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Minime. 112
- Subject: Minime. 112
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 6 Jun 2007 00:35:55 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 112 del 6 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Daniele Lugli: Continuare in cio' che e' giusto 2. A Bologna il 9 giugno 3. In Sardegna con il Movimento Nonviolento 4. La newsletter di "Antenne di pace" 5. Marina Forti presenta "Abbracciando l'infedele" di Behzad Yaghmaian 6. Graziella Longoni presenta "Hannah Arendt. Pensare il presente" di Donatella Bassanesi 7. Letture: Livio Maitan, La strada percorsa 8. Riedizioni: Petronio, Satiricon 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. DANIELE LUGLI: CONTINUARE IN CIO' CHE E' GIUSTO [Ringraziamo Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) per questo intervento. Daniele Lugli e' il segretario nazionale del Movimento Nonviolento, figura storica della nonviolenza, unisce a una lunga e limpida esperienza di impegno sociale e politico anche una profonda e sottile competenza in ambito giuridico ed amministrativo, ed e' persona di squisita gentilezza e saggezza grande. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books; in italiano e' disponibile: Mamma pace. Contro la guerra, per i nostri figli, Sperling & Kupfer, Milano 2006] La lettera di Cindy, che Giusy di Rienzo ha tradotto per noi, e' piena di dolore e delusione. Ci conferma che il nostro e' davvero un mondo uno. Riconosciamo infatti, senza fatica, nei repubblicani l'equivalente del nostro centrodestra e nei democratici l'equivalente del nostro centrosinistra. Sono uno peggio dell'altro, certo, ma entrambi assolutamente incapaci di operare contro le logiche di guerra. Riconosciamo nelle meschinita' del movimento statunitense contro la guerra, denunciate da Cindy, le quotidiane piccinerie dei movimenti di casa nostra. Non vorremmo, ma anche a noi accade di contribuirvi. Eppure e' stato anche l'impegno di Cindy a farci pensare realizzabile, in un percorso faticosissimo ma non impossibile, l'impegno che Capitini ci ha consegnato nel suo ultimo scritto: L'Europa, unita al Terzo Mondo e al meglio dell'America, elaboreranno la piu' grande riforma che mai sia stata comune all'umanita', quella riforma che rendera' possibile abolire interamente le disuguaglianze attuali di classi e di popoli, e abolire le differenze tra i "fortunati" e gli "sfortunati". Quello che dobbiamo fare lo sappiamo: continuare in cio' che era giusto, secondo il pegno che Alex Langer ci ha lasciato. Se lo facciamo avremo Cindy al nostro fianco o, piu' probabilmente, qualche passo avanti a noi. 2. INCONTRI. A BOLOGNA IL 9 GIUGNO [Da Stefano Ciccone (per contatti: ciccone at uniroma2.it) e da altre persone amiche riceviamo e diffondiamo il seguente invito all'incontro nazionale uomini "Differenti voci maschili per costruire relazioni di liberta'" che si terra' il 9 giugno a Bologna. Stefano Ciccone, coordinatore del Parco scientifico dell'Universita' degli studi di Roma "Tor Vergata", intellettuale e militante della sinistra critica, e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una profonda e acuta riflessione individuale e collettiva sull'identita' sessuata e nell'analisi critica e trasformazione nonviolenta dei modelli e delle culture del maschile all'ascolto del pensiero e delle prassi dei movimenti delle donne; e' uno dei promotori dell'appello "La violenza contro le donne ci riguarda"] Siamo nati uomini, e questo e' ancora un privilegio in ogni angolo del pianeta. Vediamo tanti uomini spendersi freneticamente per conservare questo privilegio a dispetto dei mutamenti storici, altri contribuire tacitamente a riprodurlo con il proprio silenzio. Le nostre societa' non mantengono la disuguaglianza di genere per accidente, ma sono precisamente fondate (anche) su questa disuguaglianza. Alle donne, nelle relazioni affettive, molti uomini chiedono di comportarsi in modo da essere rassicurati circa la propria autorita'. Lo chiedono con le buone e, se non lo ottengono, facilmente passano alle maniere forti. La disuguaglianza di genere e' ancora oggi la piu' capillare offesa alla liberta' e alla democrazia reale. Ma oggi donne di tutto il mondo si dichiarano sempre meno disponibili ad accettarla, nel pubblico e nel privato; la maggiore autonomia e liberta' delle donne sta cambiando il mondo, e questo in molti uomini suscita rabbia e angoscia. Singole donne, anche in Italia, pagano un prezzo spaventoso per tale insicurezza maschile: circa due donne la settimana sono uccise dal partner o ex partner, mentre milioni di donne nel corso della vita sono state oggetto della violenza di uomini che quasi sempre erano i loro mariti, compagni, amici. E' impossibile non vedere il legame profondo fra violenza