Minime. 115



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 115 del 9 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Arrivederci Roma
2. Maria G. Di Rienzo: Sulla manifestazione del 9 giugno
3. Enrico Piovesana: Come i civili assassinati dalla Nato in Afghanistan da
morti diventino "talebani"
4. Manlio Dinucci: Il 2 giugno ai Fori Imperiali, sfila la Brigata Falluja
5. Rocco Altieri: Una lettera agli amici
6. Marina Montagna: La farfalla e i generali. Un ritratto di Aung San Suu
Kyi
7. Centro Impastato: Mafia e antimafia, un percorso di analisi. Paradigmi
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. ARRIVEDERCI ROMA

Incontrandolo per caso in un'osteria trasteverina in cui ambedue
s'avvinazzavano, il nostro vecchio amico Cencio Sputarospi cosi' apostrofava
il Signor Presidente, che da parte sua non capiva una parola di quanto
Cencio gli diceva, e continuava a stonare Dixieland e spargere saliva.

Egregio presidente,
lei certo capira'
che tante vite spente
non sono una bonta'.

Egregio presidente,
di certo le dispiace
il motto impertinente:
la guerra non e' pace.

Egregio presidente,
per una volta ascolti
la voce della gente
la voce dei sepolti.

Egregio presidente,
di sangue ha sparso un mare
la guerra permanente
per sempre ha da cessare.

Poi si abbracciavano emettendo sconci rumori, si facevano un'altra fojetta,
e ad una voce intonavano La societa' dei magnaccioni. Altro che
L'Internazionale.

2. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: SULLA MANIFESTAZIONE DEL 9 GIUGNO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un
piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in
"Notizie minime della nonviolenza" n. 81]

