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Nonviolenza. Femminile plurale. 106
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 106
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 7 Jun 2007 11:07:19 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 106 del 7 giugno 2007 In questo numero: 1. Luisa Morgantini: A Roma l'8 giugno 2. Eric Silver: "Indossa il velo o ti taglieremo la testa" 3. Emma Ross-Thomas: "Vogliamo restare laiche" 4. Stefano Ciccone: Donne e uomini, liberi insieme 5. Lea Melandri: Politiche familiari e patriarcato 6. Karen Press: Parole espropriate e altre poesie 1. INCONTRI. LUISA MORGANTINI: A ROMA L'8 GIUGNO [Da Luisa Morgantini (per contatti: tel. 0669950217, cell. 3483921465, e-mail: luisa.morgantini at europarl.europa.eu) riceviamo e diffondiamo. Luisa Morgantini, parlamentare europea, presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004] Per la "Giornata internazionale contro l'occupazione dei territori palestinesi e il muro dell'apartheid", per una pace giusta e durevole per due popoli e due stati, vi invito a partecipare all'iniziativa "1967-2007: quaranta anni di occupazione israeliana dei territori palestinesi: basta!" che si terra' a Roma l'8 giugno 2007 in piazza S. Maria Liberatrice (Testaccio) dalle ore 18 alle ore 23. 2. DIRITTI UMANI. ERIC SILVER: "INDOSSA IL VELO O TI TAGLIEREMO LA TESTA" [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo. Eric Silver e' corrispondente da Gerusalemme per "The Independent"] Tutte e quindici le donne che lavorano per la televisione palestinese a Gaza erano al loro posto, ieri, nonostante le minacce di morte da parte di un gruppo islamista radicale che si crede sia collegato ad Al Qaida. La "Giusta spada dell'Islam" ha infatti annunciato che colpira' le donne "con il pugno di ferro e la spada" poiche' non indossano il velo, o niqab, davanti alle videocamere. "E' una sciagura che le donne che lavorano per i media ufficiali palestinesi competano per mostrare il loro fascino", dice il volantino distribuito a Gaza durante il fine settimana, "Distruggeremo le loro case. Faremo saltare in aria i posti in cui lavorano. Abbiamo un bel po' di informazioni sui loro indirizzi e stiamo seguendo i loro movimenti". Il gruppo minaccia di "massacrare" le donne perche' corromperebbero la morale palestinese. "La direzione ed i lavoratori di Palestine Tv", continua il volantino, "devono sapere che siamo piu' vicini a loro di quanto credano. Se sara' necessario, decapiteremo e massacreremo al fine di preservare lo spirito e la morale del nostro popolo". Circa meta' delle giornaliste televisive in questione indossano la copertura per la testa detta hijab, ma tutte mostrano il viso ed usano cosmetici. Le giornaliste hanno organizzato una veglia, ieri, fuori dall'ufficio del presidente Mahmoud Abbas a Gaza City, chiedendo rispetto e protezione. Lana Shaheen, una dirigente della stazione televisiva in lingua inglese ha dichiarato a "The Indipendent": "Naturalmente siamo spaventate. In precedenza, questo gruppo ha minacciato gli Internet cafe' e le videoteche, dopo di che ha bruciato i locali. Noi intendiamo proteggerci". Lana ha ribadito che le donne continueranno a lavorare: "Non cambieremo le nostre vite. Abbiamo lavorato sotto i bombardamenti israeliani e durante gli attacchi, allo stesso modo degli uomini. Lo dobbiamo alla nazione". Mohammed al-Dahoudi, il direttore generale di Palestine Tv, dice di star prendendo le minacce molto sul serio: "Nel caos che attualmente investe la sicurezza, a Gaza puo' accadere qualunque cosa. Altri gruppi incitano ad agire contro la televisione. Proseguiremo nel nostro lavoro come d'abitudine, ma prendendo precauzioni. Dobbiamo stare attenti". Mohammed al-Dahoudi ha anche ricordato le precedenti aggressioni dei musulmani radicali agli uffici locali della televisione saudita Al Arabiya, alla stazione televisiva "La voce dei lavoratori" ed agli stessi uffici di Palestine Tv a Khan Yunis. Nelle ultime settimane, i militanti che stanno conducendo questa campagna contro "l'influenza occidentale" hanno compiuto atti di vandalismo in una scuola americana e in una libreria cristiana. Bassam Eid, direttore del Gruppo per il monitoraggio dei diritti umani in Palestina, sostiene che i musulmani radicali si comportano come i talebani in Afghanistan: "Gaza e' diventata la citta' di Hamas-istan. Stanno tentando di trascinare la societa' palestinese indietro, al medioevo". Mentre le prospettive di pace svaniscono e la poverta' si diffonde, i palestinesi sembrano diventare piu' "tradizionali". I bar e i cinema chiudono. Molte donne, anche quelle istruite della classe media, ora si coprono le teste anche se non l'avevano mai fatto, ma e' rarissimo trovarne una, persino nei villaggi, che indossi il niqab che copre il volto. 