Minime. 114



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 114 dell'8 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Parla adesso il generale
2. Il ministro parla adesso
3. Centro Impastato: Mafia e antimafia, un percorso di analisi. Introduzione
4. Centro Impastato: Mafia e antimafia, un percorso di analisi. Gli
stereotipi
5. Letture: Haydee Santamaria, Dal Moncada al Che
6. Ristampe: Edmondo De Amicis, Opere scelte
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. PARLA ADESSO IL GENERALE

Noi non uccidiamo i civili.
Guardateli quei pezzenti
vestiti di stracci, famelici,
e' evidente che sono incivili.

2. LE ULTIME COSE. IL MINISTRO PARLA ADESSO

Scendo in piazza a protestare
contro i perfidi decreti
del consiglio dei ministri.
Poi di corsa, il fiato grosso,
vo' al consiglio dei ministri
a votare quei decreti.

3. MATERIALI. CENTRO IMPASTATO: MAFIA E ANTIMAFIA, UN PERCORSO DI ANALISI.
INTRODUZIONE
[Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it)]

Mafia: dai luoghi comuni all'analisi
Il percorso che proponiamo prevede tre tappe: 1) analisi delle idee
correnti, 2) ipotesi definitoria, 3) ricerca.
L'analisi del fenomeno mafioso che qui si propone richiede alcune
precisazioni preliminari di carattere metodologico.
Il termine "mafia" e' stato e continua ad essere usato con una forte dose di
indeterminatezza, per cui la prima operazione da compiere per avviare uno
studio scientifico e' un'ispezione dell'"immaginario collettivo", cioe' il
vaglio delle idee correnti. La seconda operazione e' la formulazione di
un'ipotesi definitoria; la terza la sua verifica attraverso la ricerca.
Classificheremo le idee correnti come stereotipi se esse sono prive di
qualsiasi statuto scientifico, cioe' sono soltanto dei luoghi comuni
ripetuti per abitudine e recepiti per pigrizia mentale, e come paradigmi se
rappresentano delle elaborazioni in qualche misura scientifiche, cioe' se
sono prodotte in base a una metodologia, implicita o esplicita, e
verificate, anche parzialmente, da indagini e ricerche empiriche, condotte
cioe' sulla base della raccolta e interpretazione di una certa massa di
dati.
Il percorso che qui si propone e' articolato nelle seguenti parti:
- Stereotipi
- Paradigmi
- Paradigma della complessita'
- Storia della mafia: continuita' e trasformazione
- Storia dell'antimafia: dalla lotta di classe all'impegno civile
- Mafia: una guida bibliografica ragionata
- Il progetto di ricerca "Mafia e societa'"

4. MATERIALI. CENTRO IMPASTATO: MAFIA E ANTIMAFIA, UN PERCORSO DI ANALISI.
GLI STEREOTIPI
[Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it).
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto
Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna
di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nei nn. 931-934.
Amelia Crisantino e' una prestigiosa studiosa e militante antimafia,
collaboratrice del Centro Impastato di Palermo. Tra le opere di Amelia
Crisantino: (con Giovanni La Fiura), La mafia come metodo e come sistema,
Pellegrini, Cosenza 1989; La citta' spugna, Centro Impastato, Palermo 1990;
Cercando Palermo, La Luna, Palermo; Ho trovato l'Occidente. Storie di donne
immigrate a Palermo, La Luna, Palermo 1992; Capire la mafia, La Luna,
Palermo 1994; Della segreta e operosa associazione, Sellerio, Palermo 2000]

Gli stereotipi sono i luoghi comuni, le idee correnti, le "certezze"
consolidate, tutti quegli espedienti adoperati nella comunicazione che non
trasmettono informazioni, che cioe' non modificano la conoscenza che abbiamo
di un determinato aspetto della realta', ma al contrario producono
disinformazione e confermano il gia' noto, o meglio il presunto noto,
facendolo apparire come qualcosa di ovvio, di scontato, che non ha e non
puo' avere altra possibilita' di rappresentazione che quella tramandata.
Gli stereotipi assolvono soprattutto a due funzioni: la prima e' una
funzione rassicuratrice, di avallo della giustezza delle rappresentazione e
dei comportamenti dati, cioe' dei conformismi sedimentati; la seconda e'
quella di rimozione e demotivazione di processi di conoscenza che
porterebbero alla problematizzazione e messa in crisi delle idee e dei
comportamenti correnti.
