Minime. 117



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 117 dell'11 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. A Vicenza il 16 giugno
2. Giulio Vittorangeli: Di quella solidarieta' che e' consapevole
3. Centro Impastato: Mafia e antimafia, un percorso di analisi. Storia della
mafia, continuita' e trasformazione
4. Barbara Romagnoli presenta "Infibulazione. Il corpo violato" di Carla
Pasquinelli
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. A VICENZA IL 16 GIUGNO
[Da Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscali.it) riceviamo e
diffondiamo.
Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale,
giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di "Vasti -
scuola di critica delle antropologie", presidente del Comitato per la
democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive
della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele,
Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda
Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in
terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie,
Milano 2003]

"Vasti - Scuola di ricerca e critica delle antropologie" promuove un
seminario nazionale di studio sul tema "Il futuro della convivenza, Vicenza
e la guerra annunciata. Invece della base nucleare", che si terra' a
Vicenza, sabato 16 giugno 2007, ore 15, presso l'Istituto saveriano missioni
estere, viale Trento 19.
Interverranno:
- Raniero La Valle, direttore della scuola Vasti, "Ultime notizie";
- Fernando Bandini, poeta, "Invece delle punte di diamante";
- Luigi Ferrajoli, ordinario di Teoria generale del diritto all'Universita'
Roma Tre, "L'alternativa del diritto";
- Salvatore Senese, magistrato, presidente del Tribunale Permanente dei
Popoli, "Le basi, la guerra e il diritto dei popoli".
Alle ore 21 veglia per la pace presso l'aeroporto Dal Molin (su testi di
David Maria Turoldo).
*
Aderiscono: Famiglie per la pace di Vicenza, Missionari saveriani, Cisl
Scuola Vicenza, Cgil Vicenza, Rete Lilliput, Beati i costruttori di pace,
Coordinamento dei comitati cittadini, Commissione giustizia e pace, Servi/e
di Maria province Lombardia e Veneto, Pax Christi Vicenza, Vicenzattiva,
Famiglie per la pace di Costabissara, Commissione giustizia e pace del Cuore
Immacolato di Maria, Agesci Vicenza Berica, Comunita' Papa Giovanni XXIII di
Vicenza, e altri.

2. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DI QUELLA SOLIDARIETA' CHE E'
CONSAPEVOLE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell’Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Sogniamo un mondo caratterizzato dalla giustizia, in questa realta'
quotidiana profondamente ingiusta; non quella divina ma quella di cui gli
umani sanno essere capaci quando la posta non e' lo scontro ma la cura della
civilta'. Invece la scia di sangue della guerra disegna il mondo attuale,
cosi' il tempo sembra inafferrabile alle parole. Perche' non c'e' solo la
guerra, con la sua incapacita' a risolvere i conflitti, ma anche la
costruzione di muri materiali ed ideologici che sono alla base
dell'ingiustizia e della ferocia primordiale oggi dilagante.
Muri sulla frontiera che separa il Messico dal suo piu' potente vicino di
casa o sulla terra palestinese nella quale le tre grandi religioni
monoteiste dovrebbero incontrarsi, non scontrarsi.
Ma e' forse ancora piu inquietante il muro ideologico, quel muro che
eguaglia ad una sterminata moltitudine di quasi-paria, su scala mondiale e
all'interno delle stesse nazioni occidentali, coloro che sono
strutturalmente esclusi dal mercato, dal lavoro e persino dal cibo
quotidiano. Le forme del nuovo dominio capitalista di pochi sui tanti.
Quello che abbiamo davanti e' un mondo deluso e risentito con le speranze
passate non meno che con il grigio presente, nel rifiorire di vecchi
nazionalismi e fondamentalismi.
Anche la societa' italiana non crede piu' a niente o quasi. In preda ad una
sorta di virus che attacca quello che prima era unito e faceva legame
sociale: l'economico si slega dal politico, il sociale dall'economico, il
religioso dal sociale e il politico dall'ideologico. Sfere dell'esistenza
collettiva che si dividono in corporativismi, che vivono ciascuno per se', e
dio per tutti, visto che il fondamentalismo islamico e le sette cristiane
sono in cima alla classifica delle fascinazioni di senso che mettono radici
a destra e a manca.
*
Cosi' e' in picchiata la fiducia nel ceto politico italiano, e il
protagonismo della banalita' che i leader rincorrono nei salotti tv non fa
che contribuire all'erosione di credito verso il ceto politico che appare
gia' scarso.
Il punto e' che bisognerebbe smetterla di basarsi sulla paura di un ritorno
di Berlusconi (una paura che, come spesso accade, induce ad imitare
l'avversario), e dire che cosa effettivamente bisogna volere per far uscire
il nostro paese dall'attuale palude infetta.
Non saranno certo le riforme tipiche di un governo di stampo neocentrista, o
meno, a ridare senso al nostro paese.
