Nonviolenza. Femminile plurale. 98



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 98 del 19 aprile 2007

In questo numero:
1. Cindy Sheehan: La vittima numero 3.291
2. Adriana Cavarero: L'introduzione di "Orrorismo, ovvero della violenza
sull'inerme"
3. Glory Mushinge: Far camminare le parole
4. Giovanna Providenti: La pace che viene dal basso
5. Casa internazionale delle donne e Unione donne in Italia: 50 e 50, il
paese che ci sara' (2006)

1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: LA VITTIMA NUMERO 3.291
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il
successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in
cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli
per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e
alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One
Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books; in italiano e'
disponibile: Mamma pace. Contro la guerra, per i nostri figli, Sperling &
Kupfer, Milano 2006]

Oggi ho incontrato la zia del Numero 3.291. Ero nel sedile 11E e uno steward
mi ha passato un biglietto proveniente dalla donna seduta nel 33C: "Mio
nipote e' stato ucciso ieri in Iraq. Mi piacerebbe parlarle". Cinture o no,
sono tornata indietro verso il fondo dell'aeroplano. Ci siamo abbracciate e
lei ha detto: "Cosa posso fare? Mio cognato era nell'esercito, e all'inizio
era favorevole alla guerra. Ieri ha costruito un cartello con una fotografia
di suo figlio e ci ha scritto: ucciso da George Bush".
Ogni giorno prego l'universo di dare sostegno alle famiglie, come prego per
i nostri soldati uccisi, per gli iracheni che vengono assassinati senza
ragione, e per le loro famiglie. Non mi capita spesso di incontrare cosi'
tempestivamente la gente per cui prego. Quattro dei nostri soldati sono
stati uccisi ieri nell'escalation del conflitto in Iraq voluto da Re George.
Dieci sono morti durante il fine settimana di Pasqua, mentre George si
nascondeva nel suo ranch a Crawford. George Bush e la sua gang sanguinaria
di criminali di guerra hanno causato cosi' tanta sofferenza fisica e morale
al mondo e riescono a non batterci ciglio.
La zia del Numero 3.291 mi ha raccontato di come ha sentito la sorella
urlare per la morte del figlio all'altro capo del telefono. La famiglia del
Numero 3.291 sta cominciando a capire i veri significati delle parole "cuore
spezzato" e "tradimento". Il Numero 3.291 aveva un nome, Brian. Le sole cose
che so per certe e' che Brian era nell'esercito, che probabilmente e'
saltato in aria su un ordigno piazzato in strada, e che aveva una zia di
nome Sheryl, che gli voleva molto bene. La famiglia di Brian vive nella
Carolina del nord, ed e' la' che il suo corpo sara' restituito, sotto la
copertura delle tenebre che devono velare la vergogna del regime Bush.
Brian non sara' mai un numero per la sua famiglia o per i suoi amici. Per i
pochi in questo paese che ancora, incredibilmente, sostengono questo orrore
e questa guerra, il sacrificio di Brian sara' rubricato sotto frasi del
tipo: "La liberta' non e' gratuita" o "Era andato volontario". Per il
movimento antiguerra, Brian verra' commemorato con una veglia e candele
quando il quattromillesimo soldato verra' ucciso in Iraq. Per l'uomo seduto
accanto a me, nel sedile 11D, Brian non e' mai esistito, perche' costui non
ha opinioni sull'occupazione, non ha "tempo per preoccuparsene". Ma
credetemi, preoccuparsi e' quanto la mamma di Brian ha fatto per tutto il
tempo che lui ha passato in Iraq, e ci sono 160.000 madri che restano
sveglie la notte a preoccuparsi per i loro figli, e ci sono le madri
irachene che non sanno mai se l'ultimo "ti voglio bene" che hanno detto al
loro figlio e' davvero l'ultimo, per sempre.
Per me, la morte di Brian rappresenta un fallimento. Ho lottato con tutta la
mia energia, tutte le mie risorse, per assicurarmi che la mamma di Brian non
dovesse cadere sul pavimento ad urlare la sua agonia, o che zia Sheryl non
dovesse intraprendere il triste viaggio attraverso il paese per partecipare
al suo funerale. Ogni morte dopo quella di Casey mi ha colpito con un nuovo
assalto di sofferenza. Come possono le mie ferite guarire, quando cosi'
tante altre ferite vengono aperte ogni giorno, in tre nazioni devastate
dalla dottrina di Bush che infligge incommensurabili danni, con la sua
guerra per il profitto mascherata da guerra al terrorismo?
