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La domenica della nonviolenza. 107
- Subject: La domenica della nonviolenza. 107
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 15 Apr 2007 12:36:37 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 107 del 15 aprile 2007 In questo numero: "Una citta'" intervista Domenico Canciani su Simone Weil MEMORIA. "UNA CITTA'" INTERVISTA DOMENICO CANCIANI SU SIMONE WEIL [Dalla rivista "Una citta'", n. 130, giugno-luglio 2005 (disponibile anche nel sito: www.unacitta.it) riprendiamo la seguente intervista li' apparsa col titolo "I doveri verso l'uomo" e il seguente sommario: "Per Simone Weil il martello pneumatico era la cosa peggiore inventata dall'uomo. Pur credendo necessaria una trasformazione del lavoro a misura dell'uomo restava pessimista sulle possibilita' di eliminarne del tutto la monotonia. L'idea di Simone di 'toccare con mano', di non separare mai esperienza e intelligenza. La guerra di Spagna e la riflessione sulla forza e sul pacifismo. Intervista a Domenico Canciani". Domenico Canciani insegna lingua e cultura francese presso la facolta' di Scienze politiche dell'Universita' di Padova. Tra le opere di Domenico Canciani: Simone Weil. Il coraggio di pensare. Impegno e riflessione polita tra le due guerre, Edizioni Lavoro, 1996; Tra sventura e bellezza. Riflessione religiosa e esperienza mistica in Simone Weil, Edizioni Lavoro - Esperienze, 1998. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] - "Una citta'": Non e' difficile comprendere come il percorso biografico di un intellettuale impegnato conservi sempre tracce importanti della storia di una societa'. L'azione e la riflessione di Simone Weil (nata nel 1909 e morta nel 1943, a soli 34 anni) appartengono prevalentemente alla Francia degli anni Trenta e si presentano come una risposta alle questioni del suo tempo: la condizione operaia, la possibilita' di una trasformazione rivoluzionaria della societa', il pacifismo, l'opposizione ai totalitarismi... - Domenico Canciani: Certamente Simone Weil e' un'autrice che amo' riflettere sui problemi del proprio tempo. Non lo fece con l'intento di creare un'opera, di edificare un'opera, ma coniugando sempre pensiero e azione, vita e riflessione sulla vita. Questo nesso e' fondamentale per capirla. Non si preoccupava dei problemi operai, della condizione operaia, del totalitarismo a livello teorico: la sua preoccupazione nasceva come riflessione su un impegno concreto. Non c'era tra pensiero e azione una gerarchia, ma - se potessimo dirlo in una parola - c'era consustanzialita', nel senso che era un pensiero impegnato e un impegno riflessivo. Anzi, lei arrivo' a dire che, prima dell'azione, il pensiero e' il momento eroico, la scelta intellettuale. Simone Weil ebbe sempre un grande rispetto e una premura nella salvaguardia dell'intelligenza, dell'indipendenza dell'intelligenza. Dopo avere tenuto, per la maggior parte della sua vita, un atteggiamento di riserva nei confronti dell'esistenza di Dio - convinta che i problemi che si pongono davanti agli uomini in questo mondo non possono essere risolti semplicemente accettando o non accettando Dio - negli ultimi anni Simone Weil visse un'esperienza mistica che irruppe nella sua vita in modo inaspettato. Ma anche quando parlo' del soprannaturale, non lo spiego' in se stesso, bensi' nei suoi effetti. Un uomo vive nel soprannaturale - lei lo immaginava nel fuoco dell'amore di Dio - quando le sue parole e le sue azioni vanno contro la logica corrente, contro la logica del mondo. Pur essendosi avvicinata al cristianesimo, e anche al cattolicesimo, Simone Weil non acconsenti' a chiedere il battesimo, a entrare in modo ufficiale nella Chiesa. Preferi' invece rimanere sulla soglia, soffrendo di questa condizione in qualche misura ambigua. Era convinta, infatti, che un certo atteggiamento che aveva qualificato la storia della Chiesa non salvaguardasse l'indipendenza dell'intelligenza. L'intelligenza per lei era fondamentale. Secondo Simone Weil non c'e' eroismo nella vita: se e' possibile parlare di eroismo e' rispetto al pensiero. E' quello il momento decisivo, il resto e' una conseguenza. Una volta che con l'intelligenza ho cercato di conoscere il problema, poi mi impegno, e proprio nell'impegno posso trovare altri elementi che mi permettono un'ulteriore conoscenza "da dentro", dall'interno. Prendiamo in considerazione il tema che sta al cuore di tutta la sua riflessione, cioe' il tema del lavoro. In fondo, se volessimo definire il pensiero di Simone Weil, dovremmo dire che e' un pensiero sul