[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Nonviolenza. Femminile plurale. 98
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 98
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 19 Apr 2007 12:53:26 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 98 del 19 aprile 2007 In questo numero: 1. Cindy Sheehan: La vittima numero 3.291 2. Adriana Cavarero: L'introduzione di "Orrorismo, ovvero della violenza sull'inerme" 3. Glory Mushinge: Far camminare le parole 4. Giovanna Providenti: La pace che viene dal basso 5. Casa internazionale delle donne e Unione donne in Italia: 50 e 50, il paese che ci sara' (2006) 1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: LA VITTIMA NUMERO 3.291 [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books; in italiano e' disponibile: Mamma pace. Contro la guerra, per i nostri figli, Sperling & Kupfer, Milano 2006] Oggi ho incontrato la zia del Numero 3.291. Ero nel sedile 11E e uno steward mi ha passato un biglietto proveniente dalla donna seduta nel 33C: "Mio nipote e' stato ucciso ieri in Iraq. Mi piacerebbe parlarle". Cinture o no, sono tornata indietro verso il fondo dell'aeroplano. Ci siamo abbracciate e lei ha detto: "Cosa posso fare? Mio cognato era nell'esercito, e all'inizio era favorevole alla guerra. Ieri ha costruito un cartello con una fotografia di suo figlio e ci ha scritto: ucciso da George Bush". Ogni giorno prego l'universo di dare sostegno alle famiglie, come prego per i nostri soldati uccisi, per gli iracheni che vengono assassinati senza ragione, e per le loro famiglie. Non mi capita spesso di incontrare cosi' tempestivamente la gente per cui prego. Quattro dei nostri soldati sono stati uccisi ieri nell'escalation del conflitto in Iraq voluto da Re George. Dieci sono morti durante il fine settimana di Pasqua, mentre George si nascondeva nel suo ranch a Crawford. George Bush e la sua gang sanguinaria di criminali di guerra hanno causato cosi' tanta sofferenza fisica e morale al mondo e riescono a non batterci ciglio. La zia del Numero 3.291 mi ha raccontato di come ha sentito la sorella urlare per la morte del figlio all'altro capo del telefono. La famiglia del Numero 3.291 sta cominciando a capire i veri significati delle parole "cuore spezzato" e "tradimento". Il Numero 3.291 aveva un nome, Brian. Le sole cose che so per certe e' che Brian era nell'esercito, che probabilmente e' saltato in aria su un ordigno piazzato in strada, e che aveva una zia di nome Sheryl, che gli voleva molto bene. La famiglia di Brian vive nella Carolina del nord, ed e' la' che il suo corpo sara' restituito, sotto la copertura delle tenebre che devono velare la vergogna del regime Bush. Brian non sara' mai un numero per la sua famiglia o per i suoi amici. Per i pochi in questo paese che ancora, incredibilmente, sostengono questo orrore e questa guerra, il sacrificio di Brian sara' rubricato sotto frasi del tipo: "La liberta' non e' gratuita" o "Era andato volontario". Per il movimento antiguerra, Brian verra' commemorato con una veglia e candele quando il quattromillesimo soldato verra' ucciso in Iraq. Per l'uomo seduto accanto a me, nel sedile 11D, Brian non e' mai esistito, perche' costui non ha opinioni sull'occupazione, non ha "tempo per preoccuparsene". Ma credetemi, preoccuparsi e' quanto la mamma di Brian ha fatto per tutto il tempo che lui ha passato in Iraq, e ci sono 160.000 madri che restano sveglie la notte a preoccuparsi per i loro figli, e ci sono le madri irachene che non sanno mai se l'ultimo "ti voglio bene" che hanno detto al loro figlio e' davvero l'ultimo, per sempre. Per me, la morte di Brian rappresenta un fallimento. Ho lottato con tutta la mia energia, tutte le mie risorse, per assicurarmi che la mamma di Brian non dovesse cadere sul pavimento ad urlare la sua agonia, o che zia Sheryl non dovesse intraprendere il triste viaggio attraverso il paese per partecipare al suo funerale. Ogni morte dopo quella di Casey mi