*
Il movimento antiguerra sta fallendo in molti campi. Innanzitutto ci sono
troppi apatici in questo paese, come l'uomo seduto accanto a me. Si puo'
restare seduti nell'indifferenza, di fronte a tante morti, a tanta
distruzione? Persino le persone ancora confuse che sostengono la guerra
hanno un'opinione.
Il movimento antiguerra sta anche fallendo per la scarsa capacita' di
influenzare i politici. Quando gruppi etichettati come "la sinistra
antiguerra" sono stati ascoltati dai leader del Congresso, e costoro hanno
usato la cosa per costringere deputati teoricamente contrari alla guerra a
votare un decreto che estendera' la presenza delle nostre truppe in Iraq a
tempo indefinito, significa che non si e' stati efficaci nel trasmettere il
proprio messaggio.
Un altro scopo che il movimento dovrebbe avere e' quello di muovere la
stragrande maggioranza degli statunitensi, contrari all'occupazione, dalle
loro poltrone alle strade. I nostri governanti sono oscenamente sdraiati
sulla macchina della guerra, ci si riempiono le tasche e ci si trovano
tremendamente bene. Solo una rivolta elettorale di massa potrebbe svuotare
le tasche dei profittatori di guerra e costringere i nostri rappresentanti
eletti a rappresentare noi, non i ricchi.
La famiglia di Brian, la mia famiglia, 3.293 altre famiglie, le famiglie dei
militari che sono emotivamente e finanziariamente sconvolte dai continui
invii in Iraq, stanno sacrificando troppo sull'altare dell'avidita'. Il
popolo iracheno, che l'aiuto di Bush non l'ha mai chiesto, sta sacrificando
sul suo orribile altare imperiale. Il resto della nostra nazione non sta
facendo gli stessi sacrifici. Io sto lavorando perche' non dobbiate farli.
Ma se noi, come nazione, vogliamo metter fine alla farsa di falso
patriottismo che giustifica le guerre per il profitto e l'impero, dobbiamo
sacrificare qualcosa, sino a sentirne il dolore. In questo atto di pulizia
verra' una redenzione, perche' potremo assicurarci che tutti i bambini al
mondo siano al sicuro e non vulnerati. Se non lavoriamo per mettere fine
alla stretta della violenza che ci strangola, allora ci meritiamo quel che
abbiamo.
Il nostro movimento deve proprio muoversi, verso la pace, a tutti i costi.

2. RIFLESSIONE. ADRIANA CAVARERO: L'INTRODUZIONE DI "ORRORISMO, OVVERO DELLA
VIOLENZA SULL'INERME"
[Dal sito www.feltrinelli.it riprendiamo il testo dell'introduzione del
libro di Adriana  Cavarero, Orrorismo, ovvero della violenza sull'inerme,
Feltrinelli, Milano 2007, ivi alle pp. 7-9.
Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all’Università di Verona;
dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato
dal Center for Digital Discourse and Culture at Virginia Tech University
(www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo
questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume [che
abbiamo parzialmente aggiornato]: a) libri: Dialettica e politica in
Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e il problema politico. La
Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La teoria politica di John
Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984; L'interpretazione hegeliana di
Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento 1984; Nonostante Platone, Editori
Riuniti, Roma1990 (traduzione tedesca: Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin
1992; traduzione inglese: In Spite of Plato, Polity, Cambridge 1995, e
Routledge, New York 1995); Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995;
Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei, Torino 1995; Tu che mi
guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997; Adriana Cavarero e
Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999;
A piu' voci. Filosofia dell'espressione vocale, Feltrinelli, Milano 2003;
Orrorismo, Feltrinelli, Milano 2007. b) saggi in volumi collettanei:
"Politica e ideologia dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una
storia del moderno concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119;
"Giacomo I e il Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e
teoria dello Stato all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Roma 1980, pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il
politico. Da Hobbes a Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano
1982, vol. II, pp. 705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in
Itinerari e prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La
teoria contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il
contratto sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso,
Il Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza
sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der
Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener
Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza
sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp.
