Minime. 31



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 31 del 17 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La gatta innamorata del topo col mattone
2. Rossana Rossanda presenta "Cinquant'anni d'Europa" di Luciana Castellina
3. Benedetto Vecchi presenta "Homo consumens" di Zygmunt Bauman
4. A Cattolica dal 31 marzo al primo aprile
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA GATTA INNAMORATA DEL TOPO COL MATTONE

Oggi, sabato 17 marzo, in varie citta' del mondo si svolgeranno
manifestazioni pacifiste nell'ambito della giornata mondiale contro la
guerra indetta dal cosiddetto Forum sociale mondiale (che ormai sembra
essere poco piu' che occasione di turismo esotico per privilegiati di vario
ordine e rango, mentre gli abitanti delle bidonville, passata la kermesse e
ripartiti gli aerei dei notabili e delle tv, nelle bidonville restano - a
fare la fame. Sic transit eccetera).
*
Manifestare contro la guerra e' giusto e necessario.
Manifestare contro la guerra - contro tutte le guerre - significa
manifestare contro tutti i terrorismi, contro tutte le uccisioni, contro
tutte le devastazioni, contro tutte le armi e le organizzazioni armate, in
difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.
Manifestare contro la guerra e' urgente e indispensabile, anche in Italia.
Perche' anche il nostro paese sta partecipando - violando la sua stessa
legge fondamentale - a una guerra, la guerra che si prolunga da un quarto di
secolo in Afghanistan e che sta incendiando il mondo intero. Una guerra
immorale e illegale, una guerra terrorista e stragista. Una guerra che
dobbiamo far cessare.
Perche' il nostro paese sta attuando una politica internazionale
militarista, riarmista, imperialista e razzista. Una politica che alimenta
il terrorismo ed e' complice del terrorismo ed e' quindi essa stessa
terrorista.
Perche' il nostro paese sta precipitando anch'esso in una degradazione della
vita civile e politica al cui fondo c'e' il golpe: il colpo di stato gia'
tentato dal governo Berlusconi con la modifica costituzionale fortunatamente
sventata dall'esito referendario dello scorso anno. Ma la duplice sconfitta
di Berlusconi nel 2006 - alle elezioni politiche prima, al referendum poi -
non ha significato affatto la fine del berlusconismo, e difatti il governo
in carica (che pure e' espressione della eterogenea coalizione che le
elezioni vinse proprio perche' si presentava in contrapposizione alla
coalizione golpista berlusconiana, ed ottenne il voto della maggioranza
della popolazione italiana che si sente impegnata per la pace e i diritti)
vi e' ampiamente subalterno - e complice, al punto che la politica
internazionale italiana e' ancora nella sostanza la stessa del governo
precedente (che a sua volta ereditava e vieppiu' imbarbariva la politica
guerrafondaia, bombardiera e stragista di D'Alema del '99, la politica
violatrice dei diritti umani dei migranti di Prodi del '98).
La guerra porta il fascismo. Una politica razzista e assassina non solo non
garantisce la sicurezza e il benessere di nessuno, ma tutto degrada e tutte
le persone minaccia, opprime, aliena e vulnera.
*
Si', manifestare contro la guerra e' giusto e necessario.
Ma nell'appello che promuove la manifestazione italiana a Roma, ancora una
volta non si dice mai che occorre la scelta della nonviolenza.
Non solo: si scrivono parole non meditate, affermando un generico ed
astratto sostegno "alla resistenza delle popolazioni in lotta, da Vicenza ai
paesi invasi e occupati", formula che non distingue tra resistenza
nonviolenta e stragi onnicide, tra trasformazione dei conflitti e terrorismo
totaliario, tra costruzione della pace e violenza fascista: poiche' non vi
e' dubbio che ad esempio l'Iraq sia un paese invaso e occupato da eserciti
stragisti di potenze straniere il cui terrorismo di stato e' flagrante, e
cosi' l'Afghanistan: ma non tutte le resistenze sono la stessa cosa. I
fascisti stragisti non sono la stessa cosa dei movimenti femministi e per i
diritti umani. Coloro che propugnano il genocidio non sono la stessa cosa di
chi vuole costruire la pace e la liberazione nel dialogo e nel rispetto dei
diritti umani di tutti gli esseri umani. Si protrae cosi' purtroppo
un'ambiguita' che nulla di buono puo' recare.
