Minime. 63



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 63 del 18 aprile 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: Piangere le vittime, abolire le armi
2. Di donne e di uomini
3. Giuliana Sgrena: Baghdad, quattro anni fa
4. Giuliana Sgrena: Baghdad, quattro anni di agonia
5. Augusto Cavadi: Contro la mafia una rivoluzione nonviolenta
6. Enrico Peyretti presenza "Amore e violenza. Il Dio bifronte" di Giuseppe
Barbaglio
7. Letture: Adriana Cavarero, Orrorismo
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: PIANGERE LE VITTIME, ABOLIRE LE ARMI.
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it o anche
mao at nonviolenti.org, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax  0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento.
Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto
con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]

Pensando alla strage di ieri nell'Universita' di Virginia Tech, e piangendo
le vittime, mi sovviene il monito di Gandhi: "o l'umanita' distruggera' gli
armamenti, o gli armamenti distruggeranno l'umanita'".
Vale per il singolo fucile, come per la bomba atomica. Le armi, tutte le
armi, devono essere bandite. La vera pieta' per i trentatre' morti di
Virginia Tech deve essere un rinnovato impegno contro il commercio di armi.
Gandhi mori' sotto i colpi di una pistola italiana, la Beretta. Ricominciamo
da li', chiudiamo le fabbriche italiane di armi e munizioni, piangendo le
vittime di Virginia Tech.

2. RIFLESSIONE. DI DONNE E DI UOMINI

Di donne e di uomini la comunita' umana e' fatta.
Di donne e di uomini sia anche la democrazia. Di donne e di uomini le
istituzioni.
Ovunque si decide della cosa pubblica, di cio' che tutte e tutti concerne,
vi siano insieme, uguali, donne ed uomini.
Sosteniamo pertanto la proposta di legge dell'Unione donne in Italia "50 e
50 ovunque si decide". Per informazioni e contatti: www.50e50.it

3. IRAQ. GIULIANA SGRENA: BAGHDAD, QUATTRO ANNI FA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 aprile 2007.
Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e
pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane
dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande
importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe,
durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A
Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo,
sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in
cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo
liberatore Nicola Calipari. Dal sito del quotidiano "Il manifesto"
riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in
provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a
Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da
Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella
redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno
d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in
Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i
bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del
lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di
raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con
professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese.
Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le
fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a
parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". Opere
di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri,
Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola
dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma
2004; Fuoco amico, Feltrinelli, Milano 2005]

Quattro anni fa, il 9 aprile, le truppe americane occupavano Baghdad
completando l'invasione dell'Iraq. C'e' chi aveva parlato allora di iracheni
in festa, ma a festeggiare l'arrivo delle truppe americane sulla piazza
Firdaus (paradiso!) erano solo i collaboratori dei giornalisti occidentali,
comunque qualche centinaio di persone. Gli altri iracheni, come avevano
fatto nei giorni dei bombardamenti, restavano asserragliati dentro le loro
case, temendo il peggio. E il peggio sarebbe arrivato, presto.
Le statue di Saddam cadevano una ad una, tirate giu' con l'aiuto dei carri
armati americani. Alcuni iracheni guardavano attoniti, pochi ragazzi si
divertivano giocando con la testa mozzata della statua dell'ex rais per
farsi riprendere dalle tv occidentali, altri piangevano, ma i piu'
osservavano: "Volevo la fine di Saddam, ma non volevo che finisse cosi', con
l'occupazione del paese".
Sono passati quattro anni e anche chi sperava in un miglioramento della
situazione non ha piu' speranza. La situazione e' andata continuamente
peggiorando. Mancanza di sicurezza, di lavoro, di elettricita', di acqua, di
benzina. Guerra civile, pulizia etnica, libanizzazione del paese.
*
In questo quadro terrificante si consuma l'agonia di Baghdad. L'unico
obiettivo e' quello di riuscire a fuggire dall'Iraq, questo e' il contenuto
delle e-mail che ci arrivano dagli amici che ancora vivono a Baghdad. Che
chiedono il nostro aiuto. Ma non e' facile, siamo impotenti di fronte al
disastro totale.
La capitale irachena e' un insieme di quartieri divisi per appartenenza
etnico-confessionale, la pulizia etnica ha svuotato interi caseggiati che
vengono occupati da cecchini e gruppi armati. Il quartiere al Mansur, sulla
riva occidentale del Tigri, una volta zona di ministeri e residenze per i
piu' alti ranghi del regime e per diplomatici, ora e' una citta' fantasma:
abitata prevalentemente da sunniti e' stata abbandonata dal governo di al
Maliki (sciita).