ha colpito con un nuovo assalto di sofferenza. Come possono le mie ferite guarire, quando cosi' tante altre ferite vengono aperte ogni giorno, in tre nazioni devastate dalla dottrina di Bush che infligge incommensurabili danni, con la sua guerra per il profitto mascherata da guerra al terrorismo? * Il movimento antiguerra sta fallendo in molti campi. Innanzitutto ci sono troppi apatici in questo paese, come l'uomo seduto accanto a me. Si puo' restare seduti nell'indifferenza, di fronte a tante morti, a tanta distruzione? Persino le persone ancora confuse che sostengono la guerra hanno un'opinione. Il movimento antiguerra sta anche fallendo per la scarsa capacita' di influenzare i politici. Quando gruppi etichettati come "la sinistra antiguerra" sono stati ascoltati dai leader del Congresso, e costoro hanno usato la cosa per costringere deputati teoricamente contrari alla guerra a votare un decreto che estendera' la presenza delle nostre truppe in Iraq a tempo indefinito, significa che non si e' stati efficaci nel trasmettere il proprio messaggio. Un altro scopo che il movimento dovrebbe avere e' quello di muovere la stragrande maggioranza degli statunitensi, contrari all'occupazione, dalle loro poltrone alle strade. I nostri governanti sono oscenamente sdraiati sulla macchina della guerra, ci si riempiono le tasche e ci si trovano tremendamente bene. Solo una rivolta elettorale di massa potrebbe svuotare le tasche dei profittatori di guerra e costringere i nostri rappresentanti eletti a rappresentare noi, non i ricchi. La famiglia di Brian, la mia famiglia, 3.293 altre famiglie, le famiglie dei militari che sono emotivamente e finanziariamente sconvolte dai continui invii in Iraq, stanno sacrificando troppo sull'altare dell'avidita'. Il popolo iracheno, che l'aiuto di Bush non l'ha mai chiesto, sta sacrificando sul suo orribile altare imperiale. Il resto della nostra nazione non sta facendo gli stessi sacrifici. Io sto lavorando perche' non dobbiate farli. Ma se noi, come nazione, vogliamo metter fine alla farsa di falso patriottismo che giustifica le guerre per il profitto e l'impero, dobbiamo sacrificare qualcosa, sino a sentirne il dolore. In questo atto di pulizia verra' una redenzione, perche' potremo assicurarci che tutti i bambini al mondo siano al sicuro e non vulnerati. Se non lavoriamo per mettere fine alla stretta della violenza che ci strangola, allora ci meritiamo quel che abbiamo. Il nostro movimento deve proprio muoversi, verso la pace, a tutti i costi. 2. RIFLESSIONE. ADRIANA CAVARERO: L'INTRODUZIONE DI "ORRORISMO, OVVERO DELLA VIOLENZA SULL'INERME" [Dal sito www.feltrinelli.it riprendiamo il testo dell'introduzione del libro di Adriana Cavarero, Orrorismo, ovvero della violenza sull'inerme, Feltrinelli, Milano 2007, ivi alle pp. 7-9. Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all’Università di Verona; dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato dal Center for Digital Discourse and Culture at Virginia Tech University (www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume [che abbiamo parzialmente aggiornato]: a) libri: Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984; L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento 1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990 (traduzione tedesca: Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei, Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997; Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999; A piu' voci. Filosofia dell'espressione vocale, Feltrinelli, Milano 2003; Orrorismo, Feltrinelli, Milano 2007. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980, pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp. 705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp. 173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991); "Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica, Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111; "Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp. 187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita, a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B. Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp. 15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994, pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp. 15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia Stoller und Helmuth Vetter, Wuv-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226; "Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino 1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225] Scene di un massacro Baghdad, 12 luglio 2005. Un pilota suicida fa esplodere la sua auto in mezzo alla folla, uccidendo ventisei cittadini iracheni e un soldato americano. Fra le vittime della carneficina - corpi smembrati, arti sanguinanti, mani mozzate - il maggior numero sono bambini ai quali gli americani stavano distribuendo caramelle. Li avranno voluti punire per servilismo nei confronti delle truppe occupanti? Avranno pensato che l'uso della violenza e' tanto piu' efficace quando non ha remore a massacrare i bambini? Si evince, dai vari proclami, che i massacratori di questo tipo danno a se stessi i nomi gloriosi di martire e combattente. La lingua dell'Occidente tende invece a chiamarli terroristi. Sebbene opposte, ambedue le denominazioni implicano che il massacro faccia parte di una strategia ovvero sia semplicemente il mezzo per uno scopo piu' alto. Se si osserva la scena del massacro dal punto di vista delle vittime inermi invece che da quello dei guerrieri, il quadro tuttavia cambia: lo scopo si dilegua e il mezzo diventa sostanza. Piu' che il terrore, cio' che risalta e' l'orrore. Makr Al-Deeb, 19 maggio 2004. In un villaggio iracheno, nei pressi del confine con la Siria, missili lanciati dalle forze americane si abbattono sui partecipanti a una festa di matrimonio. Fra le quarantacinque vittime ci sono donne e bambini, nonche' alcuni musicisti che stavano allietando la cerimonia. Data la potenza esplosiva, la carneficina e' impressionante. Circola la tesi che dei terroristi si nascondessero nel gruppo, ma viene presto smentita e abbandonata. In guerra, ammettono i massacratori, capita di sbagliare. Il linguaggio bellico chiama questi sbagli "danni collaterali" e, pur esecrandoli, li considera incidenti inevitabili. Notevole per ampiezza, la categoria di "danno collaterale" si estende, oggi, a pressoche' tutte le vittime civili che, nel computo generale dei morti, superano ormai il novanta per cento. Se si osserva la scena del massacro dal punto di vista delle vittime inermi invece che da quella dei guerrieri, il quadro tuttavia, anche in questo caso, cambia: dilegua la finzione retorica del "danno collaterale" e la strage si fa sostanza. Piu' che la guerra, cio' che risalta e' l'orrore. * Nomi Mentre la violenza dilaga e assume forme inaudite, c'e' nella lingua contemporanea una difficolta' a darle nomi plausibili. Soprattutto dopo l'11 settembre 2001, le procedure di nominazione, che forniscono cornici interpretative agli eventi e orientano l'opinione pubblica, sono parte integrante del conflitto. Certo e' che terrorismo e guerra evocano vecchi concetti e, piu' che aggiornarli, li confondono. Nel discorso politico e in quello dei media, terrorismo e' oggi un vocabolo tanto onnipresente quanto vago e ambiguo, il cui significato si da' per scontato al fine di evitarne una definizione. Da parte loro, pur impegnandosi in ampie classificazioni, gli studi specialistici, benche' talvolta disposti ad aggiornarlo col termine "iperterrorismo", ammettono che e' ormai impossibile definirlo. Un problema non dissimile riguarda il sostantivo guerra e la costellazione lessicale di cui e' il centro. Fatta salva la bizzarria terminologica di un ossimoro come quello di "guerra umanitaria", la nozione di "guerra preventiva" desta giuste obiezioni, e l'espressione war on terror va addirittura a smentire un lessico politico