La domenica della nonviolenza. 104



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 104 del 25 marzo 2007

In questo numero:
1. Ricordando Hans-Georg Gadamer
2. Dario Antiseri ricorda Hans-Georg Gadamer
3. Maurizio Assalto ricorda Hans-Georg Gadamer
4. Donatella Di Cesare ricorda Hans-Georg Gadamer
5. Marino Freschi ricorda Hans-Georg Gadamer
6. Bruno Gravagnuolo ricorda Hans-Georg Gadamer

1. MEMORIA. RICORDANDO HANS-GEORG GADAMER
[Hans-Georg Gadamer (Marburgo 1900 - Heidelberg 2002) e' il principale
esponente della cosiddetta ermeneutica filosofica ed uno dei pensatori piu'
influenti del secondo Novecento. Opere di Hans Georg Gadamer: nella sua
vasta produzione segnaliamo particolarmente l'opera fondamentale, Verita' e
metodo, del 1960 (nuova edizione italiana con testo a fronte, Bompiani,
Milano 2000); un recente libro-intervista utile per un'introduzione e'
L'ultimo Dio. La lezione filosofica del XX secolo, Reset, Roma 2000; la casa
editrice Marietti sta curando la pubblicazione in traduzione italiana delle
Opere di Hans-Georg Gadamer (Gesammelte Werke, Tuebingen 1976 e sgg.). Opere
su Hans Georg Gadamer: per la biografia, Jean Grondin, Hans-Georg Gadamer.
Eine Biographie, Tuebingen 1999; un volume di saggi brevi di autori vari in
omaggio al filosofo per il suo centenario e' AA. VV., Incontri con
Hans-Georg Gadamer, Bompiani, Milano 2000; Donatella Di Cesare, Gadamer, Il
Mulino, Bologna 2007. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Hans Georg
Gadamer nasce a Marburg l'11 febbraio del 1900. Studia a Breslavia (1918)
con Richard Hoenigswald e a Marburg (1919) con Nicolai Hartmann e Paul
Natorp, con cui si laurea, nel 1922, discutendo una tesi dal titolo:
L'essenza del piacere nei dialoghi di Platone. Nel 1923, a Freiburg, conosce
Husserl e Heidegger, del quale frequenta i corsi universitari a Marburg tra
il 1923 e il 1928. Diventa professore ordinario di filosofia nel 1937 e, nel
1939, ottiene una cattedra presso l'Universita' di Leipzig, di cui diventa
rettore nel 1946. Nel 1947 insegna a Frankfurt e nel 1949 ad Heidelberg,
dove succede a Jaspers. Divenuto professore emerito nel 1978, Gadamer ha
insegnato presso alcune universita' straniere e negli Stati Uniti. Nel 1979
entra a far parte del comitato scientifico dell'Istituto italiano per gli
studi filosofici di Napoli - citta' di cui diventa cittadino onorario nel
1990 - dove, da allora,  ogni anno, ha tenuto lezioni e seminari, vivendo
quella che egli stesso ha definito 'una seconda giovinezza'. Autorita'
indiscussa della filosofia contemporanea, l'illustre filosofo e' stato
recentemente onorato con la pubblicazione della sua Opera omnia della quale
sono usciti finora sette volumi (1986-1991) ed e' tutt'ora in corso di
stampa. E' morto all'eta' di 102 anni ad Heidelberg il 14 marzo 2002. Opere
di Hans Georg Gadamer: Platos dialektische Ethik (L'etica dialettica di
Platone), Leipzig, 1931; Plato und die Dichter (Platone e i poeti),
Frankfurt am Main, 1934; Volk und Geschichte im Denken Herders, (Popolo e
storia nel pensiero di Herder), ibid., 1942; Bach und Weimar (Bach e
Weimar), Weimar, 1946; Goethe und die Philosophie, (Goethe e la filosofia),
Leipzig, 1947; Ueber die Ursprunglichkeit der Philosophie (La nascita della
filosofia), Leipzig, 1948; Vom geistigen Lauf des Menschen, Godesberg, l949;
Wahrheit und Methode. Grundzuege der philosophischen Hermeneutik (Verita' e
metodo .Lineamenti di un'ermeneutica filosofica), Tuebingen, 1960;
Hermeneutik und Historismus (Ermeneutica e storicismo), 1962; Die
phaenomenologische Bewegung (Il movimento fenomenologico), 1963; Le probleme
de la conscience historique (Il problema della coscienza storica), Louvain,
l963; Ermeneutica e metodica universale, 1964; Dialektik und Sophistik im
siebenten platonischen Brief (Dialettica e sofistica nella Settima Lettera
di Platone), Heidelberg, l964; Kleine Scriften (Scritti minori), Tuebingen,
1967 sgg.; Idee und Zahlen (Idea e Numero. Studi sulla filosofia platonica),
1968; Sul mondo concettuale dei presocratici, 1968; Idea e realta' nel Timeo
di Platone, 1974; L'idea del bene tra Platone ed Aristotele, 1978; Studi
platonici, 1983; La dialettica di Hegel. Cinque studi ermeneutici, 1971;
Sentieri heideggeriani. Studi sull'opera tarda di Heidegger, 1983; Chi sono
io, chi sei tu?, 1973; Poetica. Saggi scelti, 1977; L'attualita' del bello,
1977; Poesia e dialogo, 1990"]

Il linguaggio, il dialogo, l'interpretazione, la comprensione.
Il riconoscimento dell'altro.
L'alternativa alla violenza.