Nessun servizio e' garantito, tanto meno la sicurezza, i negozi sono
sbarrati, le strade deserte, compresa la trafficatissima Ramadan street, ora
interrotta da blocchi di cemento (come tutte le zone a rischio) e
costeggiata da rotoli di filo rasoiato. Per avere qualcosa da mangiare
bisogna andare a casa dei commercianti che non osano piu' alzare le
saracinesche dei loro una volta sfavillanti negozi. Paradossalmente ora la
zona piu' ambita della capitale e' quella orientale, abitata prevalentemente
da sciiti e quindi piu' protetta. Servizi e sicurezza, si fa per dire, sono
garantiti dall'esercito del Mahdi di Muqtada al Sadr. Ma anche sulla riva
orientale del Tigri e' difficile pensare a una vita piu' normale visto che
non viene risparmiata dagli attacchi di al Qaeda. Ogni attivita' e' limitata
dalla mancanza di elettricita' che arriva, quando va bene, due ore al
giorno. E anche il funzionamento dei generatori dipende dalla disponibilita'
di combustibile. Ma almeno le razioni di cibo distribuite dal governo ai
piu' poveri arrivano. La sorte peggiore tuttavia tocca alle enclave sunnite
in zona sciita, come il quartiere di Adhamiya, controllato da gruppi armati
che si alternano. Il capo del consiglio distrettuale e' stato ucciso in
marzo, cosi' come il suo predecessore.
*
Quattro anni fa, uno dei primi provvedimenti presi dal proconsole Paul
Bremer, a capo dell'Autorita' provvisoria della coalizione, era stato lo
scioglimento del ministero della difesa (e quindi dell'esercito) e del
ministero dell'informazione, oltre che del partito Baath. Uno delle scelte
piu' miopi - ora lo riconoscono tutti - che ha fornito alla resistenza
uomini, ben addestrati e ben equipaggiati, e armi. Per porvi rimedio il
governo al Maliki e il presidente Talabani hanno deciso una revisione - la
cui bozza e' stata comunque varata dagli americani - della legge di
debaathizzazione prevedendo il reintegro nei loro posti di lavoro dei membri
dell'ex partito unico dei gradi inferiori, mentre per gli esponenti dei
primi tre livelli del partito e' prevista una pensione. Il recupero di
alcuni quadri del partito Baath, decisivi per il funzionamento delle
strutture statali, segue il tentativo dell'ambasciatore Zalmay Khalilzad di
recuperare i settori "meno radicali" della resistenza. Numerosi incontri si
sono svolti lo scorso anno in Giordania, a Baghdad e Cipro. Il risultato
tuttavia e' difficile da verificare anche perche' vista la frammentazione
dei gruppi della resistenza e' impossibile stabilire il grado di
rappresentativita' dei partecipanti ai colloqui. Il fatto piu' rilevante e'
tuttavia la scelta dei gruppi della resistenza sunnita di prendere le
distanze (a volte di combattere: ci sono state le prime schermaglie) i
gruppi di al Qaeda. Soprattutto dopo che "al Qaeda ha ucciso i generali
Mohammad e Saab a Ramadi abbiamo deciso di vendicarli", ha riferito Abu
Marwan, sedicente portavoce di gruppi della resistenza.
*
Tuttavia un vero cambiamento della situazione passa attraverso un'inversione
della tendenza alla frantumazione del paese che puo' avvenire solo con il
ritiro delle truppe straniere. Decisione annunciata dalla Gran Bretagna e
favorita dalla maggior parte dell'opinione pubblica Usa. Il dibattito ha
investito il congresso e il senato americano che hanno respinto la richiesta
di rifinanziamento della missione. Difficile tuttavia immaginare un ritiro
totale, anche i democratici americani difendono innanzitutto gli interessi
degli Stati Uniti e la legge sulla privatizzazione del petrolio non basta,
occorrera' farla applicare e restare nelle basi del paese o ai confini,
pronti a difendere le compagnie americane.
L'unica buona notizia arrivata negli ultimi giorni da Baghdad e'
l'apparizione nella zona orientale della citta' di migliaia di bandiere
nazionali - sui tetti, sui pali della luce, ai semafori, nei negozi. Dopo
quattro anni di occupazione, anche questo e' un segno di ribellione, ma
pacifica, di buon auspicio.