*
Contrastare la guerra senza fare la scelta della nonviolenza e' peggio che
velleitario: e' subalterno e complice degli assassini (sia degli assassini
che siedono alla Casa Bianca, sia di quelli che appaiono nei  video del
terrorismo islamista).
Solo la nonviolenza e' coerente e adeguata nel promuovere smilitarizzazione
e disarmo, e nel proporre l'alternativa necessaria in termini di modello di
difesa e di gestione politica e non distruttiva delle relazioni
internazionali.
Solo la nonviolenza pone con chiarezza l'esigenza di una rigorosa coerenza
nel rapporto tra i mezzi e i fini, che e' il cuore della politica nell'eta'
atomica.
Solo la nonviolenza agisce per la pace con mezzi di pace, ergo: costruisce
la pace nel dispiegarsi stesso della sua lotta.
Solo la nonviolenza gestisce e trasforma i conflitti aprendo spazi di
dialogo, di comune riconquista di umanita'.
Solo la nonviolenza contrasta la guerra e il terrorismo, si oppone a tutte
le uccisioni.
La nonviolenza, cosi' a noi pare, e' l'idea-chiave per una politica adeguata
alla presente distretta dell'umanita'.
*
Il che ovviamente significa anche, dal nostro modesto punto di vista, che e'
altresi' peggio che inane, e' frivolo e tragico e infine suicida, pensare di
potersi opporre alla guerra senza rimettere in discussione il modo di
produzione sul piano economico, i rapporti di potere sul piano politico, le
forme della rappresentanza e del processo decisionale sul piano
istituzionale, i rapporti di classe sul piano sociale, le relazioni
intersoggettive e i mondi vitali quotidiani sul piano esistenziale,
l'interazione tra umanita' e natura sul piano ecologico.
Ancora una volta, dunque, parliamo dei rapporti di produzione, parliamo dei
rapporti di proprieta', parliamo dell'oppressione che classi di esseri umani
privilegiati esercitano su classi di esseri umani espropriati.
E parliamo soprattutto di due decisive cose.
La prima e' l'oppressione di genere, che e' la prima e la piu' cruciale
delle oppressioni che flagellano l'umanita' intera.
La seconda e' la devastazione della natura, che ha raggiunto livelli cosi'
catastrofici da revocare in dubbio che le future generazioni avranno la
possibilita' di una vita degna.
Opporsi alla guerra richiede la scelta della nonviolenza anche nel senso di
muovere in primo luogo dall'esperienza e dalle riflessioni del femminismo:
il femminismo che della nonviolenza e' storicamente la tradizione teorica e
pratica e la verifica empirica piu' rilevante; in secondo luogo
dall'esperienza e dalle riflessioni dell'ambientalismo scientifico, cosi'
come si e' concretizzato nella pratica sociale, e per cosi' dire
nell'esperienza morale ed epistemologica dei movimenti ecologisti piu'
lucidi e consapevoli.
*
A fronte di cio' le ideologie dell'alienazione nulla hanno di utile da
offrire, e molto di corruttivo e disastroso. A fronte di cio' le prassi
autoritarie, il teatro dei privilegiati, il dogmatismo, l'ignoranza e
l'irresponsabilita' come metodo e come sistema, nulla hanno di utile da
offrire, e tutto di deleterio.
Occorrono pratiche che inverino il principio responsabilita', che
costruiscano un'eguaglianza di diritti fondata sul riconoscimento della
diversita' di ogni individuo e sull'interdipendenza di tutte e tutti
nell'unico mondo che abbiamo; che costruiscano legami politici e guarentigie
giuridiche basati sull'inveramento dei principi statuiti nella Dichiarazione
universale dei diritti umani del 1948.