maschile sulle donne e potere maschile sulle donne. E' impossibile non rilevare il nesso profondo, nell'immaginario e nella pratica di tanti uomini, tra sessualita' e potere. Un nesso che si esprime anche nella paura ossessiva per la "precarieta' della virilita'", rafforzando cosi' anche la discriminazione contro gli omosessuali: violenza sulle donne e omofobia hanno la medesima radice. Crediamo possibile, e necessario, liberare la sessualita' e la relazione con l'altra/o dal linguaggio del potere. La violenza e il potere degli uomini sulle donne ci riguardano tutti. Riguardano chiunque creda nella democrazia, perche' determinano un regime quotidiano di illiberta', ma chiamano anche in causa ogni uomo di fronte agli atti di altri uomini, perche' il silenzio e l'indifferenza somigliano troppo a un'accettazione di fatto di tale situazione. Coinvolgono infine il modo di essere di ognuno di noi, perche' ci spingono a fare i conti con modelli di virilita' che impoveriscono le nostre stesse vite. Abbiamo promosso un appello nel settembre 2006, sottoscritto poi da un migliaio di uomini, che chiedeva un impegno attivo di ciascuno contro la violenza degli uomini sulle donne. Abbiamo incontrato molti altri uomini nel corso delle iniziative promosse intorno al 25 novembre (Giornata mondiale contro la violenza sulle donne), della prima Campagna nazionale del Fiocco bianco, dell'assemblea dei firmatari dell'appello tenutasi il 14 ottobre scorso a Roma. Vogliamo riaprire luoghi in cui rimettere in discussione modelli culturali, forme di relazione tra uomini e con le donne, linguaggi e pratiche che proliferano su un immaginario maschile diffuso e troppo spesso dato semplicemente per scontato. Ci sembra necessario continuare questo confronto fra uomini e con le donne, anche con ulteriori e piu' ampie iniziative pubbliche in tutta Italia. Abbiamo costruito un sito web per scambiare idee ed esperienze (www.maschileplurale.it) e intensificato un dialogo su altri spazi (www.donnealtri.it; web.tiscali.it/uominincammino); abbiamo anche costituito un'associazione ("Maschile plurale") come ulteriore strumento per costruire nuove attivita' comuni. Vogliamo proporre un'occasione di incontro nazionale in cui privilegiare la comunicazione e il confronto tra uomini: per costruire insieme nuove iniziative, nuove esperienze e nuove proposte, ma anche per ascoltare e insieme dare voce alle nostre domande di cambiamento. Per cambiare innanzitutto le nostre vite. Invitiamo tutti a proseguire insieme questo dialogo al maschile, e sempre piu' al plurale, sabato 9 giugno a Bologna dalle 10 alle 17, presso la Provincia di Bologna, Sala Zodiaco, via Zamboni 13. 3. INCONTRI. IN SARDEGNA CON IL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Da Piercarlo Racca (per contatti: piercarlo.racca at fastwebnet.it) riceviamo e diffondiamo. Piercarlo Racca e' uno dei militanti "storici" dei movimenti nonviolenti in Italia ed ha preso parte a pressoche' tutte le esperienze piu' vive e piu' nitide di impegno di pace; e' per unanime riconoscimento una delle voci piu' autorevoli della nonviolenza in cammino] La Casa per la pace di Ghilarza in Sardegna sara' aperta dal 19 giugno al 16 luglio. In questo periodo e' possibile partecipare all'attivita' del "campo estivo storia e storie": un viaggio per conoscere personaggi noti e altri meno noti che hanno lasciato una grande testimonianza nel campo della nonviolenza. Ci aiutera' in questo percorso Sergio Albesano. Periodo del campo 1-7 luglio, costo complessivo 120 euro. * Dal 13 a 15 luglio e' previsto il seminario "Il (con)senso della nonviolenza": attraverso attivita' di vario genere, si riflettera' sull'esperienza della relazione che caratterizza la vita dei gruppi di cui si e' parte, per scoprire/inventare quali forme della comunicazione (a partire dall'ascolto) ci aiutano a discutere, decidere, agire e a (de)crescere - come persone, gruppi, societa' - in modo nonviolento. Il seminario sara' condotto da Roberto Tecchio e Stefania Lepore. Quota di partecipazione al seminario 65 euro per i non residenti, 110 euro per i residenti. Informazioni piu' dettagliate sul seminario: Agata e Marino, tel. 070287789, e-mail: corneliacornelia at tiscali.it; Pina e Raffaele, tel. 0785 53384, e-mail: giuseppi.sanna at tiscali.it * Dal 19 giugno al 13 luglio, periodo in cui la casa per la pace e' comunque aperta, e' possibile usufruire dei servizi di pernottamento e uso cucina contribuendo ai costi di gestione. Il contributo richiesto e' di 11 euro a persona da devolvere al Movimento Nonviolento. Per informazioni piu' dettagliate: Movimento Nonviolento di Torino, tel. 011532824, 3332581518 (Enzo Gargano), e-mail: mir-mn at cssr-pas.org L'indirizzo della Casa per la pace e' via Nessi 14, Ghilarza (Oristano). Dal 19 giugno sara' aperta e frequentabile con la presenza in loco di Alberto Trevisan e sua moglie Claudia: tel. 3490083628. 