4. IRAQ. GIULIANA SGRENA: BAGHDAD, QUATTRO ANNI DI AGONIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 aprile 2007]

"In passato avevo pregato perche' qualcuno invadesse l'Iraq e ci liberasse
da Saddam. Ora, chiedo a Dio di perdonarlo perche' stiamo pagando le
conseguenze del nostro tradimento con piu' morti, torture, fame e sete di
quelle sofferte durante il suo regime". Marwan Hussein, 31 anni, due figli,
disoccupato, vive in una scuola abbandonata alla periferia di Baghdad. Sua
moglie, Abdya, lavora come domestica presso diverse famiglie. Prima di
perdere il lavoro Marwan era meccanico e guadagnava abbastanza per mantenere
la famiglia. "Abbiamo fatto diversi tentativi per sopravvivere in un modo
dignitoso, ma ora siamo arrivati alla conclusione che l'unica strada e'
quella di lasciare il paese, pero' non abbiamo i soldi per farlo", sostiene
Marwan. "Negli ultimi sette mesi ho venduto meta' delle razioni mensili
(distribuite dal governo per le famiglie povere, ndr) per racimolare un po'
di soldi per andare in Siria". Con la vendita delle razioni Marwan riesce ad
ottenere 20 dollari, Abdya ne guadagna 30, cosi' mettono da parte 50 dollari
al mese. Ne occorrono almeno 400 solo per il taxi che ti porta in Siria. Per
risparmiare non manda piu' i figli a scuola: "con il livello di violenza che
c'e' la scuola non e' piu' cosi' importante", dice. E per vivere? Raccoglie
lattine tra i rifiuti e poi le rivende. E quando c'e' un'esplosione si
precipita sul posto e raccoglie quel che resta di metallo tra i rottami
ancora fumanti.
Marwan e Abdya ripensano a quando avevano un lavoro, una bella casa a al
Dora (quartiere nella zona meridionale di Baghdad), un'auto. Tuttavia se
riusciranno ad andarsene non avranno il rimpianto di lasciare la famiglia in
Iraq: i genitori di Marwan sono stati uccisi durante il regime di Saddam,
quelli di Abdya dalle truppe americane durante l'attacco a Najaf nel 2004.
Si calcola che circa 50.000 iracheni fuggano dall'Iraq ogni mese. La maggior
parte si sono rifugiati in Siria e in Giordania (due milioni), chi non ha
potuto andare all'estero si e' spostato all'interno del paese, dove si
calcola che gli sfollati siano 1,8 milioni. Quattro milioni di iracheni in
fuga (secondo dati ufficiali dell'Unhcr) su una popolazione totale di circa
26 milioni. Il problema non e' solo l'alta percentuale (circa il 15 per
cento) di profughi, ma il fatto che stanno fuggendo dall'Iraq tutti i
"cervelli": docenti universitari, medici, intellettuali, artisti. Fuggono
per evitare di essere uccisi (i gruppi della resistenza li considerano
collaborazionisti), di essere sequestrati, di veder prendere in ostaggio i
propri figli o stuprare le figlie o le mogli dalle varie milizie. I medici
fuggono anche dal totale degrado degli ospedali: mancano medicinali,
personale, lenzuola...
Chi resta non ha vita facile. Studiare e' diventata una sfida. E pensare che
l'Iraq fino a qualche anno fa vantava il piu' alto livello di
scolarizzazione del mondo arabo. Molti genitori hanno paura di mandare i
figli a scuola. Anche un funzionario del ministero dell'educazione, Nabil al
Mira, ammette che dopo un attentato tiene il figlio quindicenne a casa
finche' non torna la calma in citta' per almeno due giorni: si puo'
facilmente immaginare che il ragazzo non vada spesso a scuola. Nemmeno gli
esami si fanno nello stesso giorno per una classe: non tutti gli studenti
sono sempre in grado di arrivare a scuola o all'universita'. Rafi, un
docente di letteratura inglese era stato minacciato perche' dava voti bassi.
Non avendo accettato il diktat del voto imposto dai gruppi armati, Rafi e'
stato assassinato. Ora la sua foto viene usata per minacciare i colleghi.
Non solo i docenti, ma anche gli studenti sono sotto tiro. Una ragazza di 19
anni racconta di essere stata avvicinata da un uomo, vicino a casa, che le
ha detto: le donne non devono studiare, se continuerai ad andar a scuola ti
uccideremo. Lei ha continuato a frequentare la scuola. Speriamo sia ancora
viva.
