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Minime. 111
- Subject: Minime. 111
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 5 Jun 2007 00:36:38 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 111 del 5 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Il decisionista 2. Bruna Peyrot: Cara Cindy 3. Barbara Romagnoli: La lettera. Di una donna 4. Marcello Flores: La legge sulla "lustracja" 5. Wlodek Goldkorn ricorda Ryszard Kapuscinski 6. Carmen Concilio intervista Tsitsi Dangarembga 7. Letture: AA. VV., Quale Europa per una civilta' di pace? 8. Letture: Max Eastman, Il giovane Trotsky 9. Riedizioni: Marco Valerio Marziale, Epigrammi 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. AL TEATRINO SANGUINARIO DEI VORACI BURATTINI. IL DECISIONISTA Guerra fino allo sterminio degli afgani rozzi e brutti. E' gia' deciso. Armi fino a averne ingombri piazze, case e giardinetti. E' gia' deciso. Nuove basi militari dei padroni d'oltremare. E' gia' deciso. Scudo utile a assestare primo il colpo nucleare. E' gia' deciso. * Ma se tutto e' gia' deciso la democrazia a che serve? 2. LETTERE. BRUNA PEYROT: CARA CINDY [Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br) per questo intervento. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004; La cittadinanza interiore, Citta' Aperta, 2006. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books; in italiano e' disponibile: Mamma pace. Contro la guerra, per i nostri figli, Sperling & Kupfer, Milano 2006] Cara Cindy, "piccola creatura pacifica", capisco la tua rabbia. E la tua pena. Perdere un figlio e' un'idea che nessuna lingua esprime con una parola sola. Esistono le vedove e le orfane ma le madri che vedono morire un figlio prima di loro come si nominano? Gia' questo mi sembra un'ingiustizia del destino umano, femminile in modo particolare. Quanti figli le guerre hanno rapito, torturato e ucciso. Quanti progetti umani le guerre hanno interrotto e divorato? La guerra ha ingoiato anche tuo figlio. tu dici che non capisci piu' il suo sacrificio, che e' morto per nulla. Dal tuo punto di vista di madre che e' tale in questa Storia e in questa vita, e' possibile che sia cosi'. Certo Casey non e' morto per gli obiettivi che gli avevano raccontato, che l'America di Bush e' andata raccontando. E certo da questo punto di vista la sua morte suona inutile. Ma non e' cosi': non e' stato inutile il suo sacrificio perche' ha lasciato a te, sua madre, un'eredita' di vita da decifrare, dei significati da ritrovare, dei valori da ricomporre e proclamare. La sua vita annullata dalla guerra ha chiamato te a offrire la tua per capovolgere quella assurdita'. Il tuo grido di dolore e' stato trasformato, proprio come un'antica alchimia, in passi che hai compiuto (materiali e ideali), per invocare attenzione e giustizia. Hai fatto bene a chiedere attenzione, a volere, come hai scritto e come ti hanno detto, essere al centro dell'attenzione. A cosa si vuole dare attenzione oggi? A chi vince un torneo di calcio, ai battibecchi fra politici eminenti? Alle top model delle sfilate annuali? E' stato meraviglioso come tu hai attirato l'attenzione. Tuttavia, la tua testimonianza non puo' essere sostenuta a lungo da sola. tutte le testimonianze aprono nuove cose, ma poi perche' diventino fortezze di nuove giustizie devono appartenere a molti. Tu sei stata e sei "una piccola creatura pacifica", come tante altre. Volevi portare da sola il peso della redenzione dell'America? hai lanciato una cometa per tutti i democratici del mondo... ora tocca al mondo seguitare a costruire democrazie vere. Il tuo "addio" non e' un addio a "tutto", forse e' solo un addio a quella forma di solitudine della testimonianza che ti ha colpita, a essere "abbandonata", oppure ad avere bisogno di nuove forme, di ricostruire intorno a se nuove relazioni, a partire da quelle familiari che per qualche tempo hai sospeso. Il tuo grido, tuttavia, mi par di sentire, non e' solo quello di una madre offesa nelle sue viscere per la morte di un figlio, speso a una causa inutile, ma il grido di chi si sente tradito dalla propria patria e dalla politica intesa come dialogo per vivere meglio insieme. Ma se ti puo' consolare questo e' un grido in cui non sei sola. Sono migliaia le persone che lo stanno ripetendo, uomini e donne, ma soprattutto donne che in questo secolo appena passato e in questo nuovo millennio hanno gridato alla luce del sole e spesso continuato a gridare in silenzio... Non e' un abbandono il tuo, Cindy. E' un momento di ripensamento. E poi le azioni che ognuna di noi compie sul cammino della ricerca di verita' non sono mai invane... restano: nella memoria, nell'energia contagiosa delle testimonianze, nella storia che ti ricordera' e ricordera' tuo figlio. A presto, dunque... Bruna 3. EDITORIALE. BARBARA ROMAGNOLI: LA LETTERA. DI UNA DONNA [Ringraziamo Barbara Romagnoli (per contatti: barbara at amisnet.org) per