Voci e volti della nonviolenza. 57



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 57 del 17 aprile 2007

In questo numero:
1. Roberto Tesi: Federico Caffe' venti anni dopo
2. Roberta Carlini: La buona economia
3. Nicola Acocella: L'umanita' coerente di Federico Caffe'
4. Felice Roberto Pizzuti: All'incrocio tra Keynes e l'economia del
benessere
5. Giorgio Lunghini: Ne' l'apologeta, ne' il becchino
6. Una breve notizia biografica
7. Una breve notizia bibliografica
8. Et coetera

1. ROBERTO TESI: FEDERICO CAFFE' VENTI ANNI DOPO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 aprile 2007]

Il professore scelse di sparire alla vigilia di Pasqua. Quel mercoledi'
mattina - era il 15 aprile 1987 - quando Alfonso, il fratello, trovo' la
stanza vuota, milioni di persone si preparavano a partire. Anche Federico
Caffe' aveva deciso di partire per un viaggio del quale a venti anni di
distanza non sappiamo l'itinerario e neppure se sia stato aiutato a
programmarlo. Le ricerche del professore partirono in ritardo (all'inizio si
mossero solo i suoi allievi) perche' in ritardo era stato dato l'allarme e
per qualche giorno la notizia della sua scomparsa non fu resa pubblica. Lo
fu solo lunedi' 20, il giorno di pasquetta: "E' scomparso il professor
Federico Caffe'" titolava il primo dispaccio Ansa. Poi iniziarono ricerche a
tutto campo nelle quali fu chiesto anche l'intervento del Vaticano per
sapere se la meta dell'ultimo viaggio di Caffe' fosse stato un convento.
Piu' volte la trasmissione "Chi l'ha visto" si e' interessata della sua
scomparsa, ma e' stato tutto inutile.
Pochi giorni prima del suo ultimo viaggio, si era ucciso Primo Levi. Il
professore era rimasto sconvolto del tipo di morte che si era dato: il corpo
devastato da un interminabile volo nella tromba delle scale. Caffe' non
amava il suo piccolo corpo e ha scelto di sparire in un modo meno clamoroso,
ma non meno doloroso per chi lo conosceva. E "Il manifesto" era tra questi:
Caffe' non era un "compagno", un marxista, ma fu per molti anni uno dei piu'
preziosi collaboratori del nostro giornale. Difendeva lo stato sociale, era
dalla parte degli emarginati, dell'intervento pubblico nell'economia. E piu'
che l'inflazione temeva gli effetti devastanti della disoccupazione. Un po'
riduttivamente possiamo definirlo un keynesiano. Caffe' aveva una
straordinaria capacita': riusciva a smascherare le falsificazioni del
pensiero dominante. I suoi scritti sul giornale sono, a distanza di
vent'anni, di grande attualita'. Per questo ve li riproponiamo in un libro
che troverete da domani in edicola e poi in libreria: Federico Caffe':
scritti quotidiani.

2. ROBERTA CARLINI: LA BUONA ECONOMIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2007]

Con queste pagine e con il libro che raccoglie i suoi articoli, "Il
manifesto" rende omaggio a Federico Caffe' a venti anni dalla sua scomparsa.
E da quel tempo lontano ci arriva, per mano di Giorgio Lunghini, l'ironia
postuma di Caffe', con quella beffarda cartolina (riprodotta nella pagina
qui a fianco) nella quale l'economista profetizzava su "Caffe',
monumentalizzato e riletto". Non vogliamo erigere monumenti ma rileggere
si'. E da leggere in questi giorni ne avrete a volonta'. Il ricordo e
l'analisi di Nicola Acocella, allievo di Caffe', che insegna Politica
economica a Roma e si chiede, in modo non rituale: "Ci serve oggi Caffe'?".
Le riflessioni di Roberto Pizzuti, nota firma di questo giornale e voce
stabilmente fuori dal coro nel dibattito sulla previdenza pubblica in
Italia, sempre della "scuola Caffe'". La rilettura profonda e appassionata
di Lunghini, anch'egli amico di Caffe' e del "Manifesto". E ancora: i tanti
articoli scritti dal '76 all'85 da Caffe' per "Il manifesto", in sintonia o
polemica o vicinanza con un foglio che ha contribuito ad arricchire,
raccolti nel libro che e' in edicola col giornale. L'introduzione a questa
raccolta, scritta da Pierluigi Ciocca, che spiega lo "strano" rapporto del
riformista Caffe' con i rivoluzionari di via Tomacelli. E, alla fine del
libro, i ricordi di Valentino Parlato e Galapagos (ultimo allievo di Caffe'
qui citato, e ci scusiamo con i troppi non citati - alcuni piu' potenti di
Galapagos).
Di fronte a tanta abbondanza di testi, non resta molto da aggiungere se non
l'augurio di buona lettura. E una avvertenza: non stiamo parlando solo di un
economista, non sono pagine per addetti ai lavori. Parliamo di politica
economica, insomma di politica. E parliamo di riforme possibili: possibili
allora, quando ancora la parola "riformista" era riferita a chi pensa che si
possa cambiare lo stato delle cose esistenti, e possibili anche ora, quando
dell'aggettivo "riformista" si auto-fregia chi dice che e' meglio lasciare
le cose - del mercato, dell'economia, della vita - come stanno. Infine,
parliamo di informazione, in particolare di informazione economica, alla cui
liberta' e indipendenza di giudizio Caffe' teneva molto.
Parliamo meno, invece, del mistero di Caffe' e della malinconia della sua
scomparsa. Federico Caffe' usci' di casa nella notte tra il 14 e il 15
aprile dell'87. Nessun messaggio, ma alcuni oggetti sul comodino (gli
occhiali, il passaporto, le chiavi di casa) rivelavano l'intenzione di non
tornare piu'. E cosi' e' stato. Ma tutte le cose dette e scritte e viste
dopo - e anche queste poche pagine leggere - ci dicono anche quanti altri
"oggetti" Caffe' ci abbia lasciato.

