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Minime. 95
- Subject: Minime. 95
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 May 2007 00:24:53 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 95 del 20 maggio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. De te fabula narratur 2. Amy DePaul intervista Yanar Mohammed 3. Benedetto Vecchi intervista Saskia Sassen 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. DE TE FABULA NARRATUR La guerra terrorista e stragista in Afghanistan: e chi non si oppone e' corresponsabile del deflagrare ed estendersi di guerra e terrorismo in tutto il mondo. L'illegale, criminale partecipazione militare italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan: e chi non si oppone e' corresponsabile del deflagrare ed estendersi di guerra e terrorismo in tutto il mondo. Il crescente totalitarismo del partito della guerra nel parlamento e nel governo e nelle istituzioni e nella politica e nella vita civile italiani come esito della violazione della Costituzione e del diritto internazionale, della militarizzazione, dell'autoritarismo, del razzismo, dell'imperialismo, dell'anomia connessi all'illegale, criminale partecipazione militare italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan: e chi non si oppone e' corresponsabile del deflagrare ed estendersi di guerra e terrorismo in tutto il mondo. * Ripristinare la vigenza dell'articolo 11 della Cstituzione che la partecipazione a quella guerra proibisce. Cessare di partecipare alla guerra. Salvare le vite. E salvare anche la democrazia nel nostro paese da una deriva che solo realizza, provoca, alimenta violenza, uccisioni, terrorismo. * La pace e' la via: smilitarizzazione dei conflitti, disarmo, azioni positive di solidarieta' per l'affermazione e l'inveramento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani. Chi non uccide salva le vite. Chi si oppone alla guerra costruisce la pace. La nonviolenza e' il criterio, la scelta, l'urgente esigenza: nonviolenza giuriscostituente, nonviolenza come chiave della politica del secolo, nonviolenza come lotta coerente, nitida e intransigente alla barbarie bellica e totalitaria che puo' mettere fine all'umana civilta'. 2. RIFLESSIONE. AMY DEPAUL INTERVISTA YANAR MOHAMMED [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente intervista a Yanar Mohammed di Amy DePaul per "Guernica Magazine". Amy DePaul e' giornalista, saggista, docente universitaria statunitense. Yanar Mohammed, presidente dell'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq (Owfi), e' nata nel 1960 a Baghdad, si e' laureata nel 1984 all'Universita' di Baghdad, dove ha anche ottenuto il master in architettura nel 1993 e ha lasciato l'Iraq nel 1993 assieme al marito ed al figlio appena nato; in Canada ha lavorato con altre donne irachene fondando l'organizzazione "Difesa dei diritti delle donne irachene" nel 1998: i rifugi che tale gruppo ha creato in Iraq hanno salvato dagli "omicidi d'onore" numerose donne; nel giugno 2004, l'associazione ha cambiato nome, diventando l'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq, e si e' trasferita in Iraq; Yanar edita a Baghdad un giornale chiamato "Eguaglianza" ("Al-Mousawat"); oltre ad essere un'attivista per i diritti umani, Yanar e' un'artista e un'architetta: uno dei suoi murales in ceramica adorna l'entrata della sede della Federazione Arabo-Canadese a Toronto] Per essere una donna che riceve di continuo minacce di morte, cambia residenza come una trottola, e deve tener nascosta la sede della sua organizzazione, Yanar Mohammed ha un notevole senso dell'umorismo. Durante la nostra conversazione riguardante la perdita di diritti e sicurezza da parte delle donne irachene, lo scenario terribile che mi narrava e' stato attraversato dalla sua umanita' e da una certa attitudine alla sfida. Si e' presa gioco del suo inglese quando raramente ha fatto errori, e ha paragonato ridendo il vestiario nero ed uniforme imposto dai fondamentalisti alle donne ad un'attrezzatura anti-radiazioni per astronauti. Nel 2003, Yanar ha fondato l'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq (Owfi), che da' rifugio alle donne minacciate da "delitti d'onore" e violenza settaria. L'organizzazione fa anche opera di monitoraggio sulle condizioni delle donne nelle carceri e fornisce assistenza alle ex detenute. E, cosa molto rilevante, l'Owfi parla a voce alta ed insistente a favore dei diritti legali delle donne e di leggi laiche, in opposizione al crescente islamismo politico iracheno. Le argomentazioni di Yanar Mohammed gettano luce sulla precaria posizione delle donne sotto l'islamismo radicale ma confermano anche le disastrose conseguenze della guerra e dell'occupazione le quali, secondo Yanar, hanno scatenato i militanti fondamentalisti. La guerra e l'occupazione, dice, sono costate alle donne il loro status legale, e la loro liberta' quotidiana, dal come vestirsi al potersi muovere all'esterno delle case. L'argomento continua a ricevere scarsissima attenzione da parte dei media. * - Amy DePaul: Parlami