Passo dopo passo, il ruolo attivo dei sistemi politici nel permettere e
promuovere oppressione e violenza e' sempre piu' manifesto. Nelle persone
cresce il cinismo, la sensazione di essere prive di potere, la negazione e
la rabbia: di conseguenza, crescono di pari misura l'impegno e il
disimpegno, nel tentativo di influenzare gli eventi. Chiaramente, e' un
momento in cui c'e' molto da imparare, a piu' livelli, e non solo per i
governi: c'e' da imparare per noi come opinione pubblica, come attiviste/i,
come attrici/attori nel sistema politico e nella rete sociale di valori e
comportamenti in cui esistiamo.
La macchina della guerra macina orrore ogni giorno, coltivando in noi
frustrazione, paura, non ascolto e deprivazione: viviamo al suo interno,
anche quando ne denunciamo le atrocita' e ci rifiutiamo di cooperare alla
sua continuazione. Noi siamo abituati a percepire come "tempo di pace" il
periodo in cui nessuna guerra disturba il nostro territorio o viene posta
alla nostra attenzione dai media. Durante questi periodi di "pace", molte
persone continuano ad effettuare lavoro di "riparazione" sugli effetti della
violenza strutturale che intesse il nostro sistema, spesso pero' senza
arrivare ad identificarne le cause.
Quando giunge la guerra, la guerra sotto i riflettori, le persone che non
sono impegnate in uno sforzo per la pace a lungo termine agiscono sotto la
pressione dell'orrore immediato ed inventano modi per tentare di fermarla.
Molte organizzazioni pacifiste si muovono nel modulo di "risposta alla
crisi": un mucchio di attivismo viene alla luce, in parte usuale, in parte
innovativo, a volte segnato dalla disperazione, e noi ne veniamo potenziati
e depotenziati piu' volte, persino nel corso della medesima azione, perche'
molto dipende dai nostri scopi e bisogni, dalla nostra capacita' di
comprendere la situazione, e dal risultato dell'azione stessa.
In questo momento, raccogliere milioni di persone in tutto il mondo per
protestare contro le guerre in corso, com'e' avvenuto per la guerra in Iraq
il 15 febbraio 2003, appare improbabile. Quell'azione fu certo positiva e
forte. Ma la guerra ando' avanti, e questo e' stato deprimente per molti,
che hanno vissuto la cosa come proprio fallimento, o addirittura come
fallimento dei propri convincimenti pacifisti. In modo tipico dell'attivismo
italiano, non si e' visto quel momento come un momento per imparare: ad
esempio, per capire che il movimento, anche di grandi masse, basato
unicamente sull'onda emotiva, non regge i tempi lunghi.
*
Credo che per cominciare a rispondere a questa situazione dovremmo dare uno
sguardo piu' profondo alle nostre scelte ed azioni, a come abbiamo usato la
nostra energia ed il nostro tempo, e a quanto vale la pena di investire in:
comunicazione e rapporto con i media, training nonviolento, "manutenzione"
dei nostri gruppi, pianificazione delle azioni.
Lo so, per quanto ruvida e pignola io riesca ad essere, appaio quasi sempre
come un'ottimista: una "roccia ottimista" (come mi ha definito un amico).
Certamente c'e' del vero. Per esempio, c'e' la mia ostinata fiducia che
l'esperienza sia di insegnamento e che quindi se abbiamo ripetuto un errore
cinquanta volte la cinquantunesima sara' piu' probabile fermarsi a pensare
prima di compierlo. Ogni tanto, a questo proposito, mi arrovello parecchio e
mugugno, chiedendomi com'e' possibile che persone istruite e che hanno a
disposizione parecchie risorse, o che contano anni d'esperienza, persistano
ad organizzare/propagandare azioni che si sono gia' rivelate fallimentari o
controproducenti.
Una delle mie maestre, attivista nonviolenta di lunghissimo corso, da me
posta di fronte alla questione qualche anno fa, mi disse che secondo lei si
trattava di un ciclo che si presenta nei movimenti sociali, e che
probabilmente ci voleva un po' di pazienza: quando gli attivisti "alla
Tafazzi" avessero compreso che le campagne arretravano invece di raggiungere
i propri scopi, e che il consenso popolare calava invece di accrescersi,
avrebbero valutato le loro tecniche e le avrebbero cambiate. Questo non
significava, aggiunse, che io non dovessi essere ferma nel rigettare parole
e metodi che spingevano verso la violenza, anzi, era un dovere che avevo nei
confronti miei propri ed altrui.
Recentemente le ho scritto che il "caso italiano" sembrava non corrispondere