4. STRUMENTI. LA NEWSLETTER DI "ANTENNE DI PACE" [Da "Antenne di pace" (per contatti: e-mail: newsantenne at liste.antennedipace.org, sito: www.antennedipace.org) riceviamo e diffondiamo] Elenco articoli pubblicati dal 23 maggio 2007 26 giugno 1967: muore il parrocco di Barbiana. Dopo quarant'anni la sua testimonianza e' piu' che mai attuale. Il grido di pace di don Lorenzo Milani riecheggia ancora. Il primato della coscienza, posto da don Milani, come luogo supremo dove si vive l'obbedienza alla legge di Dio, di fronte alle leggi violente degli uomini, rimane una consegna sulla via della pace, invito ad attuare una svolta nonviolenta fatta di gesti attivi, quale la costruzione di una difesa popolare nonviolenta. www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_609.html * Brasile. Rimedi naturali brasiliani. E' un'esperienza curiosa avvicinarsi ai rimedi della medicina naturale brasiliana, ma solo chi puo' permetterselo riesce a pagare i servizi sanitari. I poveri aspettano pazientemente che le erbe miracolose facciano effetto. www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_606.html * Albania/Italia. 2 giugno: servizio civile e parata militare? Aperta la riflessione. Come richiesto, diamo spazio alla risposta di Francesco Brollo, rappresentante dei volontari in servizio civile, a Massimo Paolicelli, presidente dell'Associazione obiettori nonviolenti, in merito alla richiesta di ritirare la delegazione di giovani in servizio civile dalla parata militare in occasione della festa della Repubblica. www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_607.html * Venezuela. Il ranchito. La piccola baracca appolaiata su una ripida collina, nasconde una storia di profonda sofferenza. Ombretta racconta il suo incontro con una poverta' radicale che mina ogni giorno gli affetti e la salute, in particolare dei piu' deboli. www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_603.html * Etiopia. Marcia contro la fame. Alla partenza c'era una serie di ragazzini vestiti alla buona e piuttosto sporchi fermi all'angolo dell'incrocio intenti a guardare questo gruppo di persone, che erano li' a fare cosa? www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_602.html * Etiopia. Stigma. Quella donna ai suoi occhi non puo' piu' essere o non lo e' mai stata Kidist Mekete, ma e' semplicemente Kidist Aids, punto e basta. www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_601.html * Israele/Palestina. La Nakba palestinese: istantanee di memoria. Un video ispirato alla mostra fotografica organizzata dal Peace Center di Betlemme in occasione del LIX anniversario della Nakba, ovvero dell'esodo di migliaia di palestinesi, forzati ad abbandonare le proprie case dall'esercito israeliano. www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_597.html * Bolivia. Con i piedi nel fango e la testa in cielo. Appunti di viaggio e pensieri da una citta' in cui toccare il cielo sembra facile... www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_596.html 5. LIBRI. MARINA FORTI PRESENTA "ABBRACCIANDO L'INFEDELE" DI BEHZAD YAGHMAIAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 maggio 2007. Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004. Behzad Yaghmaian, cittadino americano di origine iraniana, e' docente di economia al Ramapo College, in New Jersey. Opere di Behzad Yaghmaian, Abbracciando l'infedele, Enaudi, Torino 2007] I personaggi di Behzad Yaghmaian vengono da posti come l'Afghanistan, l'Iran, il Kurdistan, perfino dalla lontana Angola. Tutti si sono lasciati dietro qualcosa di insopportabile: guerre, villaggi bombardati, parenti uccisi, oppure il peso di famiglie soffocanti, la repressione politica o persecuzioni piu' personali. Tutti cercano un posto dove vivere in pace. In Abbracciando l'infedele. Storie di musulmani migranti verso occidente (Einaudi, pp. 370, euro 16), Yaghmaian racconta il loro lungo viaggio verso l'Europa occidentale. Il titolo (che riprende quello originale, Embracing the Infidel) non rende piena giustizia al libro, anche se si capisce l'intenzione degli editori: demolire l'immagine di un islam pieno di terroristi per presentare invece un'umanita' dolente in cerca di una vita migliore. Quello che Yaghmaian racconta e' un'epopea che si svolge tra tendopoli, container, trafficanti, varchi nelle frontiere: e cosi' facendo, mette in rilievo un mondo parallelo con cui conviviamo senza quasi vederlo, assuefatti dalle cronache dell'ennesimo "sbarco di clandestini" sulle coste della Sicilia o della Puglia. Behzad Yaghmaian guarda le cose dall'altro punto di vista: quello dei "clandestini". Cittadino degli Stati Uniti nato in Iran, professore di economia - anche