dell'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq. - Yanar Mohammed: L'organizzazione e' stata fondata da donne irachene che avevano deciso di avere voce. Eravamo sicure che il futuro governo non sarebbe stato amico delle donne. Dal primo giorno in cui siamo nate abbiamo cercato sostegno internazionale. Ne abbiamo ricevuto dal Canada, dall'Europa e dagli Usa. Noi chiediamo la piena eguaglianza e rappresentiamo la voce laica e moderna di un Iraq che non desidera trasformarsi in un secondo Afghanistan sotto il dominio talebano. * - Amy DePaul: Dove sono i vostri uffici? - Yanar Mohammed: I principali sono a Baghdad e Nasiriyah, una citta' del sud. A Kirkuk abbiamo rappresentanti, ma non siamo in grado di mantenere uffici. Le nostre amiche lavorano nelle loro case, e le aprono alle donne che hanno bisogno di rifugio. * - Amy DePaul: A quattro anni dalla fondazione dell'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq quali sono i problemi che affrontate? - Yanar Mohammed: Piu' che di problemi dovremmo parlare di pericoli, e nell'ultimo anno si sono fatti gravi. In alcuni giorni e' impossibile per le attiviste arrivare agli uffici, per molte ragioni. Ma la principale e' che stiamo parlando di citta' in cui imperversano diverse milizie, ognuna finanziata da un paese diverso, che combattono tra loro. Ognuno di noi e' sotto il tiro dei loro mitragliatori. Una parodia di governo tenta di sopravvivere e concepisce ogni mese un nuovo piano militare di sicurezza. Ci sono giorni in cui l'intero quartiere e' circondato da militari che perquisiscono case, o le strade sono chiuse a causa dell'ennesima conferenza internazionale in cui si parlera' di risolvere questioni politiche che non verranno risolte. Immagina di vivere in una citta' in cui riesci a raggiungere il tuo ufficio solo tre giorni la settimana. Pero' in quei tre giorni in cui non dobbiamo affrontare i nemici delle donne e i loro mitragliatori siamo sollevate, anche del non dover rispondere ai loro interrogatori ed alle loro imposizioni. * - Amy DePaul: Venite molestate dalle milizie? - Yanar Mohammed: Grazie a loro c'e' solo paura nelle strade. Girare per strada, se sei donna, e' una cosa che non fai potendola evitare. Gli uomini ti guardano come se uscissi da un'altra epoca. E se ci sono le milizie ti urlano di andare a casa e di vestirti in modo decente. Possono picchiarti, o punirti in modo molto peggiore. Noi siamo cresciute a Baghdad, ed eravamo abituate a vestirci come ci pareva, e ad andare ovunque. * - Amy DePaul: Mi hai detto che le donne in Iraq sono molto meno libere dopo l'invasione e l'occupazione. Quali sono le ragioni? - Yanar Mohammed: Le prime perdenti della situazione sono state le donne. Cio' e' accaduto a causa delle politiche che sono venute insieme all'occupazione. Il paese e' sotto l'autorita' delle milizie islamiche: milizie sciite, che sono al potere, o sunnite, che non lo sono. Alle volte competono per il dominio sulle donne. Ottenerlo e' la prima cosa che fanno. Prendi Sadr City, che e' un sobborgo sciita di Baghdad. E' considerata la zona proletaria di Baghdad, la fonte del cambiamento sociale e politico per l'Iraq del futuro. Questo luogo e' sotto l'autorita' delle milizie sciite. Le donne indossano veli neri, sembrano oggetti neri: guanti neri, calze nere, non un frammento di pelle che si mostri. In tutta la mia vita in Iraq non avevo mai visto le donne vestite cosi'. Quando lasciai il paese nel 1993 dei guanti neri non avevamo mai sentito parlare. Adesso vai a Baghdad, e grazie all'alto livello di poverta' vedi le donne mendicare ai lati della strada, vestite di nero. Un gran numero di professioniste sono state assassinate perche' erano donne in posizioni di potere. Le insegnanti, le docenti universitarie, vivono in uno stato di continua minaccia, perche' centinaia di loro colleghe sono state uccise. Ho un'amica che e' chirurga in un ospedale di Baghdad. Lei dice che se sei una medica di alto livello, e se sei conosciuta perche' lavori bene, verrai assassinata al piu' presto possibile. Piu' di 150 docenti e mediche sono state uccise negli ultimi tre anni. Non erano donne politiche. Facevano solo il loro lavoro. * - Amy DePaul: E' solo questo il risultato della violenza settaria sulle donne? - Yanar Mohammed: Il benessere delle donne e' un'altra carta che viene usata dai partiti misogini per far pressione l'uno sull'altro. Il partito islamista sunnita ha accusato il partito sciita di stuprare donne sunnite e viceversa. Abbiamo ricevuto molti rapporti e raccolto testimonianze sulle donne che vengono assalite e poi uccise dalle milizie, per ragioni settarie. Le donne vengono usate per indebolire o sfidare la setta avversaria. Una parte triste dell'intera storia e' che questi partiti islamisti hanno donne in Parlamento e dicono al mondo che esse rappresentano tutte le donne irachene. In realta' la maggior parte di esse rappresenta la sharia. * - Amy DePaul: Che altri pericoli corrono le donne in Iraq? - Yanar Mohammed: E' pericolosissimo andare in prigione. Abbiamo costituito una squadra di monitoraggio per le detenute, da piu' di