2. MEMORIA. DARIO ANTISERI RICORDA HANS-GEORG GADAMER
[Dal quotidiano "Avvenire" del 15 marzo 2002 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Il secolo di Gadamer".
Dario Antiseri, docente e saggista, e' da decenni uno degli studiosi di
filosofia e di metodologia delle scienze sociali piu' acuti e influenti. Dal
sito della Luiss (www.luiss.it) riprendiamo la seguente scheda: "Dario
Antiseri, nato a Foligno il 9 gennaio 1940. Laurea in filosofia presso
l'Universita' di Perugia, nel 1963. Professore ordinario di Metodologia
delle scienze sociali presso la Facolta' di Scienze Politiche della Luiss
'Guido Carli'. E' stato preside della Facolta' di Scienze Politiche della
Luiss dal 1994 al 1998. E' membro dell'Istituto accademico di Roma e membro
dell'Accademia italo-tedesca di Merano. Nel 1986 e' stato chiamato dalla
Facolta' di Scienze politiche della Luiss 'Guido Carli' a ricoprire la
cattedra di Metodologia delle Scienze Sociali. E' direttore del Centro di
Metodologia delle Scienze Sociali presso la medesima Universita'. Ordinario
di Filosofia del linguaggio presso l'Universita' di Padova (1975-'86), ha
qui insegnato anche Filosofia della scienza presso la Scuola di
specializzazione in Filosofia della scienza, di cui e' stato direttore nel
biennio 1980-'82. Libero docente nel 1968 in Filosofia teoretica, ha
insegnato materie filosofiche presso le Universita' di Roma 'La Sapienza' e
Siena. Dopo la laurea in Italia, ha studiato (1963-'67) Filosofia della
scienza, Logica matematica e Filosofia del linguaggio rispettivamente presso
le Universita' di Vienna, Muenster i. W. e Oxford. Alcune pubblicazioni
recenti: Razionalita': nella scienza, in metafisica e in etica, in AA.VV.,
Acta 2003-2004 dell'Istituto Accademico di Roma, Roma 2004; Idee fuori dal
coro, Di Renzo, Roma, 2004; Cristiano perche' relativista, relativista
perche' cristiano, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004; Principi liberali,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004; trad. russa, 2005; trad. bielorussa
2005; trad. serbo, 2005; trad. spagnola 2005; Ragioni della razionalita',
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005"]