La mafia, fenomeno complesso per la molteplicita' dei suoi aspetti, ma su
cui sono stati prodotti molti materiali improvvisati ma poca analisi, quindi
poca informazione, si presta benissimo a comunicazioni inquinate da uníalta
densita' di stereotipi, anzi si puo' dire sia uno dei terreni piu' adatti
alla loro proliferazione.
Gran parte degli stereotipi sulla mafia rispondono a una preoccupazione
fondamentale: distinguere nettamente, e dare per scontato che tale
distinzione sia non solo possibile ma necessaria, meglio ancora "naturale",
tra una societa' fondamentalmente sana e una serie di fenomeni, prima
limitati alla Sicilia e a qualche altra regione meridionale, da qualche
tempo sempre piu' diffusi (si parla di "mafia" nordamericana, marsigliese,
turca, cinese, giapponese, latino-americana, russa ecc.), considerati come
eventi patologici, esterni ed aggressivi rispetto alle societa' in cui si
presentano. Si tratta di malattie, anche gravi o mortali, come il cancro,
non sempre localizzabili, anzi la metafora "cancro" rimanda necessariamente
alle immancabili metastasi, che non si capisce bene perche' si sviluppano in
un corpo integro.
*
Presentiamo una rassegna degli stereotipi piu' diffusi sulla mafia:
1. Recrudescenza, emergenza e dintorni. Uno dei termini maggiormente in uso,
soprattutto sulla stampa e alla televisione, e' quello di "recrudescenza"
del fenomeno mafioso, impiegato ogniqualvolta, sempre piu' spesso, c'e' un
delitto addebitabile alla mafia o ad altre forme di criminalita' organizzata
assimilabili alla mafia (in particolare la 'ndrangheta calabrese, la camorra
campana, la criminalita' organizzata pugliese). Se i delitti superano un
certo numero, ovviamente imprecisato, si parla di "emergenza".
Sembrano termini innocui, ma in realta' essi sottintendono una visione
riduttiva e fuorviante, secondo cui la mafia esiste quando spara. Essa
sarebbe una mera fabbrica di omicidi, che "sospende le attivita'" tra un
omicidio e l'altro. Una visione che potremmo definire di tipo
"congiunturale".
La mafia invece e' un fenomeno continuativo, strutturale, che svolge
molteplici attivita' e usa l'omicidio secondo una logica di "violenza
programmata".
Anche l'espressione "guerra di mafia" e' usata ad effetto, in pratica per
qualsiasi delitto all'interno degli ambienti criminali. E' indubbio che il
proliferare dei soggetti e gruppi criminali ha portato in molte situazioni
ad una sorta di guerra permanente, ma non si puo' fare di ogni erba un
fascio, inducendo l'immagine, se non l'aspettativa, che mafiosi e affini si
distruggono con le loro stesse armi.
*
2. "Fatti loro". Secondo affermazioni diffusissime "i mafiosi si uccidono
tra di loro. Se ti fai i fatti tuoi non ti toccano". La morale che c'e'
dietro e' duplice: gli omicidi dei mafiosi sono come un fatto naturale, che
non riguarda il tessuto sociale; il comportamento consigliato e' il "farsi i
fatti propri", cioe' la passivita', l'astensione non solo dall'intervenire
ma pure dal vedere e sentire.
In seguito alle uccisioni di magistrati, poliziotti, politici, giornalisti
ecc. lo stereotipo si e' dovuto aggiornare, ma sempre per confermare
l'inazione come conformismo di massa: quelli sono del mestiere, cioe' sono
professionalmente chiamati a occuparsi di mafia. E la moglie di Dalla
Chiesa, il portiere della casa del giudice Chinnici, la madre e i due
bambini della strage di Pizzolungo? Sono "poveri innocenti che non
c'entravano": qui "innocenti" vuol dire "non addetti ai lavori".
La mafia, quando uccide gli "innocenti", e' "disumana", aggredisce l'intera
"comunita' umana", come se uccidendo un giudice o un giornalista eliminasse
un "colpevole" e desse prova di umanita'.
*
3. Dall'Eden al disonore. Si dice: "Una volta la mafia proteggeva i deboli,
rispettava i valori tradizionali, non uccideva le donne e i bambini, e
neppure i magistrati e gli uomini delle forze dell'ordine, aveva un 'codice
d'onore'; adesso non c'e' piu' mafia, c'e' solo delinquenza". Stereotipo tra
i piu' diffusi, prima circolante come distinzione tra "mafia vecchia" e
"mafia nuova", rinfrescato dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, avallato
anche da teorizzazioni colte sulla mafia tradizionale "in competizione per
l'onore".