alla sua analisi. Per quanto si dica e faccia, argomentai, lo scenario non
cambia. E le citai un pezzo comparso su "Il manifesto" dove un noto
signorino che ai tempi di Genova 2001 propose gli arieti di sfondamento e il
lancio di acqua al peperoncino, i cui interventi venivano pero' titolati con
roba del tipo "Siamo noi i veri nonviolenti", attribuiva ai "nonviolenti
assoluti" (distinzione che avevo ignorato prima dell'illuminante lettura) la
responsabilita' di una carica di polizia subita dal suo gruppuscolo. Non
spiegava perche', a lui non serve. Ne' la redazione si e' preoccupata del
far notare la colossale incongruenza. I toni, come sempre, erano
irrealistici ed apocalittici, una catena di roboanti frasi fatte con il
trionfalismo da supereroe dei fumetti a far da sfondo: dovunque ci sia
un'ingiustizia noi ci saremo! Al che mi sorge sempre la domanda: a chi
subisce l'ingiustizia avete mai chiesto cosa vuole e se vi vuole? La mia
amica rispose che si', l'analisi non reggeva in questo caso: perche' era
evidente che se si persisteva in atteggiamenti di un certo tipo essi
rispondevano a scopi che non erano quelli dichiarati. Qualsiasi sia
l'obiettivo che ti sta a cuore, disse, tu misuri il tuo successo mano a mano
che la distanza da quell'obiettivo si accorcia. Quando invece esso si
allontana, se non ti fermi a domandarti perche' e' ovvio che il tuo scopo e'
un altro.
Adesso io so bene, come lo sanno tutti a sinistra e a destra anche se
preferiscono non parlarne, che ogni aggregazione collegata a partiti, oltre
ai partiti stessi, e' inserita in un meccanismo clientelare fatto di
consulenze, "posticini", finanziamenti, patrocini, candidature, gestione di
spazi, legittimazioni politiche, eccetera.  E poiche' gli eroi combattenti
di cui sopra non sfuggono a questo cliche' ma anzi ne mostrano tutti i
pesanti limiti, ipotizzo che il loro scopo reale sia guadagnare il massimo
all'interno di questo schema e che per mantenere in esso la propria
posizione debbano ossessivamente stare sotto i riflettori, l'unica cosa che
mostra ai loro mecenati quanto sono importanti.
*
A questo punto mi chiedo: cosa significa aver due manifestazioni a Roma, il
9 giugno, e dichiarare che entrambe saranno "pacifiche"? Mettiamoci per un
attimo dalla parte di chi sta alla finestra, incerto se far capolino o no
sulla scena. Se sono entrambe pacifiche cos'e' che le divide? Se un
movimento per la pace non riesce a mettersi d'accordo neppure al suo
interno, cos'ha da proporre di diverso, che soluzioni ha, qual e' la visione
che vuole raggiungere?
Il pacifismo generalmente tende a due scopi: quello immediato di por fine ad
una guerra, quello a lungo termine di perseguire il mutamento delle
condizioni che permettono la guerra. Chiaramente essi sono in stretta
relazione ma richiedono differenti approcci. Per compiere azioni sagge ed
efficaci abbiamo bisogno di capire e interrogare le cause della guerra,
abbiamo bisogno di analisi del potere e di pianificazione, di riconoscere,
sviluppare e condividere le nostre capacita', abbiamo bisogno di
creativita', di coraggio e di cooperazione con altre persone. Abbiamo
bisogno di fare una scelta chiara, quella della nonviolenza.
Cominciare a comprendere che la guerra si basa su un profondo e vasto
sistema in cui si intrecciano credenze, abitudini e strutture, avrebbe come
primi effetti lo spostamento dei criteri con cui classifichiamo il successo
o il fallimento delle nostre azioni, e la maggior accuratezza
nell'identificare i nostri punti di influenza. Avrebbe, inoltre, l'effetto
di depurare l'attivismo pacifista da toni, slogan e atteggiamenti basati sul
militarismo. Nel mentre abbiamo bisogno di riconoscere che cambiamenti
profondi richiedono tempo, dobbiamo essere in grado di essere parte dei
cambiamenti che cominciano ad emergere. E per questo dobbiamo riconoscere
che anche il nostro essere mal preparati, scarsamente consci e non
comunicativi, incapaci spesso di immaginare e realizzare cio' che e'
possibile, ci blocca o ci fa arretrare.
Naturalmente mi auguro che la protesta contro Bush del 9 giugno abbia
successo. Ma senza voler passare dalla "roccia ottimista" alla Cassandra (a
proposito, la poverina non veniva creduta, ma non ha mai sbagliato,
pensateci), proporrei che dopo cominciassimo a dirci la verita'.

