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Minime. 61
- Subject: Minime. 61
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 16 Apr 2007 00:13:54 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 61 del 16 aprile 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Semplici inferenze 2. Severino Vardacampi: Democrazia paritaria e duale 3. "Una citta'" intervista Olivier Todd su Albert Camus 4. Riletture: Algeria torturata 5. Riletture: Janine Cahen e Micheline Pouteau, Una resistenza incompiuta 6. Riletture: Giampaolo Calchi Novati, La rivoluzione algerina 7. Riletture: Pierre Bourdieu, Sociologie de l'Algerie 8. Riletture: Assia Djebar, La donna senza sepoltura 9. Riletture: Frantz Fanon, I dannati della terra 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. SEMPLICI INFERENZE Impegnarsi per la pace implica opporsi alla guerra. Salvare le vite implica opporsi alle uccisioni. Per riempire i granai - amava ripetere quel vecchio partigiano - occorre svuotare gli arsenali: solo con la scelta del disarmo e della smilitarizzazione si puo' agire per difendere e promuovere tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani. 2. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: DEMOCRAZIA PARITARIA E DUALE Nella discussione in corso sulla riforma elettorale, di quanto segue vorremmo si tenesse conto. Che l'umanita' e' fatta di donne e di uomini, e che fin qui quasi sempre quasi solo gli uomini hanno deciso per tutte e tutti. Con gli esiti che vediamo: i gulag e i lager, Auschwitz e Hiroshima; la cultura e la pratica della guerra, dello stupro, della schiavitu'; la tracotanza che tutto travolge e devasta ed annienta. Sarebbe ora, pare a chi scrive queste righe, di provare a cambiare rotta. E personalmente credo - e lo dico in tutta sincerita' - che dopo migliaia d'anni di dominazione maschile sarebbe una buona idea sperimentare almeno per qualche decina d'anni un governo di sole donne. Ma supponendo che una simile buone idea potrebbe parere a molti troppo audace o troppo ragionevole, concordo anch'io sull'ipotesi di sperimentare almeno per un congruo lasso di tempo che almeno nelle istituzioni pubbliche democratiche elettive si realizzi una rappresentanza numericamente pari di donne e di uomini, nella prospettiva che con una formula forse troppo sintetica (e degna di discussione, e comunque appassionante) e' stata definita di una "democrazia paritaria e duale". E riterrei sensato, anzi: necessario, che questa scelta fosse sostenuta non da un candido invito rivolto alla buona volonta' di prominenti e macchine politiche della cui buona volonta' - diciamo cosi' - e' lecito dubitare, ma da un vincolo normativo cogente. Sono un vecchio dirigente politico, un vecchio pubblico amministratore e una persona che - ahime' - di questioni elettorali (e negli aspetti tecnici, amministrativi, giuridici, organizzativi) si e' dovuta occupare molto piu' di quanto avrebbe voluto; e so bene quindi quante e quali difficolta' sia di ordine teorico che di ordine pratico si possono opporre a questa proposta e a questa prospettiva, ma mi sembra che tutte cadano di fronte al dato di fatto seguente: che occorre contrastare la violenza patriarcale e maschilista prima che essa distrugga tutto. Ed io - confessiamolo dunque - sono uno di quelli che pensano che vi sia un nesso palese tra ideologie e prassi del maschilismo, dello sfruttamento, dell'inquinamento e della guerra (un nesso non meccanicistico, e' ovvio; ma un nesso v'e', flagrante). E se contrastare tale violenza occorre, e con la massima urgenza, uno dei modi e' quello di far cessare la complicita' delle istituzioni con la violenza maschilista, depatriarcalizzare le assemblee elettive, realizzare una presenza quantitativamente equilibrata di donne e di uomini ove si decide della cosa pubblica. Tutto qui. La proposta di legge "50e 50 ovunque si decide" promossa dall'Unione donne in Italia (cfr. nel sito www.50e50.it esaurienti documenti ed informazioni) naturalmente non e' una panacea, ma uno strumento di lavoro e un appello ineludibile. Ci sembra necessario sostenerla. 