se qui e' piuttosto sociologo, o forse solo testimone (e infatti il prologo e' la sua personale storia di frontiere da sormontare) - per tre anni Yaghmaian ha viaggiato tra Istanbul e Sofia, Patrasso, Parigi, Calais, Londra. Ha incontrato donne e uomini migranti, ne ha raccolto le storie, spesso li ha seguiti nelle tappe del loro viaggio. Nel suo racconto quelle figure acquistano volti, storie, umanita'. Come Shadi, iraniana, divorziata, fuggita attraverso le montagne fino a Van (in Turchia orientale) e poi a Istanbul nella speranza di sottrarsi a una famiglia soffocante e dare un futuro migliore a suo figlio. L'autore la trova arenata a Aksaray, quartiere di Istanbul ben noto agli emigranti: una citta' nella citta', negozi di tessili e pelletterie diretti ai mercati dell'Europa orientale, intere vie di locali iraniani o kurdi, vicoli malandati abitati da turchi poveri, rom e migranti. Vive a Aksaray anche Nur, sudanese, arrivata nel 2003 dopo aver attraversato la Libia e poi il Mediterraneo: chiusa in una stiva per quindici giorni con il figlio di pochi mesi narcotizzato perche' non piangesse rivelando il carico clandestino. Nur era un'insegnante, si esprime in inglese: appartiene a un'etnia minoritaria in Sudan, e una serie di persecuzioni l'ha spinta a partire. La sua domanda d'asilo non sara' accolta dall'Acnur, Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati; l'autore la ritrovera' ad Atene, raggiunta con passaggi clandestini avventurosi. Neppure la domanda di Shahrokh Khan sara' accolta, ne' le sue richieste di emigrare negli Usa o in Canada. Afghano di Kandahar, nel 2001 Khan studiava in Pakistan quando sono cominciati i bombardamenti sul suo paese; nel caos successivo la sua famiglia e' stata uccisa. Lui ha deciso allora di fuggire attraverso l'Iran e la Turchia: "Per me non c'e' piu' niente in Afghanistan". La caduta dei Taleban pero' ha permesso alle nazioni occidentali di dichiarare l'Afghanistan "paese sicuro": "Non avevo altra scelta. Potevo solo andare avanti. Sai che non c'e' altra strada, e non puoi tornare indietro". Il viaggio di questi migranti e' dominato dalle frontiere, linee immaginarie ma ferree, ossessione e incubo. Soprattutto quelle dello spazio Schengen, il gruppo di paesi europei che ha abolito le frontiere interne a patto di alzare una comune barriera a prova di migranti esterni. Nei primi anni del nuovo millennio la Turchia, in attesa dell'avvio ufficiale dei negoziati per l'accesso all'Unione Europea, aveva cominciato ad adeguarsi ai criteri europei. E cio' che l'Europa chiedeva prima di tutto era bloccare l'emigrazione clandestina verso la Grecia e l'Italia: da allora, traversare quelle frontiere significa affidarsi a trafficanti e rischiare la vita. I migranti intercettati sulle barchette che lasciano la costa turca dirette a Chios, o nella traversata a piedi verso Grecia o Bulgaria, sono pestati e rimandati indietro (ossa e denti fracassati sono routine, in Bulgaria l'autore raccoglie testimonianze perfino dell'uso di cani addestrati a mordere: ma la cosa sembra indignare solo lui). Anche la Grecia ha cominciato a fare altrettanto: bloccare i migranti clandestini era necessario per entrare in Schengen. A Patrasso, il recinto che chiude il porto e' una sorta di super-frontiera. La stessa parola recinto, in inglese fence, nel linguaggio dei migranti si e' trasformata: "Pronunciata scorrettamente fance, e' diventata parte dei racconti. Il fance non era piu' quello che fence significa in inglese, rappresentava piuttosto il mondo da cui i migranti erano tenuti fuori". Lungo il viaggio tutti si arrangiano con lavori e lavoretti, sempre sospesi tra un ricorso all'Acnur e il rischio d'espulsione. Ovunque si creano accampamenti di fortuna (baracche dietro un recinto, un camion abbandonato, una casa diroccata), luoghi precari dove l'autore si vede offrire te' e racconti personali. Storie a volte disperate: c'e' chi si perde nella droga, chi nella depressione, chi diventa trafficante o accattone, e chi la sfanga come venditore ambulante. Ci sono giovani di bell'aspetto che trovano un baba, paparino, da cui farsi mantenere. E chi si avvia "a capo chino, vergognandosi", verso la mensa caritatevole improvvisata da giovani greci a Patrasso. Tutti cercano, in fondo, dignita' e rispetto e un posto dove vivere in pace, spiega l'iraniano Farshad a Patrasso: soffochera' nascosto in un camion di angurie prima di sbarcare in Italia. Tra i protagonisti di questo racconto qualcuno e' ancora in viaggio, qualcuno ha ottenuto asilo in qualche paese europeo, qualcuno ha rinunciato o si e' perso, altri cercano ancora un riconoscimento legale. Tutti mantengono un barlume di speranza. Tutti pero' hanno cambiato il loro modo di guardare all'Occidente. Lo spiega l'iraniano Kia, ad Atene: "Noi non saremo mai normali. Molti parlano delle difficolta' di traversare i confini, i pestaggi e tutto il resto. Ma non sono questi i veri problemi del viaggio. La difficolta' e' trovare un posto dove cominciare una nuova vita insieme agli altri, in contatto con i vicini, normale. Ma questo non e' possibile. Rimaniamo isolati, estranei, stranieri". Come Khan pero', Kia non puo' tornare indietro: "Conoscevo le difficolta' del viaggio. Quello che non sapevo e' che il viaggio ti cambia. Non potrai piu' essere cio' che eri, anche se torni alle condizioni di partenza". 