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La domenica della nonviolenza. 109
- Subject: La domenica della nonviolenza. 109
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 29 Apr 2007 11:47:25 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 109 del 29 aprile 2007 In questo numero: 1. Letizia Lanza: No war. Dalla parte di Virginia Woolf 2. Patrizia Pasini: Pensiero delle donne e nonviolenza 3. Beppe Pavan: Nonviolenza femminile plurale 4. Maria Chiara Tropea: Fare politica con il cuore. Il potere e le donne 1. RIFLESSIONE. LETIZIA LANZA: NO WAR. DALLA PARTE DI VIRGINIA WOOLF [Ringraziamo Letizia Lanza (per contatti: letizialanza at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente saggio (1). Letizia Lanza e' una prestigiosa intellettuale e poetessa; laureata in lettere antiche presso l'Universita' degli Studi di Padova (con una tesi in archeologia cristiana), perfezionatasi presso l'Universita' degli Studi di Urbino (con una tesi in scienze dell'antichita' - Indirizzo filologico), da lunghi anni interessata alla attivita' di ricerca persegue una prospettiva di indagine di filologia storico-femminile, esplicandola sia al riguardo dei documenti del passato sia nei confronti delle voci letterarie (italiane e straniere) del presente: nell'ambito della classicita', suoi filoni privilegiati di studio sono la poesia epica, essenzialmente "omerica" (con la dotta contre-partie rappresentata dalla produzione parodica), la lirica greca arcaica, la tragedia di Sofocle ed Euripide, ampi stralci della produzione storica e letteraria della latinita'; a cio' si aggiungono, ora piu' frequenti, le appassionate incursioni nel mondo dell'archeologia; nell'ambito della modernita', i suoi interessi si appuntano principalmente su presenze femminili "forti" quali Christine de Pizan, Emily Dickinson, Virginia Woolf, Maria Zambrano, Ingeborg Bachmann - sia pure non trascurando, di entrambi i generi, voci magari piu' recenti e vicine (bastino tra tanti i nomi di Cesare Ruffato e Paolo Valesio); sul piano socio-politico e' impegnata anche con interventi scritti in difesa dell'ambiente, della biodiversita', della pace, della convivenza aperta nei confronti dell'altro/a, quindi aliena da violenza; oltre all'attivita' di scrittura, assieme all'impegno in seminari o lezioni universitarie (facolta' di lettere di Bologna e Padova) ha preso parte a conferenze, convegni e iniziative presso varie strutture (fondazioni, associazioni, musei, istituzioni culturali le piu' varie) e collaborato a molte riviste e siti web; ha collaborato tra l'altro con la Fondazione Scientifica Querini Stampalia Onlus di Venezia, con l'Associazione Iasos di Caria, con la rivista della Boemia meridionale "Relationes Budvicenses", con la rivista venezana "Nexus", con la Fondazione Luciano Bianciardi di Grosseto, con il sito de "L'araba fenice", con la rivista on line "Senecio"; fa parte dell'Associazione italiana di cultura classica, sezione di Venezia; fa parte della Societa' italiana delle letterate; assieme a Luana Castelli, Francesca Dissera, Anna Ponti e altre amiche veneziane fa parte del gruppo di ricerca "Geografia di genere - Geografia di citta'" coordinato da Tiziana Plebani. Tra le opere di Letizia Lanza: Archestrato, il cuoco degli dei (scritto in collaborazione con C. D'Altilia, illustrato da M. Vulcanescu), Abano Terme, Piovan Editore 1988; Sofocle. Problemi di tradizione indiretta (scritto in collaborazione con L. Fort, premessa di M. Geymonat), Padova, Editoriale Programma 1991; Ritorno ad Omero. Con due appendici sulla poesia africana, Venezia, Supernova 1994; Scritti di donna, Venezia, Supernova 1995; Il gioco della parola (1987-1995), Venezia, Supernova 1995; Eidola. Immagini dal fare poetico, Venezia, Supernova 1996; Scripta selecta. Da oggi a oggi, Venezia, Supernova 1997; Vipere e demoni. Stereotipi femminili dell'antica Grecia, Venezia, Supernova 1997; Donne greche (e dintorni). Da Omero a Ingeborg Bachmann, Venezia, Supernova 2001; Grecita' femminile. L'altra Penelope, Venezia, Supernova 2001; Frustoli di scrittura. Tra paganesimo e misticismo (postfazione di M. Ferrari), Venezia, Supernova 2002; Il diavolo nella rete (premessa di F. Santucci, postfazione di G. Lucini), Novi Ligure, Edizioni Joker 2003; Diabolica. Da oggi a ieri, Venezia, Supernova 2004; Poesie soffocate, Venezia, Poligrafica 2005; Ludi, ghiribizzi e varie golosita', Venezia, Supernova 2005; Levia Gravia 2004-2005, Venezia, Poligrafica 2006; Le donne e l'antico. Ed. L. Fort - I. Lisovy, Ceske' Budejovice-Venezia, Johanus 2006; Litora vitae honestae. Disputationes de magistro nostro, collega et amico, Professore Franco Sartori (1922-2004). Ed. I. Lisovy - L. Lanza, Ceske' Budejovice-Venezia, LaFOli 2006; Vino donne amori (di varia antichita'), Venezia, Supernova 2006. Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980. Segnaliamo anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi, Torino 1977] "Giro girotondo, gira intorno al mondo; lo voglio tutto io, e' mio, e' mio, e' mio" (Virginia Woolf, Le tre ghinee (2)) Com'e' noto, la dichiarata ostilita', anzi, il netto rifiuto della grande autrice inglese nei confronti della guerra si manifesta a piu' riprese nelle sue scritture. Gia' in La camera di Giacobbe - scritto da Woolf nel 1922, dopo anni di faticosa ricerca della propria voce, e dedicato al diletto fratello Thoby, morto nel primo conflitto mondiale - gia' in questo lavoro e' implicita una domanda drammatica quanto, ahime', sempre piu' attuale: dove mai conduce una - questa - civilta' guerrafondaia? Piu' tardi, nel romanzo che s'intitola La Signora Dalloway (1925), nella figura di Septimius Warren Smith - sorta di alter ego della luminosa Clarissa - prendono corpo le disperate allucinazioni dei reduci - involontaria preda delle forze del caos e della follia, mentre nel successivo Una stanza tutta per se' (1929) gli strali di Virginia si appuntano sia contro i fautori della guerra (3) sia contro gli artefici e sostenitori del patriarcato - il quale, si sa, della pratica bellica e' il primo responsabile: "Certo, loro avevano il denaro e il potere, ma solo a costo di ospitare in petto un'aquila, un avvoltoio, che rode eternamente fegato e polmoni: l'istinto del possesso, il furore dell'acquisizione, che li spinge perpetuamente a desiderare le terre e i beni degli altri; a creare frontiere e bandiere, corazzate e gas velenoso; a offrire le loro vite e quelle dei loro figli. Passate sotto l'Arco dell'Ammiragliato (...) o qualunque altro viale dedicato a trofei e cannoni, e riflettete sul genere di gloria che vi e' celebrata" (4). Ancora. Dopo la cruda svolta di Gli anni (1937), evidentemente dovuta al tragico imporsi della storia - con lo scontro civile spagnolo in atto e il profilarsi del secondo conflitto mondiale - dopo Gli anni, dunque, in cui Woolf imprevedibilmente segnala, come liberatori per il genere femminile, due fatti storici: ovverosia l'emergenza della guerra - a cui cagione le donne si assumono responsabilita' fino a quel momento per loro ignote (5) - e l'almeno in parte conquistata emancipazione (6), si arriva al gia' citato Le tre ghinee (1938) - sanguigno pamphlet di segno, a un tempo, femminista (7) e pacifista. Di estremo rilievo, in esso, la ribadita convinzione che, a causa della millenaria cancellazione sociale, esista una cultura femminile "estranea" tanto al potere patriarcale che alla cultura della violenza da esso generata (8), e che tale estraneita' vada dichiarata e difesa con forza - cosi' da poterla tra(n)scrivere in positivo come "differenza". Woolf, insomma, una volta accertata l'esclusione/estraneita' della donna dal/al virile dominio, non intende affatto reclamare "il proprio diritto a essere inclusa, perche' pensa che il fatto dell'esclusione - mentre chiama a gran voce degli aspiranti, degli imitatori o delle imitatrici - svela pero' suo malgrado una parzialita', degli interessi particolari, dei limiti. Se lei si mettesse in fila per farsi ammettere, non farebbe che favorire la loro copertura" (9). Si giunge cosi', da ultimo, allo scritto Tra gli atti (1941, l'anno del suicidio di Virginia, il 28 marzo: era nata nel 1882) - dove gli abitanti di un villaggio inglese mettono in scena, all'aperto, l'annuale rappresentazione teatrale. Il risultato non corrisponde alle attese, e cio' innesca il nostalgico desiderio di Woolf di veder perdurare, dinanzi alla barbarie avanzante - nel cielo sopra Rodmell, dove lei abita e scrive, si combatte frattanto, a colpi di aerei, la battaglia d'Inghilterra - la grande, antichissima civilta' rurale dell'isola legata alla fioritura della civilta' borghese. Ma, inutile dirlo, quello woolfiano e' un desiderio che si macchia e s'intride di angoscia - la piu' cupa - nell'estenuata quanto lucida previsione dei radicali, futuri mutamenti della societa' postbellica. * Un pacifismo senz'altro acceso, quello di Virginia Woolf. Tanto da arrivare a esprimersi con indignato, talora stizzoso sberleffo in Le tre ghinee: ovvero la risposta al segretario di un'associazione pacifista su come prevenire la guerra, e quindi su come spendere nel modo migliore, a questo scopo, le tre ricche monete. Le quali, appunto, saranno destinate: 1 - alla ricostruzione di un college femminile; 2 - al sostegno di un'associazione in difesa delle libere professioni femminili; 3 - alla tutela della cultura e della liberta' di pensiero (10). Nel caustico libello, dunque, Virginia denuncia in via preliminare il fatto che "combattere e' sempre stata un'abitudine dell'uomo, non della donna"; che "in tutto il corso della storia si contano sulle dita di una mano gli esseri umani uccisi dal fucile di una donna" (11): e anche la grande maggioranza di uccelli e di animali li hanno sempre sterminati gli uomini - certi uomini. Cio' evidentemente perche' non di rado, per il genere cosiddetto forte, la guerra "e' un mestiere; e' una fonte di felicita' e di esaltazione; e' uno sbocco per le virtu' virili senza le quali l'uomo si deteriorerebbe" (12). A piu' riprese, in piu' luoghi del libro, arroventata, si e' detto, e' la critica di Woolf nei confronti del patriarcato (13) - con plastica evidenza rappresentato dal corteo, nutrito e sinuoso, degli uomini cosiddetti "grandi": "Eccoli, i nostri fratelli che sono stati educati nelle scuole private e nelle due universita' (14); salgono quelle scalinate, entrano e escono da quelle porte, ascendono a quei pulpiti, pronunciano orazioni, impartiscono lezioni, amministrano la giustizia, praticano la medicina, concludono affari, fanno quattrini. E' sempre uno spettacolo solenne, un corteo, come la carovana del Sultano che attraversa il deserto. Bisnonni, nonni, padri, zii, tutti hanno percorso quelle strade, con la toga indosso, con la parrucca in testa, alcuni con fasce e nastri sul petto, altri senza. Uno era vescovo. Un altro giudice. Uno era ammiraglio. Un altro generale. Uno era professore