3. MEMORIA. "UNA CITTA'" INTERVISTA OLIVIER TODD SU ALBERT CAMUS [Dalla rivista "Una citta'", n. 78, giugno 1999 (disponibile anche nel sito: www.unacitta.it) riprendiamo pressoche' integralmente la seguente intervista li' apparsa col titolo "L'Algeria e la madre..." e con il seguente sommario " L'isolamento doloroso che Camus pago' per le sue posizioni sull'Algeria, tanto amata, in cui era nato e in cui continuava a vivere sua madre. Vide fra i primi la dominazione colonialista ma credette sempre alla possibilita' di una convivenza fra algerini e pieds-noirs, che non erano che emigrati europei poverissimi o perseguitati. Camus fu un uomo giusto, che mai indietreggio' di fronte alle verita', anche se molto scomode. Intervista a Olivier Todd. Olivier Todd, giornalista e scrittore, e' stato redattore prima al 'Nouvel Observateur' e poi all''Express'. E' autore della biografia Albert Camus, una vita, uscita in Italia per Bompiani. Vive e lavora a Parigi". Ci corre l'obbligo di esprimere un netto dissenso su alcune espressioni discutibili ed alcuni giudizi incondivisibili del benemerito studioso intervistato; in alcuni punti abbiamo cassato (segnalando i tagli con i puntini di sospensione tra parentesi tonde) poche parole palesemente offensive ad personam (p. s.). Olivier Todd (Neuilly 1929) e' un prestigioso giornalista e scrittore, gia' reporter in Vietnam, Biafra, Medio Oriente, redatore capo al "Nouvel observateur" (1970-'77) e poi a "L'Express" (1977-'81), collaboratore della Bbc e dell'Ortf, scrive regolarmente su riviste francesi, inglesi ed americane; e' autore di una ventina di libri. Tra le opere di Olivier Todd: Albert Camus. Una vita, Bompiani, Milano 1997; Andre' Malraux, une vie, Gallimard, Paris, 2002; Jacques Brel, une vie, Editions 10/18, 2003; Carte d'identites. Souvenirs, Plon, 2005. Albert Camus, nato a Mondovi (Algeria) nel 1913, nel 1940 a Parigi, impegnato nella Resistenza con il movimento "Combat" (dopo la liberazione sara' redattore-capo del quotidiano con lo stesso titolo), premio Nobel per la letteratura nel 1957, muore nel 1960 per un incidente automobilistico. Lo caratterizzo' un costante impegno contro il totalitarismo e per i diritti umani, che espresse sia nell'opera letteraria e saggistica, sia nel giornalismo e nelle lotte civili (oltre che nella partecipazione alla Resistenza). In un articolo a lui dedicato ha scritto Giovanni Macchia (citiamo da Camus e la letteratura del dissenso, in Giovanni Macchia, Il mito di Parigi, Einaudi): "L'assurdo fu per Camus un punto di partenza... Poiche' non si puo' immaginare una vita senza scelta, e tutto ha un significato nel mondo, anche il silenzio, e vivere 'en quelque maniere' significa pur riconoscere l'impossibilita' della negazione assoluta, la prima cosa che noi non possiamo negare e' la vita degli altri. Nell'interno dell'esperienza assurda nasce come prima evidenza (credere al proprio grido) la rivolta: slancio irragionevole contro una condizione incomprensibile e ingiusta, e che pur rivendica l'ordine nel caos. E ricordo la gioiosa impressione che provoco' la formula cartesiana di Camus, con la sua aria di limpido giuoco, quando la leggemmo la prima volta. Non 'je me revolte, donc je suis': ma 'je me revolte, donc nous sommes'. Risollevare gli uomini dalla loro solitudine, dare una ragione ai loro atti; mettersi non dalla parte degli uomini che fanno la storia ma di coloro che la subiscono... Rivolta come fraternita'". Opere di Albert Camus: tra le opere di Camus particolarmente significative dal nostro punto di vista ci sembrano Il mito di Sisifo, Caligola, La peste, L'uomo in rivolta, tutti piu' volte ristampati da Bompiani. Utile anche la lettura dei Taccuini (sempre presso Bompiani). Si veda anche (con Arthur Koestler), La pena di morte, Newton Compton, Roma 1981. Opere su Albert Camus: numerose sono le monografie su Camus; si vedano almeno la testimonianza di Jean Grenier, Albert Camus, souvenirs, Gallimard, e per una sommaria introduzione: Pol Gaillard, Camus, Bordas; Roger Grenier, Albert Camus, soleil et ombre, Gallimard; Francois Livi, Camus, La Nuova Italia; una recente vasta biografia e' quella di Olivier Todd, Albert Camus, una vita, Bompiani] - "Una citta'": Nel Primo Uomo, il romanzo rimasto incompiuto (il cui manoscritto Camus aveva con se' al momento dell'incidente mortale) l'Algeria, fino a quel momento assente o quasi nei suoi romanzi, diventa protagonista assoluta... - Olivier Todd: In effetti, per parlare di Camus e dell'Algeria dobbiamo cominciare dalla fine, da Il Primo Uomo, che esprime al contempo la sua speranza e la sua disperazione per la guerra in corso in Algeria. Tema del libro e' la vita dei petits blancs, i francesi poveri d'Algeria, che nessun intellettuale, a differenza di Camus, conosceva realmente o prendeva in considerazione. Lui era uno di loro, essendo nato in una famiglia povera: la madre, vedova di guerra, arrotondava la magra pensione facendo la domestica. Quando scrive che in casa il burro e lo zucchero si compravano a etti, questa poverta' mi pare del tutto evidente. Quindi, sapeva chi erano i petits blancs. In un editoriale dell'"Express", scritto per spiegare i petits blancs d'Algeria ai petits blancs, ai grands blancs, ai moyens blancs di Francia, sostenne: "I francesi d'Algeria non sono tutti ricchi, col sigaro in bocca, sempre a bordo di una Cadillac". Una scena del libro mi pare molto eloquente perche' evidenzia il punto di vista di Camus sugli eventi