173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian
Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991);
"Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica,
Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere
al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione
spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria
y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in
Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111;
"Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in
Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and
Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp.
187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita,
a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia
dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di
Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B.
Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della
corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp.
15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la
Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994,
pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in
Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp.
15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di
Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il
segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di
Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der
Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia
Stoller und Helmuth Vetter, Wuv-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226;
"Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie
femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino
1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah
Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225]

Scene di un massacro
Baghdad, 12 luglio 2005. Un pilota suicida fa esplodere la sua auto in mezzo
alla folla, uccidendo ventisei cittadini iracheni e un soldato americano.
Fra le vittime della carneficina - corpi smembrati, arti sanguinanti, mani
mozzate - il maggior numero sono bambini ai quali gli americani stavano
distribuendo caramelle. Li avranno voluti punire per servilismo nei
confronti delle truppe occupanti? Avranno pensato che l'uso della violenza
e' tanto piu' efficace quando non ha remore a massacrare i bambini?
Si evince, dai vari proclami, che i massacratori di questo tipo danno a se
stessi i nomi gloriosi di martire e combattente. La lingua dell'Occidente
tende invece a chiamarli terroristi. Sebbene opposte, ambedue le
denominazioni implicano che il massacro faccia parte di una strategia ovvero
sia semplicemente il mezzo per uno scopo piu' alto. Se si osserva la scena
del massacro dal punto di vista delle vittime inermi invece che da quello
dei guerrieri, il quadro tuttavia cambia: lo scopo si dilegua e il mezzo
diventa sostanza. Piu' che il terrore, cio' che risalta e' l'orrore.
Makr Al-Deeb, 19 maggio 2004. In un villaggio iracheno, nei pressi del
confine con la Siria, missili lanciati dalle forze americane si abbattono
sui partecipanti a una festa di matrimonio. Fra le quarantacinque vittime ci
sono donne e bambini, nonche' alcuni musicisti che stavano allietando la
cerimonia. Data la potenza esplosiva, la carneficina e' impressionante.
Circola la tesi che dei terroristi si nascondessero nel gruppo, ma viene
presto smentita e abbandonata. In guerra, ammettono i massacratori, capita
di sbagliare.
Il linguaggio bellico chiama questi sbagli "danni collaterali" e, pur
esecrandoli, li considera incidenti inevitabili. Notevole per ampiezza, la
categoria di "danno collaterale" si estende, oggi, a pressoche' tutte le
vittime civili che, nel computo generale dei morti, superano ormai il
novanta per cento. Se si osserva la scena del massacro dal punto di vista
delle vittime inermi invece che da quella dei guerrieri, il quadro tuttavia,
anche in questo caso, cambia: dilegua la finzione retorica del "danno
collaterale" e la strage si fa sostanza. Piu' che la guerra, cio' che
risalta e' l'orrore.
*
Nomi
Mentre la violenza dilaga e assume forme inaudite, c'e' nella lingua
contemporanea una difficolta' a darle nomi plausibili. Soprattutto dopo l'11
settembre 2001, le procedure di nominazione, che forniscono cornici
interpretative agli eventi e orientano l'opinione pubblica, sono parte
integrante del conflitto. Certo e' che terrorismo e guerra evocano vecchi
concetti e, piu' che aggiornarli, li confondono.
Nel discorso politico e in quello dei media, terrorismo e' oggi un vocabolo
tanto onnipresente quanto vago e ambiguo, il cui significato si da' per
scontato al fine di evitarne una definizione. Da parte loro, pur
impegnandosi in ampie classificazioni, gli studi specialistici, benche'
talvolta disposti ad aggiornarlo col termine "iperterrorismo", ammettono che
e' ormai impossibile definirlo. Un problema non dissimile riguarda il
sostantivo guerra e la costellazione lessicale di cui e' il centro. Fatta
salva la bizzarria terminologica di un ossimoro come quello di "guerra
umanitaria", la nozione di "guerra preventiva" desta giuste obiezioni, e
l'espressione war on terror va addirittura a smentire un lessico politico
della modernita' che riserva notoriamente ai soli Stati la categoria di
nemico. Equivoca e incerta, la situazione e' linguisticamente caotica. Nomi
e concetti, e la realta' materiale che vorrebbero designare, mancano di
coerenza. Mentre in forme sempre piu' efferate la violenza sull'inerme si fa
globale, la lingua si mostra incapace a rinnovarsi per nominarla e tende,
anzi, a mascherarla.