Il primo punto da chiarire riguarda proprio l'onore, che gli antropologi
piu' seri hanno definito un "idioma di stratificazione sociale", per niente
astratto, anzi strettamente collegato alle differenze di ricchezza. Pertanto
il disinteresse della cosiddetta "mafia tradizionale" per questioni
economiche e' decisamente fuori bersaglio, perche' anche studiando i
"fenomeni premafiosi" e' dato riscontrare la funzionalita' economica di
pratiche criminose.
C'e' da dire poi che i "valori tradizionali" della societa' rurale erano
usati come maschere delle attivita' criminali, perche' la mafia e' sempre
stata associazione a delinquere e le dichiarazioni di Buscetta sotto tale
profilo sono soltanto frottole, come le autodifese di mafiosi americani che
parlano di un'antica e rispettabile "tradition", calpestata dalle "nuove
leve".
Le trasformazioni della mafia ci sono state, ma non nel senso che prima era
"associazione di mutuo soccorso" e adesso, o da qualche tempo, e'
associazione criminale. Si tratta di modificazioni, aggiornamenti,
adattamenti, avvenuti nel tempo per adeguarsi a compiti illegali-legali
sempre piu' complessi e a contesti anch'essi complessificatisi, e sempre
nell'ottica che intreccia continuita' e innovazione.
Il conflitto generazionale nei e tra i gruppi mafiosi c'e' sempre stato,
come lotta per il monopolio territoriale della violenza, dove i gruppi
consolidati si presentano come rappresentanti-garanti degli interessi
collettivi minacciati e accusano i nuovi di violenze, abusi, prevaricazioni,
dimenticando il proprio recente passato. Quanto alle uccisioni di donne e
bambini non sono neppure queste delle novita'. Non per caso abbiamo dedicato
la ricerca sull'omicidio a Palermo, pubblicata nel volume La violenza
programmata, ai bambini uccisi dalla mafia: Giuseppe Letizia, ucciso nel
1948 con un'iniezione dal medico-capomafia Michele Navarra, perche' aveva
visto Luciano Liggio e altri uccidere il sindacalista Placido Rizzotto;
Giuseppina Savoca, uccisa nel 1959 in uno scontro tra mafiosi avvenuto per
strada; Paolino Riccobono ucciso nel 1963 perche' rampollo di una famiglia
mafiosa; Giuseppe e Salvatore Asta, i gemelli di Trapani uccisi nel 1985
nell'attentato al giudice Palermo; Claudio Domino ucciso nel 1986. Vittime
di una violenza che colpisce nel mucchio o mirata.
*
4. Un fossile subculturale e un prodotto dell'arretratezza. Si tratta di uno
stereotipo diffuso soprattutto tra sociologi e insegnanti, secondo cui la
mafia e' un fenomeno arcaico, un residuo feudale, frutto del sottosviluppo,
dell'arretratezza o di una modernizzazione incompiuta.
Nella versione sociologica, dovuta soprattutto al sociologo tedesco Henner
Hess, il fenomeno mafioso sarebbe il prodotto del conflitto fra Stato
burocratico e agire subculturale, in un contesto dove l'uso della forza non
sia monopolio dello Stato. Nell'inefficienza dello Stato, tollerata e
incoraggiata a tutti i livelli, il mafioso si pone come unico mediatore fra
la subcultura della comunita' e il potere centrale e come istituto di
auto-soccorso della comunita' stessa. Non appena lo Stato riesce a fare
accettare le proprie norme, diminuendo la necessita' di una intermediazione
fra comunita' contadine e Stato, al mafioso resta solo il ruolo di comune
delinquente. La mafia sarebbe quindi un relitto della storia, legittimata
dalla persistenza di una struttura sociale arcaica. Questo modello non ha
colto aspetti fondamentali, come l'interazione tra mafia e istituzioni, la
conflittualita' tra movimento contadino e mafia, la duttilita' dimostrata
dalla mafia nell'adattarsi a contesti molto diversi da quelli originari, la
sua capacita' di integrarsi in societa' complesse e coniugare elementi di
arretratezza con altri di modernita'.
Per quanto riguarda l'uso del termine "subcultura" bisogna tener presente
che esso indica o una cultura (in senso antropologico, cioe' come complesso
di idee, modi di pensare e di essere, linguaggi, stili di vita,
comportamenti) specifica di un dato settore o segmento o strato di una
societa' (una comunita' locale, un'associazione, una categoria
professionale, una minoranza etnica, un'azienda ecc.) o la cultura di una
comunita' marginale e deviante, come per esempio un'organizzazione
malavitosa.