questo intervento. Barbara Romagnoli, giornalista professionista, e' nata a Roma nel 1974 e da gennaio 2006 vive a Leiden in Olanda; si e' laureata in filosofia con una tesi su "Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", si e' sempre interessata di studi di genere e femminismi, ha partecipato a seminari e incontri sulla storia e i movimenti politici delle donne in Italia e all'estero; ha lavorato per diversi anni alla rivista "Carta", ora collabora come freelance con varie testate (tra cui "Liberazione", "Marea", "Peacereporter", "Amisnet", "Aprile"). Fa parte del collettivo A/matrix con cui condivide la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola] Non e' un caso che sia una donna, ho pensato dopo aver letto la lettera di Cindy Sheehan. Perche' sono pochi gli uomini, a mia memoria, che avrebbero scritto righe cosi' lucide pur nel dolore e nella delusione e avrebbero accettato cosi' pacatamente il limite del corpo, prima che della mente, che dice basta. Alle sofferenze, alle ingiurie, alla guerra che ha ucciso un figlio e ne ha allontanati altri. Ad una politica afona, incolore, che non vuole farsi carico dei reali bisogni di chi la alimenta e la paga, di chi vota in buona fede pensando che il programma elettorale sara' davvero rispettato e che la guerra, anche dove non lo dice a chiare lettere la Costituzione, sara' bandita dalla storia. A chi non riconosce che la politica si fa tessendo relazioni feconde, attraverso lo scambio con chi mette in discussione l'esistente in una ottica di pace e benessere per tutte e tutti. La lettera di Cindy Sheehan e' certamente rimbalzata in tutti i media del mondo, e probabilmente la sua esperienza ha colpito tante e tanti ma non so fino a che punto le sue parole di addio al movimento siano state davvero comprese in tutta la sua radicalita'. Sheehan ha detto senza mezzo termini quello che altre donne nel mondo ripetono da anni, ossia che il gioco della politica istituzionale, ma anche di quella militante, e' roba da uomini che preferiscono allearsi, incuranti delle differenze, per non perdere il potere. Luoghi dove una donna fa fatica a trovarsi a suo agio. Come dice Sheehan rispetto all'America, ma vale anche per le nostre "democrazie" europee: "Come poteva una donna avere un pensiero originale e agire al di fuori del nostro sistema bipartitico?". Gia', come si fa? Se lo si fa si viene accusate di mania di protagonismo (guai che si dica seriamente a un uomo una cosa cosi'), di essere un po' pazze, troppo sopra le righe. Difficilmente si riconosce la totale messa in gioco delle donne che decidono di dire qualcosa, si badi bene, per il bene di tutti o che spendono tempo e energia per una causa comune, anche quando non sono mai state "battagliere" o militanti prima, come mi pare essere il caso di Sheehan. Ha agito da madre disperata, ho sentito dire, e anche che fosse che male c'e'? Non sono madre ma non ci vuole una laurea per comprendere che una madre sa cosa significa vivere, dare la vita, e che per prima non puo' accettare che la morte venga scelta come soluzione, o, ancora piu' drammatico, che si accorga che suo figlio e' "davvero morto per nulla". C'e' anche che mi dice che alcune madri sono orgogliose dei loro eroi. Tutto puo' essere, ma vorrei ricordare loro quel che disse Brecht: "Felice il paese che non ha bisogno di eroi". Credo pero' che Cindy Sheehan, piu' che a persone convinte che la guerra sia la panacea di tutti i mali, abbia voluto parlare, anche nel passare il testimone, a quel movimento internazionale per la pace che puo' essere capace di grandi cose. Puo' esserlo ma a volte non lo e' perche', in America come altrove, "come si fa a lavorare per la pace quando all'interno dello stesso movimento che ne porta il nome ci sono tante divisioni?". L'interrogativo posto da Sheehan non e' ne' retorico ne' una presa di posizione "egemonica", e' una questione urgente che va accolta in tutta la sua radicalita'. Perche' oltre ad essere frammentato e' un movimento che non ha ancora, nella sua totalita', assunto la scelta della nonviolenza. Alcune e alcuni pensano ancora che si possa, anche solo sul piano simbolico, utilizzare lo stesso linguaggio che si vuole estirpare (c'e' chi direbbe combattere, in puro stile militare). Non so cosa abbia smosso questa lettera nei movimenti pacifisti statunitensi e se, per esempio, qualcuno abbia pensato che Camp Casey potrebbe essere acquistato dal movimento per la pace per divenire un luogo di relazioni e di azioni permanenti contro i governi di tutto il mondo. Forse e' impossibile da realizzare, ma almeno si puo' pensare di continuare a tenere presente la lezione che ci ha insegnato Cindy Sheehan, non disperderla ne' considerarla qualcosa del passato, da rispolverare per una commemorazione. Sheehan e' uscita di scena non per arrendersi ma per ribadire il suo no a questo sistema di vita, per darci un senso del limite che e' solo consapevolezza profonda di cio' che davvero conta nella vita. Direi che e' abbastanza per pensarci su e scegliere da che parte stare. 