d'Algeria. A un certo punto, il protagonista, cioe' Camus stesso, va a trovare un vecchio colono, che gli dice: "Lei sa com'e' in Algeria: un giorno ci si sbrana e il giorno dopo ci si riconcilia". Mentre scrive Il Primo Uomo a Lourmarin, in Provenza, Camus ritiene che tutto sia ormai finito, che sua madre sara' costretta a rientrare in Francia perche' sara' l'opzione indipendentista a prevalere. Non sara' quindi possibile quell'unione tra l'Algeria e la Francia all'interno di un organismo piu' vasto che lui, utopisticamente, auspicava. Cosa avrebbe voluto Camus? Che si trovasse un modus vivendi che permettesse ai pieds-noirs di restare in Algeria. Sognava un sistema egualitario, fraterno, che si sarebbe forse potuto realizzare prima della guerra. Probabilmente, la sua era una chimera, ma, a pensarci bene, e' la stessa cosa che tutti noi oggi auspichiamo per il Sudafrica: la nascita di uno stato multirazziale e multietnico, in cui persone di origine europea e africana possano vivere gli uni accanto agli altri. Comunque, la storia dei rapporti fra Camus e l'Algeria e' piu' complicata. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che fu iscritto al partito comunista algerino dal '35 al '37, e ne venne espulso per anticolonialismo. Seguendo gli ordini di Parigi, che obbediva a Mosca, il partito algerino aveva messo la sordina alla lotta anticoloniale, che invece Camus rilanciava dalle colonne di "Alger Republicain" e di "Soir Republicain", i due giornali in cui esordi' come reporter. Camus aveva preso coscienza della disuguaglianza prodotta dal sistema coloniale. In un reportage dalla Cabilia, molto bello, scriveva che i berberi vivevano in condizioni di semischiavitu'. Questa e' una cosa molto importante. Si dimentica che aveva difeso i militanti nazionalisti algerini, fra cui alcuni sceicchi un po' corrotti. Si dimentica che aveva appoggiato il progetto Blum-Viollette nel '36, con cui il governo del Fronte popolare voleva estendere i diritti politici all'elite musulmana. Si dimentica tutto il passato di Camus militante anticolonialista prima della guerra - per cui fin dal '54 viene bollato come anticomunista, per via del saggio L'uomo in rivolta, ma anche come colonialista - e si passa alla frase da lui pronunciata a Stoccolma in occasione della consegna del premio Nobel, quando, durante un incontro con i giovani, venne aggredito verbalmente da uno studente algerino. Innervosito, si lascio' sfuggire una frase molto infelice: "Amo mia madre e la giustizia, ma fra mia madre e la giustizia scelgo mia madre", che fece scorrere fiumi di veleno. La frase era inopportuna, lui era arrabbiato, non si rendeva conto fino a qual punto sarebbero giunte le reazioni in Francia. "Le Monde" la trasformo' in una notizia mondiale. Commise un errore, certo. Richiesto, rifiuto' di spiegarsi, rinviando ogni chiarimento alla prefazione alle sue Chroniques Algeriennes che, pero', uscirono proprio quando De Gaulle torno' al potere, passando cosi' del tutto inosservate. Nessuno dei suoi libri fu cosi' poco letto come Actuelles III. Nel '54, allo scoppio della rivolta nazionalista, la maggioranza degli algerini non pensava all'indipendenza. Anche in Francia, pochi, a sinistra, agitavano l'idea di un'Algeria indipendente. Cio' che fece prendere coscienza agli arabi e ai cabili non furono tanto i discorsi di Ferhat Abbas (uno dei primi leader nazionalisti, prima favorevole all'integrazione con la Francia, poi entrato a far parte dell'Fln, ndr), ne' quelli dell'Fln, ma il comportamento abominevole tenuto dall'esercito francese durante la guerra. All'inizio, quindi, la posizione di Camus non era isolata. Ma, una volta in Francia, perse il contatto con l'Algeria delle campagne, con il bled, e non vide piu' quel che accadeva nel suo paese. Per questo, ancora nel '58, credeva illusoriamente che, malgrado il napalm, i rastrellamenti e i campi di concentramento, fosse possibile "riconciliarsi". Quando si reco' ad Algeri a proporre la "tregua civile", nel '56, aveva l'intenzione di creare un modus vivendi fra i militari di una parte e dell'altra. Ma chi erano i civili, chi i militari in una situazione come quella algerina? Alcuni erano civili di giorno e militari di notte. All'uscita della riunione, tutti lo attendevano, i comunisti, i cattolici che lavoravano con i nazionalisti algerini, quelli che piu' tardi sarebbero diventati membri dell'Oas. Gli uni volevano che gridasse Vive l'Algerie indipendante, gli altri Vive l'Algerie francaise. Siccome non disse ne' una cosa ne' l'altra, venne messo nel dimenticatoio. Camus, contrariamente a quanto si pensa, non era un uomo che ragionasse enormemente come Raymond Aron. Lui, le cose le sentiva profondamente. Mentre la maggior parte degli intellettuali francesi non conosceva l'Algeria, Camus