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La domenica della nonviolenza. 112
- Subject: La domenica della nonviolenza. 112
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 May 2007 11:48:04 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 112 del 20 maggio 2007 In questo numero: 1. Alcuni recenti interventi di Umberto Santino 2. Umberto Santino: Un Memoriale-laboratorio della lotta alla mafia 3. Umberto Santino: Mafia e camorra, Palermo e Napoli 4. Umberto Santino: La citta' reale e le buone intenzioni 5. Umberto Santino: Sulla Commissione parlamentare antimafia 6. Umberto Santino: Di chiodi e di libri 7. Umberto Santino: Portella della ginestra, sessanta anni dopo 1. EDITORIALE. ALCUNI RECENTI INTERVENTI DI UMBERTO SANTINO [Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino" nei nn. 931-934] Estraendoli dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) che dirige, proponiamo di seguito alcuni recenti interventi di Umberto Santino, studioso e militante del movimento antimafia, il cui contributo teorico e pratico riteniamo da decenni fondamentale. 2. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: UN MEMORIALE-LABORATORIO DELLA LOTTA ALLA MAFIA [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento dal titolo "Una proposta del Centro Impastato: un 'Memoriale-Laboratorio' della lotta alla mafia", gia' apparso nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" il 31 ottobre 2006] Qualche tempo fa il Centro Impastato aveva lanciato la proposta della creazione a Palermo di un Memoriale-laboratorio della lotta alla mafia. La proposta nasceva da una duplice esigenza: offrire un percorso storico dell'evoluzione del fenomeno mafioso, dalle origini ai nostri giorni, e soprattutto delle lotte contro di esso, dal movimento contadino a oggi; creare una casa delle associazioni che ospitasse le varie realta' operanti nella citta', che spesso non hanno una sede o hanno sedi precarie e inadeguate. E per avviare la realizzazione del progetto il Centro proponeva che si cominciasse con l'allestimento di una mostra fotografico-documentaria, che riprendesse e integrasse le mostre curate dallo stesso Centro nella sua trentennale attivita'. La proposta mirava a una riprogettazione del patrimonio museografico della citta', mettendo finalmente in cantiere la creazione di un Museo storico di Palermo e della Sicilia. In altre citta' sono sorti negli ultimi anni luoghi della memoria, come per esempio i Memoriali della Resistenza. Palermo e la Sicilia hanno vissuto la lotta alla mafia come una Resistenza permanente, che ancora non e' finita e che per alimentarsi ha bisogno di recuperare la memoria, ricostruendone la trama in moda da renderla fruibile da tutti i cittadini, come pure da visitatori non frettolosi, e di trovare uno spazio comune di riflessione e di programmazione, per avviare iniziative unitarie, nel rispetto della storia e dell'identita' di ciascuno. Non so che fine abbia fatto la mozione presentata nel luglio del 2005 da alcuni consiglieri comunali, con la proposta di utilizzare Palazzo Tarallo, in via delle Pergole, come sede del Memoriale; come si ricordera', la proposta di utilizzare Villa Pantelleria, confiscata ai mafiosi, come Biblioteca della legalita', non si e' potuta realizzare, per la pretesa dell'amministrazione comunale che le associazioni coinvolte in quel progetto (il Centro Impastato, il Centro Terranova, la Fondazione Costa, il Centro Pio La Torre) affrontassero le spese di restauro. Ma questo non vuol dire che non si possano trovare altre strade, individuando un altro bene confiscato alla mafia o coinvolgendo nell'iniziativa l'Universita', che in questi anni e' riuscita ad avviare il restauro di immobili prestigiosi, per lungo tempo condannati all'incuria e all'abbandono, come dimostrano le recenti iniziative di aprire i cantieri di restauro ai cittadini. Credo che le associazioni piu' seriamente impegnate, le scuole che da anni svolgono iniziative di educazione a una legalita' non solo formale, gli istituti universitari, l'Universita' nel suo complesso possano essere disponibili per portare a compimento un progetto che qualificherebbe il patrimonio culturale cittadino e regionale e possano insieme contribuire a rinnovare le politiche istituzionali, ben note per la disinvoltura con cui si sprecano milioni di euro in iniziative che di culturale hanno soltanto il nome. Qualche parola, infine, sui sindacati, in particolare sulla Cgil. L'anno scorso, in seguito a una mia richiesta, i dirigenti della Camera del lavoro avevano assicurato che avrebbero posto quanto prima una lapide per ricordare Giovanni Orcel, il segretario dei metalmeccanici ucciso dalla mafia il 14 ottobre 1920, sul luogo dell'assassinio, all'angolo tra Corso Vittorio Emanuele e via Collegio Giusino. La lapide ancora non si e' vista e nell'aprile scorso avevo proposto al segretario regionale che la mostra di cui parlavo prima venisse inserita tra le iniziative per il centenario della Cgil. La proposta finora e' stata lasciata cadere e nella mostra dal titolo "I costruttori" ospitata all'Albergo delle povere la Sicilia era quasi completamente assente. E dire che il ruolo del sindacato nella lotta contro la mafia e' stato fondamentale e il suo tributo di sangue altissimo. Spiace che la memoria di quella storia non trovi l'accoglienza che meriterebbe tra gli eredi dei suoi protagonisti. 