"Penso al passato, all'antifascismo e alla Resistenza. Se in quelle
circostanze l'unita' tra le forze antifasciste si fosse fondata solo sulla
paura di Mussolini e su nessun altro obiettivo politico di cambiamento, se
cosi' fosse stato, probabilmente la paura di Mussolini vivente avrebbe
bloccato gli antifascisti. Fortunatamente non fu cosi' e, infatti, c'e'
stata la Costituzione che recita 'la Repubblica e' fondata sul lavoro' e non
sull'odio e la paura di Mussolini" (Valentino Parlato, "Il manifesto" del 28
novembre 2006).
Per questo dovremmo almeno sforzarci di fermare la logica del mercato e di
esprimere un progetto comune che non sia antiliberista solo a parole, in
mancanza di che anche il nostro campo si divide: gli ecologisti parlano agli
ecologisti, le ong alle ong, i metalmeccanici ai metalmeccanici, i precari
neanche con tutti i precari. Ciascuno poco interessato all'altro.
*
I discorsi odierni contro la "guerra preventiva" del dopo 11 settembre,
iniziata in Afghanistan e proseguita in Iraq, non smettono di essere veri
(come ieri) sull'imperialismo americano.
Ma c'e' un non detto: dall'altra parte non c'e' la giusta lotta di
liberazione, bensi' l'oscurantismo dei talebani con cui e' impossibile
identificarsi e solidarizzare.
Da Panama al Kossovo, al Golfo, l'imperialismo non ha smesso di aggredire;
anzi, ha affinato le sue armi e le ha rese piu' mortali e distruttive. Ma
non ci possiamo affidare a quel riflesso quasi automatico che induce a
identificarsi con chi a queste aggressioni si oppone, perche' stavolta
dall'altra parte ci sono dittatori o estremisti religiosi che tutto hanno in
testa meno che la liberta'.
L'immagine poetica della rivoluzione che liberava gli oppressi, stinge in
quella del terrorista che uccide persone inermi e offusca fino a renderli
invisibili quei soggetti che nei Balcani come in Medio Oriente si affannano
ancora a pensare e proporre progetti di liberazione.
Le lotte di ieri (in Sudafrica, in Palestina con la prima intifada, nel
Nicaragua sandinista) degli anni '80 ci ricomponevano, ci davano senso, ci
rassicuravano sulla nostra ragione; le guerre di oggi sono guerre fra due
torti, che ci lacerano e ci tormentano.
Gli Stati Uniti e i loro complici in Iraq hanno gia' perso; ma sappiamo che
la loro sconfitta non ci dara' un Iraq imperfetto ma libero; bensi' qualcosa
di molto piu' nebuloso e oscuro.
*
Resta quel filo, non rude e duro, bensi' soffice e leggero, che e' la
solidarieta' con gli oppressi, tenerezza fra i popoli. Di quella
solidarieta' che non e' vuota teoria, ma una parte di noi; che ci ha dato le
chiavi di rapporti illimitati, quelli cui da soli non si arriva mai, di
mondi diversi, di legami tra gente che cerca di essere uguale. Una
solidarieta' mai seriale, mai dipendente, mai mercificata, mai utilitaria.
Di quella solidarieta' che e' consapevole di come l'inferno e il purgatorio
si trovano quaggiu', che la giustizia tra gli esseri umani e' possibile, ma
e' sulla terra che bisogna metterla in opera.
Con la consapevolezza che nessuno ha mai commesso un errore piu' grande di
colui che non ha fatto niente perche' poteva fare troppo poco. Bisogna
battersi, anche nel pessimismo della ragione, nei limiti delle nostre
possibilita': "Nulla fu tetro quanto non darsi".

3. MATERIALI. CENTRO IMPASTATO: MAFIA E ANTIMAFIA, UN PERCORSO DI ANALISI.
STORIA DELLA MAFIA, CONTINUITA' E TRASFORMAZIONE
[Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it).
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto
Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna
di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nei nn. 931-934]

Premessa
Nel testo precedente abbiamo gia' delineato un'ipotesi definitoria del
fenomeno mafioso e abbiamo proposto una ricostruzione del suo percorso
storico come intreccio di continuita' e trasformazione.
Adesso tracceremo un quadro dell'evoluzione del fenomeno mafioso a partire
da un'ipotesi di periodizzazione in quattro fasi:
1. una fase di incubazione, in cui si sviluppano fenomeni che possiamo
definire "premafiosi", dal XVI secolo ai primi decenni del XIX secolo;
2. una fase agraria, dall'unita' d'Italia agli anni '50 del XX secolo;
3. una fase urbano-imprenditoriale, negli anni '60;
4. una fase finanziaria, dagli anni '70 ad oggi.
L'evoluzione del fenomeno mafioso va inserita nel contesto della societa'
siciliana. La mafia non e' ne' una malattia ne' un'isola. Essa ha una sua
specificita' (l'uso privato della violenza e il non riconoscimento del
monopolio statale della forza) e un'analisi corretta deve coniugare insieme
unita' e distinzione, cioe' studio del contesto e individuazione delle
specificita'.