*
Un campus per cecchini
L'universita' Mustansiriya, che si trova tra Sadr city (roccaforte sciita) e
il quartiere sunnita di Adhamiya, e' spesso obiettivo di attacchi sia dei
fondamentalisti sciiti che dei gruppi armati sunniti. Nel campus sono
rimaste quasi esclusivamente studentesse, i maschi, che corrono i maggiori
rischi, sono fuggiti. Ma anche le ragazze non vengono risparmiate: le
milizie di Muqtada al Sadr usano i dormitori per piazzare i loro cecchini e
per meglio nascondersi hanno tagliato l'elettricita' (che non c'e' quasi
mai), e minacciano le ragazze che non portano il velo. I gruppi della
resistenza vorrebbero invece allontanare tutti gli studenti, mentre le forze
di sicurezza controllano le strade di accesso all'ateneo, senza molto
successo: in gennaio due autobombe contro l'universita' hanno provocato 70
morti e 170 feriti.
"Non c'e' giorno senza terrore", sostiene Zala Ghefori, 31 anni, che prepara
un dottorato in letteratura araba. Tuttavia continua a vivere nel campus e
non si arrende. Fatima Selami, 29 anni, si sta invece specializzando in
matematica. Nonostante il velo e gli abiti rigorosamente islamici teme di
diventare un target. Il relatore della sua tesi e' gia' stato ucciso da
guerriglieri. Il docente che l'ha sostituito e' stato invece minacciato
dalle milizie sciite. E' stato cosi' costretto a ridurre le lezioni e a non
annunciarne l'orario. Quando Fatima lo deve incontrare per la tesi, lui la
chiama e le da' un appuntamento per strada, fuori dall'universita', non
scende nemmeno dalla macchina, si limita a passarle velocemente il testo
della tesi corretto mentre lei consegna il nuovo lavoro.
*
I cadaveri di Haifa street
Faek, studente di farmacia, riesce ormai raramente ad andare
all'universita'. Vive, con la sorella Lina e i suoi due figli, in una delle
zone piu' pericolose di Baghdad, Haifa street, dove gli scontri tra le forze
Usa e i gruppi della resistenza sono quasi quotidiani. Trovandosi in una
zona calda, la casa viene continuamente perquisita e i soldati americani,
che non vanno tanto per il sottile, hanno distrutto tutti i mobili e le
suppellettili. "Non abbiamo piu' nemmeno piatti e bicchieri", si lamenta
Lina. Il fratello si prende cura dei suoi due figli quando lei va al lavoro,
dieci ore al giorno in un laboratorio farmaceutico, piu' due per il
trasporto. E' lei a mantenere la famiglia perche' il marito e' stato ucciso
da un soldato americano durante l'invasione nel 2003. Spesso la sera, quando
torna dal lavoro, la strada verso casa e' chiusa alle macchine. Dopo gli
scontri la strada viene bloccata e Lina e' costretta a passare tra i
cadaveri ancora disseminati sul selciato (e il governo si vanta del
successo: in marzo le vittime della violenza sono state solo 1.861 contro
una media di oltre 3.000 nei mesi scorsi, ma piu' dei 1.645 del mese di
febbraio).
Tutti i negozi di Haifa street sono chiusi, mentre una fabbrica di
abbigliamento, che dava lavoro a domicilio a molte donne, e' stata
bombardata. I suoi figli sono terrorizzati, non riescono a dormire e quando
ce la fanno si svegliano urlando. Faek e' stato portato via durante una
delle solite retate e tenuto in carcere per una settimana, dove e' stato
anche torturato. Nessuna accusa, solo la colpa di essere giovane. Lina non
ha tuttavia nessuna intenzione di abbandonare Baghdad e comunque non se lo
potrebbe permettere.
Gli iracheni che lasciano il paese cercano lavoro nei paesi vicini (Siria e
Giordania). "Gli iracheni laureati trovano facilmente lavoro al nero ma sono
malpagati, sfruttati, costretti a lavorare piu' ore senza un compenso
adeguato", sostiene Mustafa Abdelkader, portavoce dell'Associazione degli
iracheni in Giordania. "Accettano queste condizioni per mantenere le loro
famiglie ed evitare la deportazione", aggiunge. Ma la presenza irachena non
e' ben vista dai giordani non solo per la concorrenza nel mondo del lavoro,
ma anche per l'aumento dei prezzi degli affitti provocato dalla forte
richiesta. Il governo giordano ha reagito introducendo nuove restrizioni
alle regole di immigrazione. Lo stesso ha fatto la Siria.