*
E ad onor del vero anche la rituale e routinaria "forma corteo" (che pure e'
meglio di niente) mostra la corda, subalterna al mondo dei simulacri imposto
dal potere mediale dominante (che insieme a quello economico, politico,
militare e di genere e' decisivo nel denegare dignita' e diritti alla quasi
totalita' dell'umanita' oggi vivente), esposta all'infame e feroce violenza
autopubblicitaria degli squadristi che domani saranno ministri, subalterna -
in una parola - alla societa' dello spettacolo e degli sfruttatori.
Si manifesti dunque l'opposizione alla guerra, ma non in forme che
l'organizzazione militare mimino e alla propaganda bellica assomiglino. Si
manifesti la volonta' di pace reinventando forme democratiche autentiche,
profonde: combinazioni adeguate di democrazia diretta e democrazia
rappresentativa fondate sul metodo del consenso; imparando ancora una volta
dalla tradizione grande del movimento femminista; attuando forme di
resistenza nonviolenta, di programma costruttivo nonviolento, di
umanizzazione dei conflitti, di presa in carico dell'umanita' di tutti e di
ciascuno.
Si manifesti dichiarando ed agendo la scelta della nonviolenza.
*
La scelta della nonviolenza, dunque.
Che, per dirla in poche parole, praticamente significa anche un impegno
nitido e intransigente, concreto e quotidiano, costruttivo e un passo dopo
l'altro, per un nuovo modello di difesa fondato sulla difesa popolare
nonviolenta; per una nuova politica di intervento nei conflitti fondata sui
corpi civili di pace; per una nuova strategia di contrasto dei regimi
autoritari e corrotti fondata su aiuti umanitari alle popolazioni vittime e
incentivi positivi alla promozione dal basso della costruzione di societa'
civile, economie autocentrate con tecnologie appropriate, democrazia diretta
e rappresentativa intrecciate in processi decisionali democratici e
trasparenti; per l'urgente difesa dei beni comuni e un rapporto di cura con
l'unico mondo che abbiamo; per la socializzazione di beni e servizi
fondamentali all'inveramento dei diritti di base di ciascuno e la gestione
democratica e collettiva di essi beni e servizi intesa al bene comune;
cessazione delle guerre e politiche di disarmo, smilitarizzazione,
cooperazione di pace promotrice di diritti; trasformazione dei conflitti in
forme disarmate e nonviolente; primato della politica come spazio comune di
gestione condivisa e non distruttiva dei conflitti umani e delle umane
relazioni; nonviolenza giuriscostituente.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. LIBRI. ROSSANA ROSSANDA PRESENTA "CINQUANT'ANNI D'EUROPA" DI LUCIANA
CASTELLINA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 marzo 2007.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari
1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica
come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La
ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del
lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della
riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora
dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste.
Luciana Castellina, militante politica, promotrice dell'esperienza del
"Manifesto", piu' volte parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure
piu' significative dell'impegno pacifista in Europa. La gran parte degli
scritti di Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo
militante, e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti
parlamentari; in volume segnaliamo particolarmente: Che c'e' in Amerika?,
Bertani, Verona 1973; (a cura di), Il cammino dei movimenti, Intra Moenia,
Napoli 2003; Cinquant'anni d'Europa. Una lettura antiretorica, Utet, Torino
2006]

Che cosa e' oggi l'Europa? E' uno spazio di libero mercato a moneta unica,
governato da una banca centrale autonoma dagli stati con il sussidio d'una
Commissione che vigila sulla liberta', concorrenza e competitivita'
d'impresa. Non altro. Neanche in senso pieno una zona di "libera
circolazione di capitali merci e persone", perche' quest'ultimo termine e'
terreno di discussione: quali sono le "persone" che hanno liberta' di
circolarvi? D'altra parte, mentre la zona euro e' definita e cogente,
l'Unione Europea comprende ora 27 stati (l'affollamento e' seguito al crollo
dell'Urss) parte dei quali sono ancora in lista d'attesa rispetto all'euro.