3. NICOLA ACOCELLA: L'UMANITA' COERENTE DI FEDERICO CAFFE'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2007]

Per chi non abbia avuto la fortuna di conoscere - personalmente o attraverso
i suoi scritti - Federico Caffe', appare senz'altro utile anche soltanto un
breve cenno al suo profilo umano e professionale in occasione del ventesimo
anniversario della sua "scomparsa". Di recente, una mia studentessa di un
paio di anni fa, che non lo aveva conosciuto, ma aveva seguito una
trasmissione televisiva in suo ricordo, mi domandava se non sarebbe stato
utile che ne avessimo parlato diffusamente a lezione. Devo confessare che la
cosa non mi riesce facile per i ritmi serrati imposti dall'attuale
ordinamento accademico ed ho anche qualche resistenza a farlo, per evitare
spettacolarismi, sovraesposizioni e altro, preferendo seguire la sostanza
del suo insegnamento, anche senza ricordarlo piu' di tanto esplicitamente.
E, invece, evidentemente sbagliavo, se non altro perche' ai giovani - spesso
trascurati, ora come prima del 1968, da quelli che dovrebbero essere i loro
insegnanti - fa piacere sapere che vi e' stato un docente sempre disponibile
e che ha preferito scomparire quando ha perso il contatto con loro, che
erano la sua famiglia "acquisita".
Potrebbe invece apparire superfluo che si parli di Caffe' a chi lo ha gia'
conosciuto e che - per il fascino della persona e delle opere - e' portato
certamente a ricordarlo tutte le volte che, e capita spesso, ricorre
l'occasione di confrontare l'uomo, l'insegnante e lo scienziato sociale che
egli era con cio' che continua a passare il "mercato" di questi tempi. Ma la
fretta con la quale siamo spesso costretti a fare i conti e a valutare le
situazioni che ci si presentano non rende inutile qualche considerazione
piu' meditata e di lungo respiro.
Di Caffe' non vanno ricordate soltanto la dedizione all'insegnamento, alla
ricerca e ai giovani, ai poveri e agli emarginati, ma anche - e
soprattutto - la sua umanita', dalla quale discendevano gli altri aspetti
del suo carattere e la sua condotta, anzitutto, nel suo luogo di lavoro,
l'universita', e, poi, nella societa'. Era questa umanita' coerente - che e'
poi l'unica vera umanita' - che lo portava ad interpretare la professione di
pubblico impiegato nel modo piu' pieno e attivo, con orari che egli - in
modo eufemistico ma allusivo dei suoi interessi sociali - definiva "da
metalmeccanico". Era ancora questa umanita' coerente che lo portava a
studiare le opere di chi - pur non sottacendo le distorsioni e le
insufficienze nell'intervento pubblico, particolarmente acute nel nostro
paese - si occupava dei numerosi aspetti di fallimento del mercato, in
termini di efficienza ed equita' sociale, e poi a dare i propri preziosi
suggerimenti in merito, mediati dalle sue vaste e profonde conoscenze
istituzionali, e ad agire nel concreto in termini di impegno lavorativo,
beneficenza e interventi "compassionevoli" (nel significato piu' proprio)
nelle sedi scientifiche e pubblicistiche.
*
Ma nel ricordare Caffe' non bisogna sottrarsi ad una prima domanda
essenziale: ci puo' servire il suo pensiero oggi, a distanza di questi venti
anni che sembrano essere stati piu' lunghi dei venti anni precedenti, per
densita' e qualita' degli avvenimenti, per i rivolgimenti che ne sono
conseguiti?
La risposta e' indubbiamente positiva, perche' il funzionamento del mercato
"trionfante" di questi anni ha confermato le carenze note, forse
accentuandole, in Italia e all'estero.
Anzitutto, cominciano ad essere palesi i danni provocati dall'ubriacatura
delle privatizzazioni: in Italia, in cui le vicende di questi mesi, che
hanno interessato Autostrade e Telecom, fanno comprendere come la cessione
delle imprese pubbliche, non accompagnata da una incisiva regolamentazione,
sia stata soprattutto un affare per i nostri industriali alla ricerca di
rendite, e un danno per i lavoratori e i consumatori; all'estero, dove -
come ha mostrato un allievo di Caffe' con dovizia di argomentazioni - le
privatizzazioni antesignane della signora Thatcher hanno fallito nel
conclamato obiettivo di migliorare l'efficienza. Caffe' non e' mai stato,
anche negli anni del trionfo completo e acritico di certe forme di
intervento pubblico, un assertore della bonta' dell'intervento pubblico a
tutti i costi. Egli era consapevole dei limiti sia dell'intervento
pubblico - anche nella forma della proprieta' diretta delle imprese - sia
del mercato e chiedeva che si riflettesse sulle singole situazioni concrete
per suggerire la ricetta piu' appropriata.
Ma e' soprattutto il ruolo essenziale dello stato sociale in termini di
efficienza e di equita' che questi due decenni hanno ribadito, in termini
sia teorici sia empirici, mostrando come - al di la' di talune situazioni di
eccellenza in qualche paese ottenute in presenza di istituzioni private - i
sistemi sanitari, previdenziali, assistenziali ed educativi pubblici possano
portare, nei paesi nei quali essi sono gestiti in modo assennato e per le
finalita' istituzionali, a risultati superiori nelle medie e non inferiori
nelle punte.
*
Ma se vogliamo ricordare Caffe' oggi senza compiere un'operazione catartica
ne' dare il benche' minimo spazio allo spettacolarismo che egli aborriva,
dobbiamo anche chiederci non soltanto in che cosa il tempo gli abbia dato
ragione, ma anche quali sono le difficolta' tuttora presenti, o accentuatesi
nel frattempo, rispetto a un efficace intervento pubblico nell'economia e
nella vita sociale del nostro paese.
Alcuni nodi nella struttura sia dell'economia privata sia dell'apparato
pubblico permangono o si sono accentuati negli ultimi due decenni. Le
carenze strutturali dell'apparato produttivo permangono tutte e si sono
forse accentuate; i segnali di miglioramento nel contenuto delle nostre
esportazioni che si ravvisano nei dati statistici sono ancora troppo timidi
e, per contro, si sono perse quelle posizioni di preminenza in alcuni
settori tecnologicamente avanzati (vedi elettronica) che erano ancora
presenti verso la meta' degli anni '80. La grande impresa manifatturiera e'
stata drasticamente ridimensionata. I servizi privati sono in molti casi
meno efficienti ora di allora. Il tasso di disoccupazione e' all'incirca
quello stesso della meta' degli anni '80, con l'aggravante della maggiore
rilevanza della occupazione precaria. Abbiamo avuto un drastico calo
dell'inflazione, ma anche la protezione nei suoi confronti si e' ridotta;
che questo abbia prodotto maggiore efficienza o equita' e', nel migliore dei
casi, tutto da dimostrare. La poverta' - pur in forme nuove - torna ad
essere un problema rilevante e la distribuzione del reddito, in tutti i suoi
aspetti, e' decisamente peggiorata. La funzionalita' della Pubblica
amministrazione non e' maggiore ora di quanto non lo fosse negli anni '70 o
'80 e in alcuni comparti e' decisamente peggiorata. Lo stato sociale ha
mostrato segni di crisi che ne richiedono una riforma. Soprattutto, va
enfatizzata e non sottaciuta, come si e' portati a fare, la crisi della
scuola e dell'universita', non piu' strumento di formazione del cittadino e
del capitale umano, non piu' veicolo di promozione sociale. Anche la
giustizia, in tutti i suoi aspetti, versa in una situazione comatosa. La
democrazia, seppur minacciata in misura apparentemente molto minore oggi di
quanto non lo fosse allora dalla violenza di gruppi armati, si e' dimostrata
incapace di risolvere casi sconcertanti di attentati e tragedie ed e'
appannata da due fatti nuovi maturati negli ultimi decenni: la scomparsa di
almeno un grande partito della sinistra, che, nonostante i molti suoi
limiti, ha rappresentato un elemento di garanzia democratica di tutto
rispetto; il consolidarsi del berlusconismo, che, spettacolarizzando
trasformismi, gattopardismi e particolarismi, ne ha facilitato
l'assorbimento da parte degli italiani, costituendo un ulteriore strumento
di disgregazione sociale.
*
La constatazione di questa situazione porta a chiedersi come si sia potuto
disperdere quel patrimonio di energie e di voglia di miglioramento che si
era espresso nelle aule e nelle piazze a partire dal 1968 e, comunque, come
e perche' esso sia stato inefficace, o almeno insufficiente rispetto alle
pur rilevanti pressioni esterne e alla deriva "borghese". O porta a
chiedersi se gli antichi mali italici - accentuazione di mali senza
confini - non venissero semplicemente dissimulati da richieste tanto vaghe
quanto vociate ed espresse con toni alti. O porta a chiedersi se le
battaglie serie ed efficaci nei confronti del sistema non passino per una
opera lenta, ma tenace, di educazione e diffusione delle idee; se, pur
consapevoli della potenza degli interessi costituiti, non sia possibile
individuare alcuni nodi fondamentali per lo sviluppo della democrazia nel
nostro paese, la scuola e l'universita' in primis, e farne oggetto di una
riforma ampia e penetrante.
E, nel porsi queste domande, il pensiero non puo' che essere confortato
dalla rilettura de "La solitudine del riformista", che bene ha fatto "Il
manifesto" a riproporre, insieme agli altri scritti e alle interviste di
Federico Caffe' al giornale, a beneficio non soltanto di coloro che non lo
hanno conosciuto, ma anche dei suoi allievi ed estimatori, per testimoniare
la forza delle sue argomentazioni nel lungo periodo.