3. TURCHIA. EMMA ROSS-THOMAS: "VOGLIAMO RESTARE LAICHE" [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo. Emma Ross-Thomas e' corrispondente da Istanbul per l'agenzia di stampa Reuters] Le donne turche sono sulle strade a protestare come mai hanno fatto prima d'ora, e la loro lotta per preservare lo status laico della Turchia sta dando loro una voce politica piu' forte, che potrebbe tradursi in seggi parlamentari nelle prossime elezioni questa estate. Le donne sono state la maggioranza nelle recenti dimostrazioni tenute nelle citta' turche contro il partito islamista Ak che e' al governo, e temono cio' che tale partito puo' fare se, come e' probabile, dopo le elezioni sara' ancora in maggioranza. "Non mi fido di questa gente. Vogliono rendere la Turchia simile all'Iran", dice Nilufer Celik, quarantaduenne direttrice di marketing, riferendosi a Tayyip, primo ministro del governo Erdogan, "La prima mossa sara' impedirci di vestire come preferiamo". Celik aggiunge che non era mai stata ad una manifestazione in vita sua prima di aprile, quando si e' unita ad un raduno ad Istanbul che ha raccolto un milione di dimostranti laici, ed ha cancellato le proprie vacanze per essere certa di andare a votare il 22 luglio prossimo. Le donne turche hanno conquistato il diritto di voto sotto Mustafa Kemal Ataturk, il riverito fondatore della moderna e laica repubblica turca, nel 1934. Nel 1935 contavano il 4,6% dei deputati, la percentuale piu' alta mai ottenuta, giacche' l'attuale e' del 4,4%. "Questo e' l'anno in cui le elezioni porteranno le donne in Parlamento", dice Canan Guller, presidente della Federazione delle Associazioni di donne, "Adesso e' il 4,4 ma dopo saranno probabilmente il 10,4 o il 14,4%". Il partito Ak, che si dice di centrodestra e pro-mercato, nega di avere un'agenda islamista. Erdogan, musulmano praticante la cui moglie e le cui figlie indossano l'hijab, sostiene di voler mantenere una netta separazione tra stato e religione, ma aggiunge che le donne pie hanno bisogno di piu' liberta' nel praticare il loro culto e di poter indossare la sciarpa per la testa negli uffici e nelle universita'. I laici guardano a queste affermazioni come al morbido inizio che potrebbe condurre all'introduzione della legge islamica, o sharia. "Se la sharia viene introdotta in Turchia, coloro che verranno seppellite nel buio, coloro che perderanno i diritti ottenuti, coloro che verranno escluse dalla vita sociale saranno le donne", dice Senal Sarihan, presidente dell'Associazione donne repubblicane, un'organizzatrice delle proteste che sono cresciute intensamente negli ultimi mesi. Negli scorsi cinque anni, il partito Ak si e' impegnato nei programmi per la crescita economica del paese e nei dialoghi per l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, e non ha proposto leggi islamiche, ma questo non rassicura le donne laiche. Non e' solo il moltiplicarsi degli hijab negli uffici governativi o privati: le donne accusano il governo di essere "vecchio" e di voler tornare indietro, e citano il tentativo di criminalizzare l'adulterio fatto nel 2004 e rigettato dall'Unione Europea. I critici dicono che queste donne si stanno spaventando troppo, e che il problema sarebbe loro, perche' non si adattano ad una Turchia che cambia a causa del trasferirsi dalle zone rurali alle citta' di persone che sono piu' istruite e piu' benestanti di un tempo, ma mantengono i loro costumi religiosi. L'editorialista Gulay Gokturk di "Bugun", quotidiano religioso, ha scritto: "Si', hanno paura. Ma e' la paura di perdere potere