4. RIFLESSIONE. MARCELLO FLORES: LA LEGGE SULLA "LUSTRACJA" [Dalla rivista mensile "Lo straniero" n. 84, giugno 2007, riprendiamo il seguente articolo (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net). Marcello Flores (Padova, 1945), storico, docente, intellettuale e militante democratico, insegna storia contemporanea e storia comparata all'Universita' di Siena, dove dirige anche il master in Human Rights and Humanitarian Action; si e' laureato nel 1971 in storia moderna, presso l'Universita' di Roma; dal 2001 e' docente di storia comparata presso l'Universita' di Siena; dal '96 al 2000 e' stato docente di storia contemporanea, mentre dal '94 al '96 professore associato di storia dell'est uropeo, ancora presso l'Universita' di Siena; dal '92 al '94 ha lavorato presso l'ambasciata italiana a Varsavia e nel biennio 1993-1994 ha seguito il corso di storia e cultura italiana all'Universita' di Varsavia; dal 1984 al 1992 e' stato professore associato in storia delle relazioni internazionali all'Universita' di Trieste, mentre dal '75 all'83 assistente alla cattedra di storia dei movimenti politici ancora presso l'Universita' di Trieste; ha svolto attivita' di ricerca presso l'Institute for the Study of Social Change, Universita' della California, Berkeley (1980-1981), al Churchill College di Cambridge (1984), all'Istituto di storia del mondo sovietico e dell'Europa Centrale presso l'Ecole des Hautes Etudes di Parigi (1988-1989), all'Istituto di storia universale presso l'Accademia delle Scienze di Mosca (1991), presso l'Universita' di Witwatersrand di Johannesburg (1997); e' stato membro dell'associazione internazionale "La memoire grise a' L'Est" presso la Bibliotheque de Documentation Internationale Contemporaine di Nanterre; ha organizzato i seguenti convegni internazionali: "Il mito dell'Urss. La cultura occidentale e l'Unione Sovietica", Cortona, 1989; "L'identita' collettiva e la memoria storica", Varsavia-Siena, 1994; "L'esperienza totalitaria nel XX secolo", Siena, 1997; "Storia, verita', giustizia: i crimini del XX secolo", Siena, 2000; e' stato direttore della rivista "I viaggi di Erodoto" e ha collaborato con le riviste "Il Mulino", "Italia contemporanea", "L'indice"; ha collaborato con le riviste scientifiche "I viaggi di Erodoto", ha collaborato con il Dizionario di storiografia della Mondadori; fa parte del comitato scientifico per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani sull'Armenia. Tra le opere di Marcello Flores: L'immagine dell'Urss, Il Saggiatore, Milano 1990; (con Nicola Gallerano), Sul Pci. Un'interpretazione storica, Il Mulino, Bologna 1992; L'eta' del sospetto. I processi politici della guerra fredda, Il Mulino, Bologna 1995; (con Nicola Gallerano), Introduzione alla storia contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 1995; 1956, Il Mulino, Bologna 1996; In terra non c'e' il paradiso. Il racconto del comunismo, Baldini & Castoldi, Milano 1998; Il Friuli. Storia e societa'. 1797-1866. Dalla caduta della Repubblica di Venezia all'unita' d'Italia, Istituto Friulano Movimento Liberazione, 1998; (con Alberto De Bernardi), Il Sessantotto, Il Mulino, Bologna 1998, 2003; (a cura di), Verità senza vendetta, Manifestolibri, Roma 1999;(a cura di), Storia, verita', giustizia. I crimini del XX secolo, Bruno Mondadori, Milano 2001; Il secolo-mondo. Identita' e globalismo nel XX secolo, Il Mulino, Bologna 2002; Storia illustrata del comunismo, Giunti, Firenze 2003; Tutta la violenza di un secolo, Feltrinelli, Milano 2005; Il secolo-mondo. Storia del Novecento, Il Mulino, Bologna 2005, 2 voll.; (con Flavio Fiorani), Grandi imperi coloniali, Giunti, Firenze 2005; Il genocidio degli armeni, Il Mulino, Bologna 2006] La Corte costituzionale polacca ha deciso di bocciare, anche se non integralmente e non in in tutti gli aspetti caratterizzanti, la legge sulla "lustracja" proposta dal tandem al potere dei fratelli Kaczynski, Lek il presidente della Repubblica e Jaroslaw primo ministro e alla guida del partito di maggioranza, una coppia che farebbe la fortuna di ogni comico e cabarettista se non si trattasse di una realta' terribilmente seria e di una minaccia alla democrazia, alla tolleranza e all'integrazione stessa dell'Europa da parte del paese e dello stato certamente piu' importanti tra quelli che si sono piu' di recente aggregati all'Unione. Contro la legge persecutoria, che pretendeva una sorta di autodafe' politico-ideologico da parte di coloro che avevano avuto a che fare con il Partito comunista (in Polonia si chiamava Partito operaio unificato) in qualsiasi momento o avevano svolto incarichi statali e pubblici, senza fare alcuna distinzione tra periodi, momenti storici, evoluzione personale, giustificazioni nazionali, responsabilita' personali, si