4. FELICE ROBERTO PIZZUTI: ALL'INCROCIO TRA KEYNES E L'ECONOMIA DEL
BENESSERE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2007]

A distanza di vent'anni dalla scomparsa di Federico Caffe', la sua eredita'
intellettuale resta quanto mai feconda e utile per interpretare la
situazione economica e sociale. Anzi, per molti aspetti, le sue analisi, e
purtroppo anche i suoi timori, hanno avuto un carattere premonitore. Come
ben ci ricorda il volume edito da "Il manifesto", Caffe' aveva messo in
guardia contro diversi rischi presenti nel dibattito e nelle scelte di
politica economica, rischi che negli ultimi anni si sono aggravati; la mia
impressione e' che, complessivamente, quest'ultimo ventennio non gli sarebbe
piaciuto molto.
Caffe' credeva fondamentalmente nel diritto-dovere degli uomini di
organizzare fattivamente la propria convivenza sociale senza cadere vittima
della soggezione verso presunte leggi naturali; da qui la convinzione del
ruolo della politica economica quale strumento indispensabile della
collettivita' organizzata per regolare i cosiddetti automatismi, falsamente
neutrali, del mercato. Da qui, ancora, la sua preoccupazione per le tendenze
neoliberiste, che pur traendo conforto da alcune esperienze negative
dell'intervento pubblico, ma quasi ignorando il consolidato dibattito
teorico sui fallimenti del mercato, escludono la possibilita' di interventi
discrezionali se non al prezzo di peggioramenti economici e sociali.
Scriveva Caffe': "Poiche' il mercato e' una creazione umana, l'intervento
pubblico ne e' una componente necessaria e non un elemento di per se'
distorsivo e vessatorio". E ancora: "La recente ondata neoliberista sta ad
indicare in quale misura inconvenienti rilevabili sul piano storico,
nell'intervento pubblico dell'economia, stiano riproducendo superate ed
anacronistiche questioni di principio" ("Note economiche", '79).
Queste posizioni di Caffe' non avevano niente a che fare con modelli
statalisti o pregiudizialmente contrari al mercato; derivavano invece dal
modo in cui aveva coniugato la sua umanita' con i due grandi filoni di
teoria economica a cui piu' si era dedicato come studioso: l'economia del
benessere e l'economia keynesiana.
Credo che queste due correnti del pensiero economico - in particolare i
contributi dell'economia del benessere all'analisi dei rapporti
stato-mercato - siano colpevolmente sottovalutati. La qual cosa colpisce
specialmente da parte della sinistra dove, in presenza di una evidente crisi
dei suoi tradizionali punti di riferimento culturali, si e' assistito ad un
generico ed indiscriminato recupero di valori di altre tradizioni politiche
e di pensiero; ma senza badare come anche in quelle si era e si continua ad
andare avanti rispetto alle "anacronistiche questioni di principio" che sono
riemerse con toni allarmistici, ma senza il supporto di giustificazioni
analitiche significative ed effettivamente nuove. Questa deriva era stata
paventata da Caffe': "Nel lavoro scientifico, le difficolta' maggiori
sorgeranno non tanto dallo sforzo di progettualita' innovativa da compiersi
per la realizzazione di un intervento pubblico efficiente; quanto dal vigile
spirito critico necessario nell'esame metodico delle rielaborazioni,
politicamente pressanti o filosoficamente accattivanti, di idee vecchie"
("Rivista internazionale di scienze economiche e commerciali", 1985).
La passione per i bisogni dell'uomo e il rigore dello studioso che animavano
Caffe' spiegano il grande interesse che egli attribuiva ai problemi della
disoccupazione e al Welfare State, altri due temi su cui, ancora una volta,
il dibattito successivo alla sua scomparsa sembra tornato indietro.
In entrambi i casi era grande e inevitabile il ruolo che Caffe' attribuiva
alla politica economica e all'intervento pubblico. Ed e' proprio con
riferimento al dibattito su queste due questioni cruciali che egli gia'
denunciava l'allarmismo economico usato strumentalmente per sopperire, da un
lato, alla mancanza di argomentazioni scientificamente risolutive per
giustificare il ritorno indiscriminato agli automatismi del mercato e,
dall'altro, alla colpevole sottovalutazione dei danni non solo economici
della disoccupazione e dell'insicurezza sociale. Per Caffe' era un risultato
consolidato della letteratura economica che "il problema dello stato garante
del benessere sociale (poiche' un problema indubbiamente esiste) sia quello
della sua mancata realizzazione; non gia' quello del suo declino, o del suo
superamento" (La fine del Welfare State, 1986).
Caffe' non era ne' pensava di essere un rivoluzionario; si "accontentava" di
essere un riformista la cui lezione, tuttavia, risulta quanto mai attuale a
fronte della crescente diffusione di "conformismo e saggezza convenzionale";
queste sono due sue espressioni con le quali identificava gli atteggiamenti
culturali piu' pericolosi in quanto fanno da copertura intellettuale a chi
si oppone al prevalere delle idee sugli interessi.