*
1. Il "sistema unico mondiale" e i "fenomeni premafiosi"
La fase di incubazione del fenomeno mafioso si colloca all'interno del
processo di transizione dal feudalesimo al capitalismo in Sicilia e di
formazione di un "sistema economico mondiale".
Lo storico che ha proposto una ricostruzione dei processi storici, a partire
da quello che Braudel ha chiamato il "lungo XVI secolo" (dal 1450 al 1640),
come formazione di un "sistema economico mondiale" con il prevalere del modo
di produzione capitalistico, e' Immanuel Wallerstein, e il primo volume
della sua opera dedicata a tale tema (Il sistema mondiale dellíeconomia
moderna ) e' stato tradotto in Italia sul finire degli anni '70.
Wallerstein individua come caratteristiche del processo di formazione di
tale sistema l'affermarsi di una nuova divisione internazionale del lavoro e
la creazione di organismi statuali "forti", e disegna un quadro mondiale
unitario ma con profonde differenziazioni territoriali. Abbiamo un centro
(in cui prevale il lavoro salariato e si afferma lo Stato centralizzato,
monopolista della violenza), una semiperiferia (in cui la forma di lavoro
piu' diffusa e' la mezzadria e vige il policentrismo del potere) e una
periferia (con il lavoro schiavistico e il vuoto di potere).
Il dominio spagnolo, a cui la Sicilia e' sottoposta in quel periodo, viene
considerato come un "impero", cioe' un'unita' politica piu' che economica, e
con uno Stato molto meno "forte" di quello che si impone al centro del
sistema economico mondiale, cioe' in Francia e in Inghilterra. In questo
contesto la Sicilia si puo' considerare come una semiperiferia anomala, per
la compresenza di aspetti diversi. La realta' siciliana, in sintesi, appare
cosi' caratterizzata: oligopolio della violenza, diviso tra Stato e poteri
baronali; nella Sicilia orientale, attraverso l'istituto dell'enfiteusi
(affitto a lunga scadenza), si avvia una trasformazione delle colture,
mentre nella Sicilia occidentale prevalgono il latifondo e la mezzadria
(contratto di affitto a breve termine); presenza di caratteri propri del
"centro" (mobilita' sociale e lavoratori salariati) che pero' non sono in
grado di forzare in avanti la situazione; una sostanziale stagnazione che
pero' non significa immobilismo.
Se e' scorretto rappresentare la Sicilia come un'isola tagliata fuori dal
contesto, colonia periferica di un impero anch'esso "insulare", non possiamo
neppure sposare il paradigma del "sistema mondiale" come il passepartout
buono per tutti gli usi. Bisognera' studiare i processi di unificazione
nella loro concreta evoluzione e con le gerarchie interne che essi
presentano, analizzare il "caso italiano" ("come il troppo anticipo si muto'
in ritardo"), e in particolare il formarsi di un divario Nord-Sud e la
collocazione della Sicilia in questo quadro complessivo.
All'interno di questa ricostruzione, che in buona parte e' ancora da fare,
vanno analizzati quelli che possiamo definire "fenomeni premafiosi", che
presentano le seguenti caratteristiche:
1) casi e forme di esercizio privato della violenza, cioe' violenza
extrastatuale, a cui di regola non consegue la sanzione della giustizia
ufficiale;
2) manifestazioni di violenza o illegalita' non sporadiche ed episodiche, ma
che si presentano come comportamenti ricorrenti e attivita' professionali, o
tendono a diventarlo;
3) comportamenti violenti-illegali funzionali all'arricchimento e
4) all'acquisizione di potere reale, di fatto, non necessariamente in
contrapposizione a quello ufficiale;
5) comportamenti illegali legittimati attraverso l'accettazione-passivita'
di massa.
Sono stati indicati come "antenati dei mafiosi" i banditi al servizio dei
signori e i familiari dell'Inquisizione. Mentre il banditismo e' un fenomeno
di ribellismo sociale, regolarmente punito nei modi piu' atroci e
spettacolari, i banditi che entrano negli eserciti privati dei grandi
feudatari sono altrettanto regolarmente impuniti. Cosi' pure coloro che
entrano nei ranghi dell'Inquisizione come affiliati godevano di foro
privilegiato e potevano sottrarsi alla giustizia ufficiale, per cui si forma
un doppio binario nella giustizia criminale: esecutori condannati dalla
magistratura ordinaria e mandanti sotto giurisdizione dell'Inquisizione
assolti. Se si considera che negli anni '70 del XVI secolo i protetti
dell'Inquisizione erano 30.000, si avra' un'idea dell'entita' del fenomeno:
c'e' la coda per affiliarsi e tra i familiari, scrive in una lettera del
novembre 1577 il vicere' Marco Antonio Colonna, ci sono "todos los ricos,
nobles, y los ricos delinquientes".