erano gia' pronunciati alcune delle personalita' piu' in vista della Polonia democratica, alcuni tra coloro che avevano maggiormente contribuito prima a mettere in crisi il regime comunista fondando Solidarnosc, poi a farlo crollare proprio grazie all'attivita' di quella straordinaria e originale organizzazione sindacale, per tanto tempo incompresa dalla sinistra occidentale che coglieva solo gli aspetti - certamente forti e reali - di identita' nazional-religiosa che erano presenti in quel movimento. I rifiuti di Bronislaw Geremek e di Tadeusz Mazowiecki, anime democratiche e cattoliche di quel rinnovamento, il primo deputato nel 1989 e dal 1997 al 2000 e ministro degli esteri, il secondo presidente del consiglio del primo governo non comunista della Polonia del dopoguerra nell'agosto del 1989, sono quelli che hanno conosciuto maggiore diffusione presso l'opinione pubblica occidentale, anche perche' Geremek ha rischiato, con la sua dichiarazione, di perdere il suo seggio di eurodeputato a Strasburgo. In realta' l'intera societa' polacca, e in particolare il mondo intellettuale e della cultura che aveva osservato attonito e senza capacita' di reagire la rapida scalata al potere dei gemelli Kaczynski e del loro movimento "Legge e giustizia", attorno a cui avevano saputo creare una coalizione comprendente altri partiti di destra e populisti come quello dell'"Autodifesa della Repubblica Polacca" (Samoobrona) e della "Lega delle famiglie polacche", avevano mostrato segni sempre piu' forti d'insofferenza e voglia di reagire di fronte a una politica populista che assumeva spesso toni antieuropei quando non apertamente razzisti e anche antisemiti. La legge sulla "lustracja", entrata in vigore il 15 marzo 2007, aveva sostituito una legge esistente fin dal 1997 che aveva trovato un solido e coerente compromesso nei confronti della volonta' di una parte della societa' polacca di fare i conti con il passato comunista in modi radicali e giuridicamente illegittimi. Essa prevedeva, da parte di tutti i cittadini nati prima del 1972, di compilare un modulo di autodenuncia che, con lo scopo di sapere chi avesse collaborato con i servizi segreti, in realta' cercava di mettere a fuoco l'intero passato di tutti i cittadini bollando superficialmente come comunista chiunque avesse avuto riscontri archivistici o avesse compiuto una "confessione" nel timore di non sapere cosa potessero contenere gli archivi del precedente regime. Oltre all'opposizione delle principali personalita' di Solidarnosc - cui si era aggiunto lo stesso ex presidente Lech Walesa - la legge era stata messa in discussione come tentativo di cancellare, in nome di un'ideologia familiar-nazional-religiosa ancora profondamente radicata nella societa' polacca, le modalita' stesse della transizione alla democrazia avvenuta negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. * Contro questa legge avevano preparato un appello diversi intellettuali e personalita' di Cracovia, cui si erano aggiunte centinaia di altre adesioni da ogni parte del paese. La presenza, tra i primi firmatari, della poetessa Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura, e dell'ex Presidente Aleksandr Kwasnieski, leader del partito socialdemocratico, aveva fomentato una nuova polemica contro l'"intelligencija", accusata in blocco di essere stata comunista e prona al potere comunista, dimenticando il ruolo fondamentale di una parte di essa nella lotta contro il regime a partire dal 1956 e poi nel 1968 e negli anni Settanta fino al momento di fondazione di Solidarnosc. Wislawa Szymborska, a Siena per presentare e leggere le sue poesie in una serata organizzata in suo onore, parlava amaramente ma insieme con grande ironia della situazione attuale. Ne parlava a cena, avendo scelto di evitare ogni forma d'intervista in questo viaggio in Italia, proprio per dare maggior rilievo all'intervista che e' stata pubblicata, invece, su "Gazeta Wyborcza" alcuni giorni prima il giudizio della Corte costituzionale. E' una situazione cui bisogna porre ormai un freno, in ogni modo: questo il ritornello ripetuto piu' volte, in mezzo ad aneddoti e riflessioni sulla poesia e sul cinema, su Fellini e Wajda, sulla possibilita' di farsi ascoltare attraverso la poesia e con interventi pubblici piu' direttamente impegnati, sulla trasformazione e globalizzazione e sulle cose talmente belle per salvare le quali occorre impedire la distruzione del mondo. Szymborska sembrava nutrire grande fiducia nella decisione della Corte, anche se ancora non sapeva che proprio alla vigilia del suo incontro, due tra i giudici erano stati direttamente accusati da un parlamentare di "Legge e giustizia" di essere stati essi stessi comunisti e collaboratori dei servizi segreti, chiedendo quindi che la Corte si esimesse dal giudicare una legge che metteva sotto accusa una parte di essa. Era stato l'ultimo, maldestro tentativo per evitare