un anno. Abbiamo scoperto che lo stupro nelle centrali di polizia e' una procedura di routine. Quando la storia di Sabrine, lo stupro da lei subito da poliziotti scitti, venne fuori, io immediatamente scrissi un comunicato stampa, dicendo che noi dell'Owfi sapevamo bene come questa cosa fosse comune, come Sabrine non fosse la sola. Abbiamo parlato con piu' di 250 donne in prigione, abbiamo segnalato il problema al Ministero degli Interni. Sabrine comincio' a ricevere minacce di morte, lei e i suoi familiari, cosi' ha lasciato l'Iraq. * - Amy DePaul: Per quali tipi di reati le donne sono in prigione? - Yanar Mohammed: Un po' di tutto. Una si e' falsamente accusata di omicidio per sfuggire all'abuso fra le pareti domestiche. Pensava che in galera sarebbe stata al sicuro. E' stata stuprata dall'intera stazione di polizia. Ci sono le situazioni piu' disparate: alcune donne sono in prigione perche' accusate di essere state trovate nei bordelli. Nell'Iraq di una volta, la legge non prevedeva la detenzione delle prostitute. Il problema e' che non sanno dove andare quando escono. Come mettono il naso fuori, i loro magnaccia le ributtano al lavoro. Uno dei nostri scopi come Owfi e' rompere questo circolo vizioso. Di quelle che siamo riuscite ad aiutare quest'anno, una e' diventata la cuoca della nostra organizzazione. * - Amy DePaul: I "delitti d'onore" sono un problema in molti paesi del mondo. L'occupazione statunitense ha avuto un impatto specifico sui "delitti d'onore" in Iraq? - Yanar Mohammed: Questi omicidi erano storia vecchia, ma se dai un'occhiata alle percentuali vedrai che negli anni '60 e '70 i numeri erano minori e continuavano a calare. Le donne avevano accesso all'istruzione ed era facile per un'irachena essere economicamente indipendente. Negli anni '80, le donne costituivano piu' del 40% della forza lavoro: il numero dei delitti d'onore era praticamente sceso a zero, ne accadeva qualcuno nelle zone rurali. Ricorda il processo grazie al quale l'Iraq e' diventato il centro dell'attenzione politica: la prima guerra del Golfo e i 13 anni di sanzioni economiche, poi la seconda guerra del Golfo. Tutto cio' ha portato gli iracheni a un processo di progressivo impoverimento. La guerra ha prodotto un numero considerevole di vedove, e milioni di giovani sono stati uccisi. Le vedove sono rimaste senza risorse economiche. Il paese e' scivolato all'indietro. Abbiamo cominciato a perdere, come donne, il nostro status sociale, e ci siamo trovate in una situazione premoderna, dove moltissime vedove devono acconsentire ad essere le seconde o terze mogli di qualcuno solo per non morire di fame. Prima delle sanzioni, l'Iraq non era un paese premoderno. L'istruzione per le donne, sino ai massimi livelli, era gratuita. Il cammino dei diritti delle donne era cominciato negli anni '50, ma nei '90 l'orologio comincio' ad andare all'indietro. Abbiamo scoperto che in dieci anni si possono perdere gran parte dei propri diritti e del proprio benessere. La Costituzione e le leggi, prima della guerra, erano ancora in vigore, ma cominciavano a non essere piu' applicate. La poligamia era sconosciuta negli anni '80. Non ricordo a Baghdad una singola donna, in quegli anni, che fosse la seconda o la terza moglie di qualcuno. Adesso e' storia comune. Adesso vivono tre mogli e un marito in un buco di venti metri quadri, in miseria. * - Amy DePaul: L'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq riesce a proteggere le donne dai "delitti d'onore"? - Yanar Mohammed: Abbiamo dato inizio ad una "ferrovia sotterranea" per le donne irachene. Alcune devono lasciare il paese, o verranno uccise. Siamo trattate come cittadine di seconda classe, come creature di qualita' inferiore, persino nelle nostre case. Alcune di noi non riescono neppure piu' a sognare di avere diritti umani. Una donna non ha scelte da fare, e da una donna nessuno si aspetta nulla. * - Amy DePaul: E il famoso 25% di donne al Parlamento? - Yanar Mohammed: E' la farsa piu' grossa di tutte. La maggioranza di quelle donne ha votato a favore di una Costituzione che le donne le cancella totalmente, e che e' basata sulla sharia islamica. Nella prima parte della Costituzione c'e' un articolo in cui si rigetta qualsiasi legge sia dissonante alla legge religiosa. Noi iracheni sentiamo che questo ci e' stato imposto. Non si tratta del modo in cui abbiamo vissuto, non sono le nostre tradizioni. Per piu' di cinquant'anni il nostro e' stato un paese laico. L'influenza dell'Iran si e' fatta sentire nella stesura della Costituzione, perche' meta' del governo iracheno e' legato ai potentati iraniani. Per questo nella Costituzione c'e' quella pesante introduzione che definisce l'Iraq un "paese islamico". * - Amy DePaul: Puoi dirmi qualcosa di piu' sullo status legale delle donne? - Yanar Mohammed: Ci sono gli articoli 39 e 41, che deferiscono le leggi sulla famiglia alla religione. Se una donna vuole sposarsi o divorziare, lo puo' fare in accordo alla sharia islamica. Se e' cristiana, deve far riferimento alle leggi cristiane. E' rinato lo stile di vita tribale: una donna