Se le condizioni della giustizia sono contrassegnate dall'impunita' di
chiunque gode di un certo potere o riesce a rifugiarsi alla sua ombra, un
altro aspetto da approfondire e' il proliferare di delitti che hanno una
funzione accumulativa: l'abigeato (furto di animali) e la macellazione
clandestina, i furti e i sequestri di persona seguiti da "composizione"
(richiesta di riscatto), le lettere minatorie, la riscossione di "pizzi"
(tangenti). Reati spesso consumati con la piena collusione tra istituzioni,
a cominciare dalle "forze dell'ordine", e criminali.
Negli anni '30 del XIX secolo abbiamo un fenomeno mafioso gia' compiuto, o
quasi, con la presenza di organizzazioni che svolgono attivita'
delinquenziali ma pure esercitano il governo locale, presiedute da capi che
possono essere i possidenti o l'arciprete, che godono della protezione di
magistrati. Varie relazioni di funzionari borbonici contengono informazioni
in tal senso, anche se tendono a mettere in un unico mazzo gruppi criminali
e oppositori politici.
*
2. Lo Stato unitario: il blocco dominante industriali del Nord - proprietari
del Sud e la mafia agraria
La vicenda risorgimentale e la formazione dello Stato unitario sono
indicative per comprendere come agiscono i gruppi mafiosi nei periodi di
transizione e quale funzione svolge la violenza privata organizzata a fianco
dei corpi ufficiali nella contrapposizione con gli strati popolari delle
campagne e della citta'.
Nel corso della rivolta del 1820 viene creata la Guardia Nazionale:
aristocratici e borghesi ricchi, che hanno al loro servizio bande di gente
assoldata, mirano in tal modo a fronteggiare le squadre popolari, formate
dai ceti artigiani di Palermo ancora raccolti nelle corporazioni, che
avevano svolto un ruolo nel corso del '700, con le ronde delle maestranze
che avevano assunto la difesa della citta' e il controllo dell'ordine
pubblico, con buoni risultati. Questa contrapposizione tra squadre popolari,
Guardia Nazionale e controsquadre formate da pregiudicati si ripete nel
1848, nel 1860 e nella rivolta palermitana del 1866, episodio che si presta
a letture diverse per la sua natura composita.
Si e' parlato di una "mafia popolare", ma questa fu immobilizzata, sconfitta
e liquidata, insieme all'estromissione dell'"ala democratica" che culmino'
con la criminalizzazione e l'emarginazione dei garibaldini, mentre la mafia
vera e propria, che si sviluppava nell'alveo del potere, fu sostenuta e
legittimata, diventando ben presto una componente del blocco dominante che
vedeva in prima fila gli industriali del Nord e i grandi agrari meridionali.
Alle spalle, e in concorrenza con questi, i mafiosi detengono il monopolio
delle gabelle, le affittanze dei latifondi, ed esercitano un pesante
controllo sui contadini.
La mafia agraria e' stata vista soprattutto, se non esclusivamente, come
intermediaria tra comunita' locale e Stato centrale, ma tale funzione si
accorpa con altre: accumulazione, assicurando lo sfruttamento della forza
lavoro contadina, controllo sociale, governo locale. E si puo' affermare con
certezza che la mafia gia' negli ultimi decenni del secolo XIX non e' un
generico e imprecisabile fenomeno sociale, ma ha un'organizzazione ben
definita e legami facilmente individuabili. In una serie di rapporti redatti
dal questore di Palermo Ermanno Sangiorgi tra il novembre del 1898 e il
febbraio del 1900 si danno informazioni dettagliate sugli aderenti ad
"associazioni di malfattori" che hanno regole precise e formalizzate,
operano nei quartieri di Palermo e nei paesi della provincia, sono rette da
capi, hanno una struttura di coordinamento e sono sottoposte al comando di
un "capo supremo". Molte delle informazioni provengono dall'interno dei
gruppi mafiosi, anche se non si indicano le fonti. Comunque gia' nell'800 si
registrano casi di mafiosi "pentiti".