della modernita' che riserva notoriamente ai soli Stati la categoria di nemico. Equivoca e incerta, la situazione e' linguisticamente caotica. Nomi e concetti, e la realta' materiale che vorrebbero designare, mancano di coerenza. Mentre in forme sempre piu' efferate la violenza sull'inerme si fa globale, la lingua si mostra incapace a rinnovarsi per nominarla e tende, anzi, a mascherarla. I nomi non cambiano, ovviamente, la sostanza di un'epoca che e' giunta a scrivere il capitolo piu' ampio e anomalo, se non piu' ripugnante, nell'umana storia della distruzione. Ne' la cruda realta' di corpi dilaniati, smembrati e bruciati, puo' affidare il suo senso alla lingua in generale o a un sostantivo particolare. A ben vedere, un suo vocabolario specifico la violenza sugli inermi tuttavia ce l'ha ed e', non solo alla tradizione occidentale, noto da millenni. Inaugurato dalla biblica strage degli innocenti e passato per varie vicende che includono l'aberrazione di Auschwitz, esso nomina l'orrore piuttosto che la guerra o il terrore, e parla di crimine prima ancora che di strategia o di politica. Non che, per la guerra o il terrore, l'orrore sia una scena del tutto sconosciuta. Anzi. Tale scena ha pero' un suo senso specifico del quale le procedure di nominazione, affrancandosi dal loro assoggettamento al potere, dovrebbero finalmente rendere conto. Spingendosi a coniare un nuovo vocabolo, questa scena la si potrebbe cosi' chiamare orrorista o, forse, per economia o omaggio alle assonanze, si potrebbe parlare di orrorismo. Quasi che fossero tutte le vittime inermi, invece che i loro massacratori, a deciderne idealmente il nome. Un neologismo e' sempre un azzardo e, quando sia coniato a tavolino, lo e' ancor di piu'. Un'epoca in cui la violenza colpisce soprattutto, se non esclusivamente, gli inermi, senza trovare le parole per dirlo e confondendo vecchi concetti, spinge pero' all'innovazione linguistica. Una certa novita', a cominciare dal sesso, riguarda del resto anche i massacratori odierni. Di donne trasformate in bombe umane e di torturatrici in divisa, nel passato, esistono poche tracce. Cio' non toglie che proprio una donna, l'agghiacciante Medusa, sia da sempre il volto mitico dell'orrore. E insieme a lei, icona di un crimine sull'inerme che ancor piu' ripugna, l'infanticida Medea. 3. RIFLESSIONE. GLORY MUSHINGE: FAR CAMMINARE LE PAROLE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo. Glory Mushinge e' corrispondente dalla Zambia per "The Women's International Perspective"] L'Africa ha di recente ospitato il World social forum, che e' stato tenuto a Nairobi, in Kenya, dal 20 al 25 gennaio 2007. Come al solito, la preparazione di questo evento ha portato con se' molto entusiasmo, e molto denaro e' stato speso per farlo riuscire bene. Tuttavia, quali che fossero le aspettative, non si e' rivelato differente dai passati Social forum. Abbiamo udito le stesse parole incantevoli e le stesse opinioni su differenti istanze, tali e quali le avevamo udite in passato. Erano le medesime persone a parlare, e a fare discorsi del tutto simili ai precedenti, e di nuovo c'erano solo coloro che le presentavano al pubblico. Ma e' questo tutto cio' che vogliono i partecipanti al Forum? Invocano cambiamenti, l'abolizione di determinati programmi ingiusti od oppressivi per l'umanita', ma non hanno mai una strategia da proporre affinche' ai loro appelli segua qualcosa. Gli anni passano, e un Social forum dietro l'altro ha discusso i problemi della societa'. Cosa viene, adesso? I Social forum sono delle buone iniziative, specialmente perche' sono aperti a molte persone dai diversi retroterra, e senza distinzione di status o di classe, e sono anche luoghi dove sentirsi liberi di esprimersi e di parlare delle questioni che interessano la societa', ma quello che io ho visto e' che la maggior parte della gente ci viene per sentirsi parte dell'incantesimo, e non ha granche' da offrire per la risoluzione dei problemi. Alla