puo' essere costretta dalla sua tribu' a seguire un qualsiasi sistema che non ha scelto. La Costituzione ha messo le donne in una posizione tale da non permettere loro di proteggersi. Se una donna e' la terza o quarta moglie, e non ha diritti all'interno della propria casa, cosa fa se subisce degli abusi? E' incastrata: per la sharia una donna deve accettare le percosse del marito. Per la sharia non puo' protestare, giacche' e' solo la terza o quarta moglie. * - Amy DePaul: Questo e' un risultato della presa di potere da parte degli sciiti in Iraq? - Yanar Mohammed: Tu credi? Queste diverse tradizioni della religione islamica sono sempre esistite in Iraq. Mio padre e' di una tradizioni, mia madre di un'altra, ma c'era la legge laica a regolare la loro relazione matrimoniale. A nessuno importava nulla di che specifico segmento islamico facevi parte. A partire dagli anni '80, la nuova repubblica islamica dell'Iran ha cominciato ad avere influenza sulle democrazie mediorientali, si e' presentata come il modello di uno stato islamico sciita. Ma non puoi dire che i sunniti siano piu' avanzati. Il fondamentalismo sunnita, da cui e' emersa Al Qaida, e' piu' noto di quello sciita. Per il fondamentalismo sunnita e' perfettamente legale uccidere chiunque venga considerato un apostata. * - Amy DePaul: E percio' l'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq esiste per contrastare queste tendenze. Sembra un compito immane. Quanto e' stato duro in questi anni? - Yanar Mohammed: All'inizio c'erano un mucchio di edifici vuoti, perche' non appartenevano piu' al governo, o perche' erano ex banche saccheggiate, eccetera. Noi andavamo in questi edifici, e appendevamo il cartello con la scritta Owfi fuori dalla porta, e li usavamo per dar rifugio alle donne. Baghdad e' una citta' in cui ci si guarda l'un l'altro con questa grande questione irrisolta scritta in faccia: cosa ci e' permesso fare, e cosa no? Poi aprimmo un rifugio piu' formale, affittando una casa, e poi ne aprimmo uno a Kirkuk, e le nostre attiviste aprirono le loro case. Di colpo, l'anno scorso, il governo decise di controllare meglio le ong, e comincio' a dettarci condizioni. Ci hanno detto che per aprire un rifugio dovevamo avere il parere favorevole di cinque Ministeri. Alcuni di essi sono diretti dai piu' noti islamisti iracheni, che contrastano il nostro lavoro, e ci denunciano pubblicamente come "donne promiscue". Naturalmente non soddisfacemmo le loro condizioni per l'apertura di rifugi. Cosi' ufficialmente i rifugi non esistono. Li apriamo senza dirlo al governo, e cambiamo le loro sedi ogni anno. * - Amy DePaul: Diversi reportage dicono che i curdi stanno meglio di altri gruppi in Iraq. Vale anche per le donne? - Yanar Mohammed: La Costituzione curda e' differente dalla nostra, e' un po' meno "islamica". C'e' pero' un articolo, il 7, che rende vulnerabile una donna alla sharia islamica se la sua famiglia lo decide. L'Owfi e la femminista curda Houzan Mahmoud hanno costruito una campagna per cancellarlo, e per far pressione sul governo regionale. La differenza con il governo di Baghdad e' che quest'ultimo e' completamente dominato dai partiti islamisti, che sono sostenuti non solo dagli Usa, ma dal governo iraniano. * - Amy DePaul: So che l'Organizzazione per la liberta' delle donne in Iraq continuera' a dar rifugio alle donne e a denunciare le violenze, ma qual e' il vostro prossimo obiettivo politico? - Yanar Mohammed: Ad uno straniero puo' semplicemente sembrare che la Costituzione sia stata approvata e che non ci sia piu' nulla da dire al proposito. Ma non e' cosi'. Gli iracheni non la prendono sul serio, credo che l'80% di noi la consideri illegale. E nessuno di noi ha la percezione che il governo sia autentico, autonomo. * - Amy DePaul: L'ottanta per cento? E' un numero alto. - Yanar Mohammed: Ti faccio un esempio. Non so se hai sentito parlare del premio "Star Academy". Si tratta di uno show prodotto in Libano, che assegna il premio basandosi sulle chiamate degli ascoltatori, e che e' stato vinto da una cantante irachena. Ha vinto con sette milioni di voti. Un referendum vero, a confronto di quello truccato che abbiamo avuto noi. La nostra amministrazione dice al mondo di rappresentare il popolo iracheno, e che il popolo iracheno vuole un governo islamico. La cantante di cui parlo e' una giovane donna che veste in modo spigliato e aperto, ed e' adorabile. E' il simbolo della vita come la vivevamo prima. Questo e' cio' per cui la gente ha votato. Se gli islamisti di ogni tipo diventano solo un po' piu' potenti, lei non potra' piu' vestirsi come le pare e cantare. Questo e' quello che mi sento di rispondere agli Usa, quando ci dicono che il nostro governo e' stato eletto e che rappresenta il popolo iracheno. Non e' vero. Gli Usa ci hanno detto che avrebbero portato la democrazia, ma hanno aspettato di vedere chi era il piu' forte (con il sistema della legge della giungla) e hanno dato potere al piu' forte, al meglio finanziato ed armato. Forse pensavano ne uscisse un governo islamico "modernista", e invece il genio e' scappato dalla