lavoro, sulla condizione umana che si realizza prevalentemente nel lavoro. Anzi, a questo proposito, c'e' uno studio molto bello fatto da Robert Chenavier, presidente dell'Associazione per lo studio del pensiero di Simone Weil, che ha sede a Parigi, e direttore dei "Cahiers Simone Weil", rivista trimestrale che si pubblica dal 1974 (generalmente riporta le relazioni dei convegni che si fanno attorno a questa pensatrice). Chenavier ha fatto una tesi di dottorato, pubblicata nel 2001 dalle Editions du Cerf, intitolata Une philosophie du travail, dove ha individuato nel percorso di Simone Weil e nei suoi testi - che come dicevo non furono scritti per edificare un'opera, con intento sistematico, con esprit de methode, ma per necessita', come fossero appunti a lato della vita - una continuita' rappresentata dalla riflessione sul lavoro: la nozione di lavoro, la condizione dell'uomo che lavora, il rapporto che l'uomo stabilisce con la realta' per trasformarla, ecc. Questo interesse e' riscontrabile a partire dai primissimi testi risalenti al periodo in cui frequentava la "scuola" del filosofo radicale Emile Chartier, detto Alain, passando poi attraverso l'esperienza in fabbrica (dal dicembre 1934 all'agosto 1935, dopo aver chiesto un congedo dall'insegnamento di filosofia, Simone lavoro' come operaia a cottimo), fino all'ultimo testo, L'Enracinement, il radicamento, scritto nel periodo dicembre 1942 - aprile 1943, fatto pubblicare nel 1949 da Albert Camus nella collezione "Espoir" da lui creata presso Gallimard, e tradotto piu' tardi in italiano da Franco Fortini, con il titolo La prima radice, presso le Edizioni di Comunita' (1954). Nelle pagine de La prima radice, l'autrice arrivo' a definire una spiritualita' del lavoro, che e' stata malcompresa e malcapita. Si e' detto: non e' stata capace di risolvere i problemi che si ponevano alla condizione operaia, allora ha cercato di sublimarli... Non e' vero. Secondo Simone Weil, infatti, l'impegno e la lotta per la trasformazione delle condizioni di lavoro dovevano continuare, ma nello stesso tempo si era convinta dell'esistenza di una componente irriducibile di necessita', di monotonia, nel lavoro, che bisognava riuscire a trasformare in un elemento di spiritualita', in un modo per avvicinarsi a Dio. Come vedremo meglio, L'Enracinement tratta un tema oggi molto sentito: la ricerca delle radici. Puo' sembrare paradossale che una donna considerata di sinistra arrivi a trattare temi che sono apparentemente di destra, ma questa e' la grandezza di una pensatrice originale, che travalica i recinti prestabiliti. Come nel caso di altre donne del '900, pensiamo per esempio ad Hannah Arendt. Dal grande interesse per la dimensione del lavoro scaturi' l'impegno di Simone Weil nel sindacato. Simone mantenne sempre l'idea che il sindacalismo, soprattutto nella forma originaria di sindacalismo rivoluzionario, rappresentasse cio' che di meglio avevano saputo esprimere gli operai in Francia. Il sindacalismo rappresentava per lei un valore fondamentale. E' per questo che nel 1938, quando in presenza di minacce fasciste si cerco' di creare un fronte tra forze diverse, al di la' delle divisioni tradizionali (comunisti, socialisti, radicali...), e in questo fronte vennero chiamati anche gli imprenditori e gli intellettuali riuniti attorno ai "Nouveaux Cahiers", Simone Weil, si oppose all'idea di creare un sindacato unico e obbligatorio: "Abbiamo tolto tutto alla classe operaia, lasciamole almeno questa possibilita' di scelta, nella quale si puo' ancora realizzare la sua dignita'". L'importanza che rivestiva ai suoi occhi il sindacato, non le impedi' naturalmente di svolgere, anche verso di esso, un lavoro di critica serrata, rimanendo sempre fedele al dovere verso l'intelligenza, verso la ragione. La realta', secondo Simone Weil, e' da vedere sempre nella sua nuda consistenza, al di la' dei veli e delle compromissioni. E' vero che a volte spaventa, ma noi dobbiamo sapere scegliere lucidamente, quindi dobbiamo conoscere. Simone Weil non era assolutamente d'accordo con Il "ne faut pas desesperer Billancourt", la formula di Sartre, che per non portare disperazione alla classe operaia (Billancourt ne e' il luogo simbolo in Francia), bisognasse tacere le verita' spiacevoli. E si prendeva la responsabilita' della critica anche in assemblee e riunioni sindacali. Non perche' cinquemila operai sostenevano un'opinione, questa era per lei necessariamente vera. In Simone Weil troviamo sempre il coraggio di opporsi, magari sbagliando, ma sempre dopo aver ponderato e studiato a fondo