Si e' spento Hans Georg Gadamer, uno dei piu' grandi filosofi del secolo XX.
La notizia e' stata data ieri dalla municipalita' di Heidelberg, dove il
filosofo abitava. Gadamer era nato a Marburgo l'11 febbraio del 1900. E,
com'egli narra in quella che e' la sua autobiografia intellettuale, Maestri
e compagni nel cammino del pensiero, lo sviluppo del suo pensiero e' legato
agli "incontri" con pensatori quali Husserl e Natorp, Bultmann, Scheler e
Heidegger. Parlando delle lezioni di Heidegger, egli scrive che "non si
poteva passare vicino al pensiero senza accorgersene".
Professore prima a Lipsia, poi a Francoforte e infine ad Heidelberg -
raffinato ed acuto interprete soprattutto della filosofia antica, ma anche
di Hegel e degli storicisti - e' nel 1960 che Gadamer pubblica Verita' e
metodo, un'opera considerata ormai classica per la teoria dell'ermeneutica.
Legata all'ambito della interpretazione dei testi sacri da una parte, e a
quello della critica testuale dall'altra, l'ermeneutica (o teoria
dell'interpretazione) ha una lunga storia. Senza nemmeno accennare agli
spunti rintracciabili nell'antichita' classica, trascurando anche il piu'
rapido cenno alle concezioni medioevali dei vari "sensi" posseduti da un
testo sacro, diciamo che l'ermeneutica sgorga dalle controversie teologiche
che emergono dalla Riforma e, successivamente, si sviluppa sia nel campo
della teologia che in quelli dei filologi, degli storici e dei giuristi
continuamente alle prese con questioni di interpretazione: che cosa
significa questo testo sacro? quale fu l'autentica intenzione dello
scrittore sacro? che cosa vuol dire questa o quella iscrizione? e' giusta o
sbagliata l'interpretazione usuale di questo o quel brano? e quand'e' che
possiamo esser sicuri della adeguatezza o meno di una qualsiasi
interpretazione? ci puo' essere una interpretazione definitiva di un testo?
Sono questi solo alcuni degli interrogativi tecnici ai quali la teoria
dell'ermeneutica deve rispondere.
Nel romanticismo Schlegel e Schleiermacher intesero dare all'ermeneutica un
posto di rilievo all'interno della filosofia. E, dopo di loro, Dilthey ha
cercato di porre l'ermeneutica a fondamento dell'intero edificio delle
"scienze dello spirito". Dilthey, a dire il vero, la concepi' non solo come
un insieme di questioni tecniche, cioe' metodologiche, ma anche come una
prospettiva di natura filosofica da porre a base della coscienza storica e
della storicita' dell'uomo. Tuttavia, e' stato Heidegger a comprendere lo
statuto filosofico delle concezioni di Dilthey, nel senso che ha visto
l'ermeneutica o "il comprendere" non tanto come uno strumento a disposizione
dell'uomo quanto piuttosto come una dimensione intrinseca dell'uomo.
E' esattamente a partire dalla descrizione che del circolo ermeneutico fa
Heidegger in Essere e tempo che Gadamer elabora il nucleo centrale della
propria teoria ermeneutica. La mente dell'interprete, egli afferma, non e'
affatto da concepire come fosse una tabula rasa. L'interprete accosta il
testo con la sua precomprensione, vale a dire con i suoi pregiudizi. In base
a questa sua memoria culturale (linguaggio, teorie, miti, ecc.),
l'interprete abbozza una prima interpretazione del testo (che, diciamolo,
puo' essere un testo vero e proprio - antico o attuale -, ma anche un
discorso pronunciato un manifesto, ecc.); l'interprete cioe' dice: "Questo
testo significa questo o quest'altro, ha questo o quest'altro significato".
Ma questo primo abbozzo di interpretazione puo' essere piu' o meno adeguato,
giusto o sbagliato. E come faremo ad accertarci della sua adeguatezza?
Ebbene, risponde Gadamer, e' la successiva analisi del testo (del "testo" e
del "contesto") che ci dira' se questo abbozzo interpretativo e' o non e'
corretto, se corrisponde a quel che il testo dice o no. E se questa prima
interpretazione si mostra in contrasto con il testo, se "urta" contro di
esso, allora l'interprete elaborera' un secondo progetto di senso, vale a
dire una ulteriore interpretazione, che poi mettera' al vaglio sul testo e
sul contesto al fine di vedere se essa possa risultare adeguata o meno. E
cosi' via all'infinito.
Sono gli "urti" tra le sue interpretazioni e il testo a costringere
l'ermeneuta a rendersi conto dei propri pregiudizi e a mettere in moto la
catena delle interpretazioni sempre piu' adeguate. Per Gadamer noi scopriamo
quel che il testo dice, perveniamo a scoprirne la diversita' dalla nostra
mentalita', o magari la lontananza dalla nostra cultura, solo partendo da
quelle "donazioni di senso" che noi costruiamo a partire dalla nostra
"precomprensione" e che correggiamo e scartiamo sotto la pressione del
testo.
Gli elementi della nostra "precomprensione" ci sono dati dalla tradizione:
piu' che i vivi sono i morti che vivono in noi. Per questo la tradizione e'
costitutiva di quel che noi siamo. Sbagliano gli illuministi a condannarla;
sbagliano i romantici a sacralizzarla. Ma, in ogni caso, il fatto che la
"precomprensione" sia sempre un patrimonio costruito e donatoci dai nostri
predecessori - e con il quale noi leggiamo noi stessi e il mondo che ci
circonda - ci fa capire che l'ermeneutica di Gadamer e' molto piu' che un
insieme di tecniche, giacche' essa ci fa comprendere che la natura dell'uomo
e' essenzialmente storica, come e' storica la comprensione, appunto, di noi
stessi, degli altri, della nostra e delle altrui tradizioni, del mondo
naturale.
E' cosi', dunque, che anche Gadamer ha contribuito alla demolizione di quei
presunti assoluti terrestri che si sono configurati come altrettante
negazioni dell'Assoluto trascendente.

3. MEMORIA. MAURIZIO ASSALTO RICORDA HANS-GEORG GADAMER
[Dal quotidiano "La stampa" del 15 marzo 2002 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Il tedesco italiano. Busto di Socrate sorsi
di Calvados".
Maurizio Assalto scrive di temi culturali su importanti quotidiani italiani]