6. LIBRI. GRAZIELLA LONGONI PRESENTA "HANNAH ARENDT. PENSARE IL PRESENTE" DI DONATELLA BASSANESI [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento tenuto in occasione di una recente tavola rotonda di presentazione del libro di Donatella Bassanesi, Hannah Arendt. Pensare il presente, Edizioni Lud, Milano 2006 (per richiedere il libro: universitadelledonne at tin.it). Graziella Longoni, psicologa, laureata in filosofia, operatrice della scuola e dei centri psicosociali, collaboratore dell'Istituto transculturale per la salute e della Fondazione Cecchini Pace, e' impegnata nelle Donne in nero di Milano e in varie iniziative di pace, solidarieta' e per i diritti delle donne. Donatella Bassanesi, docente, saggista, pittrice, vive tra Milano e Venezia, laureata in design a Venezia, studi di filosofia a Milano; ha insegnato grafica presso la Scuola del Libro della Societa' Umanitaria di Milano; ha insegnato nei corsi monografici delle 150 ore a Milano, e nella Libera universita' delle donne di Milano, conducendo analisi sulla citta', a partire dall'esperienza e dal pensiero delle donne; insegna oggi nei corsi della Libera universita' delle donne, intorno alle questioni dell'arte. Tra le opere di Donatella Bassanesi: Donne di Picche, Salamandra; Mie belle signore, Regione Lombardia; Spazio-tempo, Lud; Le porte della citta', Lud; Rosso - la terra, l'ombra, Lud; Foto di gruppo in un quartiere, Comune di Milano; Hannah Arendt. Pensare il presente, Lud, Milano 2006. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l ’anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell’edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004, e la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Il libro di Donatella Bassanesi, Hannah Arendt. Pensare il presente, e' un invito ad affinare l'ascolto di una parola che nasce nel cuore di un pensiero interrogante, il cui modo di dispiegarsi richiama l'azione sconvolgente e purificatrice del vento. Come il vento che, quando si solleva, cancella la polvere che uniforma le cose, lasciandole riapparire nella loro irripetibile singolarita', cosi' il pensiero, nel suo continuo domandare il senso di cio' che accade, cancella la polvere della menzogna che copre i fatti e scongela cio' che nel linguaggio e' diventato parola irrigidita, chiacchiera alienante. Lo stile del libro e' l'intrecciarsi di un dialogo che lascia essere l'altra per comprendere il suo sguardo sul mondo, la tensione etica che attraversa il suo sentire e il suo ragionare sugli eventi che accadono in questo "mondo comune", la cui cifra e' la pluralita' di soggetti che stanno insieme nella differenza che costituisce la loro identita'. Sollecitata dall'impegno di Donatella Bassanesi, mi sono messa ad ascoltare Hannah Arendt, volgendo la mia attenzione alla responsabilita', parola oggi molto abusata, soprattutto dai politici che spesso la invocano per giustificare scelte tremende come, ad esempio, il presunto dovere morale di partecipare alla guerra globale contro il terrorismo per salvare il "mondo civile" dalle barbarie e rispondere al bisogno di sicurezza dei loro concittadini. Entrero' dunque nella struttura della responsabilita', cercando di dialogare con le suggestioni offerte dal pensiero di Hannah Arendt, calandolo nella contemporaneita' nella quale noi viviamo. In particolare cerchero' di portare alla luce il senso della responsabilita' collettiva, o politica, che si inscrive nell'orizzonte della natalita', perche' assumersi una responsabilita' di fronte a fatti drammatici, che precipitano il mondo nel dolore e nella morte, significa cercare di "rimettere in sesto un tempo deragliato", un tempo senza memoria, un tempo schiacciato su un presente che e' ripetizione del gia' accaduto, un tempo chiuso al futuro della possibilita'. Questo "rimettere in sesto il tempo" e' - per Hannah Arendt - un nuovo inizio, l'agire politico che rinnova il mondo stesso. * In "Responsabilita' collettiva" (intervento ad un convegno dal titolo omonimo, del 1968) la Arendt affronta questo tema, preoccupandosi in primo luogo di tracciare una precisa linea di confine tra colpa morale e responsabilita' politica, precisando che la prima porta in scena la centralita' dell'io nella