*
Amore impossibile
Nayla e Sami, lei sunnita e lui sciita, si erano incontrati a Baghdad nel
2004 ed era stato amore a prima vista. La diversa appartenenza religiosa non
era un problema ne' per loro ne' per i loro genitori. Del resto non lo era
mai stata prima in Iraq, ma dopo l'occupazione questo consenso rappresenta
un'eccezione alla regola. Sami stava mettendo da parte i soldi per il
matrimonio quando il padre di Nayla, ex impiegato governativo, nel 2006, in
seguito a minacce decideva di lasciare il paese. Con i pochi risparmi messi
da parte la famiglia di Nayla fuggiva ad Amman. Nayla parte e Sami promette
di raggiungerla appena possibile. Il mese scorso, Sami decide di fare una
sorpresa alla ragazza, approfittando di qualche giorno di ferie. Parte da
Baghdad con un taxi, dopo undici ore e' alla frontiera, altre quattro ore di
coda ed eccolo al controllo passaporti. L'impiegato guarda il documento e
risponde inflessibile: "Accesso negato. Solo i passaporti rilasciati nel
2006 sono validi, quelli della serie M non valgono piu'. Disposizioni
governative...". Sami non riesce a crederci, deluso, non si da' per vinto.
Torna a Baghdad e tenta la strada della Siria, questa volta funziona e
arriva fino a Damasco. Sara' Nayla a raggiungerlo. La stessa scena: ore di
taxi, ore di coda alla frontiera e questa volta e' la ragazza ad avere
l'accesso negato dai siriani. Perche'? "Il suo passaporto non e' piu'
valido, e' stato rilasciato nel 2004". Anche l'Unione Europea e gli Usa non
riconoscono piu' la serie S, rilasciata subito dopo la caduta del rais.
Ottenere un passaporto in Iraq ai tempi di Saddam era un privilegio per
pochi. Dopo la caduta del regime molti iracheni hanno cominciato ad
affollare gli uffici passaporti. Ogni giorno ci sono centinaia di persone in
fila per ottenere l'agognato lasciapassare che di per se' non conta molto,
ma almeno e' il primo passo per chiedere un visto che forse non arrivera'
mai. Ogni giorno l'apertura degli uffici e' riservata a un quartiere di
Baghdad (scelto a rotazione) e vengono distribuiti solo cento moduli al
giorno. "Sono dovuto andare quattro volte all'ufficio di Rasafa, ci racconta
Mohammed, solo per ottenere il modulo, e poi aspettare altri due mesi per
avere il passaporto". Che arriva solo dopo aver contribuito ad oliare la
burocrazia con una mazzetta. Dalla consistenza della mazzetta puo' dipendere
anche la serie del documento, la G e' la piu' ambita, si tratta del
passaporto digitale. Ma anche questo non basta per realizzare il "sogno" di
esiliato. Neanche a Mohammed che sogna di raggiungere alcuni parenti in
Australia.
*
Alcune informazioni sono tratte dai siti: news.bbc.co.uk,
electronicIraq.net, Irinnews.org, Osservatorioiraq.it, uruknet.info

5. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: CONTRO LA MAFIA UNA RIVOLUZIONE NONVIOLENTA
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at alice.it) per averci
messo a disposizione il seguente articolo apparso sulla cronaca di Palermo
del quotidiano "La Repubblica" del 14 aprile 2007.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e'
impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a
Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova
edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la
lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A
scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze
didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza
cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain
fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo.
Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce
"Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie,
Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici.
Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000;
Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato
in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente
bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla
mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore,
Trapani 2006. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste
antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa).