5. GIORGIO LUNGHINI: NE' L'APOLOGETA, NE' IL BECCHINO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2007]

L'altro mistero, nella vita di Federico Caffe', e' perche' mai un liberale
scrivesse soltanto su un quotidiano comunista. Una spiegazione ragionevole
e' che Caffe' vedeva nel "Manifesto" l'unico giornale, il cui direttore non
poteva imporgli di scrivere, non poteva rampognarlo per quanto avrebbe
scritto, e non poteva pagarlo: la condizione ideale, per un uomo libero.
Caffe' era un liberale, un liberale aristocratico e progressista come il
Keynes che si chiede, in Am I a Liberal?, quale sia la sua parte politica.
Dopo aver escluso di potersi acconciare a essere un conservatore ("E' un
partito che non ha prospettive, non soddisfa alcun ideale, non si conforma
ad alcun modello intellettuale: non riesce neppure a evitare i rischi o a
salvare dai vandali quel tanto di civilta' che abbiamo raggiunto"), o di
potersi iscrivere al partito laburista ("La lotta di classe mi trova dalla
parte della borghesia colta"), Keynes e' propenso a credere che il partito
liberale potrebbe essere lo strumento migliore di progresso: se solo avesse
una guida forte e il programma giusto. Nel frattempo, "se vogliamo fare
qualche cosa di buono, dobbiamo agitarci, mostrarci eterodossi, pericolosi,
disobbedienti ai nostri genitori".
Gli articoli raccolti in Federico Caffe'. Scritti quotidiani, a cura di
Roberta Carlini (Manifestolibri, con una prefazione di Pierluigi Ciocca e
con due ricordi di Valentino Parlato e Galapagos), rispondono alla stessa
esigenza di fare qualche cosa di buono mediante una critica della "saggezza
convenzionale"; una critica fondata sulla padronanza delle teorie e su buone
letture, esercitata con imparziale intransigenza e argomentata con scrittura
limpida, "pacata e quasi didattica" (cosi' come Caffe' auspicava che fosse
l'opera di informazione economica). Dunque una scrittura che consiglia la
citazione anziche' la parafrasi. Tra i temi trattati in questa raccolta, ne
scelgo tre: le presunte virtu' del mercato in generale e i vizi congeniti
del mercato finanziario, la disoccupazione come male supremo del
capitalismo, il riformismo. Di tutti questi scritti vorrei sottolineare, non
in maniera rituale, la straordinaria attualita'; e lascio al lettore di
indovinare quali potrebbero esserne i destinatari, vent'anni dopo.
*
Il programma giusto, per chi voglia contribuire alla edificazione di "una
civilta' possibile", non e' la dottrina del laissez faire; che e' la
dottrina dei mercanti e non quella di Keynes e di Caffe'. Quando Colbert
chiese al mercante Legendre: "Que faut-il faire pour vous aider?", la
risposta di Legendre fu: "Nous laissez faire", lasciate fare a noi; ovvero,
come oggi si preferisce dire: lasciate fare al mercato. Su questo tema,
Caffe' non ha riguardi per nessuno e mira in alto. Dell'"indubbiamente
eminente" Hayek, Caffe' scrive: "allorche' Hayek ha sostenuto che 'la causa
della disoccupazione risiede in una deviazione dai prezzi e dai salari di
equilibrio che si stabilirebbero automaticamente, in presenza di un mercato
libero e di una moneta stabile', si e' di fronte non a una fruttuosa
rielaborazione di idee che abbiano radici lontane, ma all'ennesima
attestazione dell'atteggiamento del ritorno retrivo di chi ha saputo niente
apprendere e niente dimenticare".
La smithiana "mano invisibile", ricorda Caffe', e' soltanto una metafora
efficace: "Adamo Smith intendeva da un lato sottolineare che non era la
generosita' del panettiere o del macellaio a indurli a trattarci bene, ma il
desiderio di conservarci come clienti e quindi uno stretto calcolo di
tornaconto. Lo stesso Smith, d'altra parte, osserva che ci vuol poco per
indurre i negozianti a complottare ai danni del consumatore: talche' dalla
trascendenza della 'mano invisibile' il discorso sembra spostarsi sul
terreno di inclinazioni al monopolio che sono innate negli operatori
economici". In breve: "che il 'mercato' sia una bilancia inesatta non puo'
certo sorprenderci; ma sono i suoi difensori tenaci che dovrebbero trovare
motivo di riflessione".
*
Il mercato che Caffe' piu' teme e' il mercato finanziario, per la sua
intrinseca fragilita'. Ai tempi del caso Sir-Rovelli e del crack Sindona,
per il quale pagarono duramente Baffi e Sarcinelli, scrive: "Il capitalismo
monopolistico, nella sua fase odierna, poggia su una struttura finanziaria
che e' costantemente sull'orlo di tradursi in una 'deflazione cumulativa dei
debiti', analizzata nientedimeno da Irving Fisher, in occasione della grande
crisi. Mettere in guardia contro i pericoli di una deflazione cumulativa dei
debiti e', per un economista, un dovere civile. Il capitalismo maturo
richiede riforme delle istituzioni e non clamorose cacce di capri espiatori.
Le esigenze effettive sono quelle di una 'socializzazione delle
sovrastrutture finanziarie'". Cio' non soltanto per i rischi di crisi
finanziarie generali, ma anche a tutela dei risparmiatori: "La borsa valori
in Italia e' una istituzione ormai anacronistica, che favorisce non gia' il
vigore competitivo, ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio che opera
sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di
risparmiatori, in un quadro istituzionale che, di fatto, consente e
legittima la ricorrente decurtazione e il pratico spossessamento dei loro
peculi". "Possibile", si chiede Caffe', "che nessuno riecheggi Einaudi nel
raccomandare a categorie inesperte di cittadini di non avventurarsi in un
campo manipolato da avventurieri?".
Questi scritti di Caffe' suscitarono lo scandalo dei benpensanti; cosi' come
l'aveva suscitato l'avvertimento di Keynes nella Teoria generale: "Gli
speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso
regolare di intraprese economiche; ma la situazione e' seria se le imprese
diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando
l'accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle
attivita' di un Casino', e' probabile che le cose vadano male. Se alla Borsa
si guarda come a una istituzione la cui funzione sociale appropriata e'
orientare i nuovi investimenti verso i canali piu' profittevoli in termini
di rendimenti futuri, il successo conquistato da Wall Street non puo'
proprio essere vantato tra gli straordinari trionfi di un capitalismo del
laissez faire. Il che non dovrebbe meravigliare, se ho ragione quando