L'arrivo era annunciato da alcuni colpi vigorosi contro la finestra al
pianterreno. In strada, appena sbarcato dal taxi, Gadamer alzava uno dei due
grossi bastoni su cui sprofondava la sua mole imponente e picchiava contro i
vetri per attirare l'attenzione. Da dentro, subito qualcuno si affrettava
alla porta, per aiutarlo a salire. Anche a cent'anni, il filosofo che ha
attraversato tutto il XX secolo non aveva rinunciato alle bisettimanali
visite al suo studio presso Ruprecht-Karl Universitaet, il lunedi' e il
mercoledi', per aprire la posta, consultare libri e riviste, incontrare gli
allievi. A Heidelberg era una specie di istituzione, una figura tutelare che
non era raro incrociare, ancora negli ultimi anni, mentre camminava con
sorridente fatica nelle vie del centro.
Era arrivato nel '49, per succedere in cattedra a Jaspers, abitava con la
moglie (la seconda, ultraottantenne) in una villetta nel sobborgo di
Ziegelhausen. Le due figlie - una magistrato, l'altra pittrice - abitavano
lontano. Il suo studio nell'universita' piu' antica della Germania era (e')
in fondo a un lungo corridoio tappezzato di volumi. Vicino a una delle
finestre affacciate su Marsiliusplatz, la sua scrivania ingombra di carte,
con un piccolo busto di Socrate e altri scaffali alle spalle. Sul lato
opposto, davanti alla finestra che da' sul cortile, un divano, due poltrone,
un tavolino. Per terra, la decrepita "Pracla", la vecchissima valigia di
cuoio che lo aveva accompagnato dalla gioventa', e che ancora usava per
trasportare documenti. Vicino ai termosifoni erano allineate le bottiglie
vuote di Calvados, quelle piene erano mimetizzate tra i libri. Gadamer ne
attingeva di continuo, mentre riceveva, con una capacita' di assorbimento
stupefacente.
Una intervista con lui era un'esperienza che poteva durare una giornata
intera, e che aveva come momento centrale il pranzo (al Florian, cucina e
soprattutto cantina italiana, oppure all'Hackteufel, la locanda della
Steingasse vicino al Ponte Vecchio sul Neckar dove avevano sempre pronto per
lui un tavolo vicino all'entrata). Gadamer parlava, scrutava l'interlocutore
con i suoi occhi cordiali e curiosi, e spesso era lui a fare domande,
capovolgendo i ruoli, in una sorta di dialogo platonico, in un confronto
ermeneutico.
Era un tedesco di indole poco nordica, innamorato dell'Italia e del Sud.
Soprattutto di Napoli, dove veniva spesso, ospite dell'Istituto italiano per
gli studi filosofici, dopo esserci capitato per caso nel 1972. Amava Capri e
il suo sole abbagliante, che pedinava spostandosi di continuo da un lato
all'altro del sentiero quando scendeva lentamente verso Marina Piccola (una
vera ossessione: "le auguro sole", scriveva nel '25 al suo maestro, in una
delle lettere raccolte da Donatella Di Cesare in Caro professor Heidegger,
ed. Melangolo). Ma la scoperta della cultura italiana era molto piu' antica,
risaliva al periodo degli studi a Marburgo con Karl Loewith che, raccontava,
"durante la prima guerra mondiale era stato prigioniero a Genova, e la' era
rimasto impressionato dall'umanita' dei guardiani, dal grande senso di
solidarieta': percio' pretendeva che i suoi amici imparassero l'italiano. Fu
cosi' che cominciai a leggere Dante".
Solidarieta', gentilezza, apertura verso l'altro: forse l'immagine
dell'Italia e' un po' datata, ma quei valori sarebbero rimasti una costante
nella sua personalita' filosofica e umana, la condizione del dialogo, il
fondamento della speranza, nonostante tutto.

4. MEMORIA. DONATELLA DI CESARE RICORDA HANS-GEORG GADAMER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 marzo 2002 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Le domande di un Socrate del nostro tempo".
Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del
linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea;
dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di
Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di
Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito
il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di
filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha
ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer
all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche
anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il
concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario.
Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta'
di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa'
italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul
secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi,
della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International
Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore
della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica
dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di
filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti
volumi: Gadamer, Il Mulino, Bologna 2007; Ermeneutica della finitezza,
Guerini, Milano 2005; Wilhelm von Humboldt y el estudio filosofico de las
lenguas, Anthropos, Barcelona 1999; Die Sprache in der Philosophie von Karl
Jaspers, Francke Verlag Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia
greca, Bulzoni, Roma 1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia,
esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G.
Cantillo, Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e'
linguaggio. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il
Melangolo, Genova 2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo
1922-1929, a cura di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von
Humboldt, La diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare,
Laterza, Roma-Bari 1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die
Verschiedenheit der Sprache, hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di
Cesare, Paderborn, UTB, 1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo.
Introduzione all'ermeneutica del senso, a cura di Donatella Di Cesare,
Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D.
Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen 1996; Torah e filosofia. Percorsi del
pensiero ebraico, a cura di D. Di Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze
1993; Karl Jaspers, Il linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di
Cesare, Guida, Napoli 1993; Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S.
Gensini, Marietti, Milano 1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie
der Linguistik. 1600-1800, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus
Publikationen, Muenster 1990"]