fine di una giornata al Social forum sembra che ci sia stata una sorta di spettacolo per fornire divertimento a un po' di gente annoiata. Ho visto persone accreditate, spesate per venire al Forum, dare un'occhiata alle sale e poi andarsene a spasso per la citta', come turisti qualsiasi: gli e' stata semplicemente data un'opportunita' gratuita per fare un bel viaggio. Un esempio della faccenda e' l'Economic Partnership Agreement (Epa), che i movimenti presenti al Forum criticano come non buono per i paesi del sud del mondo. Il Social forum ha chiesto la sua abolizione e chi invece lo sostiene ha risposto: "Si', siamo disponibili ad ascoltarvi e persino, in caso, ad abolire il programma, ma qual e' l'alternativa che avete in mente?". Questa e' una domanda seria. Quando ci si oppone a qualcosa, si dovrebbe avere una proposta che contribuisca a creare una soluzione. Ma tutto quello che noi africani abbiamo sentito sono stati slogan contro l'Epa e proposte zero. Se i movimenti sociali che formano la maggioranza a questi Forum hanno intenzione di essere presi sul serio dai potenti in carica, dovrebbero cominciare a progettare soluzioni per i problemi che denunciano e fare un passo ulteriore nell'impegnarsi a discutere con i decisori economici e politici, e in questo modo i loro messaggi potranno arrivare alle orecchie giuste, e magari anche ottenere dei risultati. Potremmo parlarne, e riuscire a proporre qualcosa? Potremmo cominciare a far camminare le parole? 4. INCONTRI. GIOVANNA PROVIDENTI: LA PACE CHE VIENE DAL BASSO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente intervento. Giovanna Providenti (per contatti: g.providenti at uniroma3.it) e' ricercatrice nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due figli. Partecipa al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il volume La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha", Firenze-Pisa 2006; ha pubblicato numerosi saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004; Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione. Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005; L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori] C'e' una barzelletta che in terra di Palestina tutti conoscono, sia ebrei che arabi. Ce l'ha raccontata Shafiq Masalha all'inizio del suo intervento all'incontro tenutosi a Roma il 20 febbraio 2007 dal titolo "Semi di pace. Israeliani e palestinesi insieme in Italia per un dialogo dal basso". Shafiq Masalha e' uno psicoterapeuta, esperto in traumi di guerra su minori, e da anni lavora sui traumi causati dalla guerra israelo-palestinese aiutando entrambe le parti vittime del conflitto. La storiella spiritosa e' questa: l'arcangelo Gabriele va da un uomo che abita a Gerusalemme e lo invita ad esprimere un desiderio. L'uomo gli risponde chiedendogli di risolvere il conflitto arabo-israeliano. Ma l'arcangelo: "Oh no, questo e' davvero troppo difficile, per favore chiedimi qualcos'altro". L'uomo ci pensa un po' e poi dice: "allora voglio che tu faccia diventare mia moglie obbediente". E Gabriele: "dammi una cartina del Medio Oriente vediamo quello che riesco a fare...". Al di la' del solito misoginismo e linguaggio sessista, del resto riscontrabile in moltissime facezie popolari, questa barzelletta manda piu' messaggi e a vari livelli. Innanzitutto sta comunicando a chi vive in Palestina che, nonostante il conflitto che stanno vivendo sia un problema molto grosso e quasi irrisolvibile, esistono problemi piu' grossi, che possono toccare chiunque. A parte lo scopo consolatorio, una tale "verita'" aiuta ad uscire dalla gabbia della propria tragedia, del proprio confine di guerra. Ma la barzelletta accostando una contesa tra popoli al conflitto privatissimo tra moglie e marito, considerando quest'ultimo il piu' complesso tra i due, ha anche la funzione di svelare altre "verita'" normalmente celate. Ci dice che nella relazione privata tra uomo e donna esistono dei conflitti talmente