sostengo che i migliori cervelli di Wall Street sono in verita' orientati a
tutt'altri obiettivi".
*
La questione della disoccupazione, per Caffe' come per Keynes, e'
strettamente legata alle questioni monetarie e finanziarie. Come ormai si
dovrebbe sapere, il governo della moneta ha conseguenze non neutrali sugli
aspetti reali dell'economia, sulla domanda effettiva, dunque sul livello di
attivita', dunque sull'occupazione. Posto che i banchieri centrali
sostengono che e' necessario mantenere una disciplina finanziaria, come
condizione essenziale per fare arretrare l'inflazione e ripristinare la
stabilita' dei prezzi, Caffe' si chiede come mai non si affermi, con pari
vigore e con analogo intimo convincimento, la necessita' di combattere e
ridurre la disoccupazione: "nessun male sociale puo' superare la
frustrazione e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle
collettivita' umane"; per non parlare dello "scoraggiamento di coloro che
hanno finito per considerare lo stato di precarieta' e la prestazione
occasionale come un fatto abituale e sistematico".
*
Lo scritto piu' noto tra quelli raccolti nel libro, anche grazie a un titolo
magistrale, e' "La solitudine del riformista". Il riformismo veniva deriso
allora sia dai rivoluzionari sia dai sostenitori del mercato. Oggi Caffe' si
troverebbe spiazzato: di rivoluzionari non ce ne sono piu', e la moltitudine
dei riformisti e' costituita proprio dai sostenitori del mercato; i quali,
se avessero il tempo e il coraggio di leggere o rileggere Caffe',
considererebbero lui, proprio lui, un estremista pericoloso. Capita, a chi
tiene ferme le proprie idee.
Scrive Caffe': "Il riformista e' convinto di operare nella storia, ossia
nell'ambito di un 'sistema' di cui non intende essere ne' l'apologeta, ne'
il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilita', un componente sollecito
di apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell'immediato
e non desiderabili in vacuo. Egli preferisce il poco al tutto, il
realizzabile all'utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre
rinviata trasformazione radicale del 'sistema'". Per Caffe', d'altra parte,
"utopia" non era affatto una brutta parola: "Per uno scienziato quel che gli
altri definiscono utopia e' solo anticipazione di esiti che debbono superare
le resistenze del presente".
Infine una premonizione: "Da molti segni, e anche verosimilmente in vista di
non lontane scadenze elettorali, va delineandosi una politica neo-einaudiana
'per i ceti medi', trascurando, fatto non inconsueto, quella per i ceti
popolari... Vi e' ormai un chiaro distacco tra azione di politica economica
e condizioni della gente comune. E' un distacco preoccupante".
*
P. S. Nel 1978, sui "Quaderni piacentini", una rivista che allora aveva un
buon impact factor, avevo pubblicato una nota "Su un presunto cambiamento, e
una differenza reale, nel concetto di equilibrio". Li' scrivevo che c'e' una
corrispondenza stretta tra concetto di equilibrio e visione dell'economia;
che il concetto di equilibrio e' un concetto "borghese", poiche' tende a
descrivere il sistema capitalistico come un sistema retto non dal conflitto
ma dall'armonia; e che dunque quella dell'equilibrio e' una categoria
analitica di parte. Mal me ne incolse. Ricevetti subito una lettera di
Federico Caffe', che mi sento moralmente autorizzato a rendere pubblica:
"Caro Lunghini,
qualche volta si vorrebbe fermare il tempo. O almeno, lo si ricorda con
molta nostalgia. Cosi' io ricordo sempre un pomeriggio autunnale assolato,
in cui feci un viaggio in macchina, da Frascati a Roma, con un giovane
meraviglioso, ma non immune ai mal di denti, che doveva partire
precipitosamente per Milano, dopo aver assistito ai seminari, allora molto
belli, presieduti da De Finetti.
Dopo, questo ormai maturo giovane, sulla via di Damasco, ha incontrato Marx;
e, come raccontano le storie, dopo un periodo di oscurita', Paolo comincio'
a farsi apostolo di un nuovo verbo, che non escludeva la distruzione di
biblioteche 'pagane' o di statue 'eretiche'. Non so se ora tu ti trovi nella
fase della oscurita', o della distruzione. Solo, mi fa sinceramente male
sentirti parlare di scienza 'borghese'. Mi rivedo nella bella biblioteca di
Gustavo Del Vecchio, con la sua pazienza nell'indicarmi i quattro tipi di
indici contenuti nella Teoria dell'interesse di Fisher, o il decennale
travaglio occorso nel passare dai concetti di utilita' marginale a quello di
produtivita' marginale.
Da qualche tempo, mi sono specializzato a portare fiori sentimentali a
questi avelli dimenticati. Pensare che, senza intenzioni apologetiche, tutta
questa gente intelligentissima abbia portato a risultati apologetici
'perche' interni alla filosofia borghese della scienza' mi fa male. E non
riesco piu' a capirti. Questa, come vedi, non e' una risposta, ma una
reazione sentimentale. Ma e' proprio l'indice del momento in cui si diventa
datati e occorre rassegnarsi al ricambio generazionale.
Da parte mia ne riconosco la ineluttabilita': e seguo il vostro cammino con
l'antico affetto, ma senza comprensione.
Spero che non me ne vorrai per la franchezza e vorrai conservarmi il tuo
buon ricordo.
Federico Caffe'".
Questa lettera mi addoloro' e ne segui' una fitta corrispondenza, da cui
estraggo un brano di Caffe':
"... In realta' andiamo d'accordo e ci separano forse questioni semantiche,
o (come dicono i miei spregiudicati collaboratori) una mia inclinazione a
riverire i busti del Pincio. La mia preoccupazione (riferita a coloro che
iniziano da ora gli studi economici) e' il constatare quanto la loro cultura
si impoverisca, nella misura in cui procedano con sicurezza priva di
tentennementi nella direzione prescelta. Un poco di dubbio sistematico forse
non fa mai male, nel procedere con poca luce e in un gran cerchio
d'ombra...".
Questo episodio rinsaldo' l'amicizia. Il dolore si fece pungente quando
capii che quel grande cerchio d'ombra si andava allargando. Prima del
silenzio, Caffe' mi aveva mandato alcune piccole carte, "in vista della
liquidazione ereditaria cui sto provvedendo". Una di queste era un cartolina
che riproduceva una terracotta di Armando Sapori, lo storico economico. Alla
cartolina, che rappresentava un volto stanco e disperato, Federico Caffe'
aveva appiccicato una didascalia: "Caffe', monumentalizzato e 'riletto'".