Ne' l'Unione Europea copre il continente che nelle carte geografiche e'
definito Europa, vi mancano soprattutto i Balcani e la Russia, mentre
scalpita alle porte una Turchia che geograficamente non ne farebbe parte e
qualcuno propone Israele, idem, che peraltro non scalpita affatto.
*
Questa zona e' regolata da una sola legge comune tuttora valida, il trattato
firmato a Maastricht nel 1992, poi modestamente variato ad Amsterdam, e dai
criteri di stabilita' - cioe' da un rigido monetarismo. Il malloppo di
trattati, dichiarazioni e velleita' che nel nuovo millennio e' stato messo
assieme, sotto la presidenza di Valery Giscard d'Estaing, da sessantadue
esperti nominati dai governi e avrebbe dovuto darle, sia pure a cose fatte,
una Costituzione, cioe' una fisionomia ideale e politica, attualmente e' in
mora perche' bocciato due anni fa dai referendum dell'Olanda e della
Francia, che erano fra i padri fondatori. Altrove infatti i governi, a
cominciare dall'altro grande sponsor, la Germania, prudentemente non lo
avevano sottoposto a referendum popolare: e' stato votato perlopiu' a
maggioranza dai parlamenti, che si sono guardati bene dal dedicarvi ampi
dibattiti e coinvolgere partiti ed elettori, e tantomeno i "popoli" evocati
secondo la formula generosa ma alquanto vaga dal progetto per "Un'altra
Europa" dal Forum sociale europeo.
Un residuo di decenza ha impedito che il tutto passasse nonostante il no di
Francia e Olanda. Tanto la creatura monetaria funziona, fine a se stessa,
che ai giorni nostri non e' poco, anzi e' l'essenziale. Essa non si
preoccupa gran che della crescita e men che meno del modello sociale e della
sua coesione, e lascia un modesto margine di manovra ai singoli stati.
Ancora meno all'ormai piu' annoso parlamento europeo, che ha ben scarsi
poteri, e quanto al coordinatore della politica estera e sicurezza, detto il
signor Pesc, Javier Solana, e' un fedele raccomandatore di questo e quello,
che puo' essere o non essere ascoltato.
A un rivestimento costituzionale vero e proprio non si andra' finche' le
prossime elezioni decideranno della presidenza della repubblica francese, se
socialista o di destra - Francia e Germania sono stati infatti l'asse e
l'anima, se di anima si puo' parlare, del coagulo. Se vincono i socialisti
e' verosimile che su un progetto da rifare siano consultati, finalmente, non
solo i governi e i parlamenti. Se vince la destra di Sarkozy e' gia' stato
annunciato che, dopo una robusta potatura, il Trattato subira' soltanto
veloci passaggi a maggioranza parlamentare.
*
Esce in questi giorni e sara' presentato domani a Roma il lavoro di Luciana
Castellina (Cinquant'anni d'Europa. Una lettura antiretorica, Utet Editore)
che di questo farraginoso processo descrive l'itinerario. E' un lavoro
prezioso, perche' di esso poco si sa anche se molto si conclama nelle sedi
ufficiali. L'Europa non ha mai destato una passione popolare, ne' la si e'
cercata da parte dei suoi, chiamiamoli cosi', costruttori. Per cui quando i
cittadini sono costretti a pronunciarsi, come nelle elezioni del parlamento
europeo, esprimono diverse diffidenze e moderata partecipazione. Le fanfare
che accompagneranno il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma
terranno assieme vaghezze e non verita', perche' tutto si puo' dire fuorche'
esso abbia indicato un percorso lento e difficile ma coerente con se stesso
dalle origini all'attuale approdo.
Perche' un approdo c'e' stato e rappresenta qualcosa di non facilmente
reversibile. Luciana Castellina ne indica molto bene le tappe, sia nel
ricostruire il seguito di avvicinamenti, abbracci, rotture fra i governi nel
variare della scena internazionale della seconda meta' del Novecento e nelle
accelerazioni del terzo millennio, sia nel mutare della soggettivita' dei
protagonisti, analizzati nella seconda parte del volume per nazioni e
correnti politiche.