all'Universita'. Un altro era medico (...) i piu' tennero il passo, marciarono in riga, e di riffa o di raffa riuscirono a mantenere la dimora degli avi, laggiu' nel West End, a portare a casa l'arrosto per tutti e a mandare Arthur (15) all'universita'" (16). Uno spettacolo solenne, siffatto spiegamento, non c'e' dubbio veruno: davanti al quale pero', gia' a dire di Woolf, le donne dovrebbero - devono - porsi "certe domande". Cioe' dovrebbero - devono - chiedersi: "Abbiamo voglia di unirci a quel corteo, oppure no? A quali condizioni ci uniremo ad esso? E, soprattutto, dove ci conduce?" (17). Di fatto, continua implacabile Virginia, cotali, pur nobilissime, professioni producono un "effetto particolare su coloro che le esercitano. Diventano possessivi, gelosi di qualunque violazione dei loro privilegi, e fortemente aggressivi nei confronti di chi osa metterli in discussione. Non abbiamo dunque ragione di pensare che se anche noi eserciteremo le stesse professioni (...) saremo anche noi possessive, gelose, aggressive, sicure di noi e del giudizio immutabile di Dio, della Natura e della Proprieta', come sono oggi questi signori?" (18). E se e' sicuramente vero che "esercitando una professione si fanno quattrini", tuttavia, a dire di Woolf, anche di fronte a questo risultato dovrebbero - devono - domandarsi le donne: "Fino a che punto il denaro, tenuto conto di quei fatti, e' in se stesso un bene desiderabile? Oltre duemila anni fa una grande autorita' in fatto di vita umana sostenne che possedere ricchezze non e' desiderabile" (19). * Quale alternativa, allora, potrebbe - puo' - aprirsi e rivelarsi effettivamente percorribile per una donna? Quale giusta risposta si puo' - potrebbe - prevedere alla domanda, provocatoriamente formulata da Virginia: "Come potremo intraprendere quelle professioni e tuttavia rimanere esseri umani civili; esseri umani, cioe', che vogliono evitare le guerre?". Una soluzione adeguata potrebbe - puo' - essere quella di "non cercare riconoscimenti; non essere egoista; fare le cose perche' e' bello e giusto farle" - dimostrandosi a un tempo, le donne, "insoddisfatte ma ambiziose, ambiziose ma austere, caste e tuttavia avventurose" (20). In quale maniera? - viene spontaneo chiedersi. Ed ecco la woolfiana risposta: impegnandosi, il sesso cosiddetto debole, a rispettare le quattro virtu' fondamentali della poverta', castita', derisione, liberta' da fittizi legami di fedelta'. La' dove, per poverta', "s'intende denaro sufficiente per vivere. Cioe', guadagnare abbastanza da non dipendere da nessun altro essere umano e da poter comperare quel minimo di salute, di tempo, di sapere e cosi' via che occorre per sviluppare appieno il corpo e la mente. Ma nulla di piu'. Non un centesimo di piu'. Per castita' s'intende che quando con il vostro lavoro vi sarete assicurate quanto basta per vivere, dovrete rifiutarvi di vendere il vostro cervello per denaro (21). Cioe' dovrete rifiutarvi di lavorare, oppure farlo solo per amore della ricerca e della sperimentazione; o per amore dell'arte, se siete artiste, oppure gratuitamente per fornire a chi ne ha bisogno le conoscenze da voi acquisite professionalmente. Ma non appena vi sentite attirate nel vortice del girotondo, smettete subito. Spezzate il cerchio con una risata. Per derisione - brutta parola, ma, ancora una volta, la lingua inglese e' cosi' povera, occorrerebbero nuove parole - s'intende che dovrete rifiutare tutto cio' che serve a far pubblicita' al merito, e tener per fermo che il ridicolo, l'oscurita' e la disapprovazione sono preferibili, per ragioni psicologiche, alla fama e alla lode. Non appena vi offrono insegne, onorificenze o titoli, sbatteteli subito in viso a chi ve li offre. Per liberta' da fittizi legami di fedelta' s'intende che dovrete liberarvi in primo luogo dell'orgoglio per la vostra patria; e anche dell'orgoglio per la vostra religione, per la vostra universita', scuola, famiglia, sesso, e da tutti i fittizi legami di fedelta' che queste forme di orgoglio creano. Non appena i tentatori si presentano per sedurvi, stracciate le pergamene; rifiutatevi di compilare i moduli" (22). Son condizioni senz'altro rigide, quelle (pro)poste da Woolf, dure da rispettare. E tuttavia, conclude lungimirante l'autrice, solo a questi patti diviene possibile, per l'altra meta' del mondo, intraprendere le attivita' tipiche del genere maschile "senza lasciarsi contaminare" - bensi', al contrario, liberandole "dalla possessivita', dall'invidia, dalla aggressivita', dalla avidita' che le caratterizzano"; utilizzandole "per avere una mente autonoma, una volonta' autonoma"; facendo alfine tesoro di "quella mente e quella volonta' per cancellare la disumanita', la bestialita', l'orrore, la follia della guerra" (23). * Cotali, dunque, le imperative premonizioni di Virginia Woolf, in tempi ormai relativamente lontani. Ma oggi, alle soglie dell'anno di grazia 2003, in quale concreta maniera puo' - deve - una donna opporsi alla crudele macchina di morte, ovvero a ogni bieca strategia bellico-imperialista? Anzitutto, e' evidente, rifiutando la guerra in prima persona, cioe' sapendo dire, assieme a Virginia, un no forte e chiaro - prima ancora che alla guerra, e' bene ricordarlo, al protagonismo sordido e ingeneroso, all'arroganza, alla violenza in tutte le sue forme e manifestazioni; impegnandosi a ripeterlo in qualunque occasione le si presenti; cercando (e offrendo) in cio' solidarieta' e appoggio da (a) tutti gli uomini