Il periodo che va dagli anni '60 dell'800 agli anni '50 del '900 non e' un
indistinto continuum. A una fase di relativa "opposizione iniziale", segue
una seconda fase, dell'integrazione con delega del potere locale, che va
fino al primo dopoguerra; una terza fase e' quella del fascismo, con
l'espulsione delle fasce piu' scoperte (bassa mafia) e l'integrazione degli
strati superiori (alta mafia); una quarta fase, dalla guerra ai primi anni
'50, vede la rilegittimazione dei gruppi mafiosi, la loro collaborazione con
le forze alleate e l'assunzione diretta del potere negli enti locali,
l'ipoteca sugli assetti futuri, prima con la scelta del separatismo come
"arroccamento tattico" poi con l'attacco al movimento contadino culminato
con la strage di Portella del primo maggio 1947, che segue alla vittoria, la
prima e l'ultima, delle sinistre alle elezioni regionali siciliane, e
precede l'estromissione delle sinistre dal governo nazionale e il varo del
centrismo, con l'affermazione delle forze conservatrici nello scontro
elettorale del 18 aprile '48. Quest'ultima fase offre una riprova delle
capacita' strategiche dei gruppi mafiosi in situazioni in cui si passa da
vecchi a nuovi assetti, che al di la' degli aspetti formali si pongono in
linea di sostanziale continuita' con il passato. Questo intreccio di
continuita' e trasformazione e' una costante che andrebbe approfondita
soprattutto nelle fasi di transizione, andando oltre la scontata "filosofia
della storia" del Gattopardo, secondo cui "tutto cambia perche' nulla
cambi", chiedendosi perche' altre possibilita' sono state sconfitte.
In tutti questi periodi l'antagonista degli agrari e dei mafiosi e' il
movimento contadino che da' vita a grandi fasi di lotta (1891-'94: Fasci
siciliani; anni precedenti la prima guerra mondiale: sviluppo della
cooperazione e delle affittanze collettive, per sostituire i gabelloti
mafiosi; lotte del primo dopoguerra e del secondo dopoguerra, per la riforma
agraria), regolarmente sconfitte fino alla sconfitta finale degli anni '40.
In queste lotte agrari e mafiosi hanno l'appoggio aperto dello Stato, che
non sta con i contadini neppure quando lottano per l'applicazione di leggi,
come quella sulle terre non coltivate e sulla spartizione del prodotto tra
proprietari e mezzadri. Ed e' significativo che la repressione mafiosa del
movimento contadino, con l'uccisione di decine di dirigenti locali e
sindacalisti, sia rimasta impunita.
*
3. La fase urbano-imprenditoriale: borghesia di Stato e mafiosi-imprenditori
Nel corso degli anni '50, con l'avvio dell'integrazione europea, si ha un
mutamento dell'assetto socio-economico nazionale e meridionale, che portera'
al cosiddetto boom economico, alla massiccia emigrazione dalle campagne
meridionali (4 milioni in 20 anni), alla terziarizzazione di tipo
parassitario del Mezzogiorno e della Sicilia.
In questa fase non avviene tanto un trasferimento dei gruppi mafiosi dalle
campagne nella citta' (anche nella fase agraria la "capitale della mafia" e'
Palermo, per il suo ruolo di centro politico-amministrativo), quanto un
inserimento dei gruppi mafiosi nella nuova realta', segnata dalla
centralita' della spesa pubblica e dall'espansione della forma urbana.
L'aspetto piu' interessante in questa fase e' l'ingresso dei mafiosi in
attivita' imprenditoriali, in prima persona o in rapporto con altri
imprenditori. Come abbiamo documentato nella ricerca sulle imprese, un ruolo
fondamentale nella nascita del mafioso-imprenditore ha il denaro pubblico,
sotto forma di appalti di opere pubbliche o di finanziamenti erogati da
istituti di credito. Cioe' l'impresa mafiosa nasce come borghesia di Stato,
intendendo per tale gli strati medio-alti che si formano e assumono un ruolo
dirigente con la costituzione della Regione a statuto speciale in Sicilia
(1946) e della Cassa per il Mezzogiorno (1950).
Le funzioni della mafia urbano-imprenditoriale sono le seguenti: gestione di
attivita' imprenditoriali soprattutto nel settore edilizio, ma ancora con un
ruolo di "parente povero" e di intermediazione tra proprietari di aree e
imprese esterne (il sacco edilizio di Palermo vede in primo piano imprese
non siciliane, tra cui la Societa' Immobiliare con capitale vaticano),
controllo sui mercati alimentari, sull'assunzione negli enti locali, sul
credito. Svolgendo tali funzioni la borghesia mafiosa assume sempre di piu'
un ruolo egemone a livello locale.
Le fonti di accumulazione illegali in questa fase, insieme alle vecchie (per
esempio, le tangenti, che si spostano sempre piu' sulle attivita' economiche
urbane), vedono lo svilupparsi di traffici internazionali, soprattutto il
contrabbando di sigarette, che fara' da battistrada al traffico di droga.
Per avere un'idea della consistenza di tale fonte, riportiamo un dato
contenuto nella Relazione della Commissione antimafia del 1976: il
contrabbando di tabacchi fruttava 120.000 miliardi l'anno, di cui il 70% va
alle organizzazioni mafiose. Per gestire tale attivita' i gruppi mafiosi,
strutturati in famiglie, danno vita a un'organizzazione unitaria
interfamilistica che in seguito sara' utilizzata per il traffico di
stupefacenti.