una sconfessione della legge che ogni giurista e persona di buon senso non poteva che attendersi nella forma poi resa esplicita. La Corte, che con senso di responsabilita' si e' riunita senza i due giudici accusati, i quali si sono volontariamente astenuti pur avendo ogni diritto di partecipare alla discussione, ha stabilito l'incostituzionalita' di alcuni dei provvedimenti di "lustracja", ma non dell'intero provvedimento. L'entusiasmo che traspare dai giornali di tutto il mondo all'indomani della decisione della Corte puo' sembrare, a uno sguardo piu' attento, miope, egoistico o ingenuo. Anche con i "tagli" che la Corte ha apportato ad alcune parti della legge, infatti, sarebbe possibile gia' adesso, senza riscrivere l'intero provvedimento, continuare l'opera di "lustracja" gia' iniziata da quasi due mesi. Ad essere esclusi in toto dai richiami della Corte sono, infatti, i settori privati, ma non il settore pubblico e statale. Se, per fare un esempio, il direttore di una scuola privata non potra' essere costretto a scrivere, testimoniare e confessare i suoi rapporti passati con il regime e con i servizi segreti, questo potra' avvenire (e avverra') per il direttore di una scuola pubblica. Se oggi Geremek puo' rifiutarsi, perche' eletto prima della legge, di dire alcunche' sul suo passato, non cosi' sara' per chi si presentera' alle prossime elezioni. I giornalisti, che temevano, e giustamente, questo provvedimento come occasione per porre un bavaglio alla liberta' di stampa, sono giustamente soddisfatti di averla scampata. Ma non e' cosi' per tutti. La Corte e' dovuta tornare alla definizione di "collaboratore" della legge di dieci anni fa (che prevede consapevolezza e intenzione e non semplice e oggettivo rapporto magari casuale), e ha rinviato a una nuova sessione un altro punto assai delicato che riguarda la punibilita' di chi "offende" il popolo polacco sostenendo che sia stato responsabile di episodi di genocidio o di crimini contro l'umanita'. Su questo tema si leggano le osservazioni che seguono scritte qualche tempo fa da Wiktor Osiatynski, uno dei padri della Costituzione polacca che ha rifiutato, al termine della seduta della Corte costituzionale, di rilasciare qualsiasi dichiarazione. Se quell'articolo dovesse passare, in futuro, uno scrittore come lo storico Jan Gross, che nel suo libro I carnefici della porta accanto, aveva raccontato il progrom antiebraico commesso da cittadini polacchi sotto gli occhi degli occupanti nazisti nella cittadina di Jedwabne nel luglio 1941, potrebbe rischiare la prigione. Ma vi e' un pericolo ancora maggiore, che Osiatynski ha voluto sottolineare tempestivamente per telefono, in aggiunta alle riflessioni che vengono qui pubblicate. Di fronte al consenso e al rispetto che la Corte costituzionale ha ottenuto in questi giorni, aggiungendo autorevolezza all'autorita' che gia' ha, vi e' il rischio concreto che entro un anno, quando due giudici (tra cui il presidente della Corte) verranno cambiati e saranno anch'essi nominati tra i fedelissimi dei gemelli Kaczynski, come ben sei attualmente sono, la maggioranza di 9 a 7 che ha bocciato in questi giorni gli aspetti piu' palesemente incostituzionali della legge sulla "lustracja" venga ribaltata da una maggioranza di segno contrario che possa far conto anche sul nuovo presidente. Anche una Corte costituzionale, lo si e' gia' visto spesso nella storia, puo' dismettere gli abiti dell'arbitro neutrale e corretto e scendere in campo a fianco del potere politico. 5. MEMORIA. WLODEK GOLDKORN RICORDA RYSZARD KAPUSCINSKI [Dal sito www.goldkorn.blogautore.espresso.repubblica.it riprendiamo il seguente ricordo di Kapuscinski scritto da Wlodek Goldkorn. Wlodek Goldkorn, polacco, intellettuale e giornalista, dopo aver lasciato la Polonia nel 1968 da oltre trent'anni vive a Firenze; e' il responsabile del settore cultura del settimanale "L'Espresso", di cui e' stato anche corrispondente da New York; acuto saggista, si e' occupato di questioni internazionali e di cultura; negli anni Ottanta e' stato il fondatore e l'editore di riviste sull'Europa centrale e orientale, "L'ottavo giorno" e "L'Europa ritrovata"; ha collaborato anche con varie altre riviste, tra cui "Micromega", "Mondoperaio", "Limes", "Fine secolo". Opere di Wlodek Goldkorn: Uscire dal ghetto, Reverdito, 1988; (con Rudi Assuntino), Il guardiano. Marek Edelman racconta, Sellerio, 1998; (con Massimo Livi Bacci, Mauro Martini), Civilta' dell'Europa orientale e del Mediterraneo, Longo, 2001; La scelta di Abramo. Identita' ebraiche e postmodernita', Bollati Boringhieri, 2006. Ryszard Kapuscinski (1932-2007) e' stato un illustre scrittore e giornalista polacco. Riportiamo la motivazione dell'attribuzione del Premio Grinzane Cavour per la Lettura 2003 a Ryszard Kapuscinski: "Grande maestro di giornalismo, Ryszard Kapuscinski, nato a Pinsk nella Polonia orientale nel 1932, ha lavorato come