3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: MAFIA E CAMORRA, PALERMO E NAPOLI [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento del 6 novembre 2006. Isaia Sales, gia' parlamentare e sottosegretario, studioso e militante impegnato nella lotta contro i poteri criminali. Opere di Isaia Sales: La camorra, le camorre, Editori Riuniti, Roma 1988, 1993; Leghisti e sudisti, Laterza, Roma-Bari 1993; Il sud al tempo dell'euro. Una nuova classe dirigente alla prova, Editori Riuniti, Roma 1999; Riformisti senz'anima. La Sinistra, il Mezzogiorno, gli errori di D'Alema, L'Ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; (con Marcello Ravveduto), Le strade della violenza. Malviventi e bande di camorra a Napoli, L'Ancora del Mediterraneo, 2006] Nelle ultime settimane, in seguito al replicarsi di eventi delittuosi a Napoli e dintorni, l'interesse di giornalisti e studiosi si e' polarizzato sulle differenze, reali e presunte, tra mafia siciliana e camorra campana e tra Palermo e Napoli. Un recente libro di Isaia Sales, Le strade della violenza. Malviventi e bande di camorra a Napoli, L'ancora del mediterraneo, Napoli 2006, affronta l'argomento e credo che dia un contributo utile per evitare la solita pioggia di luoghi comuni. Sales, per dare un quadro degli esiti a cui sono pervenuti gli studi sulla mafia, ritiene che l'ipotesi definitoria "piu' esauriente e convincente" sia il mio "paradigma della complessita'", cosi' riassumibile: i gruppi criminali piu' o meno rigidamente strutturati (Cosa nostra e altri gruppi, come la Stidda e i clan catanesi) agiscono all'interno di un contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e illegalita' finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale. L'organizzazione criminale e' una componente di un blocco sociale transclassista, dominato dai soggetti illegali e legali (professionisti, imprenditori, politici, rappresentanti delle istituzioni) piu' ricchi e potenti, definibili come "borghesia mafiosa"; il fenomeno mafioso e' un prisma a piu' facce, risultato del combinarsi di aspetti criminali, economici, politici e culturali; la sua specificita' consiste nel non riconoscimento del monopolio statale della forza e nella "signoria territoriale", intesa come controllo capillare della vita quotidiana e delle attivita' che si svolgono sul territorio e nell'intreccio con le istituzioni; il rapporto mafia-Stato si configura come confronto-interazione tra due doppiezze: la mafia e' insieme fuori e contro e dentro e con lo Stato; quest'ultimo coniuga il monopolio formale della giustizia con la tolleranza nel confronti della mafia, che ha goduto di un alto tasso di impunita'. Sales ritiene che questo schema non sia applicabile in toto alla camorra, che viene cosi' definita: un insieme di organizzazioni criminali senza gerarchie al proprio interno e senza una regia unitaria o una comune strategia criminale, che agisce all'interno di un contesto relazionale radicato nei vicoli, nei quartieri, nelle periferie di Napoli e nel territorio urbano nel raggio di 40 chilometri attorno a Napoli, all'interno cioe' di un ambiente sociale degradato, da cui si parte e su cui ci si basa per estendere relazioni al di fuori di esso, configurando un sistema di violenza e di illegalita' finalizzato all'accumulazione del capitale - e dunque all'acquisizione e gestione di posizioni di potere - che viene in gran parte reinvestito e riutilizzato nei mercati illegali, che si avvalgono di un loro codice culturale e di un vasto consenso sociale ma al tempo stesso piu' circoscritto ai ceti di cui sono espressione. Non c'e' attorno a loro un'estesa borghesia camorristica, cosi' come nella mafia, in quanto l'integrazione tra camorristi e l'insieme della societa' circostante e' meno agevole e trova piu' barriere che in Sicilia. Anche il fenomeno camorristico e' un prisma a piu' facce, ma la sua principale caratteristica e' una simbiosi fortissima con il contesto sociale da cui nasce e in cui opera. La "signoria territoriale" e' totale e asfissiante, ma fuori del territorio in cui e' insediata si diluisce e non e' in grado di esercitare un controllo e un'influenza altrettanto simbiotica. L'intreccio con le istituzioni pubbliche e' meno forte e duraturo nel tempo. La camorra resiste e prospera anche senza un rapporto organico con la politica. Ha bisogno di godere della tolleranza delle istituzioni dello Stato per dominare sui mercati illegali, ma non puo' vantare un intreccio stabile. Fanno eccezione alcune bande delle province di Napoli, Salerno e Caserta, piu' simili alla mafia. Lo schema proposto da Sales ci da' un quadro dominato dalla frammentazione e certamente e' da cercare in essa la causa principale della guerra permanente che caratterizza la camorra napoletana. Il quadro si complica ulteriormente se si allarga fino a comprendere la gamma della criminalita' disorganizzata e della microcriminalita' e se si