la conosceva e per questo reagiva con tutto se stesso, visceralmente. Politicamente, si sentiva inferiore a tutti, ma non riguardo all'Algeria. Soffri' molto quando senti' di essere rimasto solo. Era controcorrente, odiato dalla sinistra e dalla destra. A salvarlo fu la sua capacita' creativa. Credo fosse profondamente disperato e infelice alla fine della sua vita. E molto solo. Lui, che voleva essere solidale, era solo, lontano anche dai suoi amici liberali che gli scrivevano: "Bisogna che l'Algeria sia indipendente". Stupisce che tutta questa sofferenza abbia prodotto Il Primo Uomo, nel quale cerco' di recuperare tutta la sua Algeria. * - "Una citta'": Quindi, per Camus l'indipendenza dell'Algeria costituiva un taglio netto con la Francia? - Olivier Todd: Si', un taglio netto. Una volta, ando' persino a trovare De Gaulle, che gli spiego' come non fosse il caso di tenere delle elezioni in Algeria, aggiungendo una frase dura e militare: "Lei si rende conto, un centinaio di deputati bougnoules..." (spregiativo per nordafricani, ndr). Camus aveva sperato che De Gaulle potesse risolvere il conflitto. Questo e' un sentimento molto francese in Camus, perche' gran parte dei francesi, nel '58, nutri' la medesima speranza. Meta' di loro sarebbe stata tradita. Adesso, finalmente, le cose si sono calmate: non si sente piu' sbraitare su Camus reazionario, Camus conservatore, Camus colonialista. Cio' non significa che siamo tutti d'accordo, ma ho la sensazione che anche chi lo dipingeva come un moralizzatore, riconosca adesso che era in buona fede. Che era un giusto. Non bisogna pero' dire che aveva previsto tutto quello che poi sarebbe successo in Algeria. Non aveva previsto niente. Prima della guerra, e' vero, aveva conosciuto molti messalistes, i seguaci di Messali Hadj, capo del movimento nazionalista algerino che nel '54 si oppose all'Fln. Chissa', forse si rendeva conto che l'Fln non era solo un movimento autoritario, ma totalitario. Allo stesso modo, non bisogna credere che avesse ragione a proposito dell'Algeria, al contrario aveva storicamente torto. * - "Una citta'": L'onesta' politica e' una delle virtu' di Camus... - Olivier Todd: Spesso, quando ci si immerge nella vita di qualcuno, si scoprono un sacco di difetti. Non cosi' in Camus. Sul piano politico e' di una rettitudine straordinaria. Possiede una caratteristica che pochi francesi hanno: quando sbaglia, lo dice e se lo dice. Nel 1939 e' pacifista, ma decide di arruolarsi nell'esercito per solidarieta' con gli altri francesi. In alcuni articoli apparsi su "Alger Republicain" da' l'impressione, anche dopo la dichiarazione di guerra, di ritenere che si potesse ancora trovare un accordo con Hitler - un'idiozia secondo me - ma si ricrede subito, perche' ha la capacita' di vedere lontano molto rapidamente. Nota subito quanto di sordido vi sia nel regime di Vichy. Subito, nel giugno del '40. In alcune lettere, infatti, scrive nettamente: "Attenzione ai sentimenti antibritannici", mentre la maggioranza dei francesi era antibritannica, e molti erano antisemiti. Quanto a De Gaulle, pochissimi sapevano chi fosse. Mi sembra utile confrontare l'atteggiamento di Mitterrand nel '41-'42 con quello di Camus nel '40. Mitterrand ha voluto farci credere che non aveva capito quello che stava accadendo in Francia. I casi sono due: o era un imbecille o era un ipocrita. Camus invece esprime con molta chiarezza quello che pensa dopo la sconfitta. Passando per Lione, Clermont-Ferrand, Bordeaux nota subito la vera natura del regime di Petain. Per questo, senza diventare un eroe come Jean Moulin, entra nella Resistenza, insieme a Pascal Pia. Per molti aspetti, Camus ci appare come un resistente per tutta la sua vita: resiste all'atteggiamento colonialista della maggior parte dei pieds-noirs durante la guerra; resiste al bellicismo dopo la dichiarazione di guerra, anche a costo di sbagliarsi sul miglior modo di resistere ai nazisti; resiste all'ondata collaborazionista; resiste all'ondata ultragollista dopo la Liberazione; resiste all'ondata di illusioni a proposito dell'Fln, quando tutti gli intellettuali francesi lo consideravano un misto di Giovanna d'Arco, Baden-Powell e Marx. Il prezzo fu la solitudine. * - "Una citta'": Camus non frequentava molto gli arabi, vero? - Olivier Todd: Non credo fosse in contatto con gli algerini. Ma non per colpa sua, era la sorte di tutti i francesi d'Algeria: non parlavano algerino, non andavano a letto con le algerine. Un suo amico mi ha detto: "Le algerine, alcuni di noi le hanno viste al bordello, e basta". Non ci fu alcun incrocio fra le due comunita', che rimasero separate. Da quando si trasferi' in Francia, non ebbe piu' alcun contatto con gli arabi. Aveva conosciuto dei cabili prima della guerra, quando faceva il reporter per i