ogni problema. Aveva alle spalle studi filosofici approfonditi e il metodo acquisito durante la sua formazione tornava nella serieta' con la quale affrontava l'analisi dei problemi. Quando si occupo', ad esempio, di macchinismo, cioe' dell'introduzione delle macchine nella produzione e del rapporto tra queste e l'operaio, non lo fece limitandosi a studiare qualche libro, a leggere qualche articolo, o a parlare con qualche compagno della "Revolution proletarienne", la rivista sindacalista-rivoluzionaria a cui collaborava, ma decise di andare a sperimentare la vita operaia. I sette, otto mesi passati in fabbrica nel 1935 ebbero come risultato un libro straordinario, che e' il Journal d'usine, il diario di fabbrica, che poi e' stato pubblicato insieme ad altri testi sulla condizione operaia in un volume intitolato appunto La Condition ouvriere (Gallimard, 1951). Quest'ultimo venne tradotto in italiano da Franco Fortini per le Edizioni di Comunita' (1952). Fu il primo libro di Simone Weil a essere pubblicato in Italia, se si esclude L'ombra e la grazia (Comunita', 1951), che in realta' e' la traduzione di un'antologia di testi intitolata nell'edizione originale La Pesanteur et la grace (Plon, 1947). Va detto, per inciso, che la pesanteur e' la forza di gravita' e non c'entra nulla con l'ombra, termine scelto da Fortini probabilmente per motivi editoriali. La condizione operaia suscito' anche all'interno della sinistra italiana una grande discussione, determinando in alcuni militanti la volonta' di andare a sperimentare la vita di fabbrica di persona, seguendo l'esempio dell'autrice. Nel 1935 in una lettera all'amica Albertine Thevenon, moglie del sindacalista Urbain Thevenon (sia Albertine che Urbain erano degli instituteur, cioe' dei maestri di scuola elementare, che in Francia hanno una grande tradizione e rappresentano una sorta di preti laici: cosi' come il parroco viene mandato in un villaggio e vi svolge la sua missione, nella stessa maniera il maestro raggiunge il comune al quale e' stato assegnato e vi porta il suo magistero laico), Simone Weil parlava di orrore per il fatto che Marx, Lenin e Trockij avessero scritto molto sulla condizione operaia, senza aver mai messo piede in una fabbrica. Se cosi' stanno le cose - concludeva - la politica non puo' essere che une sinistre rigolade, una sinistra buffonata. Non necessariamente l'andare in fabbrica mi spiega i meccanismi dello sfruttamento, pero' la conoscenza per essere vera deve penetrare nella carne, bisogna poter pensare con le mani (e' una espressione che nasce proprio in quegli anni). Nel 1936 Simone Weil chiese un appuntamento all'ingegner Jacques Lafitte, che aveva appena pubblicato un libro sulle macchine, per poter discutere con lui di problemi tecnici. Si era convinta che la condizione operaia non si potesse trasformare con una rivoluzione politica: l'aspetto penoso del lavoro sarebbe rimasto immutato. Era invece necessario progettare delle macchine capaci di rispettare la dignita' umana, delle macchine che non imponessero all'operaio il proprio ritmo in funzione della rentabilite', cioe' della produttivita'. Per esempio, lei trovava che il martello pneumatico fosse cio' che di peggiore potesse esistere, perche' strumento che impone con il proprio funzionamento un ritmo convulso alla persona che lavora. Simone Weil volle andare perfino in miniera per rendersi conto della situazione... Si tratto' certamente di un'esperienza un po' goffa, c'era senz'altro in lei del donchisciottismo, ma sappiamo come molto spesso una grande intelligenza si trovi mescolata ad atteggiamenti di ingenuita', e senza ingenuita' probabilmente non avremmo certi picchi di intelligenza... In miniera, Simone Weil pote' sperimentare la "macchina diabolica" e ne discusse con tutti i tecnici che riusci' a raggiungere per cercare di persuaderli dell'importanza di creare macchine che rispettassero la dignita' e i ritmi umani, che facessero si' che il lavoro non dovesse necessariamente essere compiuto in uno stato di assenza del pensiero. * - "Una citta'": Per quanto riguarda, invece, l'impegno piu' strettamente politico di Simone Weil? - Domenico Canciani: Come ho detto Simone Weil fu chiaramente coinvolta nella situazione della Francia tra le due guerre, periodo nel quale si crearono gli antagonismi che condussero, anche nel suo paese, alla presenza fascista. Piu' in generale, Simone Weil - che nel 1932 aveva fatto un viaggio in Germania - era preoccupata della condizione in cui si trovava l'Europa, della progressiva fascistizzazione del continente. A meta' degli