corrispondente estero dell'Agenzia di stampa polacca Pap fino all'inizio degli anni '80. Viaggiatore instancabile, curioso e partecipe testimone dei destini dei diseredati in Africa e in America Latina, Kapuscinski ha scritto numerosi libri-reportage che sono diventati veri e propri classici del genere, una 'straordinaria mistura di arte e reportage', come ebbe a dire Salman Rushdie. La sua penna mette a fuoco con estrema lucidita' fin dagli anni '60 la complessita' del continente africano, registrando fenomeni politici e culturali, contraddizioni e tragedie umane, in un'epoca in cui l'Occidente guardava con preoccupazione all'Africa per l'incognita rappresentata da 300 milioni di individui in procinto di entrare nel panorama politico mondiale. Storia e drammatica quotidianita' si mescolano felicemente nelle sue pagine, in opere come Il Negus (1982), La prima guerra del football e altre guerre di poveri (1990) fino al piu' recente Ebano (2000, Premio Viareggio-Repaci), raccolta di articoli che riassumono quarant'anni di esperienza come inviato nei paesi africani. La sua e' l' Africa dei dannati della terra, vissuta con i poveri delle bidonville, i contadini della savana, i camionisti del Sahara. Kapuscinski esula da ogni forma di colore od esotismo locali: vuole andare alla radice dei fatti, individuare le leggi, vecchie e nuove che li governano. E' l'ottica che lo guida anche altrove: ad esempio in un testo di grande successo come Shah-in-Shah (1982) che narra un momento cruciale della storia dell' Iran tra la fine della monarchia sanguinaria di Reza Pahlevi e l'avvento religioso di Khomeini nel 1979. Anche il tramonto e il dissolvimento dell' Unione sovietica e' diventato con Imperium (1994), un libro di intensa ed efficace testimonianza. Perche' gli eventi, grandi o piccoli che siano, rappresentano per Kapuscinski l'occasione per vivisezionare, con il tratto felice e disinvolto dello scrittore, storia, politica e societa' di un paese. Cittadino del mondo, portavoce delle minoranze, Kapuscinski ha saputo conciliare curiosita' e responsabilita' morale, impegno e vivacita' di scrittura in nome di coloro per i quali e' data la speranza, perche', come disse una volta Walter Benjamin, non ne conoscono alcuna". Opere di Ryszard Kapuscinski: in edizione italiana cfr. La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, poi Feltrinelli; Shah-in-Shah, Feltrinelli; Il Negus, splendori e miserie di un autocrate, Feltrinelli; Imperium, Feltrinelli; Lapidarium, Feltrinelli; Ebano, Feltrinelli. Cfr. anche il libro di interviste e colloqui (a cura di Maria Nadotti), Il cinico non e' adatto a questo mestiere. Conversazioni sul buon giornalismo, Edizioni e/o, Roma 2002; e il volume antologico Autoritratto di un reporter, Feltrinelli, Milano 2006] L'ultima volta che ho visto Ryszard Kapuscinski era a ottobre 2006, a Roma. Era venuto a inaugurare una mostra delle sue fotografie (era anche fotografo). Mi ha convocato nel suo albergo alle 9 di mattina. Abbbiamo chiacchierato per due ore. L'ho visto preoccupato: un po' per la sua salute, molto per la Polonia in mano ai gemelli Kaczynski (e per il mondo in mano a Bush). Mi diceva di essere nel mirino del potere, e spiegava che il populismo dei Kaczynski ha come scopo demolire ogni autorita' intellettuale e morale riconosciuta, quindi, al momento, la poetessa premio Nobel Szymborska e lui. Mi diceva che dalla Polonia se ne stavano andando via i giovani, i migliori. Non era affatto modesto Kapuscinski. Era umile, che e' un'altra cosa. Sapeva perfettamente di essere il massimo reporter del mondo, e di essere un grande scrittore. Si divertiva a raccontarmi gli appellativi messi da grandi colleghi come incipit delle lettere a lui indirizzate. Un'altra volta, a casa sua a Varsavia, mi ha spiegato che prima di andare a raccontare un paese leggeva un'intera biblioteca di libri (non di ritagli di giornali) su quel paese. E poi, non e' vero che gli piacevano alberghetti modesti e scomodita'. Diceva semplicemente che per conoscere un paese e' bene girarlo in autobus. 6. RIFLESSIONE. CARMEN CONCILIO INTERVISTA TSITSI DANGAREMBGA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 maggio 2007. Carmen Concilio e' docente di letteratura inglese all'Universita' di Torino; ha tenuto seminari sulla letteratura caraibica e sudafricana; ha pubblicato vari saggi sulla letteratura sudafricana, australiana, caraibica, canadese e indiana. Su Tsitsi Dangarembga dal sito della casa editrice Goree riprendiamo la seguente cheda: "Tsitsi Dangarembga, nata in Rhodesia (ora Zimbabwe) nel 1959, ha iniziato i suoi studi in Inghilterra, dove era emigrata con la famiglia. Tornata nel suo paese, vi ha concluso gli studi superiori per poi laurearsi alla Cambridge University in medicina. E' poi ritornata definitivamente nel suo paese, dove si e' laureata anche in psicologia. Nel suo paese ha fatto parte di una compagnia teatrale