lampada e non ci rientrera'. * - Amy DePaul: So che hai ricevuto e ricevi minacce di morte. - Yanar Mohammed: La prima volta fu nel 2003, ricevetti la minaccia per e-mail, molto chiara. Nel 2004 la cosa si e' ripetuta due volte, e cosi' via. Questa faccenda ha condizionato il mio modo di muovermi, nel senso che per le strade non sono mai sola, e solitamente mi sposto in automobile, con un amico che crede nella liberta' delle donne e mi fa un po' da guardia del corpo. I miei amici piu' "politici", che sono laici, mi sono sempre vicino e mi istruiscono su dove in quel momento si puo' passare e dove no. Hanno esperienza nel confrontarsi con gli islamisti. * - Amy DePaul: E tu come ti confronti con loro? - Yanar Mohammed: Be', ad esempio, c'e' stato uno di loro che ha tentato di portarci in tribunale. Era seccato per una vignetta che io avevo disegnato sul nostro giornale, "Eguaglianza". Descrivevo l'abito nero imposto alle donne come una tuta da astronauta, e spiegavo che non un centimetro di pelle doveva restare scoperto, o le radiazioni nuclari l'avrebbero colpito. Questo tizio se ne senti' offeso, e mi denuncio' chiedendo un risarcimento di 5.000 dollari. Il giorno dopo scoprii che c'erano trenta avvocati disposti a difendermi gratuitamente e a denunciare lui. Ritiro' la sua querela. * - Amy DePaul: Tu hai vissuto in Canada dal 1993 al 2003. Com'era essere la' ed osservare lo svolgersi degli eventi in Iraq? - Yanar Mohammed: Quegli anni hanno costruito molta forza in me. Quando lasci il tuo paese dapprima vivi in una sorta di trauma, fino a che non trovi stabilita', fino a che non senti che hai di nuovo il diritto di sognare. Poi, all'inizio del 2003, ho capito che non riuscivo piu' a concentrarmi sul mio lavoro di architettura e scultura. Ho dovuto affrontare il fatto che non potevo restare nel mio appartamento a Toronto mentre ogni sorta di atrocita' accadevano in Iraq. Dovevo intervenire in quello scenario. * - Amy DePaul: Resterai in Iraq, dunque? - Yanar Mohammed: La mia vita e' qui. Tutte le sfide che mi attendono sono qui. * - Amy DePaul: Deve essere terribile vivere in zona di guerra. - Yanar Mohammed: Per un periodo ho abitato in una zona pericolosa della citta', e' stato un inferno. E' sera, e stai tornando dal lavoro e ci hai messo piu' del solito perche' uno dei ponti era chiuso, e quando hai chiesto perche' ti dicono che c'e' stato uno scontro a fuoco; ti ci vogliono due ore per arrivare alla porta di casa tua e come entri senti gli spari di fuori, e la scarica di mitra a venti metri dalla casa, e poi lo scoppio di un mortaio e il pavimento che trema. Un inferno. * - Amy DePaul: Qual e' la prossima cosa da fare, per te? - Yanar Mohammed: Abbiamo bisogno di una Costituzione laica ed egualitaria. Abbiamo bisogno di un governo dove le donne e la classe lavoratrice abbiano rappresentanza. * - Amy DePaul: E' possibile riformare la Costituzione irachena? - Yanar Mohammed: La sharia islamica e' la base fondante di questa Costituzione: che riforme possono esservi fatte? Deve essere respinta, e ci sono ormai un gran numero di persone in Iraq che parlano di cancellarla. * - Amy DePaul: Allora, verdetto finale. Le donne stavano meglio prima della guerra? - Yanar Mohammed: Mettiamola cosi': al punto in cui siamo, noi donne irachene non sogniamo neppure di riavere una piccola parte della realta' in cui vivevamo. Stiamo sotto il tallone delle autorita' islamiste. Le nostre risorse e le nostre capacita' ci sono state strappate. Se c'era la possibilita' di una societa' economicamente autosufficiente, abbiamo perso anche quella. (La sua voce si abbassa) Non c'e' molto in cui speriamo. Viviamo alla giornata, cercando ogni giorno nuovi modi di uscire da questo dilemma. 3. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA SASKIA SASSEN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 maggio 2007. Benedetto Vecchi e' redattore delle pagine culturali del quotidiano "Il manifesto"; nel 2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita' a Zygmunt Bauman. Saskia Sassen e' una prestigiosa sociologa olandese, docente in varie universita' americane. Tra le opere di Saskia Sassen: Citta' globali, Utet, Torino 1997; Fuori controllo, Il Saggiatore, Milano 1998; Le citta' nell'economia globale, Il Mulino, Bologna 1998; Migranti, coloni, rifugiati, Feltrinelli, Milano 1999. Dalla medesima fonte di questa intervista riportiamo anche la seguente scheda su saskia Sassen: "La bibliografia di Saskia Sassen riempie molto piu' che uno scaffale. Tra libri, saggi e papers ha scritto di citta' globali, migranti, globalizzazione, classe operaia, femminismo. Nata in Olanda, ha studiato nel suo paese, per poi spostarsi in Italia, America Latina, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, dove insegna all'Universita' di Chicago. Il suo volume piu' noto e' Citta' globali, pubblicato in Italia da Utet. 