In questi anni la mafia si diffonde a livello nazionale almeno come
"disseminazione delle presenze", nel senso che l'istituto del soggiorno
obbligato porta capimafia e gregari in tutto il territorio nazionale, spesso
nelle vicinanze di grandi centri. Il ruolo egemone a livello regionale e la
diffusione sul territorio nazionale danno un'immagine che non coincide con
quella che si e' avallata di una "mafia in crisi". Tale tesi sopravvaluta la
risposta dello Stato alla strage di Ciaculli del 30 giugno 1963. Ne'
l'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta, ne' i processi
celebrati contro i mafiosi ebbero risultati incisivi: la prima ebbe un ruolo
significativo solo per la raccolta della documentazione, i secondi si
risolsero in una conferma dell'impunita'. Ma l'evento decisivo che gioca a
favore dei gruppi mafiosi e' la fine dell'antagonismo sociale nelle
campagne, con la dissoluzione del movimento contadino, senza che si abbia la
formazione di un equivalente nelle citta', con il risultato di un
indebolimento complessivo delle forze di opposizione.
*
4. Mafia finanziaria e societa' contemporanea
Dagli anni '70 in poi lo sviluppo del traffico di droga ha prodotto
un'esplosione dell'accumulazione illegale e l'uscita dalla dipendenza dei
gruppi mafiosi dal denaro pubblico. Cio' ha scatenato una forte
conflittualita' interna e una feroce conflittualita' esterna che ha assunto
i caratteri di una gara egemonica, con l'abbattimento degli ostacoli al
processo di espansione.
L'incremento dell'accumulazione illegale, il ruolo dei gruppi mafiosi
siciliani nei traffici internazionali a dimensione planetaria, l'affermarsi
di altri soggetti criminali sulla scena mondiale, con caratteristiche sempre
piu' omologhe, e i rapporti sempre piu' complessi con i contesti
economico-sociali, rendono necessario uno sforzo d'analisi che richiede
strumenti adeguati. Una ricerca sulla "mafia finanziaria" deve verificare le
seguenti ipotesi ed analizzare i seguenti processi:
a) la finanziarizzazione dell'economia, cioe' la centralita' egemonica del
"complesso finanziario-industriale";
b) la portata e l'articolazione dell'accumulazione illegale;
c) la simbiosi tra capitale legale e illegale assicurata dall'opacita' del
sistema finanziario internazionale;
d) l'omologazione tra le grandi criminalita' organizzate che, pur mantenendo
aspetti specifici delle culture di provenienza, svolgono le stesse
attivita', in particolare il traffico di droga, e hanno di fronte gli stessi
problemi: riciclaggio del denaro "sporco", reazione alla repressione,
rapporto con il contesto sociale e con gli ambiti istituzionali, locali,
nazionali e internazionali.
La simbiosi tra capitale bancario e capitale industriale indicata dal
concetto di "capitale finanziario", non e' un fenomeno nuovo, anzi puo'
considerarsi uno dei "luoghi classici" della letteratura marxista, da Marx a
Hilferding e a Lenin. Cosi' pure sulla "mondializzazione" dell'economia, con
l'internazionalizzazione della produzione di merci e l'esportazione del modo
di produzione capitalistico, abbiamo una significativa letteratura. Il
problema e' che oggi capitale bancario e attivita' imprenditoriale non sono
piu' la faccia "parassitaria" e quella "produttiva" del capitalismo; la
forma holding ha celebrato il matrimonio tra finanza e impresa: un
matrimonio palese ma con una notevole dose di "segretezza" e di
incontrollabilita'.
I caratteri del "complesso finanziario-industriale" possono cosi'
sintetizzarsi:
1) incontrollabilita', o grandi difficolta' di controllo, delle attivita'
bancarie internazionali. Le crisi recenti di istituti bancari, come il Banco
Ambrosiano, hanno mostrato le gravi carenze o la quasi inesistenza di
vigilanza internazionale e su tale strada solo negli ultimi anni si
cominciano a muovere i primi passi;
2) opacita' o scarsa trasparenza. Il segreto bancario, nonostante alcune
eccezioni, derivanti dall'Organized Crime Control Act (Occa), introdotto nel
1970 negli Usa, e dalla legge antimafia italiana del 1982, continua ad
essere la regola generale, e la tendenza verso la liberalizzazione dei
servizi e una configurazione sempre piu' imprenditoriale e sempre meno
pubblica dell'attivita' finanziaria rischia di accentuare questo carattere
di opacita'. Anche l'unificazione del mercato europeo puo' rappresentare un
ulteriore aggravamento dell'opacita', solo parzialmente limitato dalla
recente direttiva sul riciclaggio del denaro sporco;
3) affermazione di strumenti bancari adatti all'attivita' internazionale e
alla compenetrazione del capitale bancario con attivita' imprenditoriali,
come le commercial banks degli Usa, le merchant banks britanniche, le banche
d'affari;
4) innovazione finanziaria e sempre maggiore articolazione delle strutture
finanziarie: societa' finanziarie, societa' fiduciarie, titoli atipici ecc.
sono i prodotti piu' noti del proliferare di nuovi strumenti e intermediari
creditizi, in gran parte suscitato dalla volonta' di sfuggire al controllo;
5) uso di tax havens (rifugi fiscali) che permettono l'evasione fiscale e
rendono possibili operazioni di prestidigitazione finanziaria, coprendo le
compenetrazioni tra attivita' illegali e legali;
6) l'intreccio tra interessi economici e interessi politico-militari che in
molte situazioni (per esempio l'America Latina) si configura come strategia
reazionaria, con connotati fascisti e colonialisti.