I nomi non cambiano, ovviamente, la sostanza di un'epoca che e' giunta a
scrivere il capitolo piu' ampio e anomalo, se non piu' ripugnante,
nell'umana storia della distruzione. Ne' la cruda realta' di corpi
dilaniati, smembrati e bruciati, puo' affidare il suo senso alla lingua in
generale o a un sostantivo particolare. A ben vedere, un suo vocabolario
specifico la violenza sugli inermi tuttavia ce l'ha ed e', non solo alla
tradizione occidentale, noto da millenni. Inaugurato dalla biblica strage
degli innocenti e passato per varie vicende che includono l'aberrazione di
Auschwitz, esso nomina l'orrore piuttosto che la guerra o il terrore, e
parla di crimine prima ancora che di strategia o di politica. Non che, per
la guerra o il terrore, l'orrore sia una scena del tutto sconosciuta. Anzi.
Tale scena ha pero' un suo senso specifico del quale le procedure di
nominazione, affrancandosi dal loro assoggettamento al potere, dovrebbero
finalmente rendere conto. Spingendosi a coniare un nuovo vocabolo, questa
scena la si potrebbe cosi' chiamare orrorista o, forse, per economia o
omaggio alle assonanze, si potrebbe parlare di orrorismo. Quasi che fossero
tutte le vittime inermi, invece che i loro massacratori, a deciderne
idealmente il nome.
Un neologismo e' sempre un azzardo e, quando sia coniato a tavolino, lo e'
ancor di piu'. Un'epoca in cui la violenza colpisce soprattutto, se non
esclusivamente, gli inermi, senza trovare le parole per dirlo e confondendo
vecchi concetti, spinge pero' all'innovazione linguistica. Una certa
novita', a cominciare dal sesso, riguarda del resto anche i massacratori
odierni. Di donne trasformate in bombe umane e di torturatrici in divisa,
nel passato, esistono poche tracce. Cio' non toglie che proprio una donna,
l'agghiacciante Medusa, sia da sempre il volto mitico dell'orrore. E insieme
a lei, icona di un crimine sull'inerme che ancor piu' ripugna, l'infanticida
Medea.

3. RIFLESSIONE. GLORY MUSHINGE: FAR CAMMINARE LE PAROLE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo.
Glory Mushinge e' corrispondente dalla Zambia per "The Women's International
Perspective"]

L'Africa ha di recente ospitato il World social forum, che e' stato tenuto a
Nairobi, in Kenya, dal 20 al 25 gennaio 2007. Come al solito, la
preparazione di questo evento ha portato con se' molto entusiasmo, e molto
denaro e' stato speso per farlo riuscire bene. Tuttavia, quali che fossero
le aspettative, non si e' rivelato differente dai passati Social forum.
Abbiamo udito le stesse parole incantevoli e le stesse opinioni su
differenti istanze, tali e quali le avevamo udite in passato. Erano le
medesime persone a parlare, e a fare discorsi del tutto simili ai
precedenti, e di nuovo c'erano solo coloro che le presentavano al pubblico.
Ma e' questo tutto cio' che vogliono i partecipanti al Forum? Invocano
cambiamenti, l'abolizione di determinati programmi ingiusti od oppressivi
per l'umanita', ma non hanno mai una strategia da proporre affinche' ai loro
appelli segua qualcosa. Gli anni passano, e un Social forum dietro l'altro
ha discusso i problemi della societa'. Cosa viene, adesso?
I Social forum sono delle buone iniziative, specialmente perche' sono aperti
a molte persone dai diversi retroterra, e senza distinzione di status o di
classe, e sono anche luoghi dove sentirsi liberi di esprimersi e di parlare
delle questioni che interessano la societa', ma quello che io ho visto e'
che la maggior parte della gente ci viene per sentirsi parte
dell'incantesimo, e non ha granche' da offrire per la risoluzione dei
problemi.