sua singolarita', mentre la seconda porta in scena la centralita' del mondo, inteso come lo spazio pubblico abitato dalla pluralita'. La sua argomentazione inizia distinguendo la responsabilita' dalla colpa e precisando che si puo' parlare di responsabilita' collettiva, ma non di colpa collettiva; non ha senso infatti sentirsi colpevoli di qualcosa che non si e' commesso, ma ha senso invece sentirsi responsabili di qualcosa che e' stato commesso in nostro nome. La colpa ci singolarizza, e' strettamente personale perche' si riferisce sempre ad un'azione precisa che e' stata compiuta in prima persona. Ne consegue che va respinta la logica sottesa all'affermazione "Siamo tutti colpevoli", pronunciata a volte di fronte ad eventi abnormi, come il razzismo dei bianchi contro i neri o il genocidio degli ebrei nell'Olocausto, perche' questa generalizzazione della colpa finisce con il discolpare coloro che sono realmente colpevoli, sollevandoli dall'obbligo morale di rispondere delle loro azioni e con il promuovere una sorta di solidarieta' con i criminali e non con le vittime dei loro crimini. "Quando si e' tutti colpevoli, in fin dei conti nessuno lo e'" e tutto il male commesso finisce con l'essere letto o come espressione di una sorta di follia generale che avrebbe ottenebrato la mente di un'intera comunita', o come qualcosa di inarrestabile perche' chi lo compiva era solo la rotella di un ingranaggio che avrebbe comunque portato a compimento, con lui o senza di lui, il fine per cui era stato attivato, o come una necessita' perche' chi lo agiva, non faceva altro che obbedire a degli ordini cui non poteva sottrarsi, pena la morte. Secondo la Arendt, queste sono strategie di deresponsabilizzazione che pretendono di trasformare il colpevole in una sorta di vittima di un sistema che legittima il crimine, non riconoscendolo come tale. Molto significativa e' la successiva riflessione sulla responsabilita' collettiva che, a differenza della colpa, pone problemi di natura essenzialmente politica. La responsabilita' collettiva e' sempre politica: "sia che l'intera comunita' si assuma la responsabilita' di cio' che ha fatto uno dei suoi membri, sia che una comunita' venga ritenuta responsabile di cio' che stato fatto in suo nome, sia nel caso specifico in cui il membro di una comunita' e' ritenuto responsabile di atti cui non ha partecipato direttamente ma che sono stati fatti in suo nome" (Hannah Arendt, Responsabilita' e giudizio, Einaudi, pp. 129, 133). * Il secondo e il terzo tipo di responsabilita' sarebbero i piu' interessanti per i problemi che pongono. Il secondo caso ci mette di fronte al fatto che ogni governo e' chiamato ad assumersi la responsabilita' degli atti dei suoi predecessori e ogni nazione ad assumersi la responsabilita' del proprio passato. A questa responsabilita' non si potrebbe sfuggire dal momento che tutti siamo membri di una certa nazione e viviamo in un presente che scaturisce sempre da un certo passato e ne porta i segni. Ho usato il termine "potrebbe" e non "puo'", usato dalla Arendt, perche' accade frequentemente che una comunita' non si assuma la responsabilita' della sua storia e non faccia i conti con il proprio passato, con la conseguenza che non potra' dare inizio a una nuova temporalita', quella, ad esempio, della riparazione del male compiuto a danno di un altro paese e di un altro popolo che, umiliato, covera' cosi' un risentimento sempre pronto ad esplodere. Non a caso la Arendt, nello scritto "Alcune questioni di filosofia morale", dira' che "i peggiori malfattori sono coloro che non ricordano - semplicemente perche' non hanno mai pensato (non si sono mai interrogati sul senso degli eventi) e - senza ricordi - niente e nessuno puo' trattenerli dal fare cio' che fanno. Per gli esseri umani, pensare a cose passate significa muoversi nella dimensione della profondita', mettere radici e acquisire stabilita', in modo tale da non essere travolti da quanto accade. Il peggior male e' un male senza radici perche' questo male non conosce limiti. Proprio per questo, il male puo' raggiungere vertici impensabili, macchiando il mondo intero" (in Responsabilita' e giudizio, p. 81). Purtroppo noi oggi stiamo vivendo in presenza di questo male... quando gli Stati Uniti - tanto per citare alcuni fatti tra i molti - si sorprendono perche' tanta parte del mondo li odia; quando paesi responsabili di genocidi, compiuti in nome della pulizia etnica per salvaguardare la purezza della nazione, non consegnano i criminali, venerandoli come eroi nazionali, come in Serbia; quando i responsabili di crimini di guerra e contro l'umanita' siedono in Parlamento e si autoassolvono, promulgando leggi che decretano l'amnistia, estinguendo cosi' i reati commessi e lasciandoli impuniti, come accade nel "democratico" Afghanistan