Vincenzo (Enzo) Sanfilippo e' impegnato nel movimento dell'Arca ed e' uno
degli animatori del gruppo-laboratorio palermitano "Percorsi nonviolenti per
il superamento del sistema mafioso". Riportiamo di seguito una breve notizia
biografica di Enzo Sanfilippo scritta gentilmente per noi nel 2003 da lui
stesso: "Sono nato a Palermo 45 anni fa. Sono sposato e padre di due figli,
Manfredi di 18 anni e Riccardo di 15. Sono stato scout e capo scout fino
all'eta' di 30 anni. Ho svolto il servizio civile in un Centro di quartiere
della mia citta'. Ho frequentato l'Universita' di Trento dove mi sono
laureato in sociologia. Ho perfezionato i miei studi a Bologna in sociologia
sanitaria. Dal 1989 lavoro nella sanita' pubblica, nei servizi di salute
mentale dove mi sono occupato finora di sistemi informativi e inclusione
sociale di soggetti  con disagio psichico. Chiusa l'attivita' con gli scout,
con mia moglie Maria abbiamo cercato di impegnarci nell'area della
nonviolenza. Abbiamo fatto parte per diversi anni del Movimento
Internazionale della Riconciliazione (Mir) per poi approdare al movimento
dell'Arca di Lanza del Vasto al quale aderiamo come alleati dal 1996. Dallo
stesso anno facciamo parte di un gruppo di famiglie palermitane ("Famiglie
in cammino") con  il  quale facciamo esperienze di condivisione spirituale e
sociale. Frequentiamo il Centro di cultura Rishi di Palermo dove pratichiamo
lo yoga. Con gli altri tre alleati dell'Arca siciliani (Tito e Nella
Cacciola e Liliana Tedesco) abbiamo organizzato diversi campi su vari
aspetti dell'insegnamento dell'Arca (canto, danza, yoga, lavoro manuale,
ecumenismo) presso un monastero a Brucoli (Sr) dove Tito e Nella hanno
abitato per cinque anni. Quest'anno abbiamo acquistato una casa in campagna
presso Belpasso (Ct) dove Tito e Nella andranno ad abitare e a lavorare: la'
assieme a loro e a vari amici speriamo di riprendere le attivita' di
approfondimento e di lavoro sulla pace, la nonviolenza, l'insegnamento
dell'Arca". Opere di Vincenzo Sanfilippo (a cura di), Nonviolenza e mafia, D
G Editore, Trapani 2005]

Se le associazioni mafiose fossero bande di delinquenti, come ce ne sono in
ogni zona del globo, costituirebbero solo un problema di ordine pubblico.
Purtroppo sono sottosistemi di potere illegale all'interno del piu' ampio
sistema sociale nazionale:  per questo costituiscono una tragedia epocale.
Proprio in quanto sistemi di potere, le associazioni mafiose non possono
perpetuarsi se non organizzandosi gerarchicamente al proprio interno e
relazionandosi stabilmente con il mondo esterno. Da quali fasce sociali esse
attingono il ricambio dei dirigenti e dei militanti? In quali fasce sociali
cercano complicita', appoggi, sinergie? Ancora recentemente si e' tornati
sull'argomento per ricordare che la mafia non e' schifiltosa: pesca (come
hanno sostenuto, in successive esplicitazioni, studiosi come Franchetti,
Mineo e Santino) tra la borghesia, ma non sottovaluta il consenso sociale
degli strati popolari marginalizzati.
Analisi e confronti su questi temi non hanno una valenza puramente
teoretica: servono a calibrare meglio le strategie di contrasto. Perche' se
la criminalita' organizzata va facendo capolino nel territorio sotto forma
di chiazze, possiamo illuderci che si tratti di bubboni su un tessuto sano;
ma possiamo anche convincerci che siano effetti e sintomi di un contesto
malato. In una parola: che le mafie non potranno sparire davvero sino a che
la nostra societa' manterra' caratteristiche mafiogene.
Che significa, in concreto, questo? Quali sono le idee, le credenze, i
complessi simbolici, i comportamenti pratici, ma anche i meccanismi
istituzionali e le dinamiche economiche che producono - e riproducono -
aggregazioni mafiose?
*
Su questi temi ha riflettuto da anni il sociologo Enzo Sanfilippo  che
giovedi' 12 aprile ha tenuto presso il liceo scientifico "Benedetto Croce"
un incontro pubblico di riflessione a partire dal volume da lui curato
Nonviolenza e mafia: idee ed esperienze per un superamento del sistema
mafioso (Di Girolamo editore).
L'idea centrale e' che, come tutte le situazioni di prepotere violento di
alcuni su molti (i bianchi sui neri in Sudafrica, gli inglesi sui nativi in
India e cosi' via), anche la mafia persiste sin quando la rassegnazione
delle vittime consente la spavalderia dei prevaricatori. Cinquemila
affiliati alle cosche mafiose siciliane potranno condizionare pesantemente
la quotidianita' di cinque milioni di cittadini sino a quando cio' apparira'
inevitabile ad alcuni, conveniente ad altri, tutto sommato accettabile a
molti. E' illusorio - se non  ipocrita - delegare il ribaltamento della
situazione ad alcuni organi istituzionali (magistratura, forze dell'ordine)
o, peggio ancora, a singoli "eroi". Se non si riesce ad attivare (anche
perche', nell'intimo, non si e' sicuri di volerlo) un processo  complessivo
e duraturo - all'interno dei partiti, dei sindacati, delle imprese, degli
istituti universitari e scolastici, delle amministrazioni pubbliche - di
scardinamento dei privilegi, di rifiuto delle subalternita' illegittime, di
ripristino delle regole condivise, di trasparenza delle informazioni, ogni
scorciatoia risulta deludente.