Certo l'approdo non realizza l'ideale di Spinelli e del suo gruppo di amici,
tardivamente assunti come alleati dal Pci, che era nato come reazione alle
due guerre mondiali. Un'Europa federale avrebbe chiuso con i sanguinosi
conflitti fra paesi che ne avevano segnato da sempre il cammino e
soprattutto con le feroci avventure del fascismo e del nazismo, formatesi
nel suo seno negli anni Venti e Trenta, che avevano portato al piu'
devastante conflitto della storia dell'umanita'.
Ma subito la guerra fredda faceva prevalere, fra gli alleati che avevano
battuto Mussolini e Hitler e fra i partiti precedenti la Resistenza o nati
con essa, il discrimine fra il campo atlantico, che si andava organizzando
anche con istituzioni sovranazionali, e il campo dell'Urss, che si era
allargato nelle cosiddette democrazie popolari. L'Europa fu il terreno dello
scontro o confronto: l'ex Terzo Reich, che era uscito dalla sconfitta e
separato in quattro zone di occupazione, sarebbe rimasto diviso in due fra
la Repubblica federale tedesca all'ovest e la Repubblica democratica tedesca
all'est, sotto l'ombrello atlantico l'una, sotto quello dell'Urss l'altra.
In mezzo, territorio sempre sull'orlo di prendere fuoco, Berlino. E tale
sarebbe rimasto finche' l'ostpolitik di Brandt non fece balenare uno
spiraglio di pacificazione. Ma ormai la crisi dell'Urss e del suo campo era
piu' che matura, fradicia, e avrebbe in pochi anni portato al crollo del
Muro e alla fine dell'esperienza sovietica.
*
Castellina sottolinea l'intervento americano nel favorire i primi passi
verso un'unita' europea, concepita come baluardo anche militare contro
l'Unione Sovietica, facendo perno su una Germania riarmata. Insomma una
strategia parallela a quella dell'Alleanza Atlantica che prendeva corpo nel
1949. Gia' questo mutava del tutto l'idea del movimento federalista di
Spinelli, senonche' un obiettivo militare, che non poteva non includere la
Germania, era destinato a incontrare sul continente, ancora scottato dal
nazismo, molte diffidenze mentre il piano Marshall non ne incontrava
nessuna, anzi una vivace riconoscenza verso gli Stati Uniti. E un'idea di
qualche unificazione europea, che non poteva dirsi ancora esplicitamente
liberista, era bene accolta anche perche' faceva fronte alla presenza di
alcuni poderosi partiti comunisti, quello italiano e quello francese, che
uscivano dalla Resistenza rafforzati in prestigio e che si temevano piu'
come organizzatori del conflitto sociale interno che come longa manus di
Mosca. Di fatto mentre le proposte della Ced e della Ueo faticarono a farsi
strada, passava nel 1951 fra i sei paesi storici - Francia, Germania,
Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo - la prima forma di stretto rapporto
continentale, quella Comunita' europea del carbone e dell'acciao (Ceca) che
avrebbe rappresentato non solo la messa in comune dei due prodotti che
tiravano nel lungo dopoguerra, ma avrebbe portato a una prima brutale
divisione del lavoro, privando l'Italia della sua grossa siderurgia e
Francia e Belgio degli imponenti charbonnages, con conseguenze sociali
acute.
I passi successivi, non senza andirivieni e non prima di un totale
reincontro anche simbolico di Francia e Germania, che - ben decise a tenere
in mano almeno in due, se non potevano farlo ognuna da sola, il bandolo
della matassa - si sarebbero solennemente abbracciate nelle persone di Kohl
e Mitterrand. Come si legge nella precisa ricostruzione di Castellina, sono
centinaia gli accordi, i trattati piu' o meno allargati, gli incontri anche
con forze non continentali, i tavoli con presenze diverse a seconda degli
umori e delle suscettibilita' nazionali, ma una e riconoscibile e' la rotta
che avrebbe portato al governo del mercato e all'affidamento dello stato
sovranazionale alla moneta. Ne' l'uno ne' l'altro si sarebbero realizzati
senza la caduta dell'Urss e il mutare di rotta di sindacati e partiti
comunisti occidentali.