di oggi; siamo in presenza di una chiara non assunzione di quella responsabilita' collettiva che e' invece necessaria per ridare spazio a quell'azione politica che si configura come un "nuovo inizio" all'insegna del primato della natalita'. * Il terzo caso affrontato dalla Arendt ferma l'attenzione sui membri di una comunita' ritenuti responsabili di atti cui non hanno partecipato direttamente, ma che sono stati fatti in suo nome. Questa "non partecipazione" puo' essere frutto di una scelta precisa che risuona non come un ritirarsi dalla vita politica, ma come una forma di resistenza ad una politica avvertita come disastrosa e nefasta per il proprio paese. Questa forma di resistenza, anche se difesa con argomenti morali, e' una resistenza politica perche' il centro dell'attenzione non e' l'io, ma il destino del proprio paese e il suo comportamento nei confronti di altri paesi. In genere questa "non partecipazione" e' una scelta che si espone al rimprovero di irresponsabilita', perche' considerata dalla collettivita' come una sorta di tradimento e un modo vigliacco di sottrarsi ai doveri verso la comunita' cui si appartiene. Hannah Arendt invece la considera l'espressione alta di un pensiero che si sottrae al conformismo, un pensiero che si interroga sul senso di quanto accade, un pensiero che, liberato dagli stereotipi dilaganti nella societa' di massa, e' in grado di formulare un giudizio, che e' la piu' politica delle facolta' umane. Il giudizio infatti porta il pensiero in quello spazio tra passato e futuro ("presente come fessura") che e' la sola dimensione dell'agire e il presupposto della responsabilita'. Sono proprio queste persone, che non partecipano ad atti compiuti anche in loro nome in quanto membri di una data comunita' e resistono al conformismo che cancella la singolarita' nella massa anonima che si accontenta di riprodurre il gia' dato senza mai interrogarsi sul senso e la portata di cio' che accade; sono proprio queste persone i soggetti piu' consapevoli che la responsabilita' collettiva, "questa forma di responsabilita' per cose che non abbiamo fatto, questo assumerci le conseguenze di atti che non abbiamo compiuto, e' il prezzo che dobbiamo pagare per il fatto di vivere sempre le nostre vite, non per conto nostro, ma accanto ad altri, ed e' dovuta in fondo al fatto che la facolta' dell'azione - la facolta' politica per eccellenza - puo' trovare un campo di attuazione solo nelle molte e variegate forme di comunita' umana" (Responsabilita' e giudizio, pp. 135-136). Sono loro infatti i soggetti politici che, non dimenticando il passato, interrogando il presente nell'orizzonte della pluralita' come molteplicita' di sguardi, portano in scena il significato piu' autentico della responsabilita', svelando la struttura relazionale che caratterizza. Queste riflessioni della Arendt mi hanno fatto pensare alle Donne in nero di Belgrado che hanno resistito e resistono alla politica negazionista del loro governo, continuando a ricordare il genocidio di Srebrenica e a chiedere che i criminali siano portati davanti al Tribunale dell'Aja. Hanno dichiarato pubblicamente che, in quanto serbe, si assumono la responsabilita' collettiva di quanto e' stato compiuto anche in loro nome, ma, differenziandosi dalla politica del loro governo, non smetteranno di attraversare i confini fasulli, eretti dalla guerra, per recarsi a Srebrenica ad incontrare le donne bosniache, alle quali hanno chiesto perdono e con le quali stanno cercando di ricostruire i fili della coesistenza, dando avvio cosi' a quel "cominciamento" che avviene sotto il segno della natalita' e del futuro. La loro azione politica dimostra chiaramente la struttura relazionale ed interlocutoria della responsabilita', che puo' essere detta in questo modo: assumere la responsabilita' collettiva significa rispondere all'altro, chiamarlo sulla scena del mondo come interlocutore, riconoscerlo nel dolore che gli e' stato inflitto, nell'offesa che ha ferito la sua dignita', nel suo diritto alla giustizia e al risarcimento, e nello stesso tempo riconoscersi come membri di una comunita', retta da un governo che ha compiuto la violenza, membri pero' che, differenziandosi all'interno del noi collettivo per non aver partecipato agli atti che hanno recato offesa, possono dire alle vittime: "Non in nostro nome e' stato compiuto questo male; in nostro nome noi vogliamo ritessere i fili del dialogo brutalmente interrotto, ripercorrere la strada che ci permettera' di incontrarvi nuovamente sul nostro cammino perche' voi non siete il nemico, ma l'altro che abita in questo mondo che ci e' comune". * Ora, per agire questa responsabilita' collettiva, e' necessario - secondo la Arendt - avere un "cuore comprensivo", essere capaci cioe' di esercitare quella preziosa