anni Trenta, in Francia nacque il Rassemblement populaire, che dava uno sbocco operativo alla volonta' diffusa di unire tra loro le forze popolari e operaie e quelle genericamente democratiche appartenenti a diversi strati sociali. Il Rassemblement populaire porto' alla costituzione del Front populaire e all'esperienza del governo di sinistra, la cui nascita venne accompagnata nel 1936 da una vague di scioperi molto importanti, che portarono a trasformazioni significative nell'organizzazione del lavoro e nei rapporti interni alla fabbrica (l'istituzione delle commissioni di fabbrica, l'abolizione del lavoro a cottimo, ecc.). A Simone Weil non interessava la politique politicienne, la politica politicante, anzi era molto caustica verso le alchimie di partito. Il suo interesse si orientava, al contrario, verso la ricaduta della politica sulla societa'. Questo interesse, in Francia, era comune a molta sinistra critica e indipendente in quegli anni. Non dimentichiamo che Simone Weil era amica di Boris Souvarine, uno dei fondatori del Partito comunista francese, presto espulso, perche' tra i primi a rendersi conto della degenerazione in atto con il passaggio da Lenin a Stalin. Souvarine, di origine russa, era una figura straordinaria di autodidatta - di mestiere era operaio specializzato, lavorava nell'ambito dell'oreficeria. Dal 1925 si riteneva un disincantato, si era reso conto con grande lucidita' del fenomeno del culto della personalita' e fu uno dei primi a utilizzare questa espressione. Scrisse un libro fondamentale, Staline (piu' di 700 pagine), pronto fin dal 1934, ma che incontro' difficolta' ad essere pubblicato in Francia (Gallimard si rifiuto' di farlo, su consiglio di Malraux), e del quale gli Stati Uniti comprarono i diritti, ma senza pubblicarlo. Il libro era costruito su una documentazione minuziosa, come poteva fare solo una persona abituata a lavorare su pietruzze. Souvarine era stato in contatto epistolare con molti francesi, tra i quali Victor Serge, che si erano trovati nella Russia del '17. Dalle loro lettere aveva presto cominciato a capire come la rivoluzione si fosse, quasi subito, rovesciata nel suo contrario. Pur scritto negli anni Trenta, Staline ha conservato tutto il suo valore. In Italia, dopo essere stato boicottato da molti, venne pubblicato da Adelphi nel 1983. Se le riserve del Pci erano molto forti verso il testo di Souvarine, in Francia chi si iscriveva al Pcf doveva addirittura fare una dichiarazione di principio anti-souvarinista. Rispetto al Partito comunista francese, quello italiano fu sempre in una situazione di privilegio. Il Pcf, infatti, venne sempre guidato direttamente da emissari di Mosca. Ma torniamo al percorso di Simone Weil. Prima che la guerra e l'invasione tedesca la costringessero ad abbandonare Parigi, riusci' a portare a termine il lavoro sull'origine dell'hitlerismo (Reflexions sur les origines de l'hitlerisme), nonche' L'Iliade ou le poeme de la force, un lungo saggio dove cerco' di individuare il vizio di fondo, il male originario, che aveva portato al nazionalismo e alla necessita' dello scontro. La storia dell'Occidente - che pure ha in se' la ragione greca, la misura greca, il senso dei limiti, l'opposizione alla tracotanza - e' una storia di guerre, e la seconda guerra mondiale e' la bancarotta della civilta' occidentale. La riflessione di Simone Weil si allarga: parte dalla Francia, ma diventa una riflessione sull'Europa e sulla storia dell'Occidente. A questo proposito, ci sono alcune pagine straordinarie tra quelle che scrisse a Londra, nei mesi in cui lavoro' per France Libre, il movimento di Resistenza che si era costituito intorno a Charles De Gaulle. Simone Weil era impiegata al Commissariato degli interni, ma avrebbe voluto partecipare direttamente alle attivita' della Resistenza. Il suo pacifismo era cessato con l'invasione nazista del territorio cecoslovacco (15 marzo 1939), quando si era resa conto che la posizione pacifista rappresentava un errore rispetto al nazismo: era necessario passare all'uso della forza. Naturalmente con tutte le precauzioni del caso: usare la forza sapendo che si fara' del male a qualcuno, unicamente per impedire un male maggiore. Nelle riflessioni che troviamo in questi anni nei Cahiers, una miniera sterminata costituita dai pensieri che accompagnarono Simone Weil dal 1934 fino al termine della vita (la traduzione italiana, molto bella, e' curata da Giancarlo Gaeta, pubblicata da Adelphi), troviamo lo sforzo di pensare a una cultura non piu' basata sulla forza, ma sulla giustizia sostenuta