laggiu' (2004), Tu non mi conosci (2006, racconti), il piccolo capolavoro Bestie (2002), e quello che possiede lo slancio per essere un libro ben piu' grande, Le cascate (2006). Mentre negli Stati Uniti esce il dodicesimo romanzo che la Oates ha scritto in questo secolo, The Gravedigger's Daughter, in Italia si pubblica l'ottavo, La madre che mi manca (traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani, Mondadori, pp. 454, euro 19,00), romanzo non privo di cedimenti e dedicato a Caroline Oates. Ambientato nel 2004 a Mt. Ephraim, gia' sfondo del piu' solido Una famiglia americana (Tropea 2003), il libro mette in scena il ritratto di una famiglia qualsiasi, nella quale si rispecchia quella facciata tranquilla e pulita del tessuto culturale americano che pare appena ritoccata - nell'era di Bush - sul ricordo dell'immagine che quella facciata mostrava nei lontani anni di meta' secolo. Assieme a un contorno di figure stereotipe, qui entrano in scena una figlia un po' punk e ribelle, un'altra, la maggiore, piu' posata e borghesemente integrata nei resti del benessere della "Grande Societa'", un padre introverso, difficile, destinato a morire, e una madre - il cuore del racconto - cresciuta nei caldi anni '60 senza stranamente percepirne gli smottamenti. E' su questo contesto che si proietta il gesto abnorme di un'altra America: il ruolo della vittima e' giocato da Gwen, la madre che poi manchera', oggetto di un omicidio barbaramente perpetrato da un balordo, un senza casa, in un paese in cui il terrore sembra endogeno e non viene solo dagli aerei kamikaze in cielo. E' forse questo che Joyce Carol Oates voleva lasciare intendere? Abile nell'abbandonare subito l'andamento da romanzo giallo (un genere che peraltro pratica sotto gli pseudonimi di Rosamond Smith e Lauren Kelly), Oates piega la narrazione verso due direzioni distinte: quella del romance, la piu' debole, e quella della ricerca da parte di Nikki, la figlia punk, del vero volto di Gwen, una ricerca che va a compensare il senso della grave perdita subita. Anche Nikki, alla quale viene cancellato il vacuo trucco del gusto proprio del nuovo secolo, conquista in questa ricerca una precisazione della sua identita', per quanto convenzionale. Che Oates voglia consegnarci cosi' anche il volto di una America un po' retro'? Quella, per esempio, delle case a schiera, del buon pane fatto in casa, della luna di miele in Florida, della country music e della collezione di libri di sacra storia patria in casa? In verita', questa America, cosi' come compare ne La madre che mi manca, e' un po' vecchia, e anche i giovani vi appaiono datati: e' una America che non sembra sapere piu' come ricorrere alla sua grande, eterna risorsa: rinnovare stagionalmente la sua pelle di serpente, come sosteneva D. H. Lawrence negli anni '20 del '900. Ed e' forse questa, allora, la "madre" che viene a mancare. A meno che Joyce Carol Oates, come talora accade, trascinata dalla passione, o dalla nostalgia autobiografica, questa volta non si smarrisca nella sua stessa topografia. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 108 del 14 giugno 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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