Con Hans Georg Gadamer scompare l'ultima grande figura della filosofia
tedesca ed europea del Novecento. Autore di Verita' e metodo e fondatore
dell'ermeneutica filosofica, Gadamer ha saputo dialogare con intere
generazioni di filosofi: dai maestri Natorp, Hartmann e Heidegger, fino ai
compagni di cammino come Loewith, Krueger, Strauss, per arrivare agli
interlocutori e allievi piu' giovani, Habermas e Rorty, Derrida e Vattimo.
Il suo incontro fondamentale e' quello con Martin Heidegger, il maestro che
non rinneghera' mai, ma dal quale sapra' prendere le distanze: dal punto di
vista politico, quando Heidegger nel 1933 aderisce ufficialmente al nazismo
con il famoso Discorso di rettorato (per quasi sei anni Gadamer interrompe i
rapporti con lui) e dal punto di vista filosofico sviluppando, a partire
dalla filosofia greca, una propria filosofia che ruota intorno al concetto
di "dialogo".
Libero docente a Marburgo negli anni Trenta vive il dramma dell'esilio di
tutti i colleghi e amici ebrei - a cominciare da Karl Loewith. Lui non
emigra, resta. Pensa che la Germania non puo' ne' potra' identificarsi con
Hitler. E' una scelta. Puo' essere discussa. Ma quello che e' certo e' che
Gadamer non aderisce mai al partito nazista, benche' questo fosse necessario
per l'insegnamento. Percio' viene mandato ad un campo di rieducazione sul
mare del Nord. Solo dopo avra' finalmente una cattedra a Lipsia. E' in
quest'ultima citta' che vive gli anni bui della guerra continuando a
insegnare sotto i bombarda?menti. Nei tram che ancora funzionano, per
strada, tra gli studenti, non si stanca di ripetere a voce alta: et illud
transit. Passera' Hitler, passera' il nazismo, restera' la Germania da
ricostruire.  Quando l'Armata rossa giunge a Lipsia Gadamer viene eletto
rettore dell'Universita': e' l'unico docente che non abbia mai avuto a che
fare con il nazismo. Il suo discorso di rettorato e' l'auspicio che la
Germania prima di ricostruirsi, per ricostruirsi, in una nuova Europa,
faccia i conti con se stessa e con quell'evento unico e enorme che porta un
nome incancellabile: Auschwitz.
Nel 1947 viene chiamato a Francoforte e di li' passa poi a Heidelberg
prendendo il posto prestigioso di Jaspers. Heidelberg diventera' da allora
la sua seconda patria.
Nel 1948 partecipa al primo congresso internazionale di Filosofia che si
tiene nel dopoguerra a Mendoza, in Argentina. Incontra tra gli altri il suo
piu' caro amico Loewith, emigrato in Italia, poi in Giappone e infine negli
Stati Uniti. Sara' grazie a Gadamer che Loewith negli anni Cinquanta verra'
chiamato a insegnare a Heidelberg. E l'amicizia tra i due non verra' mai
meno.
Dopo la pubblicazione di Verita' e metodo, finiti gli anni di insegnamento,
pur conoscendo solo qualche parola di inglese, sbarca in America - e
l'ermeneutica con lui. E' un grande successo che verra' via via
consolidandosi. E lo sara' ancor piu' in Italia dove la grande tradizione
umanistica - come lui non si stancava di ripetere - gli rendera' il compito
piu' agevole. Imparera', per quanto gia' tardi, l'italiano. Puo' un "maestro
del dialogo" parlare una lingua diversa da quella del suo interlocutore?
*
Il successo dell'ermeneutica filosofica e' dovuto senz'altro anche al suo
fondatore, capace di dialogare per ore e ore, pronto ad ascoltare - senza
distinzioni - colleghi e studenti, filosofi e non filosofi, perche' dagli
altri si puo' e si deve imparare, perche' assumere il punto di vista
dell'altro e' sempre un arricchimento, perche' infine l'altro puo' avere
davvero ragione. Cosi' Gadamer, Socrate del nostro tempo, ha saputo tenere
viva la tradizione della filosofia classica, senza renderla tuttavia
asfittica. E' certo anche grazie all'ermeneutica che la filosofia ha
attraversato le frontiere del vecchio continente per aprirsi ad altre
tradizioni di pensiero. Ne' e' un caso che Gadamer abbia sostenuto con
forza - soprattutto negli ultimi anni - la necessita' urgente di un dialogo
interreligioso. In tempi di disorientamento come questi, l'ermeneutica ha
saputo prendere la parola anche su argomenti complessi e anche la' dove
buona parte della filosofia restava muta o si chiudeva nella soluzione di
problemi di logica. Sara' forse anche questo il motivo per cui l'ermeneutica
filosofica e' diventata un punto di riferimento al di fuori della filosofia
e, a tutt'oggi, e' difficile valutarne il raggio d'azione che va dal diritto
alla teologia, dalla letteratura alla psichiatria.
Cosi', che lo si voglia o no, l'ermeneutica e' diventata la koine'
filosofica di chi non puo' riconoscersi nella filosofia analitica. E nella
discussione con la filosofia analitica - a cui Gadamer ha preso parte fino
alla fine - l'ermeneutica e' andata semmai guadagnando un profilo sempre
piu' nitido. La convinzione che la contraddistingue e' che filosofare non
vuol dire dare risposte definite e definitive, risolvere problemi, perche'
altrimenti la filosofia sarebbe scienza e perderebbe tutta la sua capacita'
critica; filosofare vuol dire piuttosto porre domande. E' questa, rispetto
al carattere normativo della filosofia analitica, la forza antinormativa
dell'ermeneutica.
Gadamer ha inteso sempre la filosofia come vocazione e passione, amore
appassionato per la saggezza. Anche in questi ultimi anni non ha mai perso
la fiducia che la filosofia possa ritrovare, attraverso nuove vie, questo
suo senso originario. E' rimasto lucido fino alla fine - ma consapevole
della fine. Perche' l'ermeneutica, che e' filosofia della finitudine,
insegna ad accettare l'incompiutezza e il limite.  Ha pero' anche vissuto
pienamente fino alla fine, perche' amava e apprezzava la vita. E' stato il
filosofo che ha scritto "l'inconcepibilita' della morte e' il trionfo della
vita".