universitaria e nel 1983 ha diretto una commedia dal titolo The Lost of the Soil ed e' divenuta una dei componenti piu' attivi del gruppo teatrale Zambuko, diretto da Robert McLaren ed ha partecipato alla produzione di due opere intitolate Katshaa! e Mavambo. In questo periodo ha anche iniziato la sua attivita' di scrittrice, pubblicando nel 1985 in Svezia una raccolta di racconti dal titolo The letter. Nel 1987 ha invece debuttato con un testo teatrale, She no longer weeps scritto nella sua lingua madre. Questo lavoro le procuro' un enorme successo e la sua notorieta' era gia' internazionale quando nel 1989 pubblico' il suo primo romanzo Nervous conditions (L'altra me) con il quale vinse la sezione africana del Commonwealth Writers Prize. Successivamente ha svolto studi da regista in Germania presso la Deutsche Film und Fernseh Akademie. In quel periodo ha prodotto numerosi film e documentari per la televisione tedesca e ultimamente e' stata autrice e regista di Everyone's Child con il quale ha preso parte a numerosi festival internazionali e che e' stato premiato al Dublin Film Festival"] Si sa che l'Africa, nell'immaginario occidentale, rimanda a carestie, epidemie, malnutrizione, guerre civili e dittature, ma la scrittrice dello Zimbabwe Tsitsi Dangarembga non solo e' riuscita con il suo romanzo di esordio Nervous Conditions (La nuova me, Goree, 2007) a deviare da questi cliche' ma si e' imposta all'attenzione internazionale per l'originalita' dei temi affrontati. Nel presentare le giovani generazioni a confronto con il retaggio coloniale, ha portato tra le sue pagine l'anoressia e la bulimia, patologie tipiche della nostra societa', che si credeva fossero in stretta relazione con gli imperativi consumistici e risparmiassero i continenti in via di sviluppo. Eppure, le giovani protagoniste del romanzo di Tsitsi Dangarembga, Tambudzai e sua cugina Nyasha, mentre si affannano l'una per il diritto allo studio e l'altra per contrastare quelle verita' che intorno a lei vengono acriticamente accettate, conoscono le insidie di due estremi opposti, entrambi riguardanti i disturbi dell'alimentazione: Tambudzai e' affetta da voracita', mentre la piu' agiata cugina rifiuta il cibo che le viene preparato. Sono disturbi che investono i rapporti familiari e il corpo femminile e da qui si estendono fino a riguardare l'intera storia della Rodesia coloniale, mentre il romanzo include anche un ritratto psicologico tratteggiato a partire dalle teorie del filosofo caraibico Frantz Fanon. Ma lasciamo la parola a Tsitsi Dangarembga. * - Carmen Concilio: Prima di dedicarsi al romanzo lei ha scritto per il teatro. Come mai ha scelto proprio questo genere? - Tsitsi Dangarembga: Mi piace pensare a me stessa come a una artista dotata di molto senso pratico. Partecipavo ai gruppi teatrali universitari e dunque e' stata una naturale conseguenza cominciare a scrivere drammi. Inoltre, poiche' non c'erano ruoli significativi scritti per donne africane, ho cercato di porre rimedio a questa lacuna. Ancora oggi sono pochi gli scrittori dello Zimbawe che prevedono ruoli femminili, e' deprimente il modo in cui le donne vengono rappresentate. Pero', essendo stata recentemente nei paesi scandinavi per un festival cinematografico, ho notato che dopo gli anni '70 e l'esplosione del femminismo ora si e' inauguarata una nuova fase di regressione. * - Carmen Concilio: E come si e' fatto strada in lei l'interesse per il cinema? - Tsitsi Dangarembga: Dopo aver scritto Nervous Conditions e aver assistito al suo fallimento editoriale, perche' in Africa nessuno lo ha voluto pubblicare e se e' uscito lo devo alla inglese Women Press, ho pensato che potevo usare la mia voce in qualche altro modo. Cosi' ho studiato cinematografia a Berlino, dove c'e' ancora un'ottima accademia, che mi ha dato una eccellente istruzione professionale. * - Carmen Concilio: Ci sono temi comuni sia alla sua produzione letteraria che a quella cinematografica? - Tsitsi Dangarembga: Quel che mi interessa come scrittrice e' l'autorealizzazione delle donne, il modo in cui riescono a trovare se stesse, i loro cambiamenti durante questo processo di maturazione. Come regista, invece, mi valgo dell'esperienza del mio soggiorno in Germania che mi ha fatto incontrare con problemi razziali ancora molto radicati. E la mia produzione personale e' centrata sulle leggende del folklore Shona e sulla resa delle loro varianti regionali. * - Carmen Concilio: Sia nel romanzo La nuova me, che nel suo film Kare Kare Zvako i rapporti familiari sono al centro della narrazione. E sono rapporti violenti. Come mai? - Tsitsi Dangarembga: Le relazioni familiari sono cambiate, la sacralita' stessa della famiglia sta scomparendo e questo per certi versi e' positivo perche' se qualcosa non va, e talvolta si sa che le dinamiche sono terribili, c'e' la possibilita' di sfuggirne. Allo stesso tempo, pero', una societa' fatta di famiglie