dall'amore. Un connubio, uno sposalizio tra pensiero greco-platonico e pensiero evangelico. Il riferimento e' al cristianesimo precostantiniano, prima cioe' che il cristianesimo diventasse religione di Stato e assumesse in se' la tara della forza, dell'imposizione, che e' quello che Simone Weil non sopporto' mai nella Chiesa cattolica. Negli ultimi anni, dunque, la sua riflessione politica ha questa dimensione di apertura all'Europa. Non posso dire che cosa avrebbe pensato Simone Weil rispetto alle radici cristiane dell'Europa, ma probabilmente non avrebbe accettato una situazione di privilegio verso il cristianesimo, e soprattutto avrebbe parlato delle grandi religioni come elemento di ispirazione, non di oppressione. L'autonomia e' fondamentale. Inoltre, le grandi religioni, pur avendo forme diverse, hanno un nutrimento comune, una fonte comune. I mistici sono per eccellenza quelli che fanno questa grande sintesi: non condannano e non si oppongono alle forme storiche che hanno preso le varie religioni, ma riescono a trovare l'elemento che nel fondo le unifica tutte. Credo che potremmo trovare nell'ultimo pensiero di Simone Weil tanto materiale per riflettere, per vedere come sia possibile realizzare un progetto di Europa in cui una ispirazione religiosa entri, senza essere pero' oppressiva e lasciando totale liberta' all'individuo. All'inizio de La prima radice, Simone Weil stilo' un elenco dei bisogni dell'essere umano. Cosi' facendo, superava la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, avanzando invece una dichiarazione degli obblighi verso l'essere umano. Tra i bisogni fondamentali (dai quali discendevano gli obblighi), troviamo il rispetto dell'intelligenza e della liberta' di stampa, liberta' quest'ultima che Simone Weil portava fino all'estremo: il pensiero in se stesso non puo' essere mai perseguito, salvo rispondere delle conseguenze negative che, eventualmente, esso possa determinare sulla comunita'. In questo modo, Simone Weil non accettava neppure che l'intelligenza si inchinasse di fronte alla fede, ma in qualche misura - ai suoi occhi - era l'intelligenza a discernere la fede. * - "Una citta'": In un diario intitolato Approssimazione a Simone Weil, che si trova in appendice al suo libro Simone Weil. Il coraggio di pensare (Edizioni Lavoro, 1996), lei scrive che Simone gioco' l'intera sua esistenza sul "terreno della liberta' e del coraggio di pensare controcorrente". Si spiega cosi' la sua diffidenza nei confronti dei partiti, dei quali denunciava l'involuzione burocratica e la concezione di massa, cioe' il rapporto demagogico tra i leader e la massa, il fanatismo, l'obbedienza e il conformismo... - Domenico Canciani: Possiamo parlare di questo a partire dalla situazione italiana del dopoguerra. Noi sappiamo che tra i primi lettori di Simone Weil c'e' Adriano Olivetti, che conosceva bene anche alcuni degli autori francesi chiamati cristiano-spiritualisti, cristiano-sociali, in particolare Emmanuel Mounier e Jacques Maritain. Adriano Olivetti era impegnato in una riflessione che mirava in qualche misura a ricostruire su basi nuove la politica italiana. Una politica che consentisse una reale ed effettiva partecipazione da parte di quella che lui chiamava "comunita'". Quando decise di creare una casa editrice per dare un supporto di pensiero, di riflessione, a questo progetto, scelse il nome Edizioni di Comunita' e tra i primi volumi pubblicati troviamo significativamente i testi di Simone Weil, curati da Franco Fortini. Ancora prima che uscissero questi volumi, alcuni scritti di Simone Weil erano stati presentati sulla rivista "Comunita'". E' il caso della Nota sulla soppressione dei partiti politici del 1943, pubblicato nel numero di gennaio-febbraio 1951, a cura di Franco Ferrarotti. Nelle pagine di Simone Weil, Adriano Olivetti trovava la conferma di un'intuizione che era venuto sviluppando autonomamente. All'interno dell'esperienza politica che egli voleva attuare, una posizione centrale era occupata dalla fabbrica. Ivrea era anche l'esempio topologico di questa sua concezione: la fabbrica, tutti i servizi ad essa relativi, la biblioteca, il rispetto del territorio e lo stretto rapporto con esso, il legame tra industria e agricoltura... La fabbrica come laboratorio in cui sviluppare una vera democrazia partecipativa, da trasferire poi sul territorio, a livello comunale, dove gli amministratori locali non fossero semplicemente delegati, ma continuamente sollecitati, sostenuti e sorvegliati dalla comunita'. L'esperienza democratica nata in fabbrica, insomma, avrebbe fornito