Alla fine di una giornata al Social forum sembra che ci sia stata una sorta
di spettacolo per fornire divertimento a un po' di gente annoiata. Ho visto
persone accreditate, spesate per venire al Forum, dare un'occhiata alle sale
e poi andarsene a spasso per la citta', come turisti qualsiasi: gli e' stata
semplicemente data un'opportunita' gratuita per fare un bel viaggio.
Un esempio della faccenda e' l'Economic Partnership Agreement (Epa), che i
movimenti presenti al Forum criticano come non buono per i paesi del sud del
mondo. Il Social forum ha chiesto la sua abolizione e chi invece lo sostiene
ha risposto: "Si', siamo disponibili ad ascoltarvi e persino, in caso, ad
abolire il programma, ma qual e' l'alternativa che avete in mente?". Questa
e' una domanda seria. Quando ci si oppone a qualcosa, si dovrebbe avere una
proposta che contribuisca a creare una soluzione. Ma tutto quello che noi
africani abbiamo sentito sono stati slogan contro l'Epa e proposte zero. Se
i movimenti sociali che formano la maggioranza a questi Forum hanno
intenzione di essere presi sul serio dai potenti in carica, dovrebbero
cominciare a progettare soluzioni per i problemi che denunciano e fare un
passo ulteriore nell'impegnarsi a discutere con i decisori economici e
politici, e in questo modo i loro messaggi potranno arrivare alle orecchie
giuste, e magari anche ottenere dei risultati.
Potremmo parlarne, e riuscire a proporre qualcosa? Potremmo cominciare a far
camminare le parole?

4. INCONTRI. GIOVANNA PROVIDENTI: LA PACE CHE VIENE DAL BASSO
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente
intervento.
Giovanna Providenti (per contatti: g.providenti at uniroma3.it) e' ricercatrice
nel campo dei peace studies e women's and gender studies presso
l'Universita' Roma Tre, saggista, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace
e di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due
figli. Partecipa  al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi
donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le
differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e il volume La nonviolenza delle
donne, "Quaderni satyagraha", Firenze-Pisa 2006; ha pubblicato numerosi
saggi su rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e
nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004;
Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella
formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione.
Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005;
L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in
Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche
racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di
Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori]

C'e' una barzelletta che in terra di Palestina tutti conoscono, sia ebrei
che arabi. Ce l'ha raccontata Shafiq Masalha all'inizio del suo intervento
all'incontro tenutosi a Roma il 20 febbraio 2007 dal titolo "Semi di pace.
Israeliani e palestinesi insieme in Italia per un dialogo dal basso". Shafiq
Masalha e' uno psicoterapeuta, esperto in traumi di guerra su minori, e da
anni lavora sui traumi causati dalla guerra israelo-palestinese aiutando
entrambe le parti vittime del conflitto.
La storiella spiritosa e' questa: l'arcangelo Gabriele va da un uomo che
abita a Gerusalemme e lo invita ad esprimere un desiderio. L'uomo gli
risponde chiedendogli di risolvere il conflitto arabo-israeliano. Ma
l'arcangelo: "Oh no, questo e' davvero troppo difficile, per favore chiedimi
qualcos'altro". L'uomo ci pensa un po' e poi dice: "allora voglio che tu
faccia diventare mia moglie obbediente". E Gabriele: "dammi una cartina del
Medio Oriente vediamo quello che riesco a fare...".
Al di la' del solito misoginismo e linguaggio sessista, del resto
riscontrabile in moltissime facezie popolari, questa barzelletta manda piu'
messaggi e a vari livelli. Innanzitutto sta comunicando a chi vive in
Palestina che, nonostante il conflitto che stanno vivendo sia un problema
molto grosso e quasi irrisolvibile, esistono problemi piu' grossi, che
possono toccare chiunque. A parte lo scopo consolatorio, una tale "verita'"
aiuta ad uscire dalla gabbia della propria tragedia, del proprio confine di
guerra. Ma la barzelletta accostando una contesa tra popoli al conflitto
privatissimo tra moglie e marito, considerando quest'ultimo il piu'
complesso tra i due, ha anche la funzione di svelare altre "verita'"
normalmente celate. Ci dice che nella relazione privata tra uomo e donna
esistono dei conflitti talmente abnormi che persino l'arcangelo Gabriele si
rifiuta di provare a gestirli o mediarli, e anche svela che se non si riesce
a risolvere i conflitti relazionali intimi, si possono studiare mappe "del
Medio Oriente" per provare a risolvere conflitti tra popoli o tra Stati.