considera quanto diffusa e radicata sia la cultura della violenza in ampi strati della popolazione, a cominciare dai giovanissimi (un insegnante riferisce che gli alunni vanno a scuola con i coltelli in tasca). Non per caso a Napoli si parla di "sistema", per indicare un universo composito e onnicomprensivo, anche se sembrerebbe piu' adeguato parlare di coacervo. Resta da vedere, rispetto allo schema profilato da Sales, se e quanto siano coinvolti soggetti classificabili come borghesi (e' documentata da tempo la presenza di imprenditori legati alla camorra e di camorristi-imprenditori, soprattutto nel mercato edilizio) e se la consistenza dell'accumulazione illegale (si parla di 28 miliardi di euro l'anno, anche se queste cifre vanno prese con le pinze, si tratta in ogni caso di stime) non costituisca il terreno di formazione di una borghesia camorristica. Rimanderei inoltre a verifiche ulteriori l'affermazione secondo cui l'integrazione dei camorristi nel contesto sociale sia meno agevole rispetto a quella della mafia nella societa' siciliana e l'altra che vorrebbe l'intreccio con le istituzioni meno forte e duraturo (si pensi a cos'e' stata l'"economia di catastrofe" innescata dal terremoto irpino). Quel che e' certo e' che non c'e' in Campania un governo del crimine esercitato dai gruppi camorristici, in conflitto tra loro, e non c'e' un soggetto istituzionale in grado di imporre il monopolio della forza. Ma il ricorso alla violenza da parte dei gruppi camorristici e degli altri criminali e' pur sempre finalizzato alla conquista di spazi economici e di potere e la ferocia della guerra in corso si spiega soprattutto con il fatto che il controllo delle risorse puo' ottenersi con la supremazia, anche precaria, in gioco nello scontro militare. Quindi una strategia di prevenzione e di contrasto non puo' fermarsi alla repressione della violenza in una prospettiva almeno di contenimento, deve necessariamente mirare a una diversa articolazione delle risorse. Se la risorsa principale di Napoli e dintorni resta l'economia illegale, non c'e' nulla da fare. * Tanto a Napoli che a Palermo, si tratta di mirare a una riappropriazione del territorio e a tal fine occorre una strategia integrata, che agisca su piu' terreni. Se un numero adeguato di uomini delle forze dell'ordine, dislocate sul teatro urbano in modo efficace, e la certezza della punizione, improbabile in tutta l'Italia e nel Mezzogiorno in particolare, possono scoraggiare la commissione di reati, solo una rete di servizi e di spazi di socializzazione possono dare il senso di una vita comunitaria, diversa dalla barbarica contrapposizione di tutti contro tutti, ma senza il rafforzamento dell'economia legale si lascera' terreno libero alle molteplici risorse dell'accumulazione illegale. Lo smantellamento dell'Italsider di Bagnoli ha lasciato un vuoto che i gruppi camorristici riempiono a loro modo e che non puo' certo essere colmato dal lavoro precario o peggio da quello nero. Una fabbrica non e' solo un luogo di produzione, ma anche, o soprattutto, un laboratorio di cultura e di vita civile. E lo Stato rimarra' un soggetto estraneo e nemico se non c'e' un adeguato sviluppo della societa' civile organizzata. Gli stessi servizi istituzionali sono visti come corpi estranei se non si educano gli abitanti alla partecipazione. Valga per tutti l'esempio delle scuole dello Zen di Palermo, regolarmente soggette a vandalismi: se non si coinvolgono i genitori e gli alunni e se questi non li considerano come beni propri, non bastera' qualche custode a far cessare le devastazioni. A differenza da Palermo, dove alla parentesi della cosiddetta "primavera" e' succeduto, non per caso, il trionfo del berlusconismo, che ha trionfato anche in molti comuni siciliani amministrati per anni dal centrosinistra (qualcuno si e' chiesto perche'?), a Napoli governa ormai da tempo il centrosinistra e non si puo' gridare alla strumentalizzazione da parte delle forze di centrodestra quando si indicano limiti ed errori. Se le sinistre napoletane e campane vogliono svolgere un ruolo positivo in un processo di liberazione e ricostruzione, necessariamente lungo e ovviamente difficile, non possono non guardarsi al loro interno e vedere cosa non ha funzionato e in cosa si e' sbagliato. Se nella "primavera" palermitana volavano le rondini dell'effimero, a cominciare dal dispendioso neobarocchisno del festino, il "rinascimento" napoletano, a dire di un artista napoletanissimo come Roberto De Simone, puntava piu' sull'evento che sul progetto. In ogni caso, tanto a Napoli che a Palermo servono a ben poco gli appelli al rispetto della legalita', in un contesto in cui l'illegalita' e' insieme fonte di arricchimento e cultura sedimentata e condivisa, e non occorrono miracolatori, ne' nuovi ne' vecchi ne' tanto meno riciclati. Se si vuole cambiare pagina sono controindicati gli emuli terreni di san Gennaro e di santa Rosalia. Il recente esito positivo delle lotte dei senzacasa palermitani dimostra che e' possibile percorrere altre vie, senza patroni e contro i padrini. 