Nel primo significato il termine "subcultura" e' troppo generico, nel
secondo mal si presta a definire un fenomeno come la mafia, che non e' stato
e non e' un fenomeno marginale, classificabile tra le molteplici forme di
devianza dei soggetti emarginati.
In realta' la mafia e' un fenomeno che ha condizionato la vita sociale e i
suoi codici comportamentali e le sue attivita' intrecciano continuita' e
innovazione, mostrano una grande capacita' di adattamento, per cui il
termine piu' adeguato sarebbe quello di "transcultura", intesa come percorso
trasversale che raccoglie elementi di varie culture, per cui possono
convivere ed alimentarsi funzionalmente aspetti arcaici come la signoria
territoriale e aspetti modernissimi come le attivita' finanziarie.
*
5. La mafia antistato. "Mafia e terrorismo sono forme di eversione,
attaccano lo Stato democratico". Sono le interpretazioni circolate dopo i
grandi delitti mafiosi, dal delitto Dalla Chiesa alle stragi del 1992 e del
1993. La mafia viene considerata come una forma di contropotere criminale,
una sorta di antistato, qualcosa di simile al terrorismo eversivo. Si
mettono in un unico calderone fenomeni diversissimi.
La mafia e' un fenomeno insieme esterno (per il suo carattere di
associazione criminale) e interno alle istituzioni (per il suo ruolo
politico, le sue funzioni di controllo sociale e per le sue attivita'
economiche, in parte legate al denaro pubblico). Inoltre, non c'e' stato il
terrorismo, ma i terrorismi, punito quello "rosso" e impunito quello "nero".
La mafia ha qualcosa in comune con quest'ultimo, condividendone la natura di
violenza privata di classi dirigenti, e risultano esserci state azioni
comuni tra mafiosi e neofascisti, come la strage sul rapido 904
Napoli-Milano del 23 dicembre 1984, con 15 morti e piu' di 200 feriti, ma la
differenza di fondo e' data dalla natura strutturale, continuativa e piu'
complessa del fenomeno mafioso, mentre i terrorismi, nella forma italiana,
hanno per lo piu' natura congiunturale, manifestandosi in periodi di
particolare tensione, come alla fine degli anni '60 e negli anni '70 e '80.
*
6. Neosicilianismo e razzismo. Qualche giornale siciliano usa ripetere che
"la mafia ormai e' un fatto nazionale e internazionale", cogliendo solo una
parte della realta' contemporanea, ignorando che cio' non esclude che
rimangono perfettamente in piedi le roccaforti locali, con il proposito piu'
o meno celato di dire "cercate altrove, non qui".
Siamo di fronte a un'ennesima incarnazione del sicilianismo, nel senso che
le reazioni del tipo "vogliono criminalizzare la Sicilia", o l'intero
Mezzogiorno, sono ancora molto forti.
Una forma in cui si manifesta il sicilianismo e il meridionalismo mafiofilo
puo' essere il collegamento che viene fatto tra mafia e sottosviluppo,
inteso come mancanza di prospettive dovuta alla carenza di risorse, per cui
si chiede allo Stato di aprire il rubinetto della spesa pubblica. In realta'
la mafia cavalca sia le occasioni offerte dal sottosviluppo che quelle dello
sviluppo e il problema del sottosviluppo meridionale non e' tanto la
quantita' di risorse ma il controllo sulle risorse, come vicende vecchie,
recenti e recentissime, a cominciare dai terremoti, dimostrano ampiamente.
Sotterranee o in superficie, permangono nel resto d'Italia visioni secondo
cui mafia, camorra e 'ndrangheta sono specialita' regionali; si pensa e si
dice, o si pensa e non si dice, che siciliani, calabresi e campani,
meridionali in genere "sono fatti cosi', e non c'e' niente da fare", come i
sardi sono stati e saranno sempre banditi e sequestratori.
In tale visione non solo non hanno posto le lotte che ci sono state contro
la mafia, e non ci si chiede perche' non hanno avuto successo, ma non si
considera neppure che se il "continente" offre possibilita' consistenti a
soggetti criminali ci deve essere qualche ragione.
Negli Stati Uniti, per avallare la visione del corpo sano aggredito da virus
esterni, si e' teorizzata l'"alien conspiracy", il complotto straniero,
mentre altri, meno nazionalisti e piu' attenti a studiare la realta' com'e',
hanno parlato del crimine come "american way of life".
*
7. Lo stereotipo del 2000: la Piovra. Negli ultimi anni il sistema mediale
ha mandato in onda un'immagine che si presenta sempre di piu' con i
connotati di stereotipo del 2000: la piovra universale, la mafia-mondo, il
Male Assoluto.