l'esempio e le modalita' per un suo trasferimento e allargamento sul territorio. Come sappiamo, questo esperimento venne attuato solo nei comuni del Canavese, che non a caso furono i primi in Italia ad avere dei piani urbanistici (non dimentichiamo che Olivetti era anche un urbanista). Tutto questo avveniva negli anni Cinquanta, quando nel nostro paese regnava il caos edilizio. Trovo abbastanza paradossale che i movimenti ambientalisti odierni non abbiano un occhio di riguardo, un'attenzione, verso questa esperienza. E' chiaro che essendo Olivetti un "padrone", c'era la solita diffidenza da parte della sinistra, ma non potremmo adesso metterla da parte? Olivetti era valdese e in lui emerge tutta una dimensione religiosa che non e' conosciuta. A un certo punto visse una crisi di coscienza, domandandosi se fosse giusto continuare a fare l'imprenditore, o non fosse invece il caso di seguire la parabola del giovane ricco e disfarsi di tutto; arrivo' a chiedersi se fosse possibile individuare nel suo impegno per la trasformazione del mondo del lavoro una specifica vocazione... Simone Weil e' presente in tutto questo. Una lettura attenta dei discorsi che Olivetti faceva ai suoi operai permette di trovare molti riferimenti, perlopiu' impliciti, a Simone Weil. Si tratta di un'ispirazione di fondo. Olivetti fu particolarmente influenzato dalle pagine de La prima radice consacrate agli operai, la' dove si parla dello sradicamento operaio e di come farvi fronte. Simone Weil individuava la necessita' di disperdere le industrie nel territorio; si sarebbe trattato, ovviamente, di industrie non mastodontiche, ma tecnicamente ben organizzate. La sua proposta si giustificava anche con la volonta' di evitare lo spopolamento delle campagne, che si manifestava in Francia gia' negli anni Trenta e che portava alla perdita di identita' della condizione contadina e, quindi, della condizione operaia. Nella Nota sulla soppressione dei partiti, Simone Weil giunse paradossalmente a proporre la fine dei partiti, ma leggendo meglio le sue pagine si vede al fondo la voglia di creare, dopo l'esperienza amara della Terza Repubblica, un regime di governo democratico dove i partiti non avessero piu' quello strapotere che avevano esercitato tra le due guerre. La voglia di trovare forme nuove di partecipazione e, soprattutto, di responsabilizzazione degli uomini delegati alla gestione amministrativa, da sottoporre costantemente al controllo della cittadinanza. Qui ritroviamo l'eco delle riflessioni del suo maestro, il radicale Alain, che aveva teorizzato un tipo di politica come controllo della gestione del potere. (E' evidente in questo atteggiamento una certa diffidenza nei confronti del potere). La riflessione di Simone Weil non era isolata. Nel periodo della Resistenza si sviluppo' tutto un dibattito su come organizzare in modo nuovo la Francia del dopo-liberazione, proprio perche' ci si era resi conto che una certa maniera di concepire la democrazia aveva portato al baratro. Il punto era quello di limitare il potere dei partiti, senza togliere la democrazia. Cercare cioe' un altro modello di partecipazione democratica. Poi, in realta', De Gaulle non avra' il coraggio di arginare i partiti, e cosi' la Francia, come l'Italia, negli anni Cinquanta passera' da un governo all'altro, a causa della frammentazione politica. * - "Una citta'": Nell'agosto 1936 Simone Weil raggiunse la Spagna, ma ben presto le sue speranze circa le possibilita' rivoluzionarie vennero meno, annegate dalla violenza dilagante su entrambi i fronti; una violenza che, ai suoi occhi, conduceva inevitabilmente all'oppressione della societa' civile. Da qui, il suo sostegno alla politica di non-intervento del governo francese, per evitare l'allargarsi della guerra e per la difesa della pace... - Domenico Canciani: La partecipazione alla guerra di Spagna costituisce un momento di snodo fondamentale. La vita di Simone Weil e' estremamente breve e quando noi realizziamo una periodizzazione ci troviamo di fronte a intervalli di tempo molto piccoli: l'esperienza operaia duro' sette-otto mesi in tutto, la sua partecipazione alla guerra di Spagna non duro' piu' di quindici giorni... Simone Weil parti' per la Spagna con l'intenzione di avere notizie di Maurin, un membro del Poum, cognato di Boris Souvarine. Chiese per questo di entrare in Aragona, dove pensava di poterlo ritrovare. Aveva, come lasciapassare, una tessera di giornalista. Dopodiche' espresse il desiderio di partecipare direttamente alla lotta, perche' voleva rendersi conto della situazione psicologica dei