3. METAMORFOSI. ENRICO PIOVESANA: COME I CIVILI ASSASSINATI DALLA NATO IN
AFGHANISTAN DA MORTI DIVENTINO "TALEBANI"
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo del 6 giugno 2007 li' pubblicato col titolo "Afghanistan, guerra
sul fiume" e il sommario "Due imbarcazioni affondate dalla Nato
sull'Helmand: 90 morti, molti civili".
Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter", per cui segue la
zona dell'Asia centrale e del Caucaso; e' stato piu' volte in Afghanistan in
qualita' di inviato]

Gli elicotteri militari della Nato hanno colpito e affondato, a distanza di
pochi giorni, due imbarcazioni che navigavano sul fiume Helmand. Bilancio:
60 morti sabato e 30 morti ieri. Per il primo episodio, inizialmente
presentato come un "incidente", si era parlato di vittime civili, tra cui
"alcuni talebani". Ma quando ieri il governo afgano ha ammesso che la
seconda imbarcazione e' stata colpita da elicotteri Nato, lasciando
intendere che lo stesso era avvenuto sabato, tutti i morti sono diventati
talebani.
*
L'ammissione del generale
"Gli elicotteri Nato hanno colpito la barca dopo che uomini armati a bordo
della stessa avevano aperto il fuoco contro il velivolo", ha dichiarato il
portavoce del ministero della Difesa afgano, generale Zaher Azimi, che gia'
per l'affondamento di sabato aveva lasciato intendere che la barca era stata
coinvolta in uno scontro a fuoco con velivoli militari.
Non stupisce che, dopo le sue parole, le vittime civili inizialmente ammesse
si siano trasformate in talebani. Non si contano i civili afgani che, da
morti, sono diventati talebani.
*
La nuova offensiva Nato
Che su quelle imbarcazioni vi fossero dei talebani in fuga dalla Nato e
dall'esercito afgano e' piu' che probabile, visto che in quella zona
infuriano da giorni violentissimi combattimenti, iniziati giovedi' notte
dopo l'abbattimento dell'elicottero Chinook della Nato, costato la vita a
cinque soldati Usa, un britannico e un canadese. Almeno 34 i presunti
talebani uccisi nei bombardamenti aerei di venerdi' sul distretto di Kajaki,
nel nord di Helmand; forse una quarantina quelli morti sotto le bombe ieri
nel vicino distretto di Shah Wali Kot, a nord di Kandahar. Chissa' quanti di
loro, da vivi, erano civili.

4. DOCUMENTAZIONE. MANLIO DINUCCI: IL 2 GIUGNO AI FORI IMPERIALI, SFILA LA
BRIGATA FALLUJA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 giugno 2007.
Manlio Dinucci e' giornalista, saggista e geografo, e' stato direttore
esecutivo della sezione italiana della Ippnw (International Physicians for
the Prevention of Nuclear War, associazione vincitrice del Nobel per la pace
nel 1985). Tra le opere di Manlio Dinucci: (con Daniel Bovet), Tempesta del
deserto, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi), 1991;
Hyperwar. Dalla "Iperguerra" del Golfo alla Conferenza sul Medio Oriente,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi), 1991; (con Umberto
Allegretti e Domenico Gallo), La strategia dell'impero. Dalle direttive del
Pentagono al nuovo modello di difesa, Edizioni cultura della pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi), 1992; Geografia dello sviluppo umano, Zanichelli,
Bologna 1995; Geostoria dell'Africa, Zanichelli, 2000; Il sistema globale,
Zanichelli, Bologna 2000, 2004; Il potere nucleare. Storia di una follia da
Hiroshima al 2015, Fazi, 2003; (con Alberto Burgio, Vladimiro Giacche'),
Escalation. Anatomia della guerra infinita, DeriveApprodi, 2005]