Ma soprattutto: c'e' uno strettissimo legame tra guerre "pubbliche" e
contese private. C'e' una strettissima connessione tra la modalita' usata da
ciascuno di noi per gestire i nostri conflitti privati e la possibilita' di
trovare modalita' alternative alla guerra. Per lo piu' i conflitti, sia
privati che pubblici, non sono gestiti, bensi' assecondati, tollerati o
subiti: si innalzano muri (o mariti e mogli, ex o meno, che non dialogano
piu') squarciando in due il comune territorio da curare; si tende a negare
il conflitto dando piu' ragione-valore a una delle due parti, negando la
ragione-dolore dell'altra.
L'alternativa a questo tipo di non-gestione ci sarebbe: vivere diversamente
(separatamente se necessario) ma in pace, rispettando l'uno la vita
dell'altro pur popolando, e curando, lo stesso "territorio" sia esso
materiale o affettivo.
A questo proposito e' interessante rilevare che uno scrittore israeliano
della statura di Amos Oz ha recentemente chiesto a noi europei di astenerci
dal parteggiare e di iniziare a prendere una chiara posizione a favore di un
concreto processo di pace cui gli abitanti di quella terra,
ebrei-musulmani-arabi-cristiani-atei, anelano piu' di ogni altra cosa.
*
Un esempio di concreto processo di pace esiste gia'. Anche se puo' sembrare
incredibile a noi ubriacati dalle notizie solo negative tra giornalieri
attacchi dell'esercito e attentati kamikaze e trattative fallite. Esiste nel
quotidiano di piccole azioni di pace sperimentate da uomini e donne: ci sono
arabi ed ebrei che insieme curano il loro comune territorio, formando scuole
bilingui e biculturali (come la scuola Galil a Gerusalemme), cercando nuovi
sistemi educativi e libri di testo che accolgano le esigenze dell'una e
dell'altra cultura, e che comprendano le tre religioni presenti nel
territorio. E quando sembra proprio impossibile trovare punti di accordo (ad
esempio sulla interpretazione della loro storia dal '48 ad oggi), c'e'
sempre la possibilita' di accostare le due versioni. Come succede nei libri
di testo delle scuole biculturali di cui lo storico Asher Salah, ci ha
raccontato i retroscena: l'idea era scrivere un libro comune della storia
della costituzione dello stato ebraico e del conflitto
israeliano-paestinese, ma poiche' non si e' trovato accordo su una storia
condivisa si e' deciso, in accordo, di stampare un libro a due colonne con
uno spazio bianco in mezzo. La scelta della "versione" non e' stata facile,
dato che i palestinesi, fino al 2001, hanno studiato su testi giordani e
dato che non esiste un programma scolastico unico in Israele, costellato da
scuole private di impostazione molto diversa tra loro. Cosi' per la storia
israeliana si e' scelta la versione delle scuole pubbliche (la piu'
moderata) e per la parte palestinese quella studiata nelle scuole di recente
istituzione.
Ecco cosa, nella concreta realta', sembra essersi inventato l'arcangelo
Gabriele dopo avere invano studiato la mappa del Medio Oriente: costituire
sempre piu' gruppi di persone che, a partire dal basso, facciano esperienze
comuni per gestire problemi concreti della societa' civile. E questo sia
nell'ambito dell'educazione che in quello dell'assistenza, della sanita',
del trauma di guerra, del lutto.
Amos Oz ha recentemente paragonato i politici ai dottori e la popolazione ai
pazienti, ma mentre questi ultimi sono pronti all'intervento di cura, il
dottore non ne e' convinto. A me e' sembrato - mentre ascoltavo i racconti
degli invitati alla Facolta' valdese di teologia all'incontro del 20
febbraio organizzato del mensile interreligioso "Confronti" - che il
paziente non solo sia pronto, ma si stia cercando da solo la cura: altrove
dalla "politica seconda" nello spazio della relazione interpersonale della
"politica prima".