abnormi che persino l'arcangelo Gabriele si rifiuta di provare a gestirli o mediarli, e anche svela che se non si riesce a risolvere i conflitti relazionali intimi, si possono studiare mappe "del Medio Oriente" per provare a risolvere conflitti tra popoli o tra Stati. Ma soprattutto: c'e' uno strettissimo legame tra guerre "pubbliche" e contese private. C'e' una strettissima connessione tra la modalita' usata da ciascuno di noi per gestire i nostri conflitti privati e la possibilita' di trovare modalita' alternative alla guerra. Per lo piu' i conflitti, sia privati che pubblici, non sono gestiti, bensi' assecondati, tollerati o subiti: si innalzano muri (o mariti e mogli, ex o meno, che non dialogano piu') squarciando in due il comune territorio da curare; si tende a negare il conflitto dando piu' ragione-valore a una delle due parti, negando la ragione-dolore dell'altra. L'alternativa a questo tipo di non-gestione ci sarebbe: vivere diversamente (separatamente se necessario) ma in pace, rispettando l'uno la vita dell'altro pur popolando, e curando, lo stesso "territorio" sia esso materiale o affettivo. A questo proposito e' interessante rilevare che uno scrittore israeliano della statura di Amos Oz ha recentemente chiesto a noi europei di astenerci dal parteggiare e di iniziare a prendere una chiara posizione a favore di un concreto processo di pace cui gli abitanti di quella terra, ebrei-musulmani-arabi-cristiani-atei, anelano piu' di ogni altra cosa. * Un esempio di concreto processo di pace esiste gia'. Anche se puo' sembrare incredibile a noi ubriacati dalle notizie solo negative tra giornalieri attacchi dell'esercito e attentati kamikaze e trattative fallite. Esiste nel quotidiano di piccole azioni di pace sperimentate da uomini e donne: ci sono arabi ed ebrei che insieme curano il loro comune territorio, formando scuole bilingui e biculturali (come la scuola Galil a Gerusalemme), cercando nuovi sistemi educativi e libri di testo che accolgano le esigenze dell'una e dell'altra cultura, e che comprendano le tre religioni presenti nel territorio. E quando sembra proprio impossibile trovare punti di accordo (ad esempio sulla interpretazione della loro storia dal '48 ad oggi), c'e' sempre la possibilita' di accostare le due versioni. Come succede nei libri di testo delle scuole biculturali di cui lo storico Asher Salah, ci ha raccontato i retroscena: l'idea era scrivere un libro comune della storia della costituzione dello stato ebraico e del conflitto israeliano-paestinese, ma poiche' non si e' trovato accordo su una storia condivisa si e' deciso, in accordo, di stampare un libro a due colonne con uno spazio bianco in mezzo. La scelta della "versione" non e' stata facile, dato che i palestinesi, fino al 2001, hanno studiato su testi giordani e dato che non esiste un programma scolastico unico in Israele, costellato da scuole private di impostazione molto diversa tra loro. Cosi' per la storia israeliana si e' scelta la versione delle scuole pubbliche (la piu' moderata) e per la parte palestinese quella studiata nelle scuole di recente istituzione. Ecco cosa, nella concreta realta', sembra essersi inventato l'arcangelo Gabriele dopo avere invano studiato la mappa del Medio Oriente: costituire sempre piu' gruppi di persone che, a partire dal basso, facciano esperienze comuni per gestire problemi concreti della societa' civile. E questo sia nell'ambito dell'educazione che in quello dell'assistenza, della sanita', del trauma di guerra, del lutto. Amos Oz ha recentemente paragonato i politici ai dottori e la popolazione ai pazienti, ma mentre questi ultimi sono pronti all'intervento di cura, il dottore non ne e' convinto. A me e' sembrato - mentre ascoltavo i racconti degli invitati alla Facolta' valdese di teologia all'incontro del 20 febbraio organizzato del mensile interreligioso "Confronti" - che il paziente non solo sia pronto, ma si stia cercando da solo la cura: altrove dalla "politica