sociale, piu' che la paura di non poter piu' mantenere il proprio stile di vita". La giudice Sumru Cortoglu, che guida uno dei maggiori tribunali turchi, si e' appellata a tutte le donne, in maggio, affinche' difendano i diritti acquisiti con Ataturk, ed assumano un ruolo piu' rilevante in politica. I partiti sembrano ascoltare: alcuni hanno ridotto o cancellato per le donne la tassa che un candidato deve pagare per presentarsi alle elezioni. Il lavoro delle ong e le iniziative dei partiti per incoraggiare le donne hanno certo giocano un ruolo, ma proteggere la laicita' sembra il fattore predominante. "Pensiamo che per proteggere la laicita' dello stato, la rappresentanza delle donne sia importantissima.", dice Inci Bespinar, candidata per il Chp (Partito del popolo repubblicano), ovvero il principale partito laico d'opposizione. Alcuni ostacoli rimangono: non vi sono in Turchia "primarie" fra i candidati, e gli elettori scelgono una lista, non un individuo, cosicche' il successo delle donne dipendera' anche dal punto della lista in cui i leader di partito le posizioneranno. Ma le attiviste e i politici dicono che un nuovo momento e' giunto, e che a costruirlo hanno contribuito quelle proteste in cui le donne si sono fatte notare come forza politica ed hanno coagulato attorno a se' il consenso popolare. "Le donne si stanno muovendo, ora", dice la deputata del Chp Gulsun Bilgehan, "E' il timore di perdere liberta' ed indipendenza. La Turchia e' un paese unico nel mondo islamico". 4. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: DONNE E UOMINI, LIBERI INSIEME [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento gia' apparso sul quotidiano "Liberazione" del 26 maggio 2007. Stefano Ciccone, coordinatore del Parco scientifico dell'Universita' degli studi di Roma "Tor Vergata", intellettuale e militante della sinistra critica, e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una profonda e acuta riflessione individuale e collettiva sull'identita' sessuata e nell'analisi critica e trasformazione nonviolenta dei modelli e delle culture del maschile all'ascolto del pensiero e delle prassi dei movimenti delle donne; e' uno dei promotori dell'appello "La violenza contro le donne ci riguarda"] E' possibile cambiare la politica, la cultura, il lavoro, l'organizzazione delle nostre citta', a partire da nuove domande di liberta' di donne e uomini? Una nuova relazione tra donne e uomini puo' fondarsi proprio su questa domanda di liberta': non l'assunzione di una "questione femminile" da parte di una politica e una cultura maschile che restano uguali a se stesse, non un mero "passo indietro" maschile nello spazio pubblico e nei luoghi di potere, ma un diverso sguardo sul mondo, una nuova critica radicale ai linguaggi, alle forme del potere, ai ruoli e alle relazioni tra i sessi. Negli ultimi anni sulla costruzione di una relazione politica tra donne e uomini sono cresciute nel nostro paese riflessioni e pratiche. Oggi (26 maggio 2007) e domani si incontreranno per la prima volta a Roma con l'intento di scambiare esperienze, ma anche di pensare possibili iniziative e percorsi comuni. Si tratta di gruppi molto differenti tra loro per composizione, riferimenti teorici e culturali, linguaggi e forme dell'agire. Il variegato scenario della politica delle donne e della riflessione femminista ha incontrato una pratica e una ricerca di uomini che ha scelto di aprire un conflitto nel maschile e di rendere visibile la ricerca da parte di uomini di una diversa qualita' delle proprie vite e delle proprie relazioni con le donne e con gli altri uomini. Non un confronto "tra due generi" o tra due identita' immutabili, dunque, ma lo spazio di espressione dell'irriducibilita' delle soggettivita' alla categoria di genere e al tempo stesso dell'impossibilita' di costruire queste soggettivita' prescindendo dal proprio corpo sessuato e dalla sua storia e rappresentazione sociale. Un lavoro politico, culturale, personale: una risorsa di ricerca e espressione ricca e non irrigidita in schemi teorici o disciplinari. Una relazione vera e non un confronto teorico che si astrae dalla storia delle persone; capace di aprire uno spazio dove