5. MEMORIA. MARINO FRESCHI RICORDA HANS-GEORG GADAMER
[Dal quotidiano "Il giornale" del 15 marzo 2002 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Tace con Gadamer la parola del Novecento".
Marino Freschi e' docente di letteratura tedesca all'Universita' di Roma
Tre. Opere di Marino Freschi: Il silenzio del principe. Saggi di letteratura
austriaca, Bibliopolis, 1983; (con Aldo Gargani), Kafka, oggi (1883-1983),
Guida (Napoli), 1985; Introduzione a Kafka, Laterza, 1993, 2001; Paese,
Pironti, 1993; Storia della letteratura tedesca, Newton & Compton, 1995; La
Vienna di fine secolo, Editori Riuniti, 1997; La letteratura del Terzo
Reich, Editori Riuniti, 1997; Goethe. L'insidia della modernita', Donzelli,
1999; Praga. Viaggio letterario nella citta' di Kafka, Editori Riuniti,
2000; L'utopia nel Settecento tedesco, Liguori, 2004; Thomas Mann, Il
Mulino, 2005]

Come il suo amico Ernst Juenger, anche lui, Hans Georg Gadamer ha superato i
cento anni, essendo nato a Marburgo l'11 febbraio 1900. La sua voce,
ancorche' flebile, rivelava una mente vigile e un pensiero ironico e
sorvegliato quando il giorno del suo compleanno l'abbiamo ancora ascoltato
in una libreria napoletana in collegamento telefonico dalla sua bella casa
di Heidelberg. Allora non sapevamo che  era il suo ultimo seminario coi
discepoli di Napoli, citta' cui il filosofo era particolarmente legato e
dove aveva contribuito alla fondazione e alla crescita internazionale
dell'Istituto italiano per gli studi filosofici.
Con lui muore il Novecento, definitivamente. Muore il secolo che fu di
Heidegger, suo maestro, di Jaspers, di Carl Schmitt, di Ernst Juenger, di
Thomas Mann, di Stefan George, di Rilke, di Kafka, di Celan. Muore l'ultimo
secolo che filosoficamente ha ancora parlato tedesco. Questo in cui viviamo
vede una Germania rimpicciolita e curva su se stessa, sul proprio benessere
sempre piu' esclusivamente economico. Per Gadamer gia' la parola suonava
altrimenti: Bene-essere, quale modalita' da raggiungere con uno sforzo
spirituale di separazione dai coinvolgimenti del quotidiano, che spesso
erano solo i lacci del banale, o per dirla con una espressione di Goethe,
poeta assai amato da Gadamer, dalle "smorfie del giorno".
Gadamer sara' ricordato, dunque, come l'estremo rappresentante di una
corrente, di una stagione, di una eta' filosofica che va da Kant
all'idealismo hegeliano, schellinghiano fino a Nietzsche e alla ripresa
neokantiana per inverarsi nelle intuizioni heideggeriane, le cui asprezze e
rigidita' proprio Gadamer, lieve ed elegante umanista, ha saputo conciliare
con l'idealismo e ancor di piu' con lo spirito democratico del nuovo tempo
senza involgarire e svendere l'originale coerenza dell'intensa esperienza
intellettuale dello Heidegger del tempo di Marburg. La parola nuova,
innovativa, che Gadamer seppe dire a se stesso e alla cultura dell'Occidente
e' quella della conciliazione tra teoria e arte, tra teoria e poesia. Le sue
interpretazioni letterarie sono animate da una passione rara, oggi
pressoche' sconosciuta.
Ricordo indimenticabili nottate trascorse all'ultimo piano di un albergo
napoletano, di fronte a Castel dell'Ovo, a parlarci dei poeti tedeschi, dopo
che per ore nel pomeriggio a Palazzo Serra di Cassano ci aveva insegnato a
leggere i filosofi greci. Apparteneva ancora a una generazione che sapeva
recitare a memoria, che amava la melodia dei versi e sorprendeva la sua
sterminata conoscenza della letteratura europea.
Durante il dodicennio della dittatura hitleriana, resto' in Germania, seppe
trasfondere il piu' prezioso patrimonio della cultura tedesca ai suoi
studenti, mentre la sua vita era caratterizzata dal piu' rigoroso
isolamento. Alla sconfitta era a Lipsia dove tento' di salvare
l'universita', divenendone per un breve periodo rettore e trattando
duramente con le autorita' sovietiche d'occupazione, che seppero
rispettarlo, mentre non fece altrettanto il nuovo potere culturale della
Repubblica democratica tedesca, che lo costrinse ad abbandonare
quell'universita', che tanto amava, per trasferirsi definitivamente a
Heidelberg e, fino alla sua scomparsa, la sua casa divenne un punto
d'incontro della intellighenzia libera d'Occidente.
Nel suo ultimo soggiorno romano di tre anni or sono, ormai il vecchio
filosofo era fortemente impedito nella deambulazione, ma volle visitare la
cripta del duomo di Anagni, scendendo i gradini seduto, con una forza della
volonta', che ignorava ironicamente ed eroicamente gli impedimenti fisici.
Il pomeriggio di nuovo a Roma partecipo', anzi, come era suo solito, diresse
una tavola rotonda sulla sua proposta filosofica; la sera al ristorante
ravvivo' per ore la conversazione con una marea di memorie di uomini,
esperienze, libri, opere d'arte, viaggi, citta' e paesaggi. A notte
inoltrata si convinse ad abbandonare, per ultimo, il locale solo dopo il
bicchiere della staffa, pieno fino all'orlo di grappa.
La sua persona, anche in queste piccole memorie, trasmetteva immediatamente
l'idea di essere in contatto con una forza straordinaria, una energia
eccezionale, che Goethe chiamava il daimon, che lo sosteneva e incorniciava
un eterno, adolescenziale, ironico sorriso sul suo volto. Ora ci resta la
sua opera, immensa. Gadamer e' uno degli ultimi filosofi che hanno osato
creare una loro filosofia, una loro concezione del mondo, che al di la'
della storia della filosofia hanno "fatto" filosofia.  Lo ricorderemo anche
per i suoi splendidi saggi letterari, enigmatiche incursioni dello spirito
ermeneutico nelle trame sottili della poesia.
Gadamer ha scritto uno dei saggi piu' sorprendenti per comprendere il Flauto
magico, come pure decisivi sono i suoi studi sul romanticismo tedesco, su
Goethe e Hoelderlin, ma la sua sensibilita' lo ha condotto a confrontarsi
con le grandi e marmoree voci della lirica contemporanea.
Piu' riservati sono stati i suoi interventi politici. La sua generazione era
stata troppo sconvolta da guerre, lotte, rivoluzioni, dittature per non
avere appreso il silenzio della meditazione e della prudente riflessione. Ma
fu felice con tutti i tedeschi, con tutti gli europei e tutti gli uomini
liberi alla caduta del muro di Berlino e alla riunificazione tedesca. Le sue
ultime parole che sono debolmente risuonate nella libreria napoletana erano
pervase da una stanchezza e da una sola preoccupazione: la pace.
Aveva promesso, infine, che sarebbe tornato a Napoli, che gli ricordava il
paesaggio simbolico del suo Platone, su cui a ventidue anni aveva scritto
una brillante dissertazione sull'essenza dei piaceri nel filosofo greco,
discussa con Paul Natorp. Finche' pote' passeggio' sul lungomare Caracciolo,
spesso accompagnato dai suoi discepoli a parlare dei filosofi greci e
sembrava che con lui la filosofia tornasse all'origine, peripatetica,
interrogativa, fraterna: un messaggio e un'interrogazione che andava da uomo
a uomo, mentre il suono delle parole in quel suo personalissimo, improbabile
eppure seducente italiano si perdeva col suo sguardo e il suo sorriso verso
il mare.