Nell'infinito sceneggiato televisivo si confrontano mafiosi onnipresenti e
onnipotenti e l'eroe positivo, il commissario Cattani o il suo erede.
Abbiamo cosi' uno scontro tra due violenze: quella mafiosa e quella
poliziesca, come nelle vecchia filmografia gangsteristica. Lo spettatore
"ben nato" fara' ovviamente il "tifo" per il commissario, ma comunque puo'
restare solo a guardare, perche' non c'e' spazio per l'azione collettiva.
Anzi, si puo' dire che essa venga esclusa perche' l'immagine finale che
consegnano le piovre non stop e' quella di un male invincibile, che e' ormai
penetrato dappertutto. In sintesi: "tutto e' mafia" e non c'e' niente da
fare. E nessuno si sogna di imitare l'eroico protagonista, che sopravvive
cosi' a lungo solo per esigenze di copione.
A questa visione di una mafia planetaria non va certo contrapposta la
"nostalgia per la buona mafia di un tempo", una specie di "mafia ruspante"
contenta del suo orizzonte paesano, che non e' mai esistita, ma un'analisi
aggiornata del fenomeno mafioso e degli altri fenomeni di criminalita'
organizzata in tutte le loro articolazioni, che miri ad individuare gli
strumenti e le forme di un'azione non solo repressiva ma soprattutto
preventiva che veda impegnati non singoli eroi ma gran parte del corpo
sociale.
*
Fonti: Umberto Santino, Introduzione allo studio del fenomeno mafioso;
Amelia Crisantino, Mafia: la fabbrica degli stereotipi, in A. Cavadi (a cura
di), A scuola di antimafia, Centro Impastato, Palermo 1994, pp. 15-16,
48-56.
*
L'immaginario mafioso. Cosa dicono i mafiosi di se stessi...
Ascoltiamo le voci che arrivano dall'interno del mondo mafioso ed esploriamo
quello che possiamo definire l'"immaginario mafioso", cioe' le
rappresentazioni che i mafiosi danno di se stessi e del fenomeno mafioso.
La mafia non ha codici scritti e una delle regole fondamentali e' l'omerta',
cioe' la legge del silenzio, per cui si nega di essere mafiosi e si nega
l'esistenza stessa della mafia. Ma da qualche tempo la mafia ha scoperto
l'importanza dei mass media e alcuni mafiosi, non classificabili tra i
"pentiti", cioe' tra i collaboratori di giustizia, hanno dettato le loro
biografie a giornalisti e professionisti dall'"autobiografia per conto
terzi".
Le autobiografie dei mafiosi si puo' dire che costituiscano un genere
letterario particolare, capace di conquistare un notevole numero di persone.
All'interno del genere potremmo distinguere due tipi di prodotto:
l'autobiografia-confessione e l'autobiografia-apologia. Il carattere
apologetico e' comune anche al primo tipo, ma in questo si combina con una
serie di confessioni di atti delittuosi, commessi dallo stesso autore o da
altri.
Ora esamineremo due prototipi: l'autobiografia di Nick Gentile, che puo'
considerarsi una specie di pioniere, essendo stata pubblicata nel 1963, e
quella di Joe Bonanno, che ha avuto un notevole successo.
*
L'autobiografia di Nick Gentile
A meta' strada tra l'apologia della "sua" mafia e di se stesso e il
"testamento spirituale" rivolto soprattutto ai giovani perche' "mai piu'
ripetano esperienze come quelle da me fatte", l'autobiografia di Nick
Gentile, confezionata con l'aiuto del giornalista Felice Chilanti, ha il
merito, per il tempo in cui e' stata scritta, ma soprattutto per quello che
verra' scritto, detto e pubblicato dopo, di dire chiaramente, o di lasciar
capire abbastanza facilmente, alcune cose essenziali, costitutive del
fenomeno mafioso. In primo luogo la violenza. Nel libro gli episodi di
violenza sono frequentissimi e Gentile non si discosta dal cliche' che vede
l'atto di violenza come amministrazione di giustizia: "La giustizia cosi'
come io ho imparato ad intenderla, basata sul diritto naturale e sul buon
senso" (p. 38).
Diritto naturale e buon senso vogliono dire l'interesse della "famiglia" e
famiglia sta per mafia. Siamo all'immagine della mafia giustiziera, tanto
cara ai mafiosi ma abbastanza diffusa nell'ambiente mafiogeno, che ha come
fonte del suo mito eziologico un "romanzo popolare" come I Beati Paoli: non
potendo attendersi giustizia dall'autorita' costituita, non c'e' altra
strada che farsela da se' e cosi' sarebbero nate sette segrete che agiscono
come istituzioni di autodifesa, che comminano ed eseguono punizioni
esemplari.
Interessanti, e per certi versi nuove, nel senso che non mirano a nessuna
attenuazione in funzione apologetica, le rivelazioni di Gentile sui
meccanismi che innescano la violenza mafiosa: essi sono sempre, in modo piu'
o meno diretto, improntati alla logica della lotta per il potere interno
alle organizzazioni mafiose. Tutti i delitti sono, piu' o meno, "questioni
di potere". E per arrivare al potere bisogna avere una carica di violenza
superiore agli altri: "Tutti i capi sono feroci. Se non si e' feroci non si
diventa capi". Solo lui sarebbe diverso: "Io volevo la giustizia" (p. 73).
Anche se il leitmotiv dell'autobiografia e' la testimonianza di un'attivita'
intesa continuamente a mettere pace, a consigliare moderazione, la violenza
risulta la costante del comportamento mafioso: uccidere e morire ammazzati
sono la norma.
Un'altra cosa detta chiaramente da Gentile, che pero' non vuole approfondire
l'argomento, riguarda il rapporto tra mafiosi e politici, tanto in Sicilia
che negli Stati Uniti, dove ha vissuto per molti anni. Gentile e' stato
capoelettore di liberali e di democristiani, e non lo nega. Racconta di
mafiosi che sono in ottimi rapporti con sindaci di citta' americane. Parla
della sua campagna per la monarchia nel referendum del 1946 e di un suo
incontro con re Umberto. Si sofferma sul ruolo che ha avuto il gesuita Padre
Rosa, direttore di "Civilta' cattolica", suo vecchio amico, nel fargli
rilasciare il passaporto in aperta violazione della legge. Descrive i suoi
incontri con il commissario capo di Palermo che lo tratta con molto rispetto
chiamandolo "Caro don Cola" e gli stringe la mano quando un agente americano
lo definisce "nemico pubblico n. 1" degli Stati Uniti. Le memorie di Nick
Gentile non insegnano niente "di buono e di giusto", come pretenderebbe, ma
almeno la mafia, nonostante gli accenni a un'originaria purezza e a un
successiva, parziale, degenerazione, viene presentata con sufficiente
chiarezza per quel che e': una fabbrica di violenza; i suoi affari vengono
illustrati per quello che sono, dalla produzione degli alcoolici durante il
proibizionismo alle case di gioco e al traffico di stupefacenti. Da buon
siciliano solo una cosa Gentile considera infamante: lo sfruttamento della
prostituzione. Altri possono averlo fatto, ma lui no. Senza dire poi che nel
libro di Gentile si trovano informazioni abbastanza dettagliate
sull'organizzazione mafiosa, che piu' di vent'anni dopo sono state riprese
da Buscetta e gli stessi magistrati hanno presentato come grandi scoperte.
*
Fonti: Nick Gentile, Vita di capomafia, Editori Riuniti, Roma 1963; Umberto
Santino, Il carretto e la piovra. Mafia e immaginario collettivo, in Idem,
La borghesia mafiosa. Materiali di un percorso di analisi, Centro Impastato,
Palermo 1994, pp. 329-331.
*
L'autobiografia di Joe Bonanno
Tutta in chiave apologetica e' invece l'autobiografia di Joe Bonanno. Non
scrive per confessare crimini ma per "confessarsi" mafioso, cioe' per
dichiararsi uomo della Tradizione con la t maiuscola, come i santi
confessori confessano la loro fede. Non per caso comincia con una citazione
di Tucidide e termina con un'altra di Cavour e usa per la titolazione delle
parti in cui il libro e' diviso e un po' dappertutto lungo il corso della
narrazione citazioni dotte, dai poemi omerici a Dostojevskij, da Machiavelli
a Mark Twain.
La chiave fondamentale del libro e' il concetto di Tradizione: "un modo di
vivere particolare e caratteristico" dei siciliani, uno stile di vita che ha
permesso loro di sopravvivere in una situazione di continuo assedio da parte
di dominatori stranieri, che consiste nel rinchiudersi nell'ambito familiare
e nel crearsi un sistema giudiziario parallelo a quello ufficiale. Questa
Tradizione e' l'essenza della mafia, anzi e' la mafia stessa, con la sua
struttura familistica e il suo sistema sanzionatorio. Il mito mafiologico si
perde nella notte dei tempi. Sarebbe stata la madre della giovane donna
violentata dal soldato francese Droetto, episodio che si vuole al centro dei
Vespri siciliani, a usare per la prima volta la parola "mafia", secondo
questa ricostruzione fantasiosa: "La madre, terrorizzata, correva per le
strade, gridando Ma fia, Ma fia! che in siciliano significa "mia figlia, mia
figlia". Il fidanzato della giovane donna scovo' Droetto e lo accoltello'.
Ma il grido della madre fu ripetuto da altri, risuono' sulle strade, fece il
giro di Palermo e di tutta la Sicilia. Ma fia divento' ben presto la parola
d'ordine del movimento di resistenza, che la adotto' come sigla per "Morte
Alla Francia Italia Anela"" (pp. 35 s.). Vera o meno questa versione dei
Vespri non cambia molto: "L'importanza dell'episodio non sta nella sua
veridicita', bensi' nell'esemplificazione che esso fornisce dello spirito
siciliano. Da esso traspaiono il sentimento dell'onore, della giustizia e
della dignita' personale" (p. 37).
Il periodo aureo della Tradizione verra' molto dopo: "gli anni tra l'unita'
d'Italia e la seconda guerra mondiale vengono descritti come un'eta'
dell'oro: i nuovi governanti erano pronti a tollerare e a raggiungere degli
accordi con gente della mia Tradizione, in cambio di un appoggio politico...
Gli uomini della mia Tradizione come gruppo costituivano una sorta di
governo ombra che agiva parallelamente al governo ufficiale... In teoria era
il re d'Italia che governava l'isola, ma in pratica erano gli uomini della
mia Tradizione che avevano in pugno la situazione" (p. 37). Gli uomini
d'onore "erano essenziali per la societa' siciliana": erano intermediari,
garanti, arbitri, avevano amici nei posti giusti, "qualche aggancio anche
nel mondo della malavita", ma solo al fine di recuperare gli oggetti rubati,
"di solito si servivano della diplomazia, della furbizia o della persuasione
in via amichevole per ottenere i loro scopi, ma talvolta ricorrevano anche
alla violenza" (p. 39), ma sempre per fini nobili e generosi.
Giunto negli Stati Uniti nel 1925 Bonanno s'inserisce nella comunita'
castellammarese, cioe' degli emigrati provenienti dal suo paese natale
(Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani): una comunita' molto
unita, che reagisce all'isolamento e alla discriminazione in cui si trovano
i siciliani con la cooperazione reciproca e facendo perno sulla Famiglia:
"per Famiglia (con la effe maiuscola per distinguerla dal nucleo familiare
vero e proprio) in siciliano si intende un gruppo di persone - sia amici che
parenti di sangue - accomunate dalla fiducia reciproca" (p. 60). Cioe' si
intende ne' piu' ne' meno che mafia.
Bonanno non ignora gli episodi di violenza che costellarono la cosiddetta
"guerra castellammarese" degli anni '20, ma essa viene presentata come una
"guerra di liberazione": Masseria, il vecchio capo, vuole schiavizzare gli
altri; Maranzano, il suo antagonista, e' il patriarca che difende la
liberta' dei membri della sua comunita'. Gli omicidi non sono assassinii ma
atti necessari di una guerra tra stati. Dopo la morte di Maranzano Bonanno
diventa capo della Famiglia, ma capo vuol dire semplicemente Padre, il
detentore dell'autorita' proveniente dalla Tradizione. Se lui si terra' per
sempre fedele a questa Tradizione, arricchendosi con gli alcoolici, non
pratichera' mai lo sfruttamento della prostituzione ne' il traffico di
droga, come faranno i rinnegati come Lucky Luciano: un uomo americanizzato,
che persegue la ricchezza e il successo infrangendo le vecchie regole.
L'americanizzazione sara' la rovina della Tradizione e portera' al tracollo
il mondo degli uomini d'onore. L'individualismo, la corsa all'arricchimento
con tutti i mezzi sgretolano i valori tramandati di padre in figlio, ma
Bonanno cerchera' di resistere al nuovo corso e negli anni '50 riuscira' ad
esercitare un ruolo di pacificatore: la "pax Bonanno" regna tra le famiglie
mafiose americane e quale occasione migliore per celebrare questa nuova eta'
dell'oro che una festa di matrimonio? Al ricevimento per le nozze del figlio
Salvatore con Rosalia Profaci, anch'essa figlia di boss, all'hotel Astor di
Manhattan ci sono tremila persone, tra cui uomini d'affari, politici,
ecclesiastici, il direttore del giornale "Il Progresso Italo-Americano" e
tanti altri.