facolta' dell'immaginazione, che ci consente di pensare il futuro proprio perche' ci si e' interrogati sul passato. E' infatti questo "cuore comprensivo" e non la mera riflessione o il mero sentimento - precisa la Arendt - che "ci permette di sopportare di vivere con gli altri, sempre estranei, in uno stesso mondo, e consente a loro di sopportarci" (Hannah Arendt, Archivio Arendt 2, a cura di S. Forti, Feltrinelli, p. 97). E' questo "cuore comprensivo" che, di fronte all'irreversibilita' dell'azione e ai suoi effetti mai completamente prevedibili, sa chiedere perdono e si impegna a fare e a mantenere promesse capaci di costruire nuovi legami tra gli esseri umani. Senza essere perdonati - e il perdono si rivolge alla persona, non al crimine commesso che rimane imperdonabile - senza essere cioe' liberati da cio' che e' stato fatto in nostro nome, rimarremmo per sempre imprigionati nelle conseguenze di cio' che e' stato compiuto e resteremmo in balia della vendetta come coazione a ripetere; senza essere vincolati al mantenimento delle promesse, saremmo condannati a vagare nell'oceano dell'incertezza e, privi di aiuto, a rintanarci nelle tenebre di un'interiorita' impaurita. Il perdono e le promesse sono naturalmente facolta' che dipendono dalla pluralita', dalla presenza e dall'agire degli altri, dato che nessuno puo' perdonarsi da solo o sentirsi legato da una promessa fatta solo a se stesso; perdonare e promettere nel privato del propria solitudine e' un atto privo di realta', nient'altro che una parte recitata davanti a se stessi ( Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, p. 175 e segg.). "Perdonare", per chiudere il cerchio della vendetta che riproduce sempre l'altro come il nemico da abbattere, e "promettere un nuovo inizio", per riparare i torti e le offese, sono per Hannah Arendt i momenti di quell'agire politico che consentono l'apertura di una nuova temporalita', dove la nostra storia di "esseri nel mondo con gli altri" potra' continuare. Riprendendo il contatto con la nostra origine, la natalita', che ci fa apparire nel mondo come annuncio di un nuovo inizio, potremo dunque liberarci di quella coazione a ripetere che Freud chiamava istinto di morte proprio per la carica di distruttivita' che porta nel mondo. 7. LETTURE. LIVIO MAITAN: LA STRADA PERCORSA Livio Maitan, La strada percorsa. Dalla Resistenza ai nuovi movimenti: lettura critica e scelte alternative, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2002, pp. 720, euro 18. Un'autobiografia (che e' anche una ricostruzione in prima persona delle vicende della sinistra italiana dalla Resistenza al nuovo secolo - va da se', secondo il punto di vista, le scelte, le vicende, le idiosincrasie e le reticenze dell'autore) del piu' noto studioso, traduttore e divulgatore italiano di Trotskij, e dirigente della Quarta Internazionale, deceduto nel 2006. Per richieste alla casa editrice: Massari Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail: erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme 8. RIEDIZIONI. PETRONIO: SATIRICON Petronio, Satiricon, Mondadori, Milano 2007, pp. XXXIV + 670, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Il volume accorpa da precedenti edizioni i seguenti materiali: un'introduzione di Federico Roncoroni, il testo latino basato sll'edizione Ernout del '67 ma manipolato, la traduzione di Piero Chiara gia' apparsa presso Mondadori nel '69, quella ("imitazione" piu' che traduzione stricto sensu - ma viene da chiedersi se Petronio sia poi davvero traducibile in senso stretto) di Edoardo Sanguineti gia' apparsa presso Einaudi nel '70 e poi nel '93, il noto passo tacitiano su Petronio "elegantiae arbiter", l'immortale saggio di Erich Auerbach su Fortunata in Mimesis, e "Il realismo di Petronio" di Vincenzo Ciaffi (gia' introduzione alla sua traduzione per Einaudi). La traduzione di Chiara e' ancora gustosa, e anche quella di Sanguineti si e' ben stagionata, ma suonano piu' opera dei due illustri scrittori italiani contemporanei che eco della voce che chiamiamo Petronio - che risuona assai piu' nei lacerti che Auerbach legge folgorante e tellurico. Un volume caotico, ma forse accostarsi al Satyricon - ovvero a cio' che ne resta - solo cosi' si puo'. Fa parte della leggenda, dell'aura di questo libro - di queste rovine di libro - che esso sia l'unica voce che ci resta della vita quotidiana dei romani non filtrata dallo stile che eleva e cristallizza. Naturalmente non si puo' concludere questa nota senza ricordare Ettore Paratore, la cui scrittura - anche quella saggistica, intendiamo - peraltro non di rado e' essa stessa petroniana. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 112 del 6 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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