6. UNA BREVE NOTIZIA BIOGRAFICA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2007 riprendiamo la seguente
breve scheda biografica li' apparsa col titolo "Professore a tempo pieno,
keynesiano convinto"]

Federico Caffe' e' nato a Pescara il 6 gennaio 1914. Sulla sua data di
nascita una volta scherzo' sopra dicendo: la Befana mi ha lasciato in una
calza, ma era piccola, piccola. Il professore fisicamente non era un
gigante: arrivava a malapena al metro e mezzo. Ma non ha mai dato segni di
soffrire per la sua altezza. Anzi, a volte ci scherzava: al bar quando gli
offrivamo un caffe', specificava "corto" o "ristretto". Nonostante la sua
statura, Caffe' tra il 1941 e il 1943 svolse il servizio militare come
ufficiale: si era gia' laureato e lavorava come assistente alla facolta' di
Economia a Roma. Dopo la guerra fu capogabinetto di Meuccio Ruini (ministro
della ricostruzione) durante il governo Parri. Ma l'attivita' politica non
lo entusiasmava e nel 1946 si trasferi' in Inghilterra per frequentare un
corso di specializzazione alla London School of Economics. Tornato in
Italia, ebbe incarichi in varie universita': Roma ('49-'52), Bologna
('51-'56), Messina ('54-'56). Nel 1959 gli fu assegnata la cattedra di
Politica economica e finanziaria alla facolta' di Economia e commercio
dell'universita' di Roma, dove rimase fino al compimento dei 73 anni nel
1987. Oltre all'attivita' accademica, di Caffe' viene ricordata la lunga
collaborazione con la Banca d'Italia della quale fu consigliere economico.
Se ne allontano' quando la banca centrale accentuo' la linea monetarista. E'
stato anche membro dell'Accademia dei Lincei. Caffe' viene a volte definito
"riformista radicale". Era di formazione keynesiana e fece sempre una
coerente opposizione all'ondata liberista e monetarista che dominava la
scena all'inizio degli anni '90.

7. UNA BREVE NOTIZIA BIBLIOGRAFICA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2007 riprendiamo la seguente
breve scheda bibliografica li' apparsa col titolo "Per saperne di piu'"]

Libri di Caffe'
Impossibile elencare tutto cio' che ha scritto Caffe'. Tra le oltre 200
pubblicazioni, segnaliamo le seguenti:
- Vecchi e nuovi indirizzi nelle indagini sull'economia del benessere,
Tecnica Grafica, Roma 1953.
- Saggi critici di economia, De Luca, Roma 1958.
- Politica economica. Sistematica e tecniche di analisi (2 voll.)
Boringhieri, Torino 1966.
- Teorie e problemi della politica sociale, Laterza, Bari 1970.
- Un'economia in ritardo, Boringhieri, Torino 1976.
- Lezioni di politica economica, Boringhieri, Torino 1980.
- L'economia contemporanea, Edizioni Studium, Roma 1981.
- In difesa del Welfare State, Rosenberg & Sellier, Torino 1986.
*
Scritti su Caffe'
Molti anche gli scritti pubblicati dopo la scomparsa di Caffe', sul suo
pensiero e sulla sua vita. I principali:
- Nicola Acocella, Guido M. Rey, Mario Tiberi (curatori), Saggi di politica
economica in onore di Federico Caffe', tre volumi, Franco Angeli, Milano
1990, 1992, 1999.
- Daniele Archibugi, Federico Caffe', solitario maestro, "Micromega", n. 2,
1991.
- Ermanno Rea, L'ultima lezione, Einaudi, Torino 1992.
- AA. VV., Federico Caffe'. Realta' e critica del capitalismo storico,
Donzelli, Roma 1995.
- Riccardo Faucci, L'economia per frammenti di Federico Caffe', "Rivista
italiana degli economisti", n. 3, 2002.
- Bruno Amoroso, La stanza rossa. Riflessioni scandinave di Federico Caffe',
Edizioni Citta' Aperta, Troina (Enna) 2004.
Dal libro di Rea e' stato anche tratto un film, per la regia di Fabio Rosi,
L'Ultima lezione, (2001).
*
Iniziative
A Caffe' e' intitolata la facolta' di Economia dell'universita' di Roma 3, e
un istituto tecnico commerciale romano nel quartiere di Monteverde. Dal
consiglio di istituto di tale scuola e' partito lo scorso marzo un appello
al sindaco di Roma perche' nella capitale sia intitolata una via o una
piazza a Federico Caffe'. All'appello, che ha gia' raccolto centinaia di
firme, ha aderito il segretario generale della Cgil Epifani. La stessa Cgil
pubblichera' a breve un volume antologico di scritti di Caffe', che sara'
presentato nel corso di un'iniziativa in ricordo dell'economista, nella
facolta' di Economia dell'universita' di Roma La Sapienza, il 16 e 17
maggio.