Tra i reparti che hanno aperto la parata militare del 2 giugno ai Fori
Imperiali ce n'era uno speciale: il I battaglione del 503o reggimento da
assalto aereo appartenente alla 173a brigata Usa aviotrasportata di Vicenza.
Un reparto distintosi nel 2004 in Iraq nell'attacco a Fallujah, nel quale
sono state usate anche bombe al fosforo provocando una strage di civili. Non
poteva essere scelto un simbolo migliore per mostrare che tra Stati Uniti e
Italia, come ha ribadito il presidente Bush nell'intervista a "La Stampa",
esistono "legami molto stretti".
Il I battaglione e' stato trasferito da Camp Casey (Corea del sud) alla
caserma Ederle di Vicenza nel giugno 2006. Esso e' stato cosi' riunito al
reparto gemello, il II battaglione del 503o reggimento, inviato da Vicenza a
combattere in Iraq e Afghanistan. Insieme ad altri reparti riattivati, ha
contribuito alla trasformazione della 173a brigata di Vicenza in Squadra di
combattimento 173a brigata aviotrasportata.
Il fatto che la Squadra di combattimento sia stata creata nel settembre
2006, per la maggior parte con nuovi reparti riattivati o trasferiti in
giugno, dimostra che l'esercito Usa dava per sicuro di ottenere dal governo
Prodi quella che il vicepremier Rutelli aveva gia' definito "un'idonea
sistemazione logistica della 173a Airborne Brigade nella sua nuova
configurazione".
Cosi' e' stato: nel gennaio 2007 Prodi ha annunciato il nullaosta del
governo al raddoppio della base Usa di Vicenza. La Squadra di combattimento
ha infatti bisogno di piu' spazio.
Essa e' l'unica unita' aviotrasportata e forza di risposta rapida del
Comando europeo degli Stati Uniti, la cui area di responsabilita' comprende
l'Europa, gran parte dell'Africa e parti del Medio Oriente.
Per di piu' il comando Setaf da cui dipende la Squadra di combattimento, il
cui quartier generale e' anch'esso a Vicenza, e' stato trasformato da
comando di appoggio logistico in comando di teatro, responsabile "del
ricevimento, della preparazione al combattimento e del movimento avanzato
delle forze che entrano nella regione meridionale per una guerra". La base
allargata di Vicenza, collegata alle basi aeree di Aviano e Sigonella e a
quella logistica di Camp Darby, sara' quindi trasformata sempre piu' in
trampolino di lancio delle operazioni militari statunitensi. Contrariamente
a quanto sostiene Prodi, che "per l'ampliamento di una base militare non si
pone certo un problema politico", il raddoppio della base Usa di Vicenza ha
riportato quindi in primo piano il problema politico nodale: il fatto che
ne' il parlamento ne' il governo italiano hanno alcun potere decisionale
sulle operazioni militari statunitensi che, partendo dal nostro territorio,
coinvolgono il nostro paese nelle guerre condotte dagli Stati Uniti.
Chissa' se qualcuno nella coalizione governativa si ricordera' di tutto
questo, quando oggi il presidio permanente No Dal Molin di Vicenza
manifestera' a Trento, dove si trova il presidente del consiglio Prodi, per
ricordargli che, dopo aver piu' volte ripetuto di voler dialogare con le
comunita' locali, ha scavalcato tutti dando il nullaosta al raddoppio della
base.

5. ESPERIENZE. ROCCO ALTIERI: UNA LETTERA AGLI AMICI
[Da Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) riceviamo e
diffondiamo.
Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere
moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli
studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti  presso
l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza
all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le
opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione
nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca
Franco Serantini, Pisa 1998]