Questi caratteri del sistema, o di parti non secondarie di esso, spiegano
fenomeni come le attivita' di personaggi come Sindona, Calvi, Gelli e
favoriscono il formarsi di canali di comunicazione tra capitali illeciti e
leciti.
L'accumulazione illegale per la sua stessa natura e' difficilmente
quantificabile, ma negli ultimi anni si sono proposti dei criteri di "stima"
che per quanto "grossolani", come riconoscono gli stessi autori, possono
darci un'idea della sua portata.
In Italia una stima dell'economia illecita e' stata fatta dal Censis: si
indica un valore complessivo dell'ordine di 100.000 miliardi di lire l'anno,
di cui la voce piu' consistente sarebbe il traffico di droga per un valore
di 30.000 miliardi. Se si tiene conto che dal 1982 al 1989 il valore dei
beni confiscati in attuazione della legge antimafia ammonta a 886 miliardi
di lire, si ha un'idea del gap esistente tra strumenti di accertamento fermi
alla "mafia imprenditoriale" e articolazioni della "mafia finanziaria".
I problemi che abbiamo davanti, di analisi e di individuazione delle
politiche adatte a fronteggiarli, sono enormi, e vanno dal tema del
proibizionismo delle droghe, che conferisce ai soggetti criminali il ruolo
di operatori oligopolisti, a quello del segreto bancario, che permette la
simbiosi tra capitale legale e illegale. Ovviamente tali problemi si legano
alle caratteristiche della societa' contemporanea, sempre piu' complessa ma
non per questo inconoscibile e immodificabile.
*
Fonti: U. Santino, Per una storia sociale della mafia, in A. Cavadi (a cura
di), A scuola di antimafia, Centro Impastato, Palermo 1994, pp. 36-47. U.
Santino, La mafia interpretata, Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 1995; Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine
organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006. U. Santino, La cosa e il
nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2000. Per lo studio dell'evoluzione dei fenomeni mafiosi negli
ultimi anni, si veda: U. Santino, Crimine transnazionale e capitalismo
globale, in S. Vaccaro (a cura di), Il pianeta unico. Processi di
globalizzazione, Eleuthera, Roma 1999, pp. 163-183.

4. LIBRI. BARBARA ROMAGNOLI PRESENTA "INFIBULAZIONE. IL CORPO VIOLATO" DI
CARLA PASQUINELLI
[Ringraziamo Barbara Romagnoli (per contatti: duepunti2 at yahoo.it) per averci
messo a disposizione la seguente recensione apparsa sul quotidiano
"Liberazione" del 6 giugno 2007.
Barbara Romagnoli, giornalista professionista, e' nata a Roma nel 1974 e da
gennaio 2006 vive a Leiden in Olanda; si e' laureata in filosofia con una
tesi su "Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", si e'
sempre interessata di studi di genere e femminismi, ha partecipato a
seminari e incontri sulla storia e i movimenti politici delle donne in
Italia e all'estero; ha lavorato per diversi anni alla rivista "Carta", ora
collabora come freelance con varie testate (tra cui "Liberazione", "Marea",
"Peacereporter", "Amisnet", "Aprile"). Fa parte del collettivo A/matrix con
cui condivide la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola.
Carla Pasquinelli, antropologa, e' docente di discipline
demo-etno-antropologiche all'Universita' Orientale di Napoli; sul tema
dell'infibulazione ha pubblicato, tra l'altro, Antropologia delle
mutilazioni dei genitali femminili. Una ricerca in Italia (2000); scrive su
numerose riviste italiane e straniere ed e' direttrice responsabile della
rivista "Parolechiave". Opere di Carla Pasquinelli: La vertigine
dell'ordine. Il rapporto tra se' e la casa, Baldini Castoldi Dalai, Milano
2004; Occidentalismi, Carocci, Roma 2005; Infibulazione, Meltemi, 2007]

Fuggire da facili semplificazioni e cercare di restituire la complessita' di
un tema che dovrebbe avere maggiore attenzione. Questo e' sicuramente un
merito dell'ultimo libro di Carla Pasquinelli dal titolo Infibulazione. Il
corpo violato (Meltemi, pag. 240, euro 19). Delle mutilazioni genitali
femminili (Mgf) c'e' un gran parlare a sbalzi, quando c'e' qualche fatto di
cronaca che provoca il solito vespaio, ma, nonostante la sensibilizzazione
maggiore degli ultimi decenni, resta una questione su cui spesso l'opinione
pubblica cade in preda a facili estremismi, e su cui poi, passata la
tempesta, ricade il silenzio.