La resistenza contro i mafiosi e i loro fiancheggiatori disseminati nei
gangli istituzionali non puo' correre il rischio della retorica, ma non per
questo puo' rinunziare ad alimentarsi di idealita' e di motivazioni di ampio
respiro. Chi non si accontenta dei codici etici pre-elettorali o delle
fiaccolate da anniversario; chi ' davvero convinto che - catturati i Riina e
i Provenzano - restano decine di capi e capetti pronti ad ereditarne i
ruoli, deve alzare un po' lo sguardo e misurare le reali dimensioni di cio'
con cui intende confrontarsi.
Le vicende storiche dei movimenti collettivi suscitati da Gandhi, da Martin
Luther King, da Nelson Mandela lo attestano con chiarezza: se ne farebbe
volentieri a meno, ma in certi casi non ci si puo' accontentare di qualcosa
di meno di una "rivoluzione".

6. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "AMORE E VIOLENZA. IL DIO BIFRONTE" DI
GIUSEPPE BARBAGLIO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione questa sua recensione.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha
insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e
diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora
regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno
Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e'
membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace
delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista
"Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario.
Giuseppe Barbaglio (1934-2007), illustre biblista, docente, saggista, e'
stato una delle figure piu' vive della riflessione teologica contemporanea;
nato nel 1934 a Crema, ha studiato a Roma, Gerusalemme e Urbino, conseguendo
la laurea in teologia, la licentia docendi in scienze bibliche e la laurea
in filosofia; partecipe di molte rilevanti esperienze di pensiero, di molte
e molti educatore. Tra le molte opere di Giuseppe Barbaglio: Fede acquisita
e fede infusa secondo Duns Scoto, Occam e Biel, Brescia 1968; (con Rinaldo
Fabris e Bruno Maggioni), I Vangeli, Cittadella, Assisi 1975; Le lettere di
Paolo, voll. I-II, Roma 1980, 1990; Paolo di Tarso e le origini cristiane,
Cittadella, Assisi 1987; Nuovo Testamento greco e italiano, Bologna 1990,
1991; Dio violento? Lettura delle scritture ebraiche e cristiane,
Cittadella, Assisi 1991; La teologia di Paolo, Dehoniane, Bologna 2001;
Gesu' ebreo di Galilea. Indagine storica, Dehoniane, Bologna 2002; Il
pensare dell'apostolo Paolo, Dehoniane, Bologna 2004]

L'autore di questo libretto (Giuseppe Barbaglio, Amore e violenza. Il Dio
bifronte, Pazzini editore, Villa Verucchio - Rimini - 2006, pp. 73, euro 8),
teologo e biblista laico profondo e fecondo, morto troppo presto il 28 marzo
scorso, ci lascia qui una sintesi del tema gia' affrontato ampiamente in Dio
violento? (Cittadella, 1991). Anche nella Bibbia, come in generale nelle
religioni, l'immagine di Dio e' duplice: affascinante e tremendo. Il 90%
delle scritture ebraiche e cristiane riflette questa ambivalenza, archetipo
religioso riscontrabile persino in Gesu' (pp. 19, 56),  ma lo straordinario
e' il 10% di immagini chiare di un Dio di amore.
La contraddizione non e' (come credeva Marcione) tra scritture ebraiche e
scritture cristiane, ma interna ad entrambe, anche se nelle seconde "cade il
Dio bifronte per lasciar posto unicamente al Dio donatore di vita", di
perdono e amore. Il Dio violento, punitivo, vendicativo, e' frutto di
proiezione della violenza umana in Dio, come supremo difensore e
giustiziere. Cosi' si vede Dio esercitare e comandare la violenza messa in
atto dal popolo eletto contro i nemici. Si pensa che Dio debba togliere di
mezzo i malvagi per realizzare un mondo di pace. Eppure, fin dall'inizio Dio
vieta di uccidere, anche di uccidere Caino. L'umanita' corrotta Dio la
stermina nel diluvio, ma ne conserva il seme, e poi si pente dello
sterminio. Il popolo che ha eletto lo libera dalla schiavitu' sterminando
gli egiziani (ma un midrash narra che Dio piange per loro), e gli assegna la
terra promessa togliendola ad altri popoli. La contraddizione e' intrinseca,
con diverse accentuazioni nelle diverse tradizioni interne alla Bibbia.