Agli amici vicini e lontani del Centro Gandhi,
questi tre mesi trascorsi dall'ultima assemblea generale del Centro Gandhi
sono stati molto proficui, portatori di nuove speranze e rinnovato
entusiasmo.
Innazitutto e' uscito il corposo volume curato da Pietro Pertici,La
nonviolenza  attiva in marcia, cui ora va tutto il nostro impegno di
promozione e diffusione.
E' stata, inoltre, portata a buon fine l'iscrizione del Centro Gandhi per
accedere al 5 per mille, e le numerose ed entusiastiche adesioni pervenute
da tutta Italia lasciano ben sperare su un utile contributo che potra'
venire ai "Quaderni Satyagraha" per rafforzarne il progetto editoriale.
Grazie all'opera e allo stimolo di Fernando Pisello si e' avviata una
fattiva collaborazione tra il Centro Gandhi e la Rete italiana per la
decrescita. Per merito di Fernando, che ha contattato il professor Taliani,
si e' svolto a Pisa a Scienze politiche un recente incontro con Bonaiuti sul
tema urgente della decrescita.
*
Mi sono poi mosso, in quanto presidente del Centro Gandhi e direttore dei
'Quaderni Satyagraha", nell'intensificare i rapporti di collaborazione con
le persone e le realta' che avevano partecipato al convegno dell'11
settembre a Pisa.
Questo compito mi ha portato a viaggiare  per oltre due mesi dal Nord al
profondo Sud. Il frutto di questo lavoro ha portato alla effettiva nascita
delle prime redazioni locali dei "Quaderni Satyagraha".
Innanzitutto devo menzionare il felice incontro che si e' svolto presso il
Centro Ariel di Gazzola (Piacenza), dove sono stato un fine settimana,
assieme ad altri soci attivi del Centro Gandhi: Pierpaolo Calonaci di
Firenze, Luigi D'Alessio di Portici, Adriano Mariani di Corfino (Lucca) e un
altro amico di Lucca. Il posto bellissimo e l'accoglienza calorosa hanno
posto le basi felici di una stretta e profonda collaborazione con Federico
Fioretto, Valentina e i loro numerosi amici. Tutto si e' svolto in gioia e
perfetta armonia, nel nome di Gandhi e di Vinoba, colloquiando, meditando e
pregando.
La redazione di Gazzola, poi, ha preso cosi' sul serio il proprio impegno,
da mettersi subito al lavoro, portando a compimento in breve tempo la
traduzione di un importante scritto politico di Vinoba, direi uno dei piu'
importanti in assoluto per il pensiero nonviolento, che fara' da base per la
costruzione di un futuro "Quaderno Satyagraha".
Anche Francesco Pistolato della gia' costituita redazione di Udine continua
a lavorare alacremente alla traduzione del libro di Krippendorff, Staat und
Krieg, che si prevede in uscita alla fine del prossimo anno sempre nella
collana dei Quaderni.
C'e' stato poi un viaggio a Padova per incontrare Papisca in compagnia di
Alberto Capannini e Giulia dell'Operazione Colomba di Rimini. Anche con
l'Operazione Colomba le relazioni di stima e di collaborazione stanno
crescendo nel fattivo  impegno nonviolento.
Siamo scesi poi a Reggio Calabria, questa volta in compagnia del solo Luigi
D'Alessio, per l'incontro Assefa, e li' abbiamo incontrato alcuni dei nostri
lettori e amici piu' affezionati. Ricordiamo innanzitutto le amiche Assefa
di Reggio Calabria, Francesca e Rosa, perfette organizzatrici. Poi
l'avvocato Antonio Montagnese di Nardo di Pace e l'avvocato Francesco
Tassone di Vibo, che ci hanno raggiunto il primo maggio a Reggio e
successivamente a Palmi, infine Raffaello Saffioti, Rosellina Scarcella,
Franca Ierace   e tutti gli amici di Palmi, dove si e' svolto l'altro
fondamentale incontro del viaggio al Sud.
Anche Palmi, con la sua straordinaria vivacita' culturale, erede della
filosofia della Pace di Cardone e della tradizione maieutica di Danilo
Dolci, si e' attivata per diventare redazione e sede calabra del centro
Gandhi e dei "Quaderni Satyagraha". L'entusiasmo degli amici di Palmi, la
bellezza dei luoghi, l'incanto della Pietrosa, ci invitano a ritornarvi
presto e piu' numerosi per realizzare tanti laboratori maieutici sulla
nonviolenza e la cittadinanza attiva.
Infine la tappa siciliana, Palermo e Belpasso, tappe ormai obbligate da
qualche anno del mio peregrinare primaverile, dove i nostri vecchi amici
Andrea Cozzo, Enzo Sanfilippo, Simona, Valeria, Vito e Ana Afonso del Cesie
lasciano ben sperare per future iniziative comuni e l'attivazione di una
redazione anche in Sicilia.
A Napoli, inoltre, Luigi D'Alessio e' diventato attivissimo per promuovere
un centro Gandhi anche nell'area vesuviana.
Le relazioni si moltiplicano e si intensificano.
*
Contemporaneamente Pierpaolo Calonaci, che in questi mesi e' diventato uno
dei piu' attivi collaboratori della rivista e del centro Gandhi, ha
realizzato con successo interventi efficaci di educazione alla nonviolenza
in diverse scuole della provincia  di  Lucca e di Firenze. Il suo operare e'
stato davvero infaticabile, straordinario. Docenti, studenti e presidi che
hanno potuto giovarsi del suo intervento hanno vivamente richiesto di
programmare una nostra attivita' di formazione nelle scuole anche  per il
prossimo anno.
Inoltre Pierpaolo sta organizzando per settembre un pellegrinaggio a piedi
sulle orme di Francesco d'Assisi, che lo dovrebbe portare a visitare luoghi
e persone di alto valore simbolico attraverso la Toscana, l'Umbria, il
Molise, partendo da San Galgano per giungere all'eremo di Celestino, ove
incontrare Pasquale Iannamorelli e la redazione di "Qualevita".
Dal suo pellegrinaggio di alta spiritualita' potrebbe nascere un vero
movimento italiano del Satyagraha.
*
Passando al campo della  mediazione sociale Gabriella Favati e Luca Ruocco
si stanno muovendo con grande abilita' nei loro rapporti con le istituzioni.
Gabriella sta anche verificando la possibilita' di tradurre dall'inglese un
manuale sulla mediazione, che uscirebbe nella collana dei Quaderni.
Tante altre iniziative sono in cantiere.
*
Prima di partire per le vacanze mi auguro sia  possibile convocare un'altra
riunione per stabilire come coordinare meglio le attivita' di Pisa con il
lavoro dei vari gruppi locali presenti nelle varie  regioni.
Ognuno si faccia centro libero e aperto per tante nuove iniziative
nonviolente.
Fraterni saluti,
Rocco Altieri