Nell'agosto del '57 Bonanno viene in Italia, per l'inaugurazione di un
orfanotrofio in Sicilia (neppure una parola sul summit dell'ottobre dello
stesso anno all'hotel delle Palme di Palermo, una sorta di Yalta del
traffico di droga). All'aeroporto di Fiumicino riceve un'accoglienza
trionfale, c'e' pure Bernardo Mattarella, anche lui castellammarese,
democristiano e piu' volte ministro.
La pax Bonanno durera' poco e il vecchio boss si fara' sempre piu' da parte:
non ha niente da spartire con la "nuova mafia" sempre piu' legata al
traffico di droga (mentre le fonti ufficiali dicono che proprio la sua
"famiglia" ha un ruolo egemone proprio in quel genere di attivita'). La
Tradizione e' finita gia' negli anni '60 e '70 e Bonanno va in pensione.
Vorrebbe finire i suoi giorni in tranquillita' ma invece comincia la "Grande
Inquisizione" contro di lui. La sua autobiografia e' il congedo dal mondo di
un uomo d'altri tempi: "In questo libro dichiaro la morte della mia
Tradizione in America. Il modo di vivere che io e i miei antenati siciliani
conducevamo e' morto. Quello che gli americani chiamano 'Mafia' e' soltanto
un prodotto degenerato di quello stile di vita" (p. 446). Bonanno sa che il
pubblico americano e' "affascinato dal fenomeno 'Mafia'", e cosi' spiega il
successo di un libro come Il Padrino: "Esso ritraeva delle persone con un
forte senso della famiglia che cercavano di sopravvivere in un mondo
crudele. Penso che gli americani siano molto attratti da questo genere di
storie perche' stanno assistendo al disgregamento della famiglia e
dell'onore nella loro cultura... Credo che gli americani rimpiangano i bei
vecchi tempi dei pionieri in cui i confronti avvenivano faccia a faccia.
Inoltre penso che gli americani sentano la mancanza della famiglia e abbiano
difficolta' a trovare qualcosa che la sostituisca. Gli americani sognano
l'unione. Ma soprattutto... gli americani sognano un 'padre'" (p. 448).
Il successo della sua autobiografia, pubblicata in Italia da Mondadori, puo'
significare che questo genere di prodotti non incarna solo il sogno degli
americani.
Questa visione della mafia e' al centro anche delle rivelazioni di Buscetta,
che gli stessi magistrati di Palermo definiscono "uomo d'onore di stampo
antico", anche se non arrivano a seguirlo nell'aperta apologia della "sua"
mafia, che avrebbe avuto come scopo "proteggere i deboli ed eliminare le
soverchierie" e sarebbe stata snaturata dal traffico di droga, di cui
proprio Buscetta e' stato uno dei pionieri.
*
Fonti: Joe Bonanno con S. Lalli, Uomo d'onore, Mondadori, Milano, 1985;
Umberto Santino, Il carretto e la piovra. Mafia e immaginario collettivo, in
Idem, La borghesia mafiosa. Materiali di un percorso di analisi, Centro
Impastato, Palermo 1994, pp. 331-334.

5. LETTURE. HAYDEE SANTAMARIA: DAL MONCADA AL CHE
Haydee Santamaria, Dal Moncada al Che, Massari Editore, Bolsena (Viterbo)
2006, pp. 112, euro 6. La conferenza di Haydee Santamaria (1922-1980)
sull'assalto alla caserma Moncada del 26 luglio 1953, ed alcuni altri suoi
scritti e lettere, con due lettere a lei di Ernesto Guevara (fin qui
inedite) e interventi della figlia Celia Hart Santamaria e di Roberto
Fernandez Retamar, una nota biografica, apparato iconografico; a cura di
Roberto Massari. Per richieste alla casa editrice: Massari Editore, casella
postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail: erre.emme at enjoy.it, sito:
www.enjoy.it/erre-emme

6. RISTAMPE. EDMONDO DE AMICIS: OPERE SCELTE
Edmondo De Amicis, Opere scelte, Mondadori, Milano 1996, 2006, pp. CXXIV +
1276, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di
Folco Portinari e Giusi Baldissone, una bella, accurata raccolta di testi
narrativi deamicisiani, alcune novelle brevi e lunghe, il Cuore e Primo
Maggio. Per un accostamento a De Amicis (al De Amicis vero, non
all'immaginetta oleografica e devozionale che ci veniva propinata
nell'infanzia) suggeriremmo anche la lettura dell'agile e puntuale
monografia di Bruno Traversetti, Introduzione a De Amicis, Laterza,
Roma-Bari 1991, e l'ormai classico studio di Sebastiano Timpanaro, Il
socialismo di Edmondo De Amicis, Bertani, Verona 1983.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 114 dell'8 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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