Le sofferenze umane sono anzitutto viste come castigo divino per le nostre
colpe. Ma questo schema e' contestato nella Bibbia stessa, in Giobbe. Dio
minaccia, ma perdona, e questo scandalizza Giona. I salmi invocano spesso la
vendetta di Dio sui nostri persecutori, sapendo che sara' piu' giusta della
nostra. L'esilio in Babilonia e' il grande castigo di Dio sul popolo
infedele, ma e' anche l'occasione spirituale per comprendere meglio la sua
presenza interiore e la sua misericordia.
"Al Dio che ama i buoni e punisce i cattivi subentra il Dio che ama tutti,
perche' tutti sono ugualmente sue creature" (p. 47). Il Battista annuncia
ancora castighi, ma Gesu' porta soprattutto un vangelo di misericordia,
anche per i peccatori, per gli smarriti, purche' non vogliano ipocritamente
apparire giusti. Anche in Gesu' ritorna il giudizio di salvezza o condanna,
ma spicca in primo piano il Padre "che fa sorgere il suo sole sui cattivi e
sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Matteo 5, 45):
immagine di Dio che scandalizza i religiosi. La morte di Gesu' non e' il
castigo del Padre sull'umanita' nel sacrificio del suo figlio migliore,
fatto vittima della sua ira, ma il fedele e coraggioso offrirsi del giusto
nello scontro col potere cieco e malvagio, per farsi scudo e riparo di tutti
dal male, per purificare i cuori col suo cuore puro, donato fino
all'estremo, perche' non si rimedi piu' al male con vittime espiatorie, ma
con l'amore che perdona e vivifica. Il Padre conferma la morte per amore del
Figlio col dargli la vita risorta. Questa dinamica chiarificatrice si svolge
negli altri scritti neotestamentari.
Il compianto autore conclude: "L'immagine di Dio sta tra noi e lui: ecco
perche' e' cosi' importante che noi coltiviamo un'immagine non violenta di
Dio, un'immagine che ci permetta di avvicinarci a lui e di diventare a
nostra volta meno violenti. A sua volta, la nostra vita meno violenta ci
aiuta ad approfondire l'immagine del Dio non violento: c'e' un reciproco
influsso tra l'immagine che ci facciamo di Dio e l'immagine che abbiamo di
noi stessi e che guida la nostra esistenza e la nostra azione. L'immagine di
un Dio non violento ci aiuta a camminare verso la nonviolenza: e' questo il
contributo che la teologia del Dio biblico offre a una cultura della pace"
(p. 72).

7. LETTURE. ADRIANA CAVARERO: ORRORISMO
Adriana Cavarero, Orrorismo. Ovvero della violenza sull'inerme, Feltrinelli,
Milano 2007, pp. 174, euro 14. Un'acuminata meditazione di una grande
pensatrice, la scelta di porsi dalla parte delle vittime. Cosi' l'incipit,
fulminante: "Baghdad, 12 luglio 2005. Un pilota suicida fa esplodere la sua
auto in mezzo alla folla, uccidendo ventisei cittadini iracheni e un soldato
americano. Fra le vittime della carneficina - corpi smembrati, arti
sanguinanti, mani mozzate - il maggior numero sono bambini ai quali gli
americani stavano distribuendo caramelle. Li avranno voluti punire per
servilismo nei confronti delle truppe occupanti? Avranno pensato che l'uso
della violenza e' tanto piu' efficace quando non ha remore a massacrare i
bambini? Si evince, dai vari proclami, che i massacratori di questo tipo
danno a se stessi i nomi gloriosi di martire e combattente. La lingua
dell'Occidente tende invece a chiamarli terroristi. Sebbene opposte, ambedue
le denominazioni implicano che il massacro faccia parte di una strategia
ovvero sia semplicemente il mezzo per uno scopo piu' alto. Se si osserva la
scena del massacro dal punto di vista delle vittime inermi invece che da
quello dei guerrieri, il quadro tuttavia cambia: lo scopo si dilegua e il
mezzo diventa sostanza. Piu' che il terrore, cio' che risalta e' l'orrore".
Un libro che leggi di un fiato. Un libro di cui torneremo a parlare.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 63 del 18 aprile 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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