quotidiani di Algeri. Frequentava alcuni arabi francesizzati ad Algeri, ma non aveva amici fra di loro. A Belcourt, il suo quartiere, nei luoghi in cui arabi, cabili, italiani, spagnoli, maltesi, potevano mescolarsi, come al liceo o all'universita', c'erano pochissimi arabi, figli dei notabili musulmani. E' vero che non parlava arabo ne' cabilo, che non viveva nella casbah, che la famiglia della sua seconda moglie, Francine Faure, era favorevole all'Algeria francese. Ma da qui a sostenere che era un colonialista, ce ne corre. Ci sono i suoi articoli e reportage di gioventu', in cui denuncia l'ingiustizia e l'oppressione economica prodotte dal regime coloniale. Ci sono gli articoli contro il sindaco di Algeri di estrema destra, virulenti e un po' buffi, in cui lo accusa di essere responsabile di tutto quel che non va in citta', financo delle perdite di gas. Camus, inoltre, non ha complessi. Non e' come Sartre, che ha una gran voglia di non essere piu' un borghese. Viene da un ambiente molto popolare. Sa cosa vuol dire essere poveri, non avere il bagno in casa, centellinare il burro e lo zucchero, non avere libri. Non si fa illusioni sui pieds-noirs, sa che possono essere molto razzisti, pigri intellettualmente, che si arrabbiano subito, ma ritiene che abbiano lo stesso diritto all'Algeria dei cabili... Si puo' fare un parallelismo, senza forzare troppo, fra l'Algeria e Israele. In Israele, tutti hanno diritto alla terra, gli ebrei come i palestinesi, ma come conciliarli? Forse, anche i pieds-noirs avevano diritto a una terra che avevano coltivato e fatto fruttare. Anche se non l'ha mai detto, da un certo punto di vista Camus era marxista. Parlando dell'India, infatti, Marx sostiene che il colonialismo non ha solo aspetti negativi: senza gli inglesi, l'India non sarebbe mai esistita come paese unificato dalla lingua e dalla ferrovia. D'altronde, sempre su questo punto, credo che fino alla fine nutrisse illusioni di tipo socialista. * - "Una citta'": Durante la guerra d'indipendenza Camus viaggio' per l'Algeria? - Olivier Todd: Non molto. Solo una volta si reco' nel deserto. Riceveva informazioni dagli amici. Ad un certo punto, con un misto di tracotanza e scoraggiamento, Camus si disse: "Nessuno mi puo' capire, qualsiasi cosa faccia non sono capito, allora e' meglio tacere". Cio' non gli impedi' di intervenire presso le autorita' francesi per salvare la vita a decine di condannati a morte. Lo provano i dossier custoditi al Ministero di Grazia e Giustizia, i nomi. Ho visto una lettera proveniente dalla Presidenza della Repubblica: "Signore, il Presidente della Repubblica e' stato informato del Suo intervento. Naturalmente abbiamo esaminato questo caso". Ma chi aveva scritto quella lettera non si era reso conto che la persona per la quale Camus era intervenuto era gia' stata ghigliottinata. Penso sia intervenuto in 150 casi, in favore di militanti nazionalisti algerini, e anche di comunisti algerini, malgrado il partito l'avesse espulso accusandolo di trotzkismo. Ma Camus era un giusto, sapeva dimenticare, tener conto delle situazioni. Aveva una rotta, che seppe mantenere contro venti e maree, pur soffrendo molto. Bisogna, infatti, ricordare che era molto malato: tubercolotico dall'eta' di 17 anni, lo resto' per tutta la vita. A quel tempo, non c'erano ancora gli antibiotici. Era ammalato, stanco, ma lavoratore, coraggioso, con momenti di depressione, mai meschino. Ho trovato una sola meschineria politica in lui. Stupida, perche' non mentiva mai. Un giorno, ho chiesto a Maurice Nadaud, oggi direttore della "Quinzaine", all'epoca critico letterario a "Combat", se qualcosa lo avesse sorpreso in Camus. Mi rispose: "Si', una cosa mi ha stupito molto. Un giorno, l'ho incontrato al bar di 'Combat' e gli ho detto: 'lei, che e' stato comunista...', e Camus rispose bruscamente: 'non sono mai stato comunista', e se ne ando'". Ho riflettuto molto su questo episodio. Secondo me, Camus rispose cosi' perche' stava per andare in America. Gli avevano appena fatto compilare un foglio dove era chiesto se fosse mai stato comunista, se avesse l'intenzione di assassinare il presidente, ecc. Evidentemente, non aveva voglia di parlarne proprio in quel momento. Salvo questo episodio, non ci sono porcherie politiche in lui ne' calcoli cinici, mentre Sartre (...). Per Sartre bisognava stare con il mondo comunista qualsiasi cosa accadesse, mentre Camus pensava che gli Stati Uniti, pur con tutti i loro errori e crimini, erano comunque piu' democratici dell'Unione Sovietica. Non amava l'attivita' politica. Non gli piaceva neanche la letteratura engagee, che paragonava al servizio militare obbligatorio. Nella sua opera, infatti, troviamo piu' libri degages che libri engages. Nella Caduta il personaggio di Clamence serve a Camus proprio per