di buona volonta'. A quanti cioe', come Gianmario Lucini, non si peritano di dire: "Fuori l'Italia dalla guerra - anzi, fuori tutti dalla guerra, specie coloro che, come sempre, la debbono subire" (24). Non solo. Poiche' la donna puo' contrastare la guerra anche - anzi, sopra tutto - ricordando, ripetendo con orgoglio e passione che la sua cultura non e' una cultura di morte, bensi' e' una cultura di vita (la donna porta in se' la vita) - cosi' da far sentire chiara e netta la propria estraneita' al macabro giuoco. Il proprio non esserci (non voler esserci). Il proprio non voler condividere a nessun prezzo, sotto nessuna forma - e sono ancora parole di Virginia - "l'arte di dominare sugli altri; non l'arte di governare, di uccidere, di accumulare". La donna, insomma, oggi puo' - deve - opporsi alla perversa logica bellica usando - miracolosa arma - "l'indipendenza di pensiero frutto dell'indipendenza economica" (25): entrambe straordinarie conquiste vagheggiate da Woolf e divenute, ai nostri giorni, una concreta e diffusa - pur se, talvolta, ancora contrastata - realta'. * Note 1. Cfr. L. Lanza, Il diavolo nella rete, Novi Ligure, Joker 2003, pp. 87-91; 103-105 (note). 2. V. Woolf, Le tre ghinee. Traduzione di A. Bottini. Introduzione di L. Muraro, Feltrinelli, Milano 19792, pp. 88; 96. 3. "Certo e' stato un trauma (in particolare per le donne, con le loro illusioni sull'educazione, eccetera) vedere le facce dei nostri governanti alla luce dei bombardamenti. Sembravano cosi' brutti - tedeschi, inglesi e francesi - cosi' stupidi", V. Woolf, Una stanza tutta per se'. Introduzione di A. Guiducci. Traduzione e prefazione di M. Del Serra, Newton Compton, Roma 1993, p. 31. 4. Ibidem, p. 46. 5. "Come possiamo spiegare altrimenti l'assurda agitazione dell'agosto del 1914, quando si videro le figlie degli uomini colti (...) precipitarsi negli ospedali, alcune accompagnate dalla cameriera, guidare autocarri, lavorare nei campi e nelle fabbriche di munizioni, e usare le loro inesauribili riserve di fascino e di simpatia per convincere i giovani che combattere era eroico, e che i feriti sul campo di battaglia erano degni di tutte le loro cure e di tutto il loro encomio? La spiegazione va cercata, ancora una volta, in quel tipo di educazione. Cosi' profondo era il disgusto della figlia dell'uomo colto per la casa paterna, con la sua crudelta', la sua grettezza, la sua ipocrisia, la sua immoralita', la sua vacuita', che era disposta a intraprendere qualunque lavoro, per servile che fosse, a esercitare qualunque fascino, per fatale che fosse, pur di sfuggirvi. Percio' consciamente voleva 'il nostro glorioso Impero'; percio' inconsciamente voleva la nostra gloriosa guerra", Le tre ghinee, cit., p. 64. 6. Di fatto, tutt'altro che piccola cosa - se e' vero che, ancora ai tempi di Woolf, la stampa quotidiana veicolava messaggi del tipo: "Il posto della donna e' in casa... Che le donne ritornino tra le pareti domestiche... Il Governo dovrebbe dare lavoro agli uomini... Il Ministero del lavoro avanzera' una decisa protesta... le donne non devono comandare gli uomini... esistono due mondi, quello delle donne e quello degli uomini... Che imparino a cucinare il pranzo... Le donne non sono capaci... Non sono capaci... Non sono capaci...", ibidem, pp. 184-185. 7. Per quanto la scrittura woolfiana sia femminile non femminista: al punto che l'autrice stessa dichiara di voler distruggere - in quanto "vecchia", "infetta e corrotta", ormai "superata" - la "parola "femminista". "Secondo il dizionario indica 'una persona che si batte per i diritti delle donne'. Poiche' l'unico diritto, il diritto di guadagnarsi da vivere, e' stato conquistato, quella parola non ha piu' senso. E una parola senza senso e' una parola morta, una parola corrotta. Celebriamo dunque l'occasione bruciandone il cadavere. Scriviamola a grandi lettere nere su un foglio protocollo; quindi con gesto solenne appicchiamo il fuoco. Guardate come brucia! Lingue di luce danzano sulla terra! E ora frantumiamone le ceneri nel mortaio con una penna d'oca, cantando all'unisono che chi la usera' ancora e' come il moccioso che suona alla porta e poi si nasconde, un seminatore di zizzania, un ladro di tombe, che porta scritta sul viso lordato di fango la prova del suo crimine. Ecco, il fumo si e' diradato, la parola e' distrutta (...) l'aria e' ritornata pura, e cosa vediamo attraverso quest'aria chiara? Uomini e donne che lavorano insieme per la medesima causa": ovvero, nelle intenzioni di Woolf (e non solo sue), che lottano insieme contro l'oppressione del patriarcato e della dittatura: "Non importa dove, se a Oxford o a Cambridge, a Whitehall o a Downing Street, in Inghilterra o in Germania, in Italia o in Spagna; non importa contro chi, se contro gli ebrei o contro le donne", ibidem, pp. 139, 140. 8. Orrendamente impersonata, secondo Woolf, dall'immagine del Dittatore: "E' l'immagine di un uomo; secondo alcuni, anche se altri lo negano, si tratta dell'Uomo per eccellenza, la quintessenza della virilita', l'idea perfetta di cui tutti gli altri sono l'ombra imperfetta. Di sicuro si tratta di un uomo. Ha gli occhi vitrei: feroci. Il corpo, irrigidito in una posa innaturale, e' inguainato nell'uniforme. Sul petto sono cucite diverse medaglie e altri simboli mistici. La mano poggia sull'elsa della spada. In tedesco e in italiano si chiama Fuehrer o Duce; nella nostra lingua, tiranno o dittatore. Dietro di lui si vedono macerie e cadaveri: uomini, donne, bambini", ibidem, p. 186. 