La percentuale presente - tre israeliani e tre palestinesi, di cui uno
soltanto dei territori - dimostra che i "pacifisti" arabi sono per lo piu'
arabi israeliani che non palestinesi abitanti in Cisgiordania o Gaza, ma si
tratta dell'inizio di un processo di pace, e ci dobbiamo accontentare.
*
Proviamo a vedere qualcun altro di loro piu' da vicino.
Sono un uomo e una donna, lui palestinese di Nablus lei israeliana: Ibrahim
Halil e Tsurit Sarig non avrebbero nient'altro in comune se non la tragedia
di un figlio morto e la scelta forte di aderire all'"Israeli Palestinian
Parents Circle", recentemente allargatosi in "Families Forum". Si tratta di
un'associazione attiva dal 1994 formata da genitori (allargata a tutti i
parenti) di vittime della guerra. Ibrahim e Tzurit raccontando del loro
terribile lutto tra rabbia, risentimento, dolore, hanno sottolineato la loro
scoperta e determinazione a portare avanti il loro lavoro di pace
all'interno del "Parent's Circle".
"Il confronto tra vittime delle due parti - ci dicono - genera empatia per
tutte le famiglie mutilate, mettendole in contatto reciproco con la loro
perdita ed instaurando un processo di riconciliazione".
Inoltre Tsurit Sarig, madre di un militare ucciso durante la leva
obbligatoria il 27 settembre 1996, ha parlato al registratore di "Noi
donne': "Quando mio figlio e' stato ucciso tutta la nostra famiglia ha
subito un grande shock, la prima reazione e' stata di grande sconcerto e
rabbia, ma poiche' noi siamo persone di pace abbiamo cercato modalita'
alternative per investire l'energia del lutto e l'abbiamo trovata
nell'attivarci nel Parent's Circle che attraverso la condivisione del dolore
e delle storie personali ispira a tutti uno spirito di comprensione e
riconciliazione invece che di odio e vendetta".
- Quali sono le attivita' della vostra associazione?
- Oltre ad incontrarci per condividere il nostro lutto, lavoriamo in due
direzioni: spingere il nostro governo al dialogo; andare da piu' gente
possibile per aiutarli a intraprendere il lungo cammino di superare rabbia e
paura ed essere pronti a vivere in pace. Per questo organizziamo dei gruppi
misti (in genere due persone) che vanno a parlare con piu' gente possibile
nella loro vita quotidiana. Andiamo nelle scuole, nelle universita', o
laddove riusciamo ad organizzare incontri pubblici, e raccontando ai giovani
il nostro dolore cerchiamo di persuaderli a smetterla di stare da una sola
delle due parti ed a comprendere il valore della riconciliazione, per essere
capaci sempre piu' persone e insieme - israeliani e palestinesi - di
chiedere ai governanti di stabilire la pace.
- Qual e' stata la cosa piu' difficile nell'incontrare le madri della parte
avversa?
- Innanzitutto la lingua, a volte c'e' come un rifiuto a trovare una lingua
comune. Siamo riuscite a parlarci, si', con l'aiuto di una traduttrice, ma
soprattutto guardandoci l'un l'altra, toccando l'una il cuore dell'altra, e
facendo cose insieme. Probabilmente abbiamo anche un modo diverso di vivere
il proprio lutto, ma cio' che cerchiamo di fare nel nostro lavoro e' di
pensare non con la pancia ma con la mente guardando al futuro di pace del
nostro comune paese.
- Qual e' la tua speranza nello svolgere questo lavoro?
- La mia speranza e' che le cose del mondo e la politica cambino ascoltando
le ragioni di chi parla loro dal basso. Spero che la nostra associazione
insieme alle molte altre che, in maniera diversa, sono impegnate per la pace
nella nostra regione, riescano a convincere i governanti a sedersi e parlare
fino a che non si trova un accordo.