4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA CITTA' REALE E LE BUONE INTENZIONI [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento dal titolo "Sapere Palermo: la citta' reale e le buone intenzioni", gia' apparso nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" il 24 novembre 2006. Amelia Crisantino e' una prestigiosa studiosa e militante antimafia, collaboratrice del Centro Impastato di Palermo. Tra le opere di Amelia Crisantino: (con Giovanni La Fiura), La mafia come metodo e come sistema, Pellegrini, Cosenza 1989; La citta' spugna, Centro Impastato, Palermo 1990; Cercando Palermo, La Luna, Palermo; Ho trovato l'Occidente. Storie di donne immigrate a Palermo, La Luna, Palermo 1992; Capire la mafia, La Luna, Palermo 1994; Della segreta e operosa associazione, Sellerio, Palermo 2000] Sulle pagine di "Repubblica" si e' avviato un dibattito su Palermo che merita di essere ripreso. Amelia Crisantino ha richiamato una pubblicazione del Centro Impastato del 1990, un libro intitolato La citta' spugna, la cui autrice era la stessa Crisantino. Il libro raccoglieva gli studi sociologici sulla citta', dall'inchiesta di Danilo Dolci del 1957 alla ricerca sulla citta' marginale e in particolare sul quartiere Borgo di Vincenzo Guarrasi del 1978, all'analisi politica sul clientelismo di Judith Chubb, che metteva a confronto Palermo e Napoli, pubblicata negli Stati Uniti nel 1982 e non tradotta in italiano, agli studi sulla citta' terziaria e parassitaria di docenti dell'Universita' palermitana degli anni '80, all'analisi sulla citta' stagnante e sulla metropoli meridionale condotta da un gruppo di studio coordinato da Ada Becchi alla fine degli anni '70, non pubblicata. * Il quadro che emergeva da quelle ricerche, come scrivevo nella prefazione al volume, era quello di una citta' insieme corte dei miracoli sottoproletaria e vetrina di consumo ostensivo, con un'economia fondata sul denaro pubblico e in buona parte sull'illegalita', inchiodata agli ultimi posti nelle graduatorie della capacita' produttiva e della dotazione di servizi, come avrebbero confermato le classifiche pubblicate a ogni fine d'anno dal "Sole 24 ore". Anche l'immagine allora circolante, e rispolverata in questi giorni, della primavera palermitana, del palcoscenico per uno spettacolo di portata nazionale, del laboratorio di nuove politiche e inedite strategie, veniva fortemente ridimensionata nel confronto con dati che parlavano altra lingua. In un volume sempre del Centro Impastato, dal titolo Le tasche di Palermo, del 1992, veniva pubblicata una ricerca del Cocipa, il Comitato cittadino per l'informazione e la partecipazione che stava vivendo gli ultimi mesi di vita, perche' sempre meno gradito per le sue critiche documentate all'amministrazione comunale, piu' incline a orchestrare tifoserie che a sostenere il dialogo con una societa' civile adulta. Nel libro veniva fatto un raffronto tra esternazioni televisive e politiche reali, ricostruite attraverso l'uso concreto del denaro pubblico, per trarne la conclusione che piu' delle rotture verbali contavano le continuita' di fatto, con capitoli di spesa destinati a perpetuare le politiche assistenziali delle giunte democristiane precedenti, la lievitazione delle spese di rappresentanza e la totale mancanza di qualsiasi progetto per lo sviluppo della citta'. Allora ci siamo posti, il Centro Impastato, il Centro sociale San Saverio, il Cresm, il problema di dare un contributo in questo senso, presentando, nel 1989, una bozza di "Programma integrato di sviluppo per una Palermo produttiva" che si proponeva di raccogliere fondi di varia provenienza per realizzare una serie di progetti che mirassero a rafforzare la rete imprenditoriale cittadina e a formare quelli che allora, con terminologia europea, si chiamavano "agenti dello sviluppo". Soltanto un motorino d'avviamento per un programma necessariamente piu' ampio e piu' ambizioso. Abbiamo avuto degli incontri con il vicesindaco (il sindaco non si e' degnato), che e' stato tanto prodigo di apprezzamenti quanto avaro di concretezza. Evidentemente la "primavera di Palermo" aveva altri fini (essenzialmente una politica dell'immagine che trovava nella piazza mediatica il suo amplificatore), e altri cantori, profeti ed eroi, che sarebbero ben presto approdati nel porto del centrodestra. Conclusione non nuova per tanti protagonisti dell'estremismo verbale in stagioni vecchie e recenti. L'analisi da cui partiva la proposta si basava sui dati ufficiali di quegli anni che vedevano una popolazione in continuo aumento (642.814 nel 1971, 750.000 nel 1988), una popolazione attiva pari a un terzo della popolazione complessiva, in gran parte parcheggiata nella pubblica amministrazione e nei servizi. Il tasso di disoccupazione allora veleggiava su quasi il 35 per cento e la disoccupazione giovanile toccava il 50 per cento. Ma non si teneva conto dell'incidenza del lavoro nero. * Da allora cos'e' cambiato? I dati del censimento del 2001 danno un calo della popolazione urbana (686.722), un incremento di quella dei comuni confinanti e un invecchiamento complessivo sempre piu' accentuato. Il saldo naturale, lo scarto tra nascite e morti, che aveva proiettato la citta' al quinto posto in Italia, si e' ridotto pure