'Sono partita da tre citta' globali - Tokyo, New York e Londra - ora oltre 40 metropoli possono essere definie globali', ripete divertita. In Italia sono stati pubblicati. Le citta' globali nell'economia globale (Il Mulino). Fuori controllo, Globalizzati e scontenti (entrambi dal Saggiatore), Migranti, coloni, rifugiati (Feltrinelli). Per il prossimo inverno e' prevista l'uscita, presso Einaudi, di Una sociologia della globalizzazione. Mentre per il 2008, dovrebbe uscire l'edizione italiana di Territory, Authority, Rights: From Medieval to Global Assemblages". Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 marzo 2003 riprendiamo la seguente presentazione di Saskia Sassen (scritta da Benedetto Vecchi): "Saskia Sassen, olandese di nascita, ha passato la sua prima giovinezza in Argentina, trasferendosi poi in Italia per approdare, infine, negli Usa, dove insegna all'Universita' di Chicago e alla Columbia University di New York. Ma il suo nomadismo intellettuale la porta spesso in Italia, in Francia e in Inghilterra. Attivista da sempre nella "nuova sinistra" e' pero' poco incline al dogmatismo che caratterizza spesso il pensiero critico statunitense. Il suo nome e' divenuto famoso per un saggio sulle Citta' globali, una analisi particolareggiata del ruolo di New York, Londra, Tokyo nell'economia globale (il libro e' stato pubblicato dalla Utet). La tesi centrale del volume e' che in alcune citta' si sono concentrati alcuni servizi finanziari, legali, di progettazione organizzativa, di ricerca e sviluppo che sono indispensabili, per coordinarlo, a un processo produttivo disseminato potenzialmente in tutto il pianeta. Proprio per questi motivi, nelle citta' globali la 'polarizzazione sociale' raggiunge il suo acme. Saskia Sassen ha in seguito applicato questa griglia analitica a molte altre citta', come San Paolo, Miami, Singapore, Honk Hong nel libro Le citta' nell'economia globale (Il Mulino). Oltre a questo tema, uno degli argomenti da lei studiati e' la crisi delle sovranita' nazionali nell'economia mondiale (Losing control, tr. it.: Fuori controllo, Il Saggiatore) e le conseguenze sociali della globalizzazione economica (Globalizzati e scontenti, Il Saggiatore). Ed e' all'interno di questo argomento che e' maturato il suo interesse per il ruolo delle migrazioni nello sviluppo economico europeo (Migranti, coloni, rifugiati. Dall'emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli), dove il migrante diventa la figura simbolica della globalizzazione economica"] Quando Saskia Sassen apprende che il suo ultimo libro - Territory, Authority, Rights: From Medieval to Global Assemblages, Princeton University Press, ne ha scritto Sandro Mezzadra su queste pagine [del quotidiano "Il manifesto" - ndr] il 3 febbraio di quest'anno - circola in Italia e che viene discusso da ricercatori e attivisti ben prima della sua traduzione, ha un moto di meraviglia. "E' un saggio molto accademico, ma in ogni paese che vado scopro che e' discusso molto da chi certo non vive di sola accademia. E spesso mi trovo di fronte un pubblico che lo ha letto in profondita' e mi pone domande molto pertinenti. In passato, i libri venivano tradotti e poi, eventualmente, l'autore veniva invitato a discuterli. Ora scrivi un libro negli Stati Uniti e viene letto quasi in tempo reale in Spagna, Italia, Francia, America Latina". Ma quando la studiosa sente nominare Internet, il suo volto si apre a un sorriso divertito. "Gia', la rete, mi dimentico sempre che non e' solo usata dal capitale finanziario, ma anche da chi guarda alla globalizzazione da un'altra prospettiva". Invitata dal Festival della filosofia di Roma, che si e' concluso ieri, per partecipare a una tavola rotonda sul futuro delle metropoli, Saskia Sassen scandisce il suo pensiero lentamente, ma accetta di deragliare dal suo ragionamento sempre con quel misto di meraviglia e curiosita' che provoca una recezione non prevista dei suoi libri. Si inoltra, dunque, su sentieri sconosciuti, ma solo se aprono strade esplorative sul tema che le sta a cuore. E questa volta non sono le citta' globali, tema che l'ha resa nota al pubblico italiano, ma la globalizzazione. * - Benedetto Vecchi: Con il suo ultimo libro, lei ritorna sul luogo del delitto, la globalizzazione, che, secondo la vulgata dominante, e' oramai niente altro che un cadavere eccellente. Altri invece la considerano una parentesi che si e' chiusa con un ritorno alla normalita'. Lei invece sostiene che la globalizzazione e' viva e vegeta e che ha trasformato radicalmente la realta', dalla economia al politico. Quali sono allora i cambiamenti nella sfera del politico e nell'esercizio della sovranita'? - Saskia Sassen: La globalizzazione non e' stata una parentesi. Le ragioni che portano molti opinion makers ad affermare che la globalizzazione e' una parentesi derivano dal fatto che, spesso, si e' parlato di globalizzazione in termini palingenetici. Tra passato e presente ci sono sempre continuita' e discontinuita'. E oggi, ad esempio, in economia appaiono con piu' evidenza le similitudini che non le differenze con il passato. Per quanto riguardo il politico, fatte poche eccezioni, il suo funzionamento e' stato presentato quasi inalterato. D'altronde, i parlamenti continuano a legiferare, il potere giudiziario continua a controllare che vengano rispettate le leggi, mentre il potere esecutivo applica le leggi. Il politico studiato finora riguardava le decisioni del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale o dell'Organizzazione mondiale del commercio. Tuttavia questi tre organismi sovranazionali hanno solo preparato il terreno per il processo ancora in atto. Si puo' ragionevolmente affermare che hanno svolto il loro compito e che non e' detto che nel prossimo futuro quelle istituzioni internazionali non vengano sciolte; oppure che cambino nome e ruolo. Le mutazioni del politico piu' profonde riguardano pero' il rapporto, come recita il titolo del libro a cui lei fa riferimento, tra territorio, autorita' e diritti. Siamo di fronte a una dinamica non lineare, complessa. Negli Stati Uniti viene usata molto l'espressione fuzzy logic, derivata dalla teoria del caos, che non so, pero', come viene tradotta in Italia. * - Benedetto Vecchi: Sempre piu' spesso si traduce come sinonimo di caotico, imprevedibile, non lineare... - Saskia Sassen: Piu' che caotico, non lineare, cioe' che non ha linee di sviluppo univoche, quanto contraddittorie. Prendiamo, ad esempio, il livello nazionale della globalizzazione. In molti hanno scritto della fine dello stato-nazionale. Anche io ho parlato di stati denazionalizzati. Ma ora e' arrivato il momento di scavare a fondo e capire come e' cambiato lo stato nazionale e, di conseguenza, per tornare alla sua espressione, l'esercizio della sovranita'. Ho gia' detto che le istituzioni internazionali sono in una fase di mutazione. Nel frattempo, pero', vediamo che accanto al Fondo monetario, alla Banca mondiale, al Wto si sono affiancati altri attori, dall'Unione europea al Nafta, all'Asean. Ci sono inoltre altre entita' private che hanno lavorato assiduamente per modificare, ad esempio, il diritto commerciale a livello internazionale. In questo caso, mi riferisco alla Organizzazione mondiale delle camere di commercio o alle factories law, cioe' i grandi studi di avvocati che definiscono regole che hanno valore normativo per imprese multinazionali e stati nazionali quando intrattengono affari tra loro. Tutto cio' da' vita a un mosaico del governo della globalizzazione mondiale che modifica il concetto di sovranita', tanto a livello nazionale che internazionale. * - Benedetto Vecchi: Piu' che un governo in senso classico, questo mosaico e' una forma reticolare di governance che ha il compito di definire l'intreccio tra il globale e il nazionale. E che dirime le questioni che nascono attraverso un meccanismo di coinvolgimento di tutti gli attori - statali, non governativi, privati, politici, della cosiddetta societa' civile - al fine di prevenire situazioni di conflitto radicale tra quegli stessi attori... - Saskia Sassen: Si', e' un mosaico in cui vige una divisione del lavoro e una conseguente specializzazione in base alla quale alcuni organismi lavorano attorno a un problema, altri organismi su un altro problema. Talvolta in questo mosaico prevale una logica multilaterale, in altri casi una logica unilaterale. Inoltre, mi convince cio' che lei dice sul fatto che questo mosaico modifica l'intreccio tra globale e nazionale. In ogni caso, cio' che viene trasformato e' tanto il concetto che l'esercizio della sovranita'. Ovviamente, lo stato-nazione non rinuncia alle sue prerogative, ma dobbiamo constatare che nel potere esecutivo si fa strada una logica globale che orienta sempre piu' la sua azione. Durante, l'onda lunga della deregulation, c'e' stata effettivamente una erosione della sovranita' nazionale. Ora pero' il potere esecutivo si fa carico delle istanze del capitale globale, traducendole sul piano nazionale. E in questo riacquista centralita'. In Europa, e dunque anche in Italia, e' l'esecutivo che ha istituito le authorities - dalle telecomunicazioni alle norme sulla concorrenza - che controllano che le logiche del capitale globale siano rispettate sul piano nazionale. * - Benedetto Vecchi: Dunque siamo all'interno di una transizione di lunga durata... - Saskia Sassen: Si', ma tutto cio' ha pregnanza politica. Per questo, va studiato il politico. Ho gia' accennato prima al bisogno di governo della globalizzazione, ma e' interessante rilevare che questo governo si esprime attraverso una politicita' informale legata al fare nelle societa' capitaliste. Amo molto la parola making, che per me non coincide con un professionismo politico o con una expertise, piuttosto indica un'azione diretta, che plasma, modifica la realta'. * - Benedetto Vecchi: Una concezione poco classica del politico. Infatti nelle sue riflessioni c'e' poco spazio per i concetti di decisione, di amico-nemico, di virtu', di fortuna, di contingenza. Quali sono dunque le categorie del politico a cui fa riferimento? - Saskia Sassen: Non sono disinteressata al destino delle categorie del politico. In questa fase della globalizzazione e' pero' importante partire dalla fenomenologia del politico, a partire dalla presenza, ad esempio, dei poveri nella sfera pubblica. Oppure a quella strana entita' che e' stata chiamata la