9. L. Muraro in V. Woolf, Le tre ghinee, cit., p. 13. 10. Benche' - sibila velenosamente Woolf al suo interlocutore - "certi tipi di aiuto" non siano "alla nostra portata". Cosi' per esempio "tentare una riforma delle scuole e delle universita'", ove ancora esclusivamente maschili, "equivarrebbe ad attirarci una gragnuola di gatti morti, uova marce e cancelli infranti di cui solo i frugaimmondizie e i robivecchi si avvantaggerebbero, mentre le autorita', ce lo conferma la Storia, starebbero a guardare impassibili il tumulto dalla finestra del loro studio senza neppure togliersi il sigaro di bocca o senza smettere di centellinare, lentamente, per gustarne tutto il bouquet come si conviene, il loro prezioso Bordeaux. La lezione della Storia, confermata dalla lezione dei giornali, ci confina in uno spazio piu' limitato. L'unico modo in cui possiamo" contribuire a difendere la cultura e la liberta' di pensiero "e' difendendo la nostra cultura e la nostra liberta' di pensiero", Le tre ghinee, cit., p. 123. 11. Ibidem, p. 25. 12. Ibidem, p. 26. E tuttavia, osserva con manifesto sollievo la scrittrice, non tutti gli appartenenti al maschil genere condividono questi sentimenti e queste opinioni. Cosi', per esempio, negli appunti per una poesia (peraltro mai scritta) di Wilfred Owen, rimasto ucciso nel primo conflitto mondiale, si legge: "L'innaturalita' delle armi... Disumanita' della guerra... L'insopportabilita' della guerra... L'orrenda bestialita' della guerra... Stupidita' della guerra". Per non parlare, naturalmente, delle inflazionate immagini belliche - cadaveri, membra sfigurate, corpi di bambini morti, cumuli di macerie, edifici sventrati, una casa "spaccata a meta' da una bomba" e "piu' che una casa assomiglia a un mazzo di bastoncini di Shangai sospesi a mezz'aria": tutti esempi di abominio e barbarie, disgustevoli anche agli occhi degli uomini. Cio' nonostante, conclude amara Woolf, "la grande maggioranza" maschile "e' favorevole alla guerra", pp. 30, 27. 13. Graffiante la sua definizione della societa' androcratica - e autoritaria in genere - come responsabile di far "scattare quanto di piu' egoistico e violento, di meno razionale e umano esiste in ciascuno. Non possiamo non pensare" - incalza Virginia - "che la societa', cosi' benevola con voi, cosi' dura con noi, e' una forma sconnessa che distorce la verita'; che deforma la mente; che impaccia la volonta'. Non possiamo non pensare che le societa' sono congiure che soffocano il fratello privato che molte di noi hanno motivo di rispettare, e generano al suo posto un maschio mostruoso, dalla voce prepotente, dal pugno duro, puerilmente intento a tracciare cerchi di gesso sulla superficie della terra entro i quali vengono ammassati gli esseri umani, rigidamente, separatamente, artificialmente", Le tre ghinee, cit., p. 143. 14. Oxford e Cambridge, alle quali palesemente allude l'ironico "Oxbridge" di Una stanza tutta per se' (passim). 15. Cioe' a dire, la figliolanza maschile. 16. V. Woolf, Le tre ghinee, cit., pp. 90-91. 17. Ibidem, p. 92. 18. Ibidem, p. 98. Pensiamo del resto alle parole di Winston Churchill - debitamente citate da Woolf: "Una cosa e' certa: mentre le conoscenze e la potenza dell'uomo aumentano con incommensurabile e sempre crescente rapidita', le sue virtu' e la sua saggezza non si sono visibilmente sviluppate nel corso dei secoli. Il cervello dell'uomo moderno non e' sostanzialmente diverso da quello dell'umanita' che ha combattuto e amato su questa terra milioni di anni fa. La natura dell'uomo e' rimasta praticamente immutata. In condizioni di tensione sufficientemente acuta - per la fame, la paura, lo scatenamento degli istinti guerreschi, o persino per un freddo delirio intellettuale - l'uomo moderno che conosciamo cosi' bene commettera' gli atti piu' terribili, e la sua donna lo spalleggera'", pp. 104-105 (vd. pure nn. 26, 28, p. 218, che si rifanno a "Thoughts and Adventures, del Molto Onorevole Winston Churchill"). 19. V. Woolf, Le tre ghinee, cit., p. 99. 20. Ibidem, pp. 107, 109. 21. Di fatto la guerra - ma gia' l'egoismo, il sordido arrivismo, la sopraffazione - vanno di conserva con la "prostituzione della cultura, la schiavitu' del pensiero": ovvero con la perdita del - viceversa irrinunciabile - "granello di verita'", ibidem, pp. 131, 133. Essenziale dunque, per Woolf, e' "spezzare il cerchio, il circolo vizioso, il girotondo ipnotico intorno alla pianta velenosa della prostituzione intellettuale", di maniera che la pseudo-cultura - ossia "quel groviglio amorfo, fasciato d'insincerita', che emette mezze verita' da pavide labbra, che addolcisce o diluisce il suo messaggio con qualunque zucchero o acqua serva a gonfiare la fama dello scrittore o il borsellino del suo padrone" (pp. 135-136) possa (ri)acquistare liberta' - e dunque degna forma. 22. Ibidem, pp. 113-114. 23. Ibidem, p. 117. 24. Da una e-mail in data 24 dicembre 2002. 25. V. Woolf, Le tre ghinee, cit., pp. 57, 65. 2. RIFLESSIONE. PATRIZIA PASINI: PENSIERO DELLE DONNE E NONVIOLENZA [Ringraziamo Patrizia Pasini (per contatti: pasinipatrizia at libero.it) per questo intervento. Suor Patrizia Pasini, missionaria delle Consolata, fa parte di una rete a livello nazionale e internazionale di un programma di riflessione e di laboratori sulla gestione costruttiva della conflittualita' e delle differenze; e' da sempre impegnata in molte rilevanti iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza] Da anni conduco e coordino un laboratorio sulla gestione costruttiva della conflittualita' e delle differenze. Condurre un laboratorio vuol dire pensare, riflettere, confrontarsi, lasciarsi mettere in discussione, cambiare, scoprire sempre modi nuovi per stimolare il costruttivo e il positivo dentro la persona umana. Negli ultimi due anni ho portato il mio laboratorio nel carcere femminile di Rebibbia e qui ho scoperto che attingere, rivisitare, rimettersi in contatto con la genuina profondita' dell'essere donna svela ricchezze e possibilita' di cui molte di queste persone detenute non hanno potuto fare l'esperienza. Con il laboratorio, per la prima volta hanno l'opportunita' di entrare in contatto con il meglio di se'. Ogni donna che pensa, riflette, contempla, crea, ama, agisce, attinge dal suo originale genio femminile, quando questo non sia stato deviato o oppresso da modelli intellettuali, culturali, religiosi maschili. Infatti l'equilibrio, l'armonia e la forza della sua persona la donna li esprime agendo attraverso la sua originalita' e unicita' femminile. Nel mio lavoro e nella mia esperienza ho capito e scoperto "L'essere donna ": corpo, intelletto, intelligenza, sentimenti, sono creati e predisposti per generare vita, speranza, arte, novita', comprensione, collaborazione, riconciliazione e mediazione; e nulla nella sfera culturale, scientifica, politica o economica e sociale le e' estraneo. La donna in tutti questi ambiti puo' dare un grande e specifico contributo solo se riuscira' e le sara' concesso di muoversi dentro lo spazio del suo genio femminile. Attraverso la mia riflessione, il mio lavoro e la mia esperienza ho capito che la donna, se vuole, dal suo patrimonio spirituale, esistenziale, umano, contemplativo, puo' far scaturire la capacita', e la forza positiva di comprendere il dolore, il male, la cattiveria, le ingiustizie, la depressione, la negativita', i problemi dell'altro e stimolarlo, aiutarlo a creare risposte costruttive e non distruttive, positive e nonviolente al disagio del vivere umano. In due anni di servizio tra le donne carcerate sono stata testimone di persone che hanno fatto scelte coraggiose, riprendendo in mano la propria vita attingendo da dentro di se' la forza e il coraggio di ritrovarsi e riconciliarsi con se stesse e a piccoli passi anche con tutto il resto, cercando di rispondere in modo costruttivo e nonviolento ai disagi, privazioni, solitudini, sensi di colpa, e anche vere ingiustizie che accompagnano la vita in carcere. Ogni donna sente un anelito profondo alla liberta', all'autonomia, forse perche' troppo spesso siamo state sottomesse, usate, sfruttate da un sistema di societa', politica, economia e religione a pensiero unico maschilista. Oggi molte di noi hanno potuto godere della vera liberta' che prima di tutto e' interiore e richiede un sano e positivo concetto di se'. Ma poi e' anche poter decidere, scegliere, prendersi del tempo per se'. Godere della vita, del bello, dell'arte, della musica, dell'amicizia. Le persone carcerate che fanno il mio percorso di laboratorio si allenano a trovare questa liberta' interiore ed esteriore in carcere. Io continuo a ripetere loro un mantra: "E' qui che dobbiamo fare l'esperienza di essere donne libere. Ogni volta che al male, al negativo, al violento scegliamo di rispondere in modo alternativo, nuovo, costruttivo, nonviolento, noi siamo donne libere". Ogni settimana durante i colloqui personali che ho con loro, mi sorprendono e mi commuovono per il modo con cui seriamente e costruttivamente fanno questi percorsi. Ho lavorato per parecchi anni e con passione, per la mia congregazione nella commissione giustizia e pace, ho studiato, approfondito, partecipato a tanti incontri nazionali ed internazionali, ho visitato molti paesi dell'Africa e dell'America latina, ho toccato il male, la poverta', la fame, lo sfruttamento. Ho capito i sistemi perversi del profitto sempre prima di tutto e a qualunque costo. Ho ascoltato le promesse quasi mai adempiute dei grandi, dei vari G8 per risolvere il problema della fame, dello sfruttamento, del debito dei paesi impoveriti e mi sono sempre sentita offesa da tutte le bugie interessate dette a questo riguardo. La mia idea e' che una maggiore partecipazione delle donne alla gestione della politica, dell'economia, della ricerca, e della Chiesa realizzerebbe maggiore equilibrio ed equita' nella struttura politica, sociale, economica ed ecclesiale per il bene comune. 3. RIFLESSIONE. BEPPE PAVAN: NONVIOLENZA FEMMINILE PLURALE [Ringraziamo Beppe Pavan (per contatti: carlaebeppe at libero.it) per questo intervento scritto su richiesta della redazione in occasione del prossimo centesimo numero di "Nonviolenza. Femminile plurale". Beppe Pavan e' impegnato nella bellissima esperienza nonviolenta della comunita' di base e del "gruppo uomini" di Pinerolo (preziosa esperienza di un gruppo di uomini messisi all'ascolto del femminismo con quella virtu' dell'"attenzione" di cui ci parlava Simone Weil), ed in tante altre esperienze di pace, di nonviolenza, di solidarieta'] Per il numero 100 di "Nonviolenza. Femminile plurale" mi viene spontaneo dire qualcosa sul "maschile plurale". Riconoscendo che la nonviolenza di la' nasce: dal pensiero della differenza e dalla pratica della convivialita' delle differenze. Le donne del femminismo hanno dissodato e messo al mondo, in particolare, il pensiero della "differenza sessuale", che sostiene e alimenta il cambiamento che nasce dalla consapevolezza delle parzialita'. Il simbolico patriarcale e' maschile, ma un maschile che non e' sessuato, bensi' neutro universale. Si esprime con linguaggio, immaginari, norme che valgono per "gli uomini", intendendo con questo termine tutta l'umanita', sia dell'orbe sia di ogni urbe. In questo maschile universale le donne sono invisibili. Sono le donne del femminismo che hanno preso coscienza per prime di questa loro invisibilita' e mancanza di senso. Affermando la loro esistenza sessuata al femminile, individuale e di genere, si sono liberate dell'invisibilita', intanto tra di loro. Facendo cio' hanno offerto anche a noi uomini la possibilita' di prendere consapevolezza di se', cioe' della nostra parzialita', individuale (non universale) e di genere (non neutra), rendendola visibile a noi stessi, aiutandoci a liberarci dall'invisibilita' veicolata dallo stereotipo "gli uomini sono cosi' e non possono cambiare". Dalla consapevolezza della propria parzialita' deriva la pratica del partire da se': ogni uomo, prendendo la parola per immaginare, leggere, dire di se' e del mondo, non puo' piu' parlare con simbolico universale, ma deve consapevolmente esprimere un punto di vista solo suo, individuale e sessuato. Sapendo che ogni uomo e' differente da ogni altro e che questa differenza, nei confronti delle donne, e' irriducibile: mai un uomo potra' "rappresentare" una donna ne' il genere femminile, le loro vite e i loro bisogni-desideri, ne' nella vita quotidiana ne' nelle istituzioni. E viceversa. La loro relazione deve essere fatta di parole, verbali e non, sincere e l'altro/a deve ascoltarle e crederle, astenendosi dal giudicarle con giudizi di valore, perche' sono reciprocamente irriducibili. Per rendersi comprensibili a vicenda devono dirsi, non solo ascoltarsi. Ma questa differenza e' dispari, asimmetrica, perche' le donne si liberano da una condizione di millenaria sottomissione e, liberandosi, aiutano anche gli uomini a compiere analogo cammino per se'. Il compito che le donne si assumono e', in questa prospettiva, decisivo e "unico", anche a vantaggio degli uomini. I quali, prendendo consapevolezza della propria parzialita', grazie alle donne, cominciano un cammino di liberazione per se'. Perche' il giogo patriarcale e' pesante anche per gli uomini, nonostante i dividendi che ne godono. Di qui deriva il necessario riconoscimento e la conseguente riconoscenza, da parte degli uomini consapevoli, nei confronti delle donne. Che danno loro, in questo modo, vita e parola: vita, rimettendoli al mondo sulla strada che porta alla felicita'; parola, perche' danno loro la possibilita' di leggere e dire se stessi e il mondo in modo radicalmente nuovo, con parole materne, le parole delle madri simboliche che sono le donne che li hanno rimessi al mondo. Mia madre mi ha dato vita e parole; mia moglie e le donne del femminismo mi hanno rimesso al mondo, dandomi nuova vita e nuove parole; e io, sottraendo consapevolmente il mio consenso alla cultura e alle pratiche del patriarcato, collaboro faticosamente e con gioia, con le donne del femminismo e con gli uomini in cammino, a rimettere al mondo l'intero mondo. Grazie alla mediazione maschile, che ci permette di seminare in altri luoghi di uomini il desiderio e l'invito a fare altrettanto. 4. RIFLESSIONE. MARIA CHIARA TROPEA: FARE POLITICA CON IL CUORE. IL POTERE E LE DONNE [Ringraziamo Maria Chiara Tropea (per contatti: alvise_mchiara at alice.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento pubblicato nel mensile "Da leggere" nel gennaio 2007. Maria Chiara Tropea, docente e saggista, e' una delle figura piu' note e apprezzate dei movimenti nonviolenti in Italia; insieme al marito Alvise Alba sono impegnati nel Movimento Nonviolento e nel Movimento Internazionale della Riconciliazione, ed in varie altre esperienze di pace e di solidarieta'; assicurano un importante servizio di segretariato, informazione, formazione e collegamento tra persone amiche della nonviolenza. Tra le opere di Maria Chiara Tropea: con Angela Dogliotti Marasso, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro. Un gioco di ruolo per capire il conflitto israelo-palestinese, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003] Recentemente ha suscitato un certo interesse nei media la vittoria di Segolene Royal alle primarie del partito socialista in Francia. Sara' la candidata della sinistra all'Eliseo e se vincera' (speriamo!) la Francia avra' la sua prima donna presidente. La novita' sta forse nel fatto che la Francia e' un paese latino, perche' eravamo gia' da tempo abituati alle "donne ai vertici" nei paesi nordici; e non fa piu' notizia una Segretaria di Stato negli Usa... benche' sia la Albright che la Rice abbiano fatto rimpiangere qualche Segretario di Stato al maschile. Percio', anche per Segolene... non basta che sia donna: bisogna che sappia giocare in termini politici la sua differenza. Dalle donne in politica e al potere io spero una politica diversa e un diverso rapporto con il potere: spero piu' relazionalita' e meno competitivita', piu' capacita' di gestire i conflitti in modo non distruttivo, meno fiducia nelle armi... e tutta la determinazione che occorre per lasciar spazio ai sentimenti e alle emozioni, in un mondo dominato da rapporti di forza e da calcoli economici e di potere. "Una donna fa politica con il cuore" ha detto Michelle Bachelet, la nuova "presidenta" del Cile, in un'intervista rilasciata a Giuliana Sgrena, il 10 agosto scorso. Michelle Bachelet ha provato la prigionia e la tortura al tempo di Pinochet e nella scorsa primavera ha vinto le elezioni presidenziali in Cile. Vuole "far politica con il cuore"; e spiega che questo "non vuol dire non usare la ragione, ma farlo senza abbandonare le emozioni. Le emozioni permettono di registrare il dolore, la ragione fa capire come modificare una situazione". Io coltivo la speranza che davvero - con le donne - entri nella politica la capacita' di "registrare il dolore", perche' gia' troppo e' il dolore che affligge interi popoli, a causa di politiche impazzite di guerra. * Ci sono donne che si impegnano in questo senso - e sono germogli di politica nuova, anche se fragili e sempre a rischio di essere spazzati via. Penso ad esempio a Rigoberta Menchu', che non si e' adagiata negli onori derivanti dal suo Nobel per la pace e che in Guatemala sta lavorando alla formazione di un partito degli indigeni: "fin da bambina mio padre mi ha insegnato a organizzare nella comunita'. E da quando ho avuto il Nobel ho pensato a uno strumento politico che rendesse possibile la partecipazione delle popolazioni indigene al potere" (da un'intervista rilasciata a Gianni Beretta il 18 agosto 2006). Rigoberta e' impegnata con l'attuale governo del Guatemala nell'applicazione degli accordi di pace nel suo paese, dove pero' i responsabili del terrorismo di stato degli anni passati sono ancora molto influenti: la sua vita e' a rischio. E penso a Malalaj Joya, deputata del parlamento afgano: cresciuta da bambina in campi profughi in Iran e in Pakistan; poi vissuta in Afghanistan sotto il regime dei talebani. Dopo la loro caduta ha lavorato in organizzazioni per la promozione delle donne, nel campo dell'istruzione, della sanita' e del lavoro. Eletta in parlamento nel settembre 2005, non smette di lottare contro il ritorno dei "signori della guerra e della droga", alcuni dei quali eletti nello stesso parlamento. Per questo e' sempre a rischio di morte ed e' gia' sfuggita a quattro tentativi di assassinio. Il 7 maggio del 2006 e' stata attaccata con insulti e percosse proprio durante un suo intervento in parlamento. Penso alle deputate e leader politiche israeliane e palestinesi che insieme hanno costituito una "Commissione Internazionale delle donne per una pace giusta e sostenibile in Palestina e Israele", con l'obiettivo di rivolgersi unitariamente alle istituzioni internazionali e formulare proposte per la soluzione del conflitto. Penso anche alle tante donne che, pur non facendo politica nelle istituzioni, mettono in atto comportamenti tali da influire alla lunga anche sulle scelte dei governi: ad esempio la "Brigata delle nonnine per la pace", donne tra i 60 e i 90 anni, che sono state arrestate a New York per aver volutamente intasato un ufficio per il reclutamento di militari; lo avevano fatto per "risvegliare l'apatia del pubblico nei confronti dell'immoralita', illegalita' e distruttivita' della guerra in Iraq", come ha detto il loro avvocato. Sono state processate (e assolte) lo scorso aprile. E come non ricordare le donne di Gaza che il 3 novembre si sono mosse in corteo per bloccare la demolizione di una moschea, nella quale avevano cercato rifugio i loro figli e mariti. Due di loro sono state uccise, ma la demolizione e' stata fermata e sull'onda del loro esempio ha ripreso vigore, nelle settimane successive, la resistenza civile non armata, con decine di persone sui tetti delle case a tentare di impedire con la loro presenza i bombardamenti israeliani: un comportamento che voleva far appello alla coscienza dei militari e dei governanti, ma che purtroppo e' rimasto isolato e inascoltato. E ci sono le donne del giornalismo politico. Non quelle che intervistano i nostri imbellettati onorevoli nei salotti televisivi, ma quelle che cercano e dicono le verita' scomode. Anna Politkovskaja era una di loro: ha fatto il suo lavoro con coerenza e determinazione, e "con il cuore", cioe' lasciandosi toccare dalla sofferenza che vedeva. Ha fatto conoscere ai suoi concittadini russi e al resto del mondo i misfatti dell'esercito russo e del governo fantoccio in Cecenia; un po' come sta facendo in Israele Amira Hass, che scrive sui giornali israeliani delle sofferenze e delle ingiustizie che incontra nei territori palestinesi occupati. Anna Politkovskaja ha raccontato ai russi le sofferenze dei ceceni; e' stata disponibile a fare da mediatrice durante l'assedio del teatro Dubrovka a Mosca nel 2002; ha ricevuto premi da Amnesty e dall'Osce per il suo giornalismo in favore dei diritti umani; nel 2004 l'hanno avvelenata per impedirle di volare a Beslan, a vedere e raccontare la verita' sulla tragica vicenda dei bambini tenuti prigionieri nella loro scuola; ha continuato a raccontare... e il 7 ottobre scorso e' stata uccisa sulla porta di casa sua. Uccisa dai potenti che non sopportano la verita'. * "... Io credo che le donne abbiano il fiato della Terra sul palmo delle loro mani. Al mondo siamo il 53%, e siamo davvero pervase di energia. Non restiamo sull'assicella: e' tempo di compiere il balzo" (da un intervento di Helen Caldicott, una pediatra australiana, attivista antinucleare, pubblicato sul quotidiano britannico "The Independent" il 12 novembre 2006). ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 109 del 29 aprile 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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