a Palermo, che va allineandosi con lo sciopero della procreazione che vede il Paese a crescita zero. Una legge del 1999 ha introdotto i "sistemi locali di lavoro", costituiti da aggregazioni di comuni risultanti dalle rilevazioni del pendolarismo, cioe' degli spostamenti della popolazione; per Palermo la media degli ultimi anni darebbe un tasso di disoccupazione oscillante tra il 26,7 del 2000 e il 22 del 2002, con una consistente presenza del cosiddetto lavoro "parasubordinato", cioe' precario e flessibile: la provincia palermitana sarebbe al primo posto in Sicilia con il 23,3 per cento. Il mercato del lavoro attuale e' una selva di lavori atipici (i lavoratori parasubordinati in Sicilia erano quasi 37.000 nel 1996, sono poco piu' di 136.000 nel 2003), mentre si registra la crisi perenne del Cantiere navale, che rimane la maggiore riserva di proletariato classico, e in provincia quella non meno preoccupante della Fiat. L'edilizia, che e' stata per anni la valvola di sfogo, ristagna. In questo quadro l'economia illegale non puo' non rappresentare una strada che s'imbocca spesso e volentieri. Come non c'e' da sorprendersi se sia in atto la corsa ad accrescere le file del precariato, con modalita' esasperate e discutibili, rispetto alle quali le iniziative dei senzacasa rappresentano un'eccezione. * In risposta alle considerazioni di Amelia Crisantino, che lamentava lo scarso interesse dell'Universita' per la ricerca sulla realta' cittadina, il professor Buccafusco ricorda che recentemente e' stato prodotto un "Rapporto su Palermo", con finanziamento comunale, distribuito "a tutti gli attori sociali e politici". Non ne ho notizia. Evidentemente i destinatari non l'hanno tenuto in gran conto; se fosse stato inviato al Centro Impastato (che e' tra i pochi ad aver mostrato interesse per queste tematiche, ma a quanto pare non figura nell'indirizzario dell'Universita' e del Comune) certamente l'avremmo esaminato con attenzione. Palermo e' gia' in pista per le elezioni comunali e si profilano candidature riciclate e nuove. E' troppo chiedere che i programmi dei candidati si misurino con dati reali e non ripropongano compitini di buone intenzioni? Facile prevedere che se non si e' capaci di confrontarsi con la realta', la citta' continuera' a reggere il fanalino di coda, anche se la squadra di calcio (che di Palermo ha solo il nome) e' in lizza per i primi posti. 5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: SULLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente comunicato dal titolo "Richiesta di dimissione dei membri della Commissione antimafia" del 4 dicembre 2006] La presenza nella Commissione parlamentare antimafia di personaggi con condanne definitive per reati contro la Pubblica Amministrazione inficia gravemente la sua credibilita'. Nel 1972, per la presenza in Commissione del democristiano Giovanni Matta, che non era ne' condannato ne' sotto processo, ma era stato soltanto ascoltato dalla precedente Commissione come testimone, in quanto assessore ai Lavori pubblici al Comune di Palermo ai tempi di Lima e Ciancimino, i commissari si dimisero e la Commissione fu sciolta. Il Centro Impastato chiede che, per un fatto ancora piu' grave, come la presenza di pregiudicati, i membri dell'attuale Commissione presentino le dimissioni in modo che si possa formare una nuova Commissione senza presenze squalificanti. In nome di un malinteso garantismo, nel nostro Paese si e' tollerata l'impunita' degli stragisti e, per lunghissimi anni, dei mafiosi. Il riferimento alla "responsabilita' politica", anche in presenza di comportamenti non configurabili come reati, e il richiamo all'autoregolazione da parte dei partiti, che hanno candidato e fatto eleggere anche politici condannati o sotto processo, e' stato e continua ad essere una presa in giro. Se si vuole dare un segnale di cambiamento bisogna dare almeno dimensione politica a responsabilita' accertate o in corso di accertamento in sede giudiziaria, disponendo sanzioni certe e inderogabili, come per esempio la sospensione da ogni carica politica e istituzionale per chi e' indagato e sotto processo, l'incandidabilita' di chi e' stato condannato. Il berlusconismo ha codificato la legalizzazione dell'illegalita', proclamando l'evasione delle tasse come un diritto e approvando le leggi ad personam. Non vorremmo che il centrosinistra avallasse comportamenti disdicevoli con il richiamo alla sacralita' del mandato parlamentare e a un garantismo fuori luogo. Vogliamo porre inoltre il problema di una ridefinizione dei compiti e del funzionamento della Commissione. Invece di cercare unanimismi ad ogni costo, di nominare consulenti lottizzati, di elaborare relazioni che nessuno legge, proponiamo che venga redatto, pubblicato e diffuso adeguatamente un rapporto annuale sulle attivita' delle mafie e soprattutto sui loro rapporti con il contesto sociale e istituzionale, che registri le varie voci presenti nella Commissione e attivi la collaborazione della societa' civile organizzata, in particolare dei centri studi e delle associazioni impegnati seriamente nella ricerca e nell'attivita' antimafia. Il Centro Impastato chiede che queste proposte vengano discusse e condivise da quanti rifuggono dalla retorica dell'antimafia-spettacolo e sono quotidianamente e responsabilmente impegnati nell'azione di prevenzione e di contrasto alle mafie. 