far valere le storie individuali, le tensioni e gli scarti tra queste, le rappresentazioni sociali, i desideri e le domande che uomini e donne scelgono collettivamente di esprimere. E dove anche costruire pensiero. Per farlo queste esperienze hanno cercato di costruire forme e luoghi che permettessero l'espressione di questa ricchezza e hanno scoperto in questi anni quanto fosse potente e urgente la necessita' di dare voce all'esperienza di ognuno/a e riconoscerla. Costruire questa relazione non e' indolore ne' senza conflitti: la prima tensione su cui e' costretta a misurarsi e' quella tra il riconoscimento reciproco, la continua sensazione di disconoscimento della propria storia e della propria parola che ognuna/o prova, il continuo fraintendimento frutto delle reciproche proiezioni e rappresentazioni. Si tratta della difficolta' di fare i conti con disparita' e asimmetrie nella relazione tra i generi e nella storia politica della riflessione e del conflitto costruito su di essa. Asimmetrie tra donne e uomini, tra generazioni diverse, differenze culturali, politiche, di linguaggi e di disponibilita'. In questi percorsi di ricerca, dialogo e politica di donne e uomini e' sempre stata presente la scelta di confrontarsi tra singole storie e non tra "rappresentanti" dei generi ma anche la consapevolezza di quanto cio' sia difficile (sentirsi attribuiti stereotipi di genere, attribuire all'altra/o ferite subite da rappresentanti del suo genere, sentirsi schiacciati/e dall'eredita' della storia, sentire che questa schematizzazione non riconosce e da conto del nostro personale differire, far fatica a "fare i conti" con responsabilita', ambiguita', complicita' di genere...). Da qui anche le ricorrenti diffidenze reciproche che hanno pero' trovato in questi anni, nella pratica comune e nel confronto politico, la possibilita' di esplicitarsi cessando di essere un ostacolo preliminare nella comunicazione. Differente, tra donne e uomini, e' la relazione con la storia e la posizione di conflitto con gli assetti di potere del presente e pulsioni contraddittorie, figlie di questa disparita', segnano questo dialogo. Non basta pero' riconoscere che questa relazione e' oggi matura: e' anche necessario trovare dentro di se', nel proprio percorso politico, nelle domande che ci muovono, il desiderio di questa relazione, la percezione di una propria non autosufficienza, la curiosita' di un dialogo di differenza i cui esiti sono imprevisti e spesso spiazzanti. Altro nodo insoluto che sta acquistando maggiore importanza (e potenzialita' conflittuale) e' la ricaduta "nel mondo" nella politica (ma anche dell'Accademia) di questo percorso, che porta con se' la percezione di un rischio di invadenza maschile senza la necessaria assunzione della propria parzialita' e la messa in discussione del proprio potere, cosi' come il rischio di strumentalita' nel discorso politico e dell'assunzione tutta intellettuale di un pensiero che chiede invece di cambiare alla radice la materialita' delle vite e delle relazioni. Noi siamo convinti/e che questo cambiamento incontri oggi un desiderio di liberta' di donne e di uomini: liberta' diverse ma che finalmente non si negano ma scoprono di avere bisogno l'una dell'altra. 5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: POLITICHE FAMILIARI E PATRIARCATO [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento gia' apparso sul quotidiano "Liberazione" del 20 maggio 2007. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Il "Family day", la manifestazione che il 12 maggio 2007 a Roma in piazza S. Giovanni ha alzato il vessillo della famiglia tradizionale, rientra, sotto certi aspetti, nei riti con cui le societa' da tempo immemorabile hanno creduto di poter negare e affermare al medesimo tempo la morte di istituzioni e valori ritenuti indispensabili alla loro sopravvivenza. La "sacra famiglia", che inchieste, dati statistici dicono in via di sparizione, puo' contare oggi solo sui fasti e la retorica celebrativa riservata agli antenati, ma proprio per questo temibile, quanto lo e' stato dopo la prima guerra mondiale l'immagine di una patria minacciata, morta o in pericolo di morte. La decisione