8. ET COETERA

Federico Caffe', nato a Pescara nel 1914, e' stato uno dei piu' illustri
economisti italiani del Novecento, dapprima presso la Banca d'Italia, poi
docente universitario a Messina, a Bologna ed infine e lungamente a Roma.
Come studioso e docente ha lasciato nei suoi interlocutori, colleghi ed
allievi un'impronta straordinaria, divenendo una figura quasi leggendaria
sia per la sua profonda umanita', sia per il suo rigore morale e
intellettuale, sia per il suo intenso ed incessante impegno scientifico,
pedagogico e civile. E' scomparso misteriosamente nell'aprile 1987. Opere di
Federico Caffe': tra le sue numerose opere scientifiche, didattiche e
d'intervento civile segnaliamo almeno: Vecchi e nuovi indirizzi nelle
indagini sull'economia del benessere, Tecnica Grafica, Roma 1953; Saggi
sulla moderna "economia del benessere", Torino 1956; Saggi critici di
economia, De Luca, Roma 1958; Politica economica, due volumi, Boringhieri,
Torino 1966 e 1970; Teorie e problemi di politica sociale, Laterza, Bari
1970; Un'economia in ritardo, Boringhieri, Torino 1976; Lezioni di politica
economica, Boringhieri, Torino 1978, nuova edizione 1990; L'economia
contemporanea, Edizioni Studium, Roma 1981; In difesa del welfare state,
Rosenberg & Sellier, Torino 1986; La solitudine del riformista, Bollati
Boringhieri, Torino 1990; Scritti quotidiani, Manifestolibri, Roma 2007.
Opere su Federico Caffe': si veda in primo luogo la biografia scritta da
Ermanno Rea, L'ultima lezione, Einaudi, Torino 1992. A Caffe' sono stati
dedicati vari volumi di saggi, lezioni, convegni (ad esempio cfr. Nicola
Acocella, Guido M. Rey, Mario Tiberi (a cura di), Saggi di politica
economica in onore di Federico Caffe', tre volumi, Franco Angeli, Milano
1990, 1992, 1999; AA. VV., Federico Caffe'. Realta' e critica del
capitalismo storico, Meridiana Libri e Donzelli, Catanzaro-Roma 1995; Bruno
Amoroso, La stanza rossa. Riflessioni scandinave di Federico Caffe',
Edizioni Citta' Aperta, Troina (Enna) 2004). Un consistente archivio di
materiali miscellanei di e su Federico Caffe' si trova presso Paolo Lupi (un
suo antico allievo che ne mantiene viva la memoria e la lezione), via della
stazione, 01013 Cura di Vetralla (Vt).
Roberto Tesi, economista, scrive sul quotidiano "Il manifesto" con lo
pseudonimo di "Galapagos".
Roberta Carlini e' giornalista del quotidiano "Il manifesto"; ha curato la
recente raccolta degli Scritti quotidiani di Federico Caffe'
(Manifestolibri, Roma 2007).
Nicola Acocella (1939), economista, docente all'Universita' di Roma "La
Sapienza"; ha svolto studi e ricerche all'estero presso le Universita' di
Oxford, Cambridge, Reading, Harvard, Stanford, Toronto, nonche' presso la
Commissione Cee e le Nazioni Unite; ha collaborato con varie riviste
italiane ed internazionali, case editrici e istituzioni internazionali, fra
le quali: Rivista Italiana degli Economisti, International Journal of
Industrial Organization, Journal of Public Economics Theory, Transnational
Corporations, Cambridge University Press, United Nations; tra i suoi attuali
interessi di ricerca: teoria della politica economica; interazioni fra
sindacato, banca centrale e governo; estensione, determinanti ed effetti
della globalizzazione; teorie della giustizia; beni pubblici globali. Tra le
opere di Nicola Acocella: Decisioni economiche in condizioni di incertezza.
Strumenti di indagine e applicazione alla teoria del consumatore, Giuffre',
Milano 1970; Imprese multinazionali e investimenti diretti. Le cause dello
sviluppo, Giuffre', Milano 1975; L'impresa pubblica italiana e la dimensione
internazionale: il caso dell'Iri, Einaudi, Torino 1983; (in collaborazione),
Le multinazionali italiane, Il Mulino, Bologna 1985; (con altri, a cura di),
Sindacato e processi di internazionalizzazione, Ediesse, Roma 1988; (con R.
Schiattarella, a cura di), Teorie dell' internazionalizzazione e realta'
italiana, Liguori, Napoli 1989; (con altri), Giornate in onore di Pasquale
Saraceno, Angeli, Milano 1989; Elementi di politica economica, Kappa, Roma
1989, 1991; (a cura di), L'impresa multinazionale. Prospettive per una
teoria, Lint, Trieste 1994; Fondamenti di politica economica. Valori e
tecniche, Nuova Italia Scientifica, Roma 1994, 1997, poi Carocci, Roma 1999;
Esercizi di politica economica, Kappa, Roma 1995; The foundations of
economic policy. Values and techniques, Cambridge University Press,
Cambridge, 1998; (a cura di), Globalizzazione e stato sociale, Il Mulino,
Bologna 1999; (a cura di), Le istituzioni fra mercato e stato, Carocci, Roma
1999; Politica economica e strategie aziendali, Carocci, Roma 1999; Esercizi
di politica economica, Giappichelli, Torino 1999; (con G. M. Rey e M.
Tiberi, a cura di), Saggi di politica economica, in onore di Federico
Caffe', vol. III, Franco Angeli, Milano 1999; Fondamenti di politica
economica. Valori e tecniche, China Renmin University Press, Pechino 2001
(edizione cinese); Elementi di politica economica, Carocci, Roma 2001; La