6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: DI CHIODI E DI LIBRI [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento gia' pubblicato nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" il 25 aprile 2007 con il titolo "Un fronte politico nella lotta alla mafia" (e nel sito proposto col titolo "I cento chiodi di Olmi e le verita' del procuratore Grasso"). Pietro Grasso, di origine palermitana, entra in magistratura nel 1969; intorno alla meta' degli anni Settanta si occupa di indagini sulla pubblica amministrazione e sulla criminalita' organizzata; diviene titolare dell'inchiesta riguardante l'omicidio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella; giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa nostra del 1984; consulente della Commissione parlamentare antimafia, diventa in seguito procuratore della repubblica di Palermo; e' attualmente il procuratore nazionale antimafia, subentrato nel 2005 a Pier Luigi Vigna. Opere di Pietro Grasso: con Saverio Lodato, La mafia invisibile, Mondadori, Milano 2001; (con Francesco La Licata), Pizzini, veleni e cicoria. La mafia prima e dopo Provenzano, Feltrinelli, Milano 2007. Francesco La Licata, giornalista, esperto di storia della mafia e inviato de "la Stampa", ha cominciato nel 1970 lavorando in cronaca per "L'Ora" di Palermo e poi occupandosi delle piu' importanti vicende siciliane: la scomparsa di Mauro De Mauro, l'assassinio del procuratore Pietro Scaglione, la guerra di mafia e i processi che ne scaturirono. All'inizio degli anni Ottanta e' al "Giornale di Sicilia" e dal 1989 alla "Stampa". Ha scritto (con Galluzzo e Lodato) Falcone vive (Flaccovio), la prima intervista concessa dal giudice e ripubblicata nel 1992 dopo la strage di Capaci. Nel 1993 ha scritto per Rizzoli Storia di Giovanni Falcone, una biografia del giudice supportata dalle testimonianze di Anna e Maria Falcone. Il libro - che ha ispirato la fiction televisiva di Raiuno - e' stato riedito, nel 2003, da Feltrinelli. La Licata fa parte della redazione di "Blu Notte, Misteri d'Italia", il fortunato programma tv di Carlo Lucarelli. In passato ha collaborato anche con "L'Espresso", "Epoca" e con il settimanale televisivo "Mixer" di Giovanni Minoli. Opere di Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Rizzoli, Milano 1993, poi Feltrinelli, Milano 2002; (con Pietro Grasso), Pizzini, veleni e cicoria. La mafia prima e dopo Provenzano, Feltrinelli, Milano 2007. Gian Carlo Caselli (Alessandria 1939), prestigioso magistrato impegnato contro terrorismo e mafia, e' attualmente procuratore generale presso la Corte d'appello di Torino; dal 1964 e' assistente volontario di Storia del diritto italiano presso l'Universita' di Torino; entrato in magistratura nel 1967 ha cominciato la sua carriera in magistratura a Torino come giudice istruttore impegnato in indagini sul terrorismo, in particolare sulle Brigate rosse; nel 1984 fa parte della Comissione per l'analisi del testo di delega del nuovo codice di procedura penale, dal 1986 al 1990 e' stato membro del Consiglio superiore della magistratura, nel 1991 e' consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, ha diretto la Procura di Palermo dal 1993 al 1999, dal 1999 al 2001 ha diretto il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nel 2001 e' stato nominato rappresentante a Bruxelles nell'organizzazione comunitaria contro la criminalita' organizzata Eurojust; svolge anche un'intensa attivita' pubblicistica su quotidiani e periodici. Opere di Gian Carlo Caselli: (con Antonio Ingroia), L'eredita' scomoda, Feltrinelli, Milano 2001; Un magistrato fuori legge, Melampo 2005; (con Raoul Muhm), Il ruolo del Pubblico Ministero. Esperienze in Europa, Vecchiarelli, Manziana (Roma) 2005; (con Livio Pepino), A un cittadino che non crede nella giustizia, Laterza, Roma-Bari 2005. Opere su Gian Carlo Caselli: Vincenzo Tessandori, Ettore Boffano, Il procuratore, Baldini & Castoldi, Milano 1995; Riccardo Castagneri, "I miei anni a Palermo". La verita' di Gian Carlo Caselli, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2006] Nel film I cento chiodi di Ermanno Olmi il protagonista, un giovane professore che si atteggia a Gesu' Cristo, inchioda al pavimento codici miniati e libri sacri ed enuncia una filosofia che vorrebbe essere profonda ma non mi pare che lo sia: "Tutti i libri del mondo non valgono un caffe' con un amico". Crocifiggere i libri ricorda un po' troppo da vicino i roghi dei nazisti e basterebbe gia' questo per toglierci dalla testa l'idea di imitare il professore, ma con l'alluvione di libri da cui siamo continuamente sommersi non si puo' non pensare che il piu' delle volte sarebbe preferibile risparmiare le foreste. Pensiero che spesso ci assale davanti alle sfornate di libri sulla mafia. Per fortuna non sempre e' cosi'. Sono certamente utili i libri, non molti a dire il vero, che sono frutto di ricerche, che contengono una documentazione piu' o meno