Con la conseguenza che le donne coinvolte, anche quando si tratta di
migranti in altri Paesi, sono lasciate spesso in situazioni senza scelta.
Oppure, il loro presunto assenso e' solo lo specchio di una cultura dove
l'ultima parola, anche sul loro corpo, resta materia di uomini.
Pasquinelli, antropologa all'Orientale di Napoli e da anni impegnata su
queste tematiche, ha scelto di riparlare di Mgf partendo dalla accesa
polemica che investi' il caso del medico dell'ospedale fiorentino di Careggi
che nel gennaio 2004 propose di sostituire l'infibulazione con il cosiddetto
rito alternativo (sunna), ossia una piccola puntura di spillo sulla
clitoride delle bambine.
Nel primo capitolo ricostruisce l'accaduto e senza mezzi termini parla di
trappola mediatica, nella quale sarebbero cadute le stesse somale che erano
contrarie alla soluzione proposta dal medico e che invece avrebbe aumentato
il protagonismo delle italiane, femministe e politiche. Niente di piu'
probabile, ma c'e' da chiedersi se non sia preferibile uno strillo anche un
po' piu' forte di donne native e migranti al gracchiare di uomini,
giornalisti e non, che pensarono allora, come oggi, di poter dettare la
linea. Pasquinelli, che giustamente ricorda l'importanza di usare i termini
appropriati e di non alimentare false credenze che vorrebbero
l'infibulazione come una prescrizione islamica, nella sua rilettura dei
fatti ritiene che la sinistra abbia lasciato l'iniziativa legislativa in
mano alla destra ed e' convinta che chi fosse contrario alla "riduzione del
danno" abbia attuato un ´disinvestimento dai corpi per puntare tutto sul
simbolico, che e' stata la vera cabina di regia del dibattito, dove sin
dall'inizio e' prevalso il massimalismo amorale dei principi: 'il corpo
delle bambine non si tocca', piuttosto lo lasciamo massacrare". Per
avvalorare le sue tesi, Pasquinelli riporta nelle due appendici, sia i
comunicati etici (quello della Commissione nazionale di bioetica e quello
della Commissione della Regione Toscana) sia una dettagliata rassegna stampa
(peccato pero' che questa raccolga quasi esclusivamente gli articoli usciti
sulla stampa mainstream e non citi, per esempio, il dossier uscito sul
settimanale "Carta"). Una documentazione certamente importante per
riflettere e ragionare attorno alla vicenda.
Nel secondo e terzo capitolo del libro segue una accurata descrizione di
cosa sono le mutilazioni genitali, con le chiare implicazioni di tipo
sociale e culturale. L'antropologa riporta anche ampi stralci di una sua
ricerca sul campo effettuata nel 1999-2000 per conto dell'Aidos
(Associazione italiana donne per lo sviluppo) nell'ambito del progetto
"Campagna d'informazione contro le mutilazioni dei genitali delle bambine
africane".
Forse nel corso degli ultimi sette anni si puo' immaginare che siano
cambiate un po' le cose, ma e' proprio dalla lettura di questa seconda
parte, nello scorrere le parole delle protagoniste, intervistate
dall'autrice, che le tante, come chi scrive, convinte di un no "senza se e
senza ma" a riti simbolici di sostituzione, non riescono a persuadersi della
posizione di Pasquinelli. Perche', senza nulla togliere al contesto
perfettamente descritto di terre come la Somalia, dove l'instabilita'
politica certamente non aiuta, resta che il nodo centrale della questione
e', o meglio dovrebbe essere, l'inviolabilita' del corpo delle donne, la
possibilita' per loro di decidere autonomamente e consapevolmente della loro
sessualita', eliminando false questioni estetiche o di presunte imperfezioni
del genere femminile, che non possono giustificare tali atti. Come disse a
suo tempo Rossana Rossanda accettare soluzioni di questo tipo significa
mantenere intatto "un universo di oppressi e di oppressori. Di corpi di
prima e di seconda categoria. A questo dico di no. Cercare un senso
irriducibile dell'umano e' difficile, puo' essere fin tragico, va fatto con
un forte sguardo critico su di se', ma e' un punto dell''occidente' che
tengo fermo".
Soprattutto riguardo alla discussione avviata nel 2004, e' piu' importante e
urgente ragionare su come native e migranti possano concretamente lavorare
assieme, qui e nei loro Paesi, per evitare che altre donne vengano segnate,
fisicamente o simbolicamente, nella loro intimita'. Riproducendo cosi'
modelli e costruzioni culturali che noi nate altrove, abbiamo la
possibilita' di rifiutare, nonostante tutto.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 117 dell'11 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it