6. PROFILI. MARINA MONTAGNA: LA FARFALLA E I GENERALI. UN RITRATTO DI AUNG
SAN SUU KYI
[Dalla newsletter "Burma news" (per contatti: burma_news at verizon.net).
Marina Montagna e' impegnata per i diritti umani.
Aung San Suu Kyi , figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano
assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico
in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - durissime
persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato
conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera
dalla paura, Sperling & Kupfer, Milano 1996, 2005; Lettere dalla mia
Birmania, Sperling & Kupfer, Milano 2007]

Forse in Italia non molti sanno chi e' Aung San Suu Kyi, la "farfalla
d'acciaio" birmana, come la chiamano quelli che la amano per la sua
straordinaria forza interiore celata dietro un aspetto fragile e gentile.
Certo nel 1991 Aung San Suu Kyi ha vinto il premio Nobel per la pace ma sul
palcoscenico della storia i riflettori sono puntati su quanti detengono il
potere - politico, economico, finanziario o militare - e possono decidere le
sorti di interi popoli, non su quanti senza clamore, giorno dopo giorno, si
battono per la democrazia e per la liberta', mettendo in gioco la propria
vita e rischiando di perderla. Non eroi ma uomini e donne normali, spesso
sconosciuti, ancora piu' spesso ridotti al silenzio da regimi brutali che
non esitano a calpestare i pio' elementari diritti umani e a reprimere con
la violenza ogni tentativo di ribellione e di cambiamento dello status quo.
Aung San Suu Kyi e' sicuramente una di questi.
Nata a Rangoon nel 1945, pur essendo figlia di uno dei principali artefici
dell'indipendenza birmana assassinato nel 1947, inizialmente non sembra aver
ereditato una particolare vocazione politica in senso stretto. Infatti, dopo
aver lavorato per alcuni anni presso la segreteria delle Nazioni Unite a New
York, nel 1972 sposa uno studioso inglese, Michael Aris, e si trasferisce
nel Regno Unito dove per un lungo periodo conduce una esistenza tranquilla
accanto al marito e ai due figli, Alexander e Kim. Nel 1988 pero' la svolta:
per assistere la madre gravemente malata torna in Birmania dove gia' dal
1962, a seguito di un colpo di stato, si era insediata al potere una giunta
militare che con la nazionalizzazione delle industrie, la soppressione dei
partiti politici e la proibizione del libero scambio aveva portato il Paese
all'isolamento dal resto del mondo.
E proprio il 1988 e' un anno drammaticamente importante per la storia
birmana; a seguito della rivolta studentesca e di una feroce guerra civile
causa di migliaia di morti, viene proclamata la legge marziale. Nasce allora
la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) e Aung San Suu Kyi ne diventa
leader e segretaria generale.
Nonostante l'insuccesso dell'insurrezione popolare, spietatamente soffocata
nel sangue, le proteste del 1988 aprono la strada per libere elezioni che si
tengono, per la prima volta in trenta anni, nel 1990. Intellettuali, operai
e masse di contadini oppressi e affamati intravedono finalmente una speranza
di rinascita per quella terra - un tempo ricca, colta e tollerante -
sprofondata nella miseria e nella dittatura. Il Nld, guidato da Aung San Suu
Kyi, trionfa alle elezioni generali assicurandosi l'82% dei voti ma la
giunta militare si rifiuta di cedere il potere ed arresta Aung San Suu Kyi,
che stanti i risultati delle urne dovrebbe ricoprire la carica di legittimo
presidente della Birmania, e altri componenti dell'Nld.
Inizia cosi' l'estenuante detenzione di Aung San Suu Kyi: rimessa in
liberta' nel 1995, viene nuovamente arrestata nel 2000, di nuovo liberata
nel 2002  e nuovamente arrestata nel 2003. Da allora Aung San Suu Kyi si
trova agli arresti domiciliari, senza alcun contatto con il mondo esterno.
Quando nel 1999 il professor Michael Aris si ammala di cancro la giunta
militare gli impedisce di entrare in Birmania per incontrare Aung San Suun
Kyi ma concede a quest'ultima la possibilita' di lasciare il Paese,
costringendola a fare una scelta lacerante: accettare l'esilio pur di
rivedere il marito che si andava spegnendo, divorato da un male dal quale
non aveva scampo, o restare in patria per continuare tenacemente la
battaglia nonviolenta per la liberta' del suo popolo. Aung San Suu Kyi
decide di rimanere. Il professor Aris morira' cosi' lontano dalla moglie,
fedele alla promessa, fattale prima del matrimonio, di non frapporsi mai tra
lei e i suoi ideali.
E'  importante sottolineare che Aung San Suu Kyi non e' accusata di alcun
crimine, di alcun reato ma le leggi vigenti in Birmania consentono di
condannare - arbitrariamente, senza preventivo giudizio - alla detenzione
fino a cinque anni, ulteriormente prorogabili di anno in anno, anche chi e'
solo genericamente considerato pericoloso "per la sicurezza e la sovranita'
dello Stato".
Oggi in Birmania sono migliaia i prigionieri politici che dopo essere stati
sottoposti a maltrattamenti e torture, ove queste ultime non abbiano avuto
esiti mortali vengono lasciati in condizioni subumane a marcire nelle
carceri, talvolta addirittura nelle celle destinate ai cani dell'esercito,
perche' "colpevoli" di aver fondato organismi studenteschi o di aver
distribuito volantini o di aver partecipato a pacifiche manifestazioni di
protesta o semplicemente di aver scritto un articolo o una poesia.
Basti pensare che quando nel 2000 venne pubblicato il cd degli U2 "Is all
that you can't leave behind", contenente il brano "Walk on" dedicato a Aung
San Suu Kyi, il regime non solo censuro' e mise al bando il disco ma
addirittura stabili' la pena del carcere da tre a vent'anni per chiunque lo
avesse venduto, acquistato o ascoltato.
"E se il buio dovesse dividerci / e se il tuo cuore di vetro dovesse
rompersi / e se per un secondo tu dovessi voltarti indietro / oh no, sii
forte. Vai avanti. Continua a camminare". Questi i versi  di Bono che tanto
in allarme misero i generali.
Oggi in Birmania, che i depliants turistici descrivono come un Paese "in cui
tradizioni, arte, religione e bellezze naturali si fondono in un fascino
unico al mondo", sono illegali i telefoni cellulari e internet mentre serve
una speciale autorizzazione delle autorita' militari per possedere un fax,
una fotocopiatrice o un'antenna satellitare.
Oggi in Birmania, nel paese dei templi da favola, della piu' preziosa giada
e dei rubini color "sangue di piccione", il regime, che ha concentrato nelle
proprie mani tutte le ricchezze del Paese, fa sistematicamente ricorso al
lavoro forzato di uomini, donne e bambini sequestrati e tenuti sotto la
costante minaccia di violenze, di stupri "punitivi" e persino di morte. Come
documentato dalla Commissione dell'Onu sui diritti umani e da Amnesty
international nei suoi rapporti, "il lavoro forzato e' stato ed e' tuttora
utilizzato per lo sviluppo delle infrastrutture di base, come le strade, per
costruire luoghi turistici come alberghi lussuosi o campi da golf. I soldati
arrivano nei villaggi ed esigono che una persona per famiglia vada a
lavorare. Questa non riceve ne' salario ne' cibo. Sara' uccisa se tentera'
di fuggire. Bambini di nove anni sono stati costretti a lavorare in queste
condizioni".
L'area piu' colpita dalla violenza dei militari e' quella sud-orientale;
percio' ogni anno migliaia di esuli si muovono verso il confine con la
Thailandia, dove sono stati allestiti dei campi profughi. I rifugiati hanno
comunque scarse possibilita' di migliorare le loro condizioni di vita; la
maggior parte della popolazione e' estenuata da fame e malnutrizione e molti
bambini per sopravvivere vengono costretti alla prostituzione. In questo
stato le persone diventano facile bersaglio di malattie come malaria,
epatite ed Aids.
Nonostante tutto questo Aung San Suu Kyi non e' mai caduta nella trappola
dell'odio per i suoi avversari ma ha continuato la sua lotta nonviolenta
affermando che "la vera rivoluzione e' quella dello spirito" ed ha esortato
il suo popolo a non arrendersi perche' "non e' il potere che corrompe, ma la
paura. La paura di perdere il potere corrompe quelli che lo detengono. La
paura della frusta, quelli che la subiscono".
Se potessimo esprimere la nostra solidarieta' ad Aung San Suu Kyi e a quanti
condividono la sua stessa sorte, ci piacerebbe far nostre le parole di Bono
e dire ad ognuno di loro: sii forte, vai avanti! Walk on!