Questi - accusati di essere antieuropei per obbedienza a Stalin - lo furono
di fronte alle perdite manifeste del peso contrattuale dei lavoratori man
mano che gli elementi dell'ingegneria liberista, che emergevano dalla
discussione sulla "crisi fiscale dello stato sociale", che sfondo'
inaspettatamente in settori insospettati della sinistra e fu un possente
grimaldello per far saltare il medesimo. Se l'Europa moderna aveva una sua
caratteristica inconfondibile era il rilievo dato al conflitto sociale che
dalla Rivoluzione francese sarebbe rimasto una dialettica aperta. E' questa
che andava chiusa secondo i cervelli governativi che pilotarono sempre il
cammino verso qualche forma di unione. E la Commissione valorosamente esige
ogni due giorni, dovendo demolire un assieme di diritti e protezioni sociali
assai forte nel Regno Unito, in Francia, e nella Germania e Italia
postbelliche. Nel doppio attributo classico della sovranita', trarre
l'esercito e battere moneta, e' il secondo che ha vinto. Per le armi, gli
stati europei hanno preferito mettersi sotto l'ombrello della Nato, cui non
erano affatto obbligati, e il cui art. 5, come ricorda Isidoro Mortellaro,
non li obbliga neanche adesso fino al punto che si pretende (per esempio
sulla base di Vicenza). Dalla Nato la Francia si tiene ancora fuori.
*
Insomma e' la storia d'Europa nel quadro dei rapporti est-ovest e, dopo il
1989, in quello della globalizzazione a dominazione americana che si legge
nei tragitti verso l'Unione Europea. La loro accelerazione ha tre nomi,
Delors, Santer e Prodi, e l'euro, assieme al trattato di Maastricht e al
patto di stabilita', costituisce il vero alloro riportato dal centrismo
continentale. E riportato senza fatica da quando la sinistra ha cessato di
esistere. Niente affatto rivoluzionaria in Europa dal 1945 in poi, essa era
stata fermamente riformista nel senso che teneva ancora aperto il conflitto
fra le classi in vista di mediazioni alte o basse. Oggi su chi punta ancora
a questo cade l'accusa di sovranismo o protezionismo, sotto il cui nome va
ogni tentativo di protezione dei propri cittadini, come ricorda Fitoussi,
largamente consentita soltanto agli Stati Uniti. Dire antieuropeo, scrive
Luciana Castellina, e' oggi un sanguinoso insulto, la piu' corrente
sanguinosa insinuazione.
Ma la sinistra italiana e' stata antieuropea? Si', ha diffidato di come
l'Europa andava delineandosi. Non perche' innamorata del proprio stato,
nazione o etnia - fra i suoi molti difetti questo non c'era - ma perche'
persuasa che un superstato europeo non avrebbe assicurato i diritti sociali
che essa aveva scritto nella sua Costituzione del 1948. E infatti non ci
sono, o assai annacquati e praticamente inesigibili.
Va osservato che anche senza l'ingresso in Europa e nella zona dell'euro
sarebbe stato duro difenderli: l'azzeramento della prima parte della
Costituzione e' chiesto da noi da parti politiche non piccole, perche' il
primato dell'impresa, con relativi codicilli, concorrenza e competitivita'
e, per i salariati, flessibilita' e precarizzazione e' uno tsunami formatosi
dalla meta' degli anni Settanta e precipitato con il crollo dell'Urss e dei
partiti comunisti, nonche' con l'indebolimento del sindacato. In altre
parole, la natura dell'Unione Europea e' iscritta nella modificazione dei
rapporti di classe (se ancora si puo' usare l'espressione) su scala
mondiale. E questo le sinistre non l'avevano previsto.
Non solo in Italia. Neanche la' dove - come in Germania - l'antica
socialdemocrazia aveva cambiato colore da un pezzo, ne' nel Regno Unito dove
la vittoria di Margaret Thatcher aveva preluso al rovesciarsi del Labour
Party nel New Labour di Tony Blair. Ma sta di fatto che i diritti del
lavoro, a lungo considerati in Europa come un fattore di coesione sociale e
di sollecitazione allo sviluppo, non sono stati difesi affatto dalla
diffidenza senza alternative che le sinistre hanno opposto al processo
europeo. Lo dico anche per alcuni di noi - de me fabula narratur: vedevamo
il pericolo ma ne abbiamo sottovalutato la natura strutturale, di processo
mondiale dopo gli anni Sessanta, e non vi siamo intervenuti. Alla conduzione
tutta dall'alto dei governi e dei grandi interessi finanziari non e' stata
opposta nessuna discussione della sinistra e nessun coinvolgimento delle
societa' che ne sarebbero state percosse.
Non lo sono neppure adesso. Se, come e' verosimile, i nuovi dirigenti degli
stati d'Europa, proporrano una costituzione non dissimile da quella finora
avanzata - l'entrata dei paesi dell'Est non puo' che peggiorarla - neanche
le sinistre antiliberiste, e sono poche, sembrano in grado di presentare un
dispositivo capace di indurvi spaccature e revisioni di fondo. Soltanto il
Forum sociale europeo ha prodotto, assieme ad alcune associazioni della
societa' civile, un serio pacchetto di principi diversi, ma senza entrare
nel merito di una strategia di cambiamento. Molto di irreversibile e'
avvenuto, non e' pensabile che si azzeri l'euro ma potrebbero essere
modificati alcuni parametri del trattato di Maastricht, non e' pensabile che
si chiuda la Banca centrale ma se ne puo' ridiscutere la filosofia, e via
dicendo. Quelli che il progetto del Forum chiama i popoli devono articolarsi
anche in rappresentanze. L'assenza dei sindacati, la loro incapacita' di
unirsi almeno nell'Europa occidentale dove mantengono una loro forza, e' una
catastrofe. Come difenderanno i lavoratori se la zona euro e' aperta alle
scorrerie dei capitali?
Non che soltanto su questo tema si definisca un'altra Europa, anche se su
questo tema il Trattato costituzionale e' stato bocciato, dove c'e' stato il
referendum. Ce ne sono molti altri che, segnalati dal Forum sociale europeo,
si iscrivono in uno scenario opposto a quello dominante. Chi pensa che
l'Europa ha da essere diversa e costituire nella globalizzazione un modello
di controtendenza per metodi e fini, ha davanti a se' non molto piu' di un
paio di anni per promuovere una campagna d'opinione che dovrebbe essere non
meno vasta di quella che fece per un momento vacillare l'Italia alla
scoperta di Tangentopoli. Li' era in ballo la corruzione d'un ceto politico,
qui e' in ballo la perfetta e asettica inumanita' di un sistema
disuguagliante. Non so quale sia peggio.

3. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "HOMO CONSUMENS" DI ZYGMUNT BAUMAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 marzo 2007.
Benedetto Vecchi e' redattore delle pagine culturali del quotidiano "Il
manifesto"; nel 2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita'
a Zygmunt Bauman.
Zygmunt Bauman, illustre sociologo, intellettuale democratico, ha insegnato
a Varsavia, a Tel Aviv e Haifa, a Leeds; e' il marito di Janina Bauman.
Opere di Zygmunt Bauman: segnaliamo almeno Cultura come prassi, Il Mulino,
Bologna 1976; Modernita' e olocausto, Il Mulino, Bologna 1992, 1999; La
decadenza degli intellettuali, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il teatro
dell'immortalita', Il Mulino, Bologna 1995; Le sfide dell'etica,
Feltrinelli, Milano 1996; La societa' dell'incertezza, Il Mulino, Bologna;
Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma-Bari 1999