criticare i sartriani, le anime belle dell'impegno. Erano i compiti delle vacanze, la politica. La faceva suo malgrado, si scocciava. Anche Sartre si scocciava, ma si vedeva di meno, c'era sempre Simone de Beauvoir che lo spingeva: "Vada al tribunale Russell, vada in Portogallo". Camus non aveva nessuno che lo spingesse a fare cose che non voleva fare. Non era un militante nell'animo. Era stato abbastanza scottato dalla sua appartenenza al partito comunista. Provo' prima quel che molti hanno provato piu' tardi, cioe' l'esperienza del partito, ma non recito' mai la parte del reduce. E' vero che si fissa una linea, ma non dice mai che e' notte in pieno giorno, come invece faceva Sartre. Non sempre vede il colore del tempo, ma quando lo vede lo dice. Ancora sul rapporto con Sartre. Nel dopoguerra, entrambi vanno in America. Sartre, immediatamente, fa delle costruzioni intellettuali, neppure tanto chiare, a proposito dell'America e del capitalismo. Cosi' Simone de Beauvoir. Camus, invece, va laggiu', ci sta diversi mesi, ma non scrive nulla. Solo nelle lettere a Gallimard fa qualche osservazione. Non crede sia sufficiente essere francese e intellettuale per diventare di punto in bianco un nuovo Tocqueville... Camus era un honnete homme. Penso che questa sia una delle ragioni del suo successo attraverso le generazioni. Se uno studente russo o americano ha letto dieci libri, almeno uno e' di Camus. E non solo perche' in apparenza e' facile da leggere come Lo Straniero, molto didattico come La Peste o molto ironico come La Caduta. Ma perche' avverte che c'e' grande onesta' in lui. Sartre e' il genio tumultuoso, dialettico, complicato, ma non siamo mai sicuri che sia veramente onesto. Camus forse non e' dotato come Sartre, ma e' legato ai fatti e davanti ai fatti e' onesto. Di fronte a Sartre, invece, ci si chiede sempre cosa pensi veramente. E poi per Sartre non bisognava scoraggiare Billancourt, ossia la classe operaia, per cui era meglio non dire certe cose in certi momenti. Mentre Camus sa dire: "Questo e' bianco, questo e' nero". Insomma, e' al di sopra della politique politicienne, non e' un chierichetto, e' sempre lucido. E questa e' la sua fortuna, perche' non e' facile rimanere lucidi in solitudine. Ma e' anche un uomo del dubbio. Dubita di se' quando ha 17 anni, dubita di se' quando riceve il Nobel. Dubita continuamente delle sue capacita' creative. Dalla sua corrispondenza e da quanto diceva ai suoi amici al momento dell'uscita de La Caduta, emerge che aveva deciso di scrivere dei racconti perche' non riusciva piu' a scrivere. Aveva dimostrato di saper eseguire le scale al pianoforte, ma ormai era esausto. Poi uno di quei racconti inizio' a lievitare, diventando La Caduta. Non si era neppure reso conto di quel che aveva fatto. Poi, subito dopo, ha capito. Robert Gallimard gli scrisse: "Se questa e' la tua impotenza a scrivere...". * - "Una citta'": Quanta Algeria c'e' nell'opera letteraria di Camus? - Olivier Todd: Secondo alcuni critici, nei suoi libri non si vede l'Algeria ne' si vedono gli algerini. Secondo Pierre Nora, l'omicidio dell'arabo da parte di Meursault ne Lo Straniero raffigurava il desiderio inconscio dei petits blancs di sbarazzarsi degli indigeni. Un'interpretazione fra le tante, ma una scuola algerina ne ha fatto il centro di una dura critica a Camus. E' pero' falso che non ci siano arabi nei suoi libri. Vi e' un racconto, in cui un maestro vede arrivare un prigioniero arabo accompagnato da un gendarme. Il problema su cui il maestro si arrovella per tutta la notte e' se permettere al prigioniero di andar via. Camus non parla di cio' che non conosce: non crea personaggi di arabi per il semplice motivo che non conosce arabi. Ma lo si puo' veramente accusare di colonialismo solo perche' non descrive gli arabi che non conosce? Il racconto del maestro posto di fronte al prigioniero e' molto interessante perche' rivela la psicologia di Camus. Mostra la sua indecisione: non vuole essere il guardiano della prigione degli indigeni, ma non e' cosi' che arriva a recuperare un rapporto con loro. Camus fu vittima della sua condizione di petit blanc, da cui non poteva fuggire. (...). Camus conosce il prezzo del sangue, non prova ammirazione per i grandi carnefici della storia, non ammira Hitler, Mussolini, Franco, Stalin. E, per la sua epoca, questo non e' da poco. (...) Aragon (...) diceva che bisogna guardare a quei tempi con gli occhi di allora. Ecco, dobbiamo situare Camus nel suo contesto. * - "Una citta'": Si sentiva piu' algerino o piu' francese? - Olivier Todd: Credo si sentisse molto algerino in Francia e un po' francese in Algeria. Camus era algerino, mediterraneo, per il suo amore per le spiagge, il sole, le ragazze al mare. Non era certo svedese. Era uno scrittore algerino di lingua