6. MEMORIA. BRUNO GRAVAGNUOLO RICORDA HANS-GEORG GADAMER
[Dal quotidiano "L'unita'" del 15 marzo 2002 riprendiamo il seguente
articolo li' apparso col titolo "Hans Georg Gadamer".
Bruno Gravagnuolo e' giornalista del quotidiano "L'Unita'"]

Aveva "urbanizzato la provincia hedeggeriana", diceva Jurgen Habermas. Con
notazione acidula che lasciava trasparire la profonda distanza tra la sua
visione linguistica e neo-kantiana, e quella ermeneutica e
post-heideggeriana del filosofo nato a Marburgo nel 1900, scomparso in
quella Heidelberg di cui era diventato un nume tutelare. La battuta
ambivalente rivelava pero' un recupero parziale della filosofia di Gadamer.
In due sensi. Il primo e' legato all'intuizione di fondo che pervade il
Logos del maestro dell'ermeneutica: la centralita' del linguaggio come tutto
cio' che possiamo apprendere dell'Essere. Vale a dire, secondo la
formulazione di Gadamer: "L'Essere che puo' venir compreso e' il
linguaggio". E tale motivo non fu estraneo nemmeno alla stessa formazione di
Habermas, che aveva respirato, da erede di Adorno, la forte polemica della
scuola di Francoforte contro "l'appartenenza all'Essere", tipica della
filosofia di Heidegger. L'altro motivo di riabilitazione di Gadamer, da
parte di Habermas, riguardava invece un aspetto etico-politico piu'
contingente. Vale a dire la controversia in Germania contro il carattere
romantico e "proclive" al nazismo della filosofia heideggeriana (rilievo che
vale solo per i primi anni Trenta).
Aver "urbanizzato" la provincia heideggeriana significava ascrivere a merito
di Gadamer l'aver fatto uscire l'heideggerismo dalla tradizione tedesca,
liberandolo dal provincialismo di una vulgata incline a ritenere che la
filosofia "pensasse solo in tedesco". E che l'eredita' della metafisica
occidentale potesse inverarsi soltanto nella temperie della Kultur
germanica. Eppure tutto cio' non valse negli ultimi tempi a salvare Gadamer
dall'accusa di nazismo. A motivo di un certo lessico heideggeriano
giovanile, intriso di tracce semantiche dello Heidegger del celebre discorso
filonazista del 1933: "Decisione, vigilanza, servizio". Tracce presenti in
uno scritto su Platone del 1934. E in certe tirate anti-Illuministiche
risalenti al 1941, nella Parigi occupata, dove Gadamer era stato inviato a
tenere una conferenza sulla cultura tedesca in Europa. Quelle accuse,
provenienti dagli Usa e riprese in uno scritto recente di "Micromega", erano
ingiuste ed esagerate. Infatti tutto quel che si puo' imputare
retrospettivamente a Gadamer e' solo una veniale servitu' conformista e
accademica allo spirito del tempo, che esaltava in Germania la superiorita'
della Bildung tedesca sul filo di una collaudata tradizione romantica ostile
alla "ragione illuminista" e al "freddo cosmopolitismo". E tanto varrebbe
allora criminalizzare l'intera epoca di Goethe, di Herder, di Hegel,
Schleiermacher, su' su' fino al Mann delle Considerazioni di un impolitico.
In realta' Gadamer si libera ben presto della retorica germanica, sin da
quando a Lipsia durante i tremendi bombardamenti di quella citta' si
aggrappa alle Elegie duinesi di Rilke, che come dira' rappresentarono
mentalmente un modo di resistere alla storia, al nazismo, alla guerra, e in
fondo anche un modo di pensare a un mondo diverso". Di piu'. Gadamer subisce
in quegli anni l'influsso dello Jaspers avversario del nazismo, al quale
succedera' in cattedra nel 1947. E qual era questo modo di pensare a un
mondo diverso? Diverso sia rispetto alla ferinita' della chiusura xenofoba
nazista, che a quella totalizzante della Tecnica come onnipotenza che
occulta e strania l'Essere?
Era una versione indebolita dell'ontologia fenomenologica di Heidegger di
cui Gadamer fu allievo a partire dal 1923, anno in cui da Marburgo arriva a
Friburgo. A quel tempo Heidegger non aveva ancora pubblicato Essere e tempo,
ma era gia' un mito. Come pure un mito era l'altro grande a Friburgo:
Husserl. A Friburgo Gadamer si libera dalla sua anteriore formazione
neo-kantiana, coltivata all'ombra di Paul Natorp e di Ernst Cassirer. Il