frammentate e' una societa' malata. * - Carmen Concilio: Scrivendo un romanzo che tratta anche di disturbi dell'alimentazione lei e' andata contro un luogo comune sulla societa' africana. Nyasha rigetta il cibo, ma non solo questo, vero? - Tsitsi Dangarembga: Intanto, va detto che anche in Africa la bulimia e l'anoressia stanno aumentando, e cosi' pure l'obesita' infantile. Quanto a Nyasha, rifiutandosi di ingoiare cio' che le viene propinato sviluppa una personalita' critica che mette continuamente in dubbio le verita' "precotte". * - Carmen Concilio: L'altra adolescente del suo romanzo, Tambu, e' affamata di istruzione e arriva a rifiutare il proprio passato rurale fino quasi a rinnegarlo. Lei crede che l'emancipazione femminile, in un paese come lo Zimbabwe, debba necessariamente passare attraverso l'istruzione scolastica e implichi un distacco dal passato? - Tsitsi Dangarembga: No, l'istruzione serve, anche a migliorare la propria condizione economica, ma solo in determinate circostanze si perviene a una reale emancipazione. Oggi lo Zimbabwe e' penalizzato dalle sanzioni e dalla recessione economica e chi ne paga le spese sono soprattutto donne e bambini. Alcuni anni fa solo il 50% della popolazione aveva un licenza elementare, oggi si e' arrivati all'80%, ma c'e' il rischio di una nuova inversione di tendenza. 7. LETTURE. AA. VV.: QUALE EUROPA PER UNA CIVILTA' DI PACE? AA. VV., Quale Europa per una civilta' di pace?, "Quaderni della Fondazione Ernesto Balducci", n. 17, Firenze 2007, pp. 166. Questo volume dei sempre interessanti Quaderni della fondazione intitolata all'indimenticabile padre Balducci reca interventi e contributi di Andrea Cecconi, Gianfranco Varvesi, Umberto Allegretti, Thomas Madonia, Donatella Della Porta, Furio Cerutti, Peter Wagner, Amartya Sen, Stefano Pighini, Emilio Diodato, il compianto Abbe' Pierre, Marialuisa Muscara' Bellavia, Maddalena Mancini. Per richieste e abbonamenti: Fondazione Ernesto Balducci, via Badia dei Roccettini 9, 50016 Fiesole - Localita' S. Domenico (Firenze), tel. 055599147, fax: 055599240, e-mail: fondazionebalducci at virgilio.it, sito: www.fondazionebalducci.it 8. LETTURE. MAX EASTMAN: IL GIOVANE TROTSKY Max Eastman, Il giovane Trotsky, Massari Editore, Bolsena (Viterbo) 2006, pp. 160, euro 8. Scritta nel 1925, questa biografia di Trotskij - che aiuto' l'autore e la autorizzo' - e' ora per la prima volta tradotta in italiano. Il libro e' per piu' motivi interessante (naturalmente sulla vita del suo protagonista abbiamo anche le molte pagine autobiografiche di Trotskij stesso, e le preziose opere di Victor Serge, Isaac Deutscher, Pierre Broue'). Segnaliamo en passant che l'introduzione alle pp. 11-13, anonima, e' evidentemente quella dell'edizione inglese del 1980: piuttosto grevemente propagandistica, essa decisamente non sembra rendere giustizia ad Eastman (1883-1969) che fu per anni amico e collaboratore di Trotskij. Arricchisce il volume un archivio fotografico. Per richieste alla casa editrice: Massari Editore, casella postale 144, 01023 Bolsena (Vt), e-mail: erre.emme at enjoy.it, sito: www.enjoy.it/erre-emme 9. RIEDIZIONI. MARCO VALERIO MARZIALE: EPIGRAMMI Marco Valerio Marziale, Epigrammi, Mondadori, Milano 1995, 2007, pp. XXII + 982, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Simone Beta, con testo a fronte e in talvolta spenta e didascalica, e sovente vivace traduzione (e talora forse troppo vivace - ma si sa che tradurre le scurrilita' di Marziale, o di Catullo, non e' proprio uno scherzo), le coltellate e le istantanee, i borbottii e i sibili, i falliti e i riusciti conati (e meno grevi e piu' noiosi gli xenia e piu' lievi e garbati gli apophoreta. il De spectaculis e' quasi solo furbizia, enciclopedia e pubblicita' per se stesso), di un autore di quelli che mai riuscimmo a sopportare, e che oggi certo andrebbero per la maggiore nel brago televisivo. Sempre detestammo Marziale, e non solo l'adulatore del tiranno di turno, ma anche e ancor piu' il servile maldicente, il cliente rancoroso, il pornografo irrefrenabile quanto stucchevole: mai una volta che sollevi lo sguardo, mai una volta che una viva tempesta lo afferri e lo innalzi. Eppure, con tutti i pregiudizi che mi ingombrano, talora anche Marco Valerio Marziale mi sorprende e mi strappa se non un consentimento un apprezzamento, e finanche un applauso o un sussulto, quando - ma avviene assai di rado, checche' ne dicano i signori professori - riesce a calibrare la tagliola, e le scaglie gli cadono dagli occhi. Allora e solo allora vale la pena di leggerlo per se': il resto e' solo costume, bavardage, bozzetto, acquaforte e cartolina, macchina e repertorio e virtuosismo, talora squisita versificazione, e tristezza infinita. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 111 del 5 giugno 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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