societa' civile globale. So bene che le obiezioni piu' evidenti a questo approccio riguardano il fatto che la presenza dei poveri nell'arena politica coincide con la modernita'. Ma nella globalizzazione i poveri hanno a che fare con il making, cioe' con un un fare che condiziona i rapporti di potere nella societa', anche se quel fare non coincide con la forme politiche codificate, oserei dire formali. Allo stesso tempo, la cultura, che non e' solo Entertainment, esprime una narrazione talvolta potente di realta' sociali che debordano dalle categorie tradizionali del politico. Prendiamo i migranti. I clandestini, o come dite voi in Europa i sans papiers, sono soggetti senza diritti e senza potere. Eppure, in California, esercitano un potere nel business agro-alimentare, perche' senza di loro quel settore non potrebbe mai funzionare. Non possono votare, prendere la parola nella discussione pubblica, ma Los Angeles rimarrebbe paralizzata senza il loro contributo. E questo vale anche per altre citta' globali, come Chicago, New York. Cio' non e' dovuto solo al fatto che lavorano in settori vitali della vita cittadina, ma perche' "fanno", operano e tessono continuamente le reti informali di un legame sociale che il neoliberismo distrugge continuamente. Un lavoro di Sisifo, un making che non e' certo contemplato nella categoria della decisione, ma che e' rilevante nei rapporti di potere nella societa'. Un altro termine che ha una centralita' nel politico e' senza dubbio presenza. Nelle manifestazioni dei migranti negli Stati Uniti viene gridato continuamente: "presente!". Non e' pero' la risposta ad un appello, ma e' espressione di un fare che e' anche politico. Per me esprime la politica che rivendica il diritto ad avere diritti. * - Benedetto Vecchi: Tuttavia, oltre ad avere una funzione normativa, il diritto e' anche codificazione di un potere e di una mediazione. Non crede che il diritto ad avere diritti sia si' affermazione di un potere, ma anche di una mediazione tra due istanze conflittuali? - Saskia Sassen: I migranti, in quanto condizione posta ai margini della societa', hanno un valore euristico, ci fanno cioe' comprendere dinamiche per cosi' dire generali. Ecco io credo che questo loro essere su una linea di confine dei rapporti di potere della societa' costringe a pensare a come si e' trasformato il politico. Devo dire che nei miei scritti non mi sono granche' posta il problema della mediazione. Nelle citta' globali assistiamo a due insorgenze sociali: quella del capitale, delle elite globali, e quella dei poveri. Due insorgenze che esprimono altrettante temporalita', quella veloce della elite globale e quella di lunga durata della politica dei diritti ad avere diritti. Due temporalita' in tensione l'una con l'altra che anch'esse incidono nella globalizzazione. Il making dei poveri ha una sua temporalita' che non coincide con quella del capitale globale. Sono mondi che si incontrano-scontrano nelle citta' globali modificando profondamente la realta'. Entrambe sono ancorate alla metropoli e entrambe plasmano lo spazio urbano. Il capitalismo globale vede le metropoli come un territorio da plasmare a suo uso e consumo. Per i poveri e' lo spazio per il loro fare. E' ovvio che la mediazione si esprima in questo duplice fare. Ma e' una mediazione fluida, mutevole nel tempo, informale. * - Benedetto Vecchi: Una ultima domanda: la guerra come strumento di produzione della sovranita'. E' sempre stato cosi', ma ora ci troviamo di fronte a guerre particolari... - Saskia Sassen: Sono infatti guerre urbane, che non vedono grandi eserciti che occupano uno spazio per confliggere tra loro. La guerra si conduce nella citta' tra combattenti di pronto intervento e civili dall'altra. * - Benedetto Vecchi: Volevo pero' sottolineare il fatto che forse la guerra e' uno strumento di costruzione della sovranita' che vede eserciti che rispondono a una logica globale da imporre al locale, il nazionale. Cosa ne pensa? - Saskia Sassen: Non nego che negli Stati Uniti chi ha voluto la guerra ha pensato alla guerra come fattore costituente di una sovranita' globale. E tuttavia le guerre sono anche media events. Quando Saddam Hussein e' stato impiccato, le immagini e il video della sua esecuzione hanno fatto il giro del mondo e sono stati commentati da centinaia di milioni di persone. Tutti esprimevano la loro opinione. Ecco, la guerra piu' che fattore costituente svolge un altro ruolo: quello che mette a nudo i rapporti di potere, i conflitti culturali delle societa' contemporanee. Per quanto riguarda i fattori che possono accelerare il formarsi di questa nuova sovranita' di cui, ripeto, possiamo per il momento definire solo i contorni, penso al cambiamento climatico e le crisi - economiche, sociali e politiche - che puo' scatenare. Lo stesso si puo' dire dei diritti umani. Ecco, questi possono diventare il fattore costituente di una nuova sovranita'. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 95 del 20 maggio 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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