inedita o riportano le testimonianze di protagonisti della lotta alla mafia. Tutti gli altri, che nascono da esigenze commerciali e sono meramente occasionali, lungi dal pensare di condannarli alla crocifissione o al rogo, si puo' semplicemente non comprarli e non leggerli. Con la speranza che finiscano naturalmente al macero. Tra i libri piu' recenti c'e' il libro-intervista del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso scritto con il giornalista Francesco La Licata. Nei limiti del genere dialogico il libro spazia dall'antropologia, con ampi squarci sulla morale sessuale dei mafiosi, alla storia, con le inevitabili semplificazioni, alla sociologia, con la descrizione dell'articolazione dell'organizzazione criminale e del sistema relazionale, alle riflessioni sulle prassi giudiziarie. E su questo punto si sviluppa la parte piu' intrigante e piu' "calda" del libro. Grasso polemizza apertamente con quanti ritengono che Provenzano sia un povero vecchio che probabilmente si e' autoconsegnato e ritengono tutto il battage pubblicitario sulla sua cattura "un'arma di distrazione di massa", ponendo unicamente l'accento sul rapporto tra mafia e politica. Su questa diversa valutazione si innesta la polemica dell'ex procuratore capo di Palermo con il suo predecessore Caselli e con i "caselliani". Grasso dice di non condividere la legge contra personam del governo Berlusconi che escluse Caselli dalla corsa a procuratore nazionale antimafia, e ribadisce quello che aveva gia' detto o lasciato capire altre volte: i processi debbono fondarsi su prove concrete e non debbono essere delle gogne mediatiche. Queste affermazioni hanno suscitato la reazione di Caselli che sulle pagine del quotidiano "La Stampa" ha rilevato che solo ora Grasso esprime il suo disaccordo con il provvedimento che lo taglio' fuori. Non si puo' non dargli ragione: in effetti non risulta che a suo tempo Grasso abbia espresso il suo dissenso. Sull'operato della Procura di Palermo sotto la sua gestione Caselli elenca i risultati conseguiti e sul processo Andreotti ricorda la conclusione: il reato di associazione a delinquere semplice e' stato commesso fino al 1980 ma e' prescritto, per il resto Andreotti e' stato assolto per insufficienza di prove. Anche Grasso sciorina i risultati ottenuti e ricorda le diverse condizioni politico-istituzionali in cui si e' trovato ad operare, con una serie di leggi che limitavano l'azione giudiziaria. Non c'e' da scandalizzarsi che i magistrati portino nella loro professione culture, sensibilita', esperienze diverse, e sarebbe bene che si aprisse un confronto, franco e ragionato, tra le pratiche giudiziarie messe in atto, ma le polemiche a fior di pelle sono un pessimo esempio e rischiano di fare un servizio ai mafiosi. Sarebbe consigliabile in ogni caso una maggiore sobrieta'. Ma non va dimenticato che il rapporto mafia-politica dovrebbe essere il terreno proprio della lotta politica e non puo' essere delegato alla magistratura che ha strumenti inadeguati, come il concorso esterno, definito solo in sede giurisprudenziale, e lo scambio elettorale politico-mafioso. Un'ultima osservazione: leggendo il libro capita abbastanza spesso di incontrare giudizi che sembrano ricavati di peso dalle analisi di chi scrive o di altri che hanno nome e cognome (qualche scampolo: borghesia mafiosa, espressione diventata ormai quasi un luogo comune, intreccio di continuita' e innovazione come filo che percorre l'evoluzione storica della mafia, controllo totalitario sul territorio o signoria territoriale, pagine sulle donne), anche se non c'e' il minimo accenno agli autori. Come pure non viene ricordato che il primo che ha parlato di un certo Pino Lipari, "consigliori" di Provenzano, si chiamava Giuseppe Impastato. E' gia' successo e continua a succedere. Ci si sarebbe aspettato che quando Grasso ricorda le benemerenze di alcune associazioni e fondazioni, dedicasse qualche parola all'attivita' trentennale e autofinanziata del Centro Impastato. Evidentemente gli e' sembrata meno importante di altre, forse perche' e' meno telegenica. Sappiamo quanto siano importanti i mass media, pure per i magistrati. Anche il riferimento ai "parenti americani" che consigliavano a Felicia Bartolotta Impastato di rinunciare alla giustizia e rifugiarsi nella vendetta mafiosa piu' che alla realta', popolata di parenti mafiosi residenti a Cinisi, e' ispirato alle invenzioni del film I cento passi. Cento come i chiodi di Olmi che ci guarderemo bene dall'usare per qualsiasi libro. 7. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: PORTELLA DELLA GINESTRA, SESSANTA ANNI DOPO [Dal sito del Centro Impastato (www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento gia' pubblicato nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" il primo maggio 2007 con il titolo "Sulla strage piu' studi meno passerelle" (e nel sito col titolo "Portella della Ginestra, 60 anni dopo"] Qualche mese fa, da un incontro con alcuni superstiti della strage di Portella della Ginestra, organizzato dall'associazione Ali (Ambiente legalita' intercultura) di Palermo, e' scaturito un appello al Presidente della Repubblica, che ha raccolto qualche migliaio di firme. Nell'appello si chiede che in occasione del sessantesimo anniversario della strage il Presidente incontri i superstiti: "un gesto di grande valore simbolico e un segnale in risposta a tutti coloro che ancora ricercano verita'". Dal Quirinale hanno fatto sapere che il Presidente non potra' venire il primo maggio, verra' a meta' giugno. Ci si augura che l'incontro con i superstiti possa comunque aver luogo. La tesi ufficiale sull'esecuzione della strage e' ben nota: a Portella spararono soltanto i banditi della banda Giuliano e i processi di Viterbo e di Roma si sono fermati qui. In vari interventi e pubblicazioni i protagonisti di quel periodo, giornalisti e storici hanno evidenziato il ruolo di mafiosi, agrari, partiti conservatori e di personaggi legati ai servizi segreti americani. Il convegno del 1977 del Centro siciliano di documentazione: "Portella della Ginestra una strage per il centrismo" mise in luce la funzione della strage nel contesto che porto' alla svolta del '47, con l'esclusione delle sinistre dal governo nazionale e regionale, e il convegno del 1997 nel cinquantennale della strage ha portato ulteriori approfondimenti. In seguito a una richiesta presentata dai partecipanti al convegno del cinquantennale la Commissione parlamentare antimafia, che aveva raccolto un'abbondante mole di documenti, li ha pubblicati, mettendo da canto per una volta il segreto di Stato. Nell'ultimo decennio sono apparsi degli studi che hanno utilizzato le carte degli archivi americani e italiani. Penso in particolare ai libri di Giuseppe Casarrubea: si concordi o meno con le sue tesi, in ogni caso si tratta di ricerche su documenti inediti e gia' questo e' un merito innegabile. La documentazione raccolta ha permesso di approfondire due temi: l'azione dei servizi segreti e delle formazioni fasciste. Sui servizi si riconferma, con una documentazione straripante, un dato gia' noto da tempo (il libro di Faenza e Fini, Gli americani in Italia, e' del 1976). I servizi segreti americani ebbero certamente un ruolo rilevante nell'offensiva anticomunista ma questo non vuol dire che gli ordini per la strage di Portella, per le uccisioni di sindacalisti e militanti delle lotte contadine e per l'estromissione delle sinistre dal governo siano venuti da Washington. Si e' trattato di un matrimonio consensuale, in cui interessi locali, nazionali e geopolitici si sono perfettamente incontrati. Per cio' che riguarda il ruolo dei fascisti, su cui si sofferma gran parte della documentazione pubblicata, piu' che puntare sulla fornitura delle armi (le armi impiegate a Portella erano le stesse in dotazione della Decima Mas di Junio Valerio Borghese ma quelle armi in realta' erano molto diffuse) o sull'arruolamento del bandito Giuliano nelle file nere e sui rapporti dell'Evis (l'esercito separatista) con i fascisti, o sul passato fascista di personaggi come gli ispettori Verdiani e Messana e del colonnello Luca, e sul peso delle formazioni dichiaratamente eversive e golpiste che certamente facevano la loro parte, bisognerebbe sottolineare che il condizionamento effettivo e' avvenuto attraverso la continuita' dell'apparato statale, gia' analizzata dagli storici piu' attenti (Pavone, Gallerano), grazie anche all'amnistia dell'allora ministro della Giustizia Togliatti. E in quel grembo matureranno anche le stragi piu' recenti, ad opera di neofascisti e piduisti annidati all'interno dell'assetto istituzionale. E questo spiega anche la loro impunita', un filo lungo che da Portella arriva a Piazza Fontana, a Brescia e alla Stazione di Bologna. Non vedo una contraddizione tra una lettura degli avvenimenti degli anni '40 in chiave di lotta di classe, che vive una delle sue fasi piu' intense e sanguinose, e un'interpretazione che mette in risalto gli aspetti politici. Le due interpretazioni vanno necessariamente integrate se vogliamo analizzare adeguatamente quel periodo storico decisivo per le sorti del nostro Paese. Come si diceva, quest'anno ricorre il sessantesimo anniversario della strage di Portella. Gli anniversari corrono sempre un rischio: quello della retorica, sempre piu' ingessata e ripetitiva, e del rituale, sempre piu' stanco e appassito. C'e' da augurarsi che l'occasione venga colta per tenere aperta quella pagina, come tutte le altre pagine sulle stragi, sia a livello istituzionale che a livello di analisi e di studio. In ogni caso bisognerebbe dare un segnale, piccolo ma significativo. A Portella ogni anno da quando ci vado sono annunciati autorita' e politici, candidati in campagna elettorale per la prima volta a Portella. Non ho mai sentito annunciare la presenza dei superstiti o dello stesso Casarrubea, figlio di una delle due vittime nell'attentato a Partinico del 22 giugno sempre del '47 (il padre si chiamava Giuseppe, come il figlio, e l'altra vittima si chiamava Vincenzo Lo Jacono). Spero che quest'anno ci si ricordi di loro e non si dia luogo a passerelle incongrue e stucchevoli. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 112 del 20 maggio 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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