*
Ecco cosa potrebbe dire ai governanti l'arcangelo Gabriele, al di fuori
della facezia: provate a parlarvi reciprocamente in maniera autentica,
mettendo sul piatto risentimenti, rabbia, bisogni, paure, dolore, toccandovi
l'un l'altro, cosi' come stanno imparando a fare i vostri pazienti abitanti
in Palestina.

5. DOCUMENTI. CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE E UNIONE DONNE IN ITALIA: 50 E
50, IL PAESE CHE CI SARA' (2006)
[Dal sito della Casa internazionale delle donne
(www.casainternazionaledelledonne.org) riprendiamo il seguente documento
risalente a un anno fa. Come e' noto e' attualmente in corso la campagna di
sensibilizzazione e di promozione della proposta di legge "50 e 50 ovunque
si decide" per una presenza paritaria di donne ed uomini nelle istituzioni
democratiche (per informazioni, documentazione e contatti si visiti il sito
www.50e50.it)]

Quello che e' stato minato in questo paese negli ultimi anni e' la
condizione stessa della convivenza civile. Stare ai patti e' il principio a
fondamento di uno stato.
Quando si hanno governanti che dicono tutto ed il contrario di tutto, quando
la bugia diventa regola, quando il palesemente falso, purche' detto, si fa
verita' attraverso la ripetizione infinita nei media, il disorientamento
diventa generale e la legge del "mors tua vita mea" diventa la bandiera di
cui ciascuno si fa scudo. Piu' delle leggi ad personam, piu' delle leggi
barbare contro le donne, contro i cittadini, contro gli ospiti di questo
paese, cio' che e' stato rotto e che avra' piu' difficolta' ad essere
costituito e' il patto di solidarieta', di un sentire comune condiviso e
rispettoso dell'altra/o e di se'. La tristezza che si respira, la
strisciante depressione dovuta alla mancanza di prospettive, e' il segno
distintivo di questo paese in declino.
Manca l'aria, manca il sorriso tra le persone. E non si risponde a tutto
questo mettendosi sullo stesso terreno di confronto dettato da chi ha rotto
i patti. Questo paese si rilancia ridando vita alla capacita' di desiderare,
immaginare. Non tanto l'immaginazione al potere, quanto il benessere delle
persone al centro della politica.
Se e' l'esistente, ma un po' piu' largo, quello che si propone, se e' lo
status quo con un po' di maquillage, quello che si propone, se e' un mondo
non pensato e sentito da giovani e da donne, non si va da nessuna parte.
Come si puo' pensare che un'enclave monosessuata e anziana possa fare fronte
ai problemi di oggi?
Come si puo' pensare che un parlamento, prenominato da pochissimi che hanno
il potere autodefinito di farlo, possano essere in grado di far fronte alle
necessita' del mondo attuale?
Come si puo' realizzare la pace se l'unica capacita' di rappresentazione e'
un fondamentalismo nutrito di provincialismo, paura, disprezzo?
Come puo' rasserenarsi la convivenza se la religione, lungi dall'essere quel
rispettoso sentire intimo, diventa una clava minacciosa brandita contro le
donne e la consapevolezza individuale?
Come si puo' sostenere la maturazione se tutti, e soprattutto tutte, veniamo
considerate bisognose di guida e protezione: senza consapevolezza ed
incapaci di responsabilita'?
Come si puo' governare l'economia senza un riferimento costante ai bisogni
dei cittadini e delle cittadine?
Cosa diventa uno stato se cancella gli interventi fondamentali necessari
alla garanzia, sicurezza e salute dei cittadini?
Le donne hanno deciso di delinearlo questo paese: non come richiesta, non
come utopia. Ma per dire e fare: perche' sanno ed hanno deciso di non essere
piu' fuori.
E' inimmaginabile che si possa ancora andare avanti senza pensiero e
politica di donne, e' inimmaginabile configurare il mondo solo dal punto di
vista di una meta'.
Siamo qui per prenderci la responsabilita' di configurare e lavorare per il
paese che sara'. Comunque.
A partire anche da noi.
*
Casa internazionale delle donne (per contatti: cciddonne at tiscali.it)
Unione donne in Italia (per contatti: udinazionale at tin.it)

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 98 del 19 aprile 2007

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