contadini rispetto ai miliziani. Ebbe molta difficolta' a farsi arruolare, poi finalmente riusci' a entrare, grazie ad amici anarchici francesi, in una compagnia che faceva parte della colonna di Buenaventura Durruti. (In quel periodo Simone si era accostata all'anarchismo, riconoscendovi un anelito di liberta' che in qualche modo la seduceva). Pote' cosi' scoprire la dimensione di violenza e di barbarie della guerra. Ne scrisse in un breve Journal d'Espagne, poche pagine di un calepino che portava con se'. Da queste brevi annotazioni, molto semplici, troviamo conferma del suo intento: rendersi conto del tipo di rapporto stabilitosi tra miliziani e contadini. In un piccolo villaggio - mi pare che si chiamasse Pina - si impegno' a far parlare la gente che si trovava nella piazza sui problemi della collettivizzazione, sul loro rapporto con i preti del luogo e con i latifondisti, sul servizio militare obbligatorio che era stato attuato, ecc., e si rese conto di una situazione di inferiorita' manifesta e di dipendenza da parte dei contadini nei confronti dei miliziani. Un sentimento che non trovava parole per esprimersi, ma che lei leggeva nei loro silenzi e nei loro occhi. Simone era andata in Spagna convinta che la' fosse in atto una guerra tra proprietari facoltosi e una popolazione di contadini poveri e sfruttati. Era partita convinta che la guerra potesse migliorare la condizione degli strati popolari, ma ben presto quella guerra si era trasformata in scontro di fazioni, in regolamento di conti, ad esempio tra Partito comunista, Poum e anarchici. Dimenticando, cosi', lo scopo originario. Molti intellettuali e volontari venuti dalla Francia, e da altri paesi, con ideali di trasformazione e di emancipazione popolare, si trovavano presi dentro un meccanismo che li portava all'uso della forza e della violenza, al di la' di quello che si poteva immaginare inizialmente. In particolare, Simone Weil si riferiva alle sistematiche azioni di rappresaglia contro i nemici e a tutti quei meccanismi di violenza che facevano perdere un poco alla volta il senso della distinzione tra bene e male. Nel breve diario spagnolo di cui ho accennato, c'e' un'annotazione che segna il momento culminate di questa crisi. Simone racconta della sua partecipazione a una ricognizione lungo il fiume Ebro, sotto la minaccia di aerei nemici. A un certo punto, alza gli occhi verso il cielo e pensa: "Molto sangue e' stato sparso e io mi sento corresponsabile". Nei giorni successivi, intervenne un piccolo incidente, del tutto fortuito, che la mise nella condizione di uscire da una situazione che non voleva piu' condividere. Sbadatamente mise un piede in una bacinella di olio bollente. Lei non voleva fare i lavori di cucina, ma gli anarchici comunque erano dei maschilisti... Si brucio' terribilmente, venne allontanata dalla zona di guerra e arretrata vicino alla frontiera con la Francia, dove la raggiunsero i genitori per assisterla nella convalescenza. Mentre si curava, ebbe modo di parlare con Michel Collinet, un amico anarchico francese, insegnante di matematica e volontario in Spagna, convincendosi definitivamente che quella guerra non poteva essere giustificata. E' per questo che, tornata in Francia, sostenne il non-intervento del governo Blum, perche' a suo parere bisognava far cessare la guerra e ricostituire le condizioni per la pace. Infatti, la guerra di Spagna configurava la possibilita' di una guerra mondiale, si presentava cioe' come una sorta di premiere generale di un teatro bellico ancora piu' devastante. Le guerre di Spagna di Simone Weil sono molte, almeno tre. C'e' la breve partecipazione diretta al conflitto. Poi c'e' il dibattito politico-ideologico che lei sviluppo', in Francia, nelle varie organizzazioni di sostegno della parte repubblicana, dove prese sempre le difese di coloro che combattevano contro Franco, ma portando avanti nello stesso tempo le ragioni di una posizione pacifista (bloccare una guerra che rischiava di condurre tutta l'Europa sul campo di battaglia). Infine, c'e' la riflessione intima sull'elemento di fondo: la dimensione della barbarie e della forza presente nella civilta' occidentale. Dicevo all'inizio che la guerra di Spagna rappresenta una sorta di snodo. E' infatti a partire da questo momento che Simone Weil comincio' a riflettere sul ruolo della forza all'interno della civilta' occidentale. Nel 1938 invio' a Georges Bernanos una lettera molto bella nella quale troviamo conferma che non appena vi sia rispetto per l'intelligenza e tensione verso la verita' e' possibile anche trovarsi