francese, come adesso ce ne sono tanti. Gli fu dedicata una via nella sua provincia natale, ma il nome venne cambiato con quello di un eroe dell'Fln dopo l'indipendenza. Spero che fra venti o cinquant'anni, ci sara' un boulevard Albert Camus a Algeri o a Orano. Ci sono paesi infelici e tragici, ma l'Algeria e' terrificante. Era una nazione, o no, prima dell'arrivo dei francesi? Gli storici ne discuteranno forse per secoli: c'e' stata la colonizzazione, una guerra spaventosa fra il '54 e il '62. Se 58.000 sono gli americani morti in Vietnam, piu' di 30.000 francesi morirono in Algeria. Facendo le proporzioni, sono piu' i francesi morti in Algeria degli americani uccisi in Vietnam, ma siccome non vi erano tante cineprese e la stampa non ne parlava troppo, di questo non si sa nulla. Ci voleva uno come Camus, che sapeva quello che avveniva anche senza vederlo direttamente, per far capire. C'e' una frase che mi sembra riassumere bene l'atteggiamento di Camus: "Mi fa male l'Algeria come mi fanno male i polmoni". Detto da un tubercolotico, non e' da poco. Ha il suo peso, la sofferenza. * - "Una citta'": Del Camus giornalista cosa puo' dire? - Olivier Todd: Si parla sempre del Camus editorialista a "Combat", ma ci sono tre diversi giornalisti in Camus: quello di "Alger Republicain" e di "Soir Republicain" prima della guerra, quello di "Combat" subito dopo la guerra, quello dell'"Express" alla fine della sua vita. Penso che il periodo a "Soir Republicain" sia il piu' interessante perche' Camus era un reporter molto bravo. E poi li' faceva tutto, articoli firmati e non, recensioni, reportage... Amo molto il Camus giovane critico letterario, perche' amava veramente i libri, e questo e' raro nei critici; poi non apparteneva all'ambiente parigino, per cui non era costretto a parlare di un libro piuttosto che di un altro. Dice quel che pensa e lo scrive. Si leggano le sue recensioni al Muro e alla Nausea: capisce molto in fretta chi sia Sartre. E' vero, troviamo frasi altezzose, del tipo: "Ci si puo' aspettare molto da questo signor Sartre", e non ha ancora 27 anni! All'epoca, Sartre non e' molto conosciuto, ma Camus vede lontano. Il buffo e' che sin dall'inizio si notano i dissidi che li divideranno: ammira Sartre, ma e' pieno di riserve sul piano morale e filosofico. Il Camus giornalista di prima della guerra e' piu' spontaneo, mentre quello di "Combat" e' piu' rigido. C'e' troppa solennita' nei suoi editoriali su "Combat", andavano bene subito dopo la guerra, ma ora suonano enfatici. E' vero, pero', che alla Liberazione lo trovavamo straordinario. "Combat" era un giornale onesto, Pascal Pia diceva: "Faremo un giornale onesto, ci romperemo il muso". In effetti, e' proprio quello che accadde. Nel '45, quando i francesi massacrano gli algerini a Setif, e' uno dei pochi a dire: "Attenzione!". Anche questo non bisogna dimenticare, c'e' l'Algeria di prima della guerra, c'e' l'Algeria del '45 e l'Algeria del '54. In Camus, un filo unisce tutte queste Algerie. * - "Una citta'": Il fatto che venisse da una famiglia povera lo condiziono' nella vita? - Olivier Todd: Un uomo, soprattutto uno scrittore, si definisce in relazione al suo lavoro, ai suoi figli, alla politica, ai soldi. Camus sapeva cos'erano i soldi. Non aveva gusti stravaganti, di lusso. Non ha comprato mulini come Aragon, lasciava la macchina aperta, la potevano anche rubare. Non ci teneva a viaggiare sempre in prima classe. Prendeva in giro il suo amico Gallimard che comprava sempre automobili. Aveva simpatia per le persone di origine modesta: Guilloux, l'autore di Sang noir, Guenon. Per essere accolti bene da Camus era meglio avere origini modeste e per essere accolti molto bene bisognava avere radici pieds-noirs. La sua era una sorta di massoneria dei petits blancs. Non passeggiava con le tasche piene di banconote come Sartre. Sartre, e' vero, non possedeva niente, e lo si ammirava molto perche' non aveva un appartamento ne' una macchina. Ma quando si hanno molti soldi non si e' obbligati a possedere. A Sartre la proprieta' non interessava, ma lui non aveva famiglia. Camus, nonostante la sua ricca vita sentimentale, aveva dei figli, doveva affittare un appartamento, pagare la donna delle pulizie. Sartre dava l'impressione di non essere sulla terra, tanto che sua madre una volta mi ha detto: "Si rende conto? Ho dovuto pagare le tasse di Poulou. Gli ho dovuto prestare dei soldi perche' pagasse le tasse!". C'e' questo lato adolescente in Sartre, non in Camus. Camus e' adulto. D'altronde, quando si comincia a lavorare molto presto si diventa adulti in fretta e lui lavorava gia' durante le vacanze scolastiche presso un armatore del porto di Algeri. Ha conosciuto i proletari da vicino: suo zio era un bottaio. Conosceva la poverta' materiale, ma anche la miseria