politica economica nell'era della globalizzazione, Carocci, Roma 2001;
Economia del benessere: la logica della politica economica, Carocci, Roma
2002; Zasady polityki gospodarczej. Wartosci i metody analizy, Wydawnictwo
Naukowe PWN, Warszawa 2002 (edizione polacca di Fondamenti di politica
economica. Valori e tecniche); Le politiche microeconomiche, Carocci, Roma
2003; (con E. Sonnino, a cura di), Movimenti di persone e movimenti di
capitali in Europa, il Mulino, Bologna 2003; (con G. Ciccarone, M. Franzini,
L. M. Milone, F. R. Pizzuti e M. Tiberi), Rapporto sulla poverta' e le
disuguaglianze nel mondo globale, Pironti e altri, Napoli, 2004; Economic
policy in the age of globalisation, Cambridge University Press, Cambridge
2005; (con R. Leoni, a cura di), Social pacts, employment and growth: A
reappraisal of Ezio Tarantelli's thought, Physica-Verlag, 2007.
Felice Roberto Pizzuti (Roma 1950), economista, e' docente di Politica
economica all'Universita' di Roma "La Sapienza"; nel 1993 ha collaborato con
il Dipartimento della Funzione Pubblica per l'attuazione delle deleghe
governative sulla riforma degli enti pubblici; nell'autunno del 1994 ha
fatto parte della Commissione nominata dal Ministero del Lavoro per studiare
i problemi connessi alla formulazione della riforma previdenziale; dal 1995
e' tra i soci fondatori del Enrsp (European Network for Research on
Supplementary Pensions); dal 1999 e' tra i soci fondatori della "Societa'
italiana per studi di economia ed etica sul farmaco e sugli interventi
terapeutici"; dal 2001 al 2004 e' stato condirettore della rivista "G. E.
Diritto ed Economia dello Stato Sociale"; negli anni 2001, 2002 e 2003 ha
curato il Rapporto annuale sullo stato sociale Inpdap; dal 2005 cura la
pubblicazione annuale del Rapporto sullo stato sociale con il patrocinio del
Dipartimento di Economia Pubblica dell'Universita' di Roma "La Sapienza" e
del Criss (Centro di Ricerca Interuniversitario sullo Stato Sociale); ha
collaborato per attivita' di ricerca e informazione con vari enti, tra cui
la Camera dei Deputati, il Consiglio nazionale delle ricerche, vari
ministeri, la Scuola superiore della pubblica amministrazione; ha
organizzato numerosi convegni nazionali ed internazionali sui temi
dell'economia italiana, dello stato sociale, della previdenza, della
globalizzazione; collaborando a diversi quotidiani e riviste. Opere di
Felice Roberto Pizzuti La politica della previdenza sociale in Italia dal
1965 al 1977: evoluzione ed effetti redistributivi, Edizioni Kappa, Roma
1979; (con Mancini), Efficienza e costi di produzione nella pubblica
amministrazione, Edizioni Kappa, Roma 1983; Note sule forze che regolano
l'accumulazione, le crisi, e la formazione del reddito, Edizioni. Kappa,
Roma 1984; (et al.), La produttivita' nella Pubblica Amministrazione.
Rapporto al Cnel, Edizioni. del Sole 24 ore, Milano 1987; (con G. M. Rey, a
cura di), Il sistema pensionistico. Un riesame, Il Mulino, Bologna 1990; La
sicurezza sociale tra previdenza assistenza e politica economica, Liguori,
Napoli 1990; Stato e politiche di intervento nell'economia, Edipress, Roma,
1990; (a cura di), L'economia italiana dagli anni '70 agli anni '90, Mc
Graw- Hill, Milano 1994; (con Marcello de Cecco, a cura di), La politica
previdenziale in Europa, il Mulino, Bologna 1994; (a cura di),
Globalizzazione istituzioni e coesione sociale, Donzelli, Roma 1999; (con
Maurizio Franzini, a cura di), Globalization, Institutions and Social
Cohesion, Springer-Verlag, Heidelberg 2000; (con N. Acocella, G. Ciccarone,
G., M. Franzini, L. M. Milone), Rapporto su poverta' e disuguaglianze negli
anni della globalizzazione, L'Ancora del Mediterraneo-Colonnese-Pironti,
Napoli, 2004.
Giorgio Lunghini, economista, docente universitario, saggista; membro
dell'Accademia nazionale dei Lincei e presidente della Societa' italiana
degli economisti; fa parte dell'Associazione per il rinnovamento della
sinistra e della Fondazione Di Vittorio; e' autore di scritti di storia e
critica delle teorie economiche, di teoria del valore, del capitale e della
distribuzione, di teoria della crescita e della disoccupazione; collabora
con vari periodici. Opere di Giorgio Lunghini: ha curato, in collaborazione
con Mariano D'Antonio, il Dizionario di economia politica, 16 voll.,
Boringhieri, Torino; tra le sue pubblicazioni recenti: Valori e prezzi,
Utet, Torino 1993; Equilibrio, Bollati Boringhieri, Torino 1993; L'eta'
dello spreco. Disoccupazione e bisogni sociali, Bollati Boringhieri, Torino
1995; Riproduzione, distribuzione e crisi, Unicopli, Milano 1996; (con
Giovanni Mazzetti, Bruno Morandi), Disoccupazione e lavori socialmente
utili, Manifestolibri, Roma 2000; (con Michel Aglietta), Sul capitalismo
contemporaneo. Regolazione e crisi del capitalismo. I nuovi compiti dello
Stato, Bollati Boringhieri, Torino 2001.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 57 del 17 aprile 2007

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