con persone che sono partite da posizioni diverse. Bernanos - del quale Simone Weil aveva letto molti romanzi, ma soprattutto i reportage realizzati quando si trovava nelle Baleari, poi raccolti ne Les grands cimitieres sous la lune - era un monarchico, un uomo di destra, un discepolo di Drumont, ed era convinto inizialmente che Francisco Franco avesse intrapreso una giusta crociata contro il comunismo, contro l'ateismo, salvo poi rendersi conto a sua volta dell'atrocita' e dell'ingiustizia della guerra. Georges Bernanos e Simone Weil giunsero alle stesse riflessioni sulla barbarie, partendo da posizioni politiche opposte. La lettera a Bernanos e' straordinaria perche' in essa troviamo formulate quelle riflessioni sul meccanismo della forza - che una volta messo in movimento non e' piu' dominabile da parte dell'uomo - su cui Simone Weil riflettera' nella parte finale della sua vita, accostandosi ai Greci. E' proprio a partire dal 1937-'38 che in lei si nota un deciso ritorno al pensiero greco. Una lettura che non e' meramente filologica, ma che diventa sapienziale, se cosi' posso dire. Il risultato e' quel saggio stupendo di cui parlavamo, L'Iliade ou le poeme de la force, che Simone preparo' a ridosso della seconda guerra mondiale e che doveva essere pubblicato sulla "Nouvelle Revue Francaise" di Jean Paulhan, prima che questa venisse soppressa e poi ricostituita dalle forze di occupazione naziste. Venne pubblicato invece a Marsiglia nei "Cahiers du Sud", la rivista di Jean Ballard. Con L'Iliade Simone Weil ritornava addirittura all'origine, a un testo fondatore della nostra cultura. Nella dimensione collettiva della polis, l'elemento che aveva determinato lo sviluppo del vivere in societa' degli uomini dell'Occidente era dominato dalla forza. La riflessione finale e' su come uscire dal dominio della forza che ci trascina verso il basso e su come ricostruire la convivenza sociale su basi nuove. Arriviamo, dunque, all'ultimo testo, L'Enracinement, che rappresenta un grande progetto per l'Europa nuova. Lei lo aveva intitolato Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l'essere umano. Poi un titolo cosi' lungo forse non andava bene dal punto di vista della commercializzazione del libro e Camus, che lo pubblico' nella sua "Collection Espoir", scelse il titolo di L'Enracinement. Si tratta di un vero e proprio manifesto per l'avvio di un'altra societa', nuova per la realizzazione, ma antica per le sue radici. Nessun passatismo. Il passato e' una sorta di scrigno dove ci sono esperienze che devono servire non per essere riportate in vita in modo artificioso e artificiale, ma perche' servano di ispirazione. Noi abbiamo di fronte realta' nuove, ma ci nutriamo alla sorgente antica. Tra le carte di Camus si trova un progetto di prefazione a L'Enracinement dove si legge questa frase: "L'Europa che si vuole costruire deve confrontarsi con questo testo fondamentale". * - "Una citta'": Ascoltando le sue parole su Simone Weil, mi torna in mente Aldo Capitini. La riflessione sul radicamento, la tensione religiosa, il suo pacifismo. Mi chiedevo se durante i suoi studi su Simone Weil abbia mai confrontato l'autrice francese con il filosofo italiano. - Domenico Canciani: Allora, proprio fino a qualche mese fa, mi ero riempito di libri di Capitini... Tra i primi lettori di Simone Weil in Italia, oltre ad Adriano Olivetti, a Felice Balbo, a Cristina Campo, a Dossetti (Giancarlo Gaeta, che ha tradotto buona parte dei testi di Simone Weil, in particolare i Cahiers, viene dal gruppo di Dossetti, mi riferisco naturalmente al Dossetti successivo all'impegno politico nella Dc), c'e' anche Aldo Capitini. Io ho trovato nei suoi testi solo degli accenni al nome di Simone Weil, ma sicuramente sono riscontrabili delle consonanze e delle coincidenze. Ad esempio sul tema della nonviolenza: anche Simone Weil aveva letto Gandhi, che costituisce quindi una fonte comune. Inoltre, la concezione capitiniana della religione come esperienza comune all'umanita', che non si identifica in questa o quella chiesa, in questa o quella forma storica; insomma l'universalismo religioso di Capitini e' senz'altro un elemento che puo' aver trovato nutrimento nella riflessione di Simone Weil, che e' molto ricca da questo punto di vista. Quindi parlando di una storia ideale della fortuna di Simone Weil in Italia e' sicuramente da prendere in esame anche Aldo Capitini. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 107 del 15 aprile 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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