di Rosy Bindi di non invitare alla Conferenza di Firenze del 24 maggio sulla famiglia le associazioni degli omosessuali - discutibile anche dal punto di vista giuridico, come ha scritto Cesare Salvi, in quanto si tratta di decidere misure sociali gia' previste per tutte le forme di convivenza - puo' essere letta sotto lo stesso profilo: accanimento terapeutico su un malato senza speranza, o rianimazione miracolistica. E' anche vero, tuttavia, che Rosy Bindi persegue con questa scelta un progetto politico gia' indicato con ampiezza di argomenti nella sua audizione alla Commissione Affari Sociali del 18 luglio 2006: "armonizzare" diritti della persona e della famiglia, tenendoli pero' ben distinti, in modo che non confliggano, non mostrino dissonanze; riconoscere alla famiglia "naturale" legittimata dall'articolo 29 della Costituzione sulla base del matrimonio, quella "superiore dignita'" che la pone al centro di diritti e tutele da parte dello Stato, "risorsa" e "bene" primo per lo sviluppo e la coesione sociale a cui rendere giustizia con politiche mirate. "Soggetto attivo di cittadinanza e welfare" deve diventare, non il singolo, uomo e donna, ma l'entita' sociale, giuridica, economica, mescolanza di "interessi e emozioni", che lo comprende e lo supera. "La famiglia - scrive Bindi - non puo' essere nemica delle persone e dei loro diritti", un'affermazione mossa da una visione idealistica che sembra non voler fare i conti con verita' risapute, esperienze comuni a popoli e civilta' diverse. * "La famiglia - annotava Freud quasi un secolo fa - non vuole lasciare libero l'individuo. Quanto maggiore e' la coesione dei suoi membri, tanto piu' essi tendono a segregarsi dagli altri e diviene loro difficile entrare nel cerchio piu' vasto della vita". Oggi, dentro un processo, riconosciuto da Rosy Bindi stessa, di "de-istituzionalizzazione" dell'unita' famliare - aumento di divorzi e separazioni, denatalita', nuclei monoparentali, ecc. - le "logiche individuali" stanno decisamente prendendo il sopravvento, la "pienezza della vita" - come si legge nel libro di Roberto Volpi, La fine della famiglia (Mondadori 2007) -, che prima si realizzava "attraverso e grazie ai figli", viene dirottata verso "altre cose, altre opportunita' e soddisfazioni". Per chi rimpiange le antiche virtu' di un "ordine" che la storia avrebbe ereditato dalla natura e dalla trascendente volonta' di un dio, il profilarsi di un nuovo fondamento della comunita' umana non puo' non destare allarme e inasprire la condanna di scelte, comportamenti, ritenuti lesivi di verita' morali "non negoziabili". A un pensiero secolarizzato, al contrario, non dovrebbe essere ne' imprevista ne' estranea la centralita' che va assumendo l'individuo - i suoi diritti, le sue liberta' -, anche se insidiata dalle derive di una societa' sempre piu' atomizzata e conformista. Eppure, di fronte all'onda montante di nostalgici, imperiosi richiami alla famiglia tradizionale, anche le forze laiche esitano, si contraddicono, si perdono in distinzioni bizantine, si sottraggono soprattutto a un'analisi della famiglia per quello che e' stata storicamente: unita' proprietaria, strutturazione dei poteri che hanno opposto un sesso all'altro e consegnato la donna al ruolo biologico di riproduttrice della specie. Giustamente Roberta Fantozzi vede nel sempre piu' insistente riferimento alla famiglia "la riproposizione di un'idea prescrittiva e regressiva delle relazioni sociali, che nega l'affermazione di percorsi di liberta' e di autonomia delle persone" e mira a riscrivere in senso familistico lo stato sociale, mentre continua l'occultamento della divisione sessuata del lavoro (www.differenzaingioco.it). * Forse e' venuto davvero il momento in cui e' possibile allacciare alcuni di quei fili che pratiche politiche diverse hanno sdipanato nel corso degli anni e, mescolando saperi astrattamente contrapposti, scoprire che si possono intraprendere percorsi comuni. La famiglia, considerata la cellula prima della vita sociale e in linea di armoniosa continuita' con essa, e' tale solo se la si guarda dall'esterno, dal punto di vista di una verita' che si fa discendere dall'alto, o di una politica che