rovesciamento di prospettive e' netto. Gadamer passa da una visione
categoriale e trascendentale del sapere storico e artistico a una "svolta
linguistica" che lo induce a scorgere nella metafisica e nella teoria della
conoscenza un cristallo di esperienza storica rappreso nel linguaggio. Qui
funziona in Gadamer anche un certo Hegel. Lo Hegel che svela la conoscenza
come teoria dell'esperienza della coscienza. Ovvero la verita' non come
forma astratta esterna all'oggetto, bensi' come insieme delle possibilita'
che l'uomo ha di farne esperienza vissuta e intersoggettiva.
E qui si rivela anche una prima differenza rispetto all'ermeneutica di
Heidegger. Mentre il lavoro del linguaggio in Heidegger si piega a liberare
una qualche rivelativita' dell'Essere - latente come Evento che si mostra
nel destino delle epoche - in Gadamer gia' tutto il linguaggio e' Essere. E
gia' tutto linguaggio e' il senso dell'Ente. Tessuto perenne con-vissuto che
si crea e si disfa nella storia del pensiero e dell'umanita'.
Cruciale, fin da subito, in Gadamer e' la funzione assunta dall'arte, banco
di prova ontologico della creativita' interpretante. Il processo estetico e'
mitopoietico e in esso l'uomo viene coinvolto non quale mero spettatore, ma
come attore. Attore di interpretazioni, la cui trama sociale e' il gioco
stesso dell'arte. Il nucleo della futura ermeneutica e' qui.
*
Ermeneuein significa in greco interpretare, tradire, commutare. Come nel
simbolismo di Ermes - dio dei traffici delle mediazioni - e' prassi che ha a
fare con la memoria interpretante. E che modifica di continuo il gioco in
cui consiste il significato di opere, testi, oggetti simbolici. Interpretare
un testo o rivivere il senso di un'opera in Gadamer e' attivita' edificante
che modifica l'oggetto e il soggetto, liberando le possibili tradizioni
tramandate nei reperti. E creando altri sensi eventuali, percezioni altre,
destinate a divenire nuovi significati. Sta qui la verita' di Verita' e
metodo, opera del 1960 divenuta la Bibbia dell'Ermeneutica. Saggio
sull'infinito interpretare, ispirato dalle meditazioni di Schleiemacher.
Percio' circolo ermeneutico, dove la circolarita' dell'interpretare cattura
l'interprete e l'interpretato, modificandoli assieme. E poi ancora fusione
di orizzonti, che e' nient'altro che l'espansione del circolo a tutta la
gamma delle interazioni possibili tra i parlanti. Fusione fra le tradizioni
e i mondi storici, lungo l'asse cronologico e filologico. E fusione
orizzontale, lungo il colloquio senza fine tra le culture e tra gli
individui. Un colloquio in cui il linguaggio non e' mezzo, o strumento
esterno alla materia del contendere. Ma e' la materia stessa del contendere.
Dimensione costitutiva dell'uomo come apertura all'essere che coincide con
la sua insuperabile linguisticita'.
Di qui in Gadamer la visione ironica e non logico-veritativa della filosofia
platonica, un gioco dentro il linguaggio. Modello di uno scambio che genera
spostamenti di prospettive e di senso, nel dipanarsi dell'essere-linguaggio.
E secondo un'attitudine di ascolto e percio' di interpretazione non
agonistica o sofistica. In questo metodo del conoscere - che equivaleva alla
saggezza intellettuale e pratica aristotelica - Gadamer confidava
integralmente. Sino ad applicarlo all'analisi dei problemi del suo tempo.
*
Dinanzi al disordine mondiale e alle catastrofi del Novecento raccomandava
una forma di realismo non illuminista: l'equilibrio di forze politiche,
invece della repubblica kantiana cosmopolita. Ma insieme il filosofo
prescriveva anche la ricerca ostinata del dialogo. Quella fusione di
orizzonti che ravvisava nella linguisticita' l'unica possibilita' di intesa,
conoscenza e tolleranza. Una ricetta debole? Troppo in bilico tra
relativismo e universalismo umanistico? Forse, ma ci ha insegnato qualcosa
di importante: "Solo chi ha linguaggio ha mondo". E cioe': cambiare il
mondo, senza viverlo emotivamente e interpretarlo con gli altri, e'
impossibile.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 104 del 25 marzo 2007

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