intellettuale: sua madre non sapeva ne' leggere ne' scrivere, la nonna pochissimo, suo zio non molto. La diversita' fra Sartre e Camus ci porta molto lontano. Il fatto di essere povero invece che un erede borghese determina l'atteggiamento che si ha nei confronti della lingua. Per Camus la lingua e' una conquista. Non avendo libri in casa, incontro' la lingua francese, anche in cio' che puo' avere di enfatico e roboante, solo al liceo. Il congiuntivo l'ha imparato forse con piu' difficolta' di Sartre. Lo sapeva perche' si prendeva in giro da solo: Clamence-Camus ne La Caduta dice che maneggia molto bene il congiuntivo. E' un modo di fare dell'ironia su se stesso. La lingua e' come i soldi: bisogna stare attenti, non bisogna manipolarla brutalmente ne' farne sfoggio, ma neppure maltrattarla. Forse, quel che di classico e' presente nel Camus scrittore nasce dal modo in cui si impadroni' della lingua francese: poco per volta. C'e' il francese orale e quello scritto, e Camus scriveva in modo molto diverso da come parlava. Come si dice, montava di guardia intorno al suo francese, e lo faceva bene. Un'altra cosa, poi, e' la varieta' di stili in Camus. C'e' un clima in Dickens, in Primo Levi, ma non c'e' un clima in Camus. Forse, c'e' una morale, un embrione di filosofia, uno sguardo sul mondo, ma romanzi come Lo Straniero, La Peste, La Caduta, Il Primo Uomo hanno stili molto diversi. E' per questo che non si puo' fare un pastiche di Camus, bisognerebbe farne quattro o cinque, perche' la lingua dello Straniero, della Peste, della Caduta, non e' la stessa. Nello Straniero tutto e' veloce: il colpo di pistola, ecc.; La Peste invece e' molto piu' lenta, per questo mi annoia: non c'e' solo la divisione tra buoni e cattivi, ma una lingua simile a grandi ondate sulla spiaggia; La Caduta e' molto nervosa, piena di aforismi, anche oscura a tratti; il lirismo di Noces e' promettente, ma e' incompiuto; infine, nel Primo Uomo si ritrovano le cose presenti in tutti gli altri libri. Credo che i lettori amino molto Camus anche perche' vi trovano stili diversi: il lirismo, la riflessione, la meditazione. Il Primo Uomo dev'essere considerato come la brutta copia di una saga algerina in due o tre volumi. A volte pensava a un'opera in tre volumi, altre in due. Nei suoi appunti scrive: "Voglio parlare della famiglia di mia moglie, degli amici". Tutto cio' e' molto commovente. E' un uomo che parla di se stesso e dei suoi, parla dell'Algeria, di un paradiso perduto che spera ancora di rivedere. Le lettere da Lourmarin, nel periodo in cui scrive "questo libro mostruoso", come dice, ci rivelano che la stesura del romanzo avviene in un periodo di acuta sofferenza per lui. Alla fine della vita, avrebbe dovuto dirigere un teatro e per Il Primo Uomo rinuncio' a una carriera di attore nel cinema. Doveva infatti partecipare a un film di Peter Brook, tratto da un racconto di Marguerite Duras, che si era messa in testa di farlo recitare. Alla fine, il film lo interpreto' Belmondo. Voleva fare l'attore o vedere da vicino Jeanne Moreau? Non lo sapremo mai, Camus amava molto le attrici. 4. RILETTURE. ALGERIA TORTURATA Algeria torturata. Algerie torturee, Lerici, Milano 1961, pp. 82. In edizione bilingue una drammatica documentazione fotografica, con una presentazione di Aziz Izzet, il "Manifesto dei 121", e una nota su articoli di riviste e giornali sequestrati tra '55 e '60. 5. RILETTURE. JANINE CAHEN E MICHELINE POUTEAU: UNA RESISTENZA INCOMPIUTA Janine Cahen e Micheline Pouteau, Una resistenza incompiuta. La guerra d'Algeria e gli anticolonialisti francesi 1954-1962, Il Saggiatore, Milano 1964, 2 voll. per complessive pp. LVIII + 942. Un lavoro documentario di straordinario interesse. 6. RILETTURE. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI: LA RIVOLUZIONE ALGERINA Giampaolo Calchi Novati, La rivoluzione algerina, Dall'Oglio, Milano 1969, pp. 336. Una monografia la cui lettura e' ancora assai utile (nell'ampia appendice i principali testi ideologici della rivoluzione). 7. RILETTURE. PIERRE BOURDIEU: SOCIOLOGIE DE L'ALGERIE Pierre Bourdieu, Sociologie de l'Algerie, Puf, Paris 1958, 1985, pp. 128. Nella collana "Que sais-je?" una serrata monografia del grande sociologo che e' ormai un classico. 8. RILETTURE. ASSIA DJEBAR: LA DONNA SENZA SEPOLTURA Assia Djebar, La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 192, euro 14. Uno dei libri piu' belli della grande intellettuale algerina. 9. RILETTURE. FRANTZ FANON: I DANNATI DELLA TERRA Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino 1962, 1976, pp. XXX + 250. Un'opera la cui lettura e' ineludibile. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 61 del 16 aprile 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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