si e' separata dalla vita dei singoli tanto da non saperla piu' interpretare. Se e' vero che per tanto tempo, come dice Bindi, "ci si e' serviti della famiglia come sussidio a responsabilita' sociali pubbliche", e che a questa ingiustizia va posto rimedio, vuol dire che un'ostilita' c'e' stata tra sfera privata e sfera pubblica, e di conseguenza tra i sessi che ne hanno ricoperto oneri, funzioni e valori. Di quel "bene" misconosciuto che e' l'unita' familiare si dice che va "valorizzato" e "tutelato", dandogli innanzitutto "cittadinanza". In termini analoghi si e' sempre parlato dell'esclusione-inclusione delle donne nella vita pubblica, del loro difficile sforzo di conciliare casa e lavoro. Finche' il soggetto di riferimento resta la famiglia, e' chiaro anche quali sono i protagonisti che dovrebbero collaborare attivamente allo sviluppo della societa': e' innanzitutto la coppia madre-figlio, unita' biologica nell'esperienza della nascita divenuta destino per l'esistenza femminile; ma e' anche la coppia genitoriale: non un uomo e una donna, ma un padre e una madre. Sparisce, nel quadro di una brutale naturalizzazione della storia, l'individualita' femminile, la possibilita' per la donna di realizzarsi come persona, ne' solo corpo ne' solo mente, ma precipita in questo occultamento anche l'idea di individuo, confusa e appiattita sulla maschera di un ruolo, sulla fissita' di un copione. Mettere al centro i diritti e la liberta' del singolo, e da li' ripensare le formazioni sociali che ne garantiscono la sopravvivenza e lo sviluppo, vuol dire percio' affrontare in tutte le sue conseguenze e connessioni un dominio patriarcale che oggi si presenta col volto aggressivo dell'integralismo religioso, ma che ha a che fare con l'origine stessa del genere umano, con il suo tormentato percorso di amori e odi, conservazione e distruttivita'. Identificare la donna con la madre ha significato prolungare indebitamente l'infanzia, fare dell'appartenenza intima a un altro essere il vincolo che, se per un verso illude il desiderio d'amore, la ricerca di protezione contro il dolore e la morte, per l'altro strangola sul nascere ogni legittima spinta di liberta' del singolo, maschio e femmina. Sarebbe un grave errore se, parlando della centralita' della "persona" contro il montante familismo, si tornasse a prospettarsela neutra e scorporata. 6. POESIA E VERITA'. KAREN PRESS: PAROLE ESPROPRIATE E ALTRE POESIE [Dalla rivista mensile "Lo straniero" n. 84, giugno 2007, riprendiamo la seguente selezione di versi (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net). Le poesie sono estratte da Home, Carcanet 2000, e da The Canary Songbook, Carcanet 2005. La traduzione e' di Paola Splendore. Karen Press, nata nel 1956 a Cape Town, dove risiede tuttora, e' stata molto attiva nel movimento antiapartheid; a partire dagli anni Ottanta ha pubblicato varie raccolte di versi, libri per bambini e libri di testo per le scuole di matematica e scienze] Speranza per i rifugiati puoi tornare indietro puoi tornare indietro correre a ritroso richiamare gli animali scucire gli orli strappare le foto al fuoco puoi tornare indietro puoi tornare indietro tirarti giu' la veste abbottonarti la camicia asciugare il sangue raschiarlo via puoi tornare indietro puoi tornare indietro lavare le pareti aggiustare la porta ricordare il gradino nel buio evitare il buio puoi tornare indietro puoi tornare indietro disseppellire la cassa in giardino disseppellire la cassa in cortile disseppellire la cassa nel tuo cuore disseppellire la cassa nel cuore del bambino puoi tornare indietro puoi tornare indietro deporre gli scheletri nei loro letti appendere gli anni all'aria piantare semi, fare la guardia al pozzo cancellare gli incubi, le tue impronte chiudere a chiave la porta lavorare sodo rendere grazie a dio * Parole espropriate (poesia trovata per Jessie Tamboer che si diede fuoco e mori' bruciata perche' non poteva piu' procurare cibo per i suoi figli) I camion hanno portato 40.000 neri verso i confini meridionali del deserto. Non posso dire niente sul mio futuro ora. Avevamo una bella vista ed e' stata la prima volta che ho visto piangere mio padre. Hanno detto "Ti muovi vecchio?" Ho preso il cric e ho buttato giu' la casa. Non posso dire niente sul mio futuro ora. Un uomo deve avere almeno un buco per se' Ogni coniglio ha la sua tana. Anche un nero deve avere la sua tana. A volte piango, io che non ho niente Non ne posso piu' di contemplare la mia rovina. Avevamo una bellissima vista sul mare - Ci e' stata negata. Scoperchio le pattumiere e mi chiedo, non puo' essere che ci abbiano buttato qualcosa - qualche cosetta da mettere sotto i denti? Questo ci e' stato negato. A volte lei cominciava a singhiozzare allíimprovviso senza nessun motivo apparente. Mancanza d'amore. Non c'e' modo di descrivere quella fame. Pentole e bicchieri lucidi e puliti: niente di niente da mangiare in casa. Le fiamme la inghiottirono immediatamente ma non emise un suono mentre camminava per il cortile bruciando. Le ceneri di una casa vengono raccolte da un'altra per i pezzetti di carbone. Se vuoi sopravvivere devi avere un progetto. Non posso dire niente del mio futuro ora. * Piccoli frammenti del passato Piccoli frammenti del passato mi finiscono nelle tasche luminosi come gli occhi dei cani randagi, imploranti e feroci. Per simpatia il presente si sgretola e finisce la' dentro. Cemento - abbiamo bisogno di cemento ora, colla per il legno, colla per la carta, adesivi, connettivi, dovrebbero darne in abbondanza agli scolari, e rimandarli in campagna per cementarne i pezzi, cementarci i loro genitori fare i calchi delle ossa e seppellirle come antenati, ordinare alberi indigeni dai cataloghi e piantarli dappertutto per consolidare la sabbia, seppellire le maschere e i vasi frantumati in profondita' per tenere il terreno drenato, dar da mangiare ai cani e lasciarli andare per la loro strada, sistemare le cose, sistemarle una volta per tutte. * Pietre per le mie tasche Seppellite le madri una dopo l'altra ci lasciamo trasportare dalla corrente le buone e le cattive ragazze. Nessuno piu' ci chiedera' "quando torni a casa?" Tutte le valigie si svuotano e ci lasciano. Dopo le prime ore di dolore in caduta libera diventeremo sirene o sibille senza eta', intoccabili. Un'amica dipinge le mani di sua madre su stoffa, vetro, carta. Una cattura con le parole un certo nitore degli occhi un certo chiuso dolore. Una fa volteggiare i suoi piccoli in un vortice di petali dipinti nell'autunno della loro nonna. Io raccolgo le tue storie, pietre per le mie tasche per ancorarmi a terra quando la radice cede. * Scaglie di luce cadente. Poesia della peste All'incirca anche qui uno su quattro scompare proprio mentre parliamo - leggermente e senza alcuna tecnica muoiono lentamente e oltre la durata dell'amore buoni cittadini di un buon paese, muoiono modestamente l'abbraccio dei contagiati e' un progetto nazionale il rifiuto la prerogativa della cerchia piu' intima le metafore dell'amore si squarciano, la gente esce dal suo guscio laccato, morendo urlare non e' consentito dove dormono i bambini e le madri, boccioli morenti di lampeggiatori nei nubifragi dell'amore degli uomini qui molto vicino alla terra i bambini e le loro madri e poi anche i padri muoiono come muoiono i poveri, lottando per un po' di dignita' e un po' di cibo ogni volta stupita torno a sfiorare lievemente con le labbra ogni morte all'incirca anche qui uno su quattro scompare - quanti saranno i piccoli portatori per una bara? ci vogliono molti giorni per avvolgere tuo padre in un lenzuolo resti impigliato nella rete delle ossa chi lo seppellira' se non lo fai tu? smarrito seghi l'albero tutta la notte il mio orologio fa un suono cosi' solenne come una bambina che attraversa il corridoio buio con le scarpe del nonno tra fili díerba, contro mura sgretolate lasciate che le mucche offrano le mammelle ai neonati che giacciono a pancia in su, come scarafaggi indifesi le metafore dell'amore si squarciano improvvisamente un giorno sentirai il cielo nero avvampare nel silenzio la strada vuota cercare disperata il rumore dei passi siamo alla fine, siamo alla fine scaglie di luce cadente. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 106 del 7 giugno 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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