7. MATERIALI. CENTRO IMPASTATO: MAFIA E ANTIMAFIA, UN PERCORSO DI ANALISI.
PARADIGMI
[Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it).
Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici
piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi
studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri
criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e
criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia
difficile,  Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e
guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano
1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia
agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto
Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio
a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda
edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di
sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto
politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la
democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella
della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in
terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di
Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli
1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e
il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli
2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto
Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna
di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in
cammino" nei nn. 931-934]

Paradigmi: associazione a delinquere tipica e impresa
Abbiamo prima denominato "paradigmi" le elaborazioni in qualche misura
scientifiche, cioe' prodotte in base a una metodologia, implicita o
esplicita, e verificate, anche parzialmente, da indagini e ricerche
empiriche, condotte cioe' sulla base della raccolta e interpretazione di una
certa massa di dati.
I paradigmi piu' accreditati sulla mafia sono i seguenti:
1) la mafia come associazione a delinquere tipica;
2) la mafia come impresa.
L'art. 416 bis della Legge n. 646 del 13 settembre 1982 (legge Rognoni - La
Torre o legge antimafia) dice che l'associazione e' di tipo mafioso quando
coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del
vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' che
ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto
la gestione o comunque il controllo di attivita' economiche, di concessioni,
di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o
vantaggi ingiusti per se' o per altri.
Mentre l'associazione a delinquere semplice, definita dall'art. 416 del
codice penale, sussiste in presenza di tre elementi (il vincolo associativo,
la struttura organizzativa, il programma criminoso), l'associazione di tipo
mafioso ha come caratteri suoi propri la forza intimidatrice del vincolo
associativo, produttrice di assoggettamento e di omerta'. Si tratta di
un'intimidazione "elevata a sistema", di una regola di obbedienza per gli
affiliati tassativa e di una legge del silenzio intesa come rifiuto alla
collaborazione con la giustizia (omerta') che configurano una vera e propria
sudditanza collettiva.
Le finalita' dell'associazione mafiosa individuate dalla legge antimafia
sono:
1) la commissione di reati tipici, quali "il reato di estorsione assunto a
sistema organizzato e capillarmente diffuso su tutto il territorio, i
connessi reati di danneggiamento, incendio e minaccia, ed, inoltre, i
sequestri di persona a scopo di estorsione, gli omicidi e altri reati";
2) l'acquisizione della gestione e del controllo di attivita' economiche: un
fine obiettivamente lecito che diventa illecito per l'illiceita' del mezzo
adoperato, cioe' l'uso degli strumenti dell'organizzazione mafiosa;
3) la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, formulazione che mira a
coprire il terreno residuale rispetto alle prime due finalita'.
La seconda e la terza finalita' dell'associazione mafiosa contengono
elementi del paradigma che considera la mafia come impresa. Al suo interno
possiamo individuare due specificazioni, che indicheremo come mafia-impresa
e impresa mafiosa.
La mafia e' impresa nel senso che l'agire mafioso si concreta come razionale
combinazione di mezzi e di fini indirizzata al perseguimento di scopi di
arricchimento (impresa illecita).
Le attivita' imprenditoriali lecite si configurano come imprese mafiose per
la presenza di uno di questi elementi: il soggetto imprenditoriale,
ufficiale o occulto, e' indiziato di mafiosita'; il capitale impiegato e' di
provenienza illecita; la lotta concorrenziale adopera mezzi illeciti, come
la violenza o la minaccia.
All'interno del paradigma che considera la mafia come impresa si e' proposta
una visione della mafia come "industria della protezione privata": in un
contesto caratterizzato dall'insicurezza, prodotta dal vuoto o dalla carenza
delle istituzioni, la mafia offrirebbe la sua "protezione", chiedendo il
pagamento di un prezzo, sotto forma di "pizzo".
La realta' e' molto piu' semplice: la mafia non interviene in una societa'
insicura ma induce insicurezza con le sue minacce e si astiene dal
concretare le minacce solo se si sottosta' ai suoi soprusi.
I paradigmi della mafia come associazione criminosa tipica e impresa colgono
aspetti fondamentali del fenomeno mafioso, come l'esistenza della struttura
organizzativa e la finalita' economica dell'agire mafioso ma non ne
esauriscono la complessita', come vedremo successivamente (si veda: il
"paradigma della complessita'").
Per quanto riguarda il processo di causazione del fenomeno mafioso, gli
studiosi per superare lo stereotipo che vuole la mafia figlia del
sottosviluppo e dell'arretratezza, hanno proposto un paradigma eziologico
che pone l'accento sull'ipertrofia delle opportunita'.
Cioe': il fenomeno mafioso nasce e si sviluppa perche' le attivita'
criminali presentano grandi convenienze, sia dal punto di vista economico
che dal punto di vista dell'acquisizione di status sociale.
L'esatto contrario di quanto si e' sostenuto per lungo tempo, ritenendo la
mafia come un residuo feudale, forma di dominio e di accumulazione arcaica,
prodotto del vuoto dello Stato e della collocazione periferica delle aree in
cui si e' sviluppata.
*
Fonti: Umberto Santino, La mafia come soggetto politico, Centro Impastato,
Palermo 1994; Idem, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e
crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 115 del 9 giugno 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
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