seconda" nello spazio della relazione interpersonale della "politica prima". La percentuale presente - tre israeliani e tre palestinesi, di cui uno soltanto dei territori - dimostra che i "pacifisti" arabi sono per lo piu' arabi israeliani che non palestinesi abitanti in Cisgiordania o Gaza, ma si tratta dell'inizio di un processo di pace, e ci dobbiamo accontentare. * Proviamo a vedere qualcun altro di loro piu' da vicino. Sono un uomo e una donna, lui palestinese di Nablus lei israeliana: Ibrahim Halil e Tsurit Sarig non avrebbero nient'altro in comune se non la tragedia di un figlio morto e la scelta forte di aderire all'"Israeli Palestinian Parents Circle", recentemente allargatosi in "Families Forum". Si tratta di un'associazione attiva dal 1994 formata da genitori (allargata a tutti i parenti) di vittime della guerra. Ibrahim e Tzurit raccontando del loro terribile lutto tra rabbia, risentimento, dolore, hanno sottolineato la loro scoperta e determinazione a portare avanti il loro lavoro di pace all'interno del "Parent's Circle". "Il confronto tra vittime delle due parti - ci dicono - genera empatia per tutte le famiglie mutilate, mettendole in contatto reciproco con la loro perdita ed instaurando un processo di riconciliazione". Inoltre Tsurit Sarig, madre di un militare ucciso durante la leva obbligatoria il 27 settembre 1996, ha parlato al registratore di "Noi donne': "Quando mio figlio e' stato ucciso tutta la nostra famiglia ha subito un grande shock, la prima reazione e' stata di grande sconcerto e rabbia, ma poiche' noi siamo persone di pace abbiamo cercato modalita' alternative per investire l'energia del lutto e l'abbiamo trovata nell'attivarci nel Parent's Circle che attraverso la condivisione del dolore e delle storie personali ispira a tutti uno spirito di comprensione e riconciliazione invece che di odio e vendetta". - Quali sono le attivita' della vostra associazione? - Oltre ad incontrarci per condividere il nostro lutto, lavoriamo in due direzioni: spingere il nostro governo al dialogo; andare da piu' gente possibile per aiutarli a intraprendere il lungo cammino di superare rabbia e paura ed essere pronti a vivere in pace. Per questo organizziamo dei gruppi misti (in genere due persone) che vanno a parlare con piu' gente possibile nella loro vita quotidiana. Andiamo nelle scuole, nelle universita', o laddove riusciamo ad organizzare incontri pubblici, e raccontando ai giovani il nostro dolore cerchiamo di persuaderli a smetterla di stare da una sola delle due parti ed a comprendere il valore della riconciliazione, per essere capaci sempre piu' persone e insieme - israeliani e palestinesi - di chiedere ai governanti di stabilire la pace. - Qual e' stata la cosa piu' difficile nell'incontrare le madri della parte avversa? - Innanzitutto la lingua, a volte c'e' come un rifiuto a trovare una lingua comune. Siamo riuscite a parlarci, si', con l'aiuto di una traduttrice, ma soprattutto guardandoci l'un l'altra, toccando l'una il cuore dell'altra, e facendo cose insieme. Probabilmente abbiamo anche un modo diverso di vivere il proprio lutto, ma cio' che cerchiamo di fare nel nostro lavoro e' di pensare non con la pancia ma con la mente guardando al futuro di pace del nostro comune paese. - Qual e' la tua speranza nello svolgere questo lavoro? - La mia speranza e' che le cose del mondo e la politica cambino ascoltando le ragioni di chi parla loro dal basso. Spero che la nostra associazione insieme alle molte altre che, in maniera diversa, sono impegnate per la pace nella nostra regione, riescano a convincere i governanti a sedersi e parlare fino a che non si trova un accordo. * Ecco cosa potrebbe dire ai governanti l'arcangelo Gabriele, al di fuori della facezia: provate a parlarvi reciprocamente in maniera autentica, mettendo sul piatto risentimenti, rabbia, bisogni, paure, dolore, toccandovi l'un l'altro, cosi' come stanno imparando a fare i vostri pazienti abitanti in Palestina. 5. DOCUMENTI. CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE E UNIONE DONNE IN ITALIA: 50 E 50, IL PAESE CHE CI SARA' (2006) [Dal sito della Casa internazionale delle donne (www.casainternazionaledelledonne.org) riprendiamo il seguente documento risalente a un anno fa. Come e' noto e' attualmente in corso la campagna di sensibilizzazione e di promozione della proposta di legge "50 e 50 ovunque si decide" per una presenza paritaria di donne ed uomini nelle istituzioni democratiche (per informazioni, documentazione e contatti si visiti il sito www.50e50.it)] Quello che e' stato minato in questo paese negli ultimi anni e' la condizione stessa della convivenza civile. Stare ai patti e' il principio a fondamento di uno stato. Quando si hanno governanti che dicono tutto ed il contrario di tutto, quando la bugia diventa regola, quando il palesemente falso, purche' detto, si fa verita' attraverso la ripetizione infinita nei media, il disorientamento diventa generale e la legge del "mors tua vita mea" diventa la bandiera di cui ciascuno si fa scudo. Piu' delle leggi ad personam, piu' delle leggi barbare contro le donne, contro i cittadini, contro gli ospiti di questo paese, cio' che e' stato rotto e che avra' piu' difficolta' ad essere costituito e' il patto di solidarieta', di un sentire comune condiviso e rispettoso dell'altra/o e di se'. La tristezza che si respira, la strisciante depressione dovuta alla mancanza di prospettive, e' il segno distintivo di questo paese in declino. Manca l'aria, manca il sorriso tra le persone. E non si risponde a tutto questo mettendosi sullo stesso terreno di confronto dettato da chi ha rotto i patti. Questo paese si rilancia ridando vita alla capacita' di desiderare, immaginare. Non tanto l'immaginazione al potere, quanto il benessere delle persone al centro della politica. Se e' l'esistente, ma un po' piu' largo, quello che si propone, se e' lo status quo con un po' di maquillage, quello che si propone, se e' un mondo non pensato e sentito da giovani e da donne, non si va da nessuna parte. Come si puo' pensare che un'enclave monosessuata e anziana possa fare fronte ai problemi di oggi? Come si puo' pensare che un parlamento, prenominato da pochissimi che hanno il potere autodefinito di farlo, possano essere in grado di far fronte alle necessita' del mondo attuale? Come si puo' realizzare la pace se l'unica capacita' di rappresentazione e' un fondamentalismo nutrito di provincialismo, paura, disprezzo? Come puo' rasserenarsi la convivenza se la religione, lungi dall'essere quel rispettoso sentire intimo, diventa una clava minacciosa brandita contro le donne e la consapevolezza individuale? Come si puo' sostenere la maturazione se tutti, e soprattutto tutte, veniamo considerate bisognose di guida e protezione: senza consapevolezza ed incapaci di responsabilita'? Come si puo' governare l'economia senza un riferimento costante ai bisogni dei cittadini e delle cittadine? Cosa diventa uno stato se cancella gli interventi fondamentali necessari alla garanzia, sicurezza e salute dei cittadini? Le donne hanno deciso di delinearlo questo paese: non come richiesta, non come utopia. Ma per dire e fare: perche' sanno ed hanno deciso di non essere piu' fuori. E' inimmaginabile che si possa ancora andare avanti senza pensiero e politica di donne, e' inimmaginabile configurare il mondo solo dal punto di vista di una meta'. Siamo qui per prenderci la responsabilita' di configurare e lavorare per il paese che sara'. Comunque. A partire anche da noi. * Casa internazionale delle donne (per contatti: cciddonne at tiscali.it) Unione donne in Italia (per contatti: udinazionale at tin.it) ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 98 del 19 aprile 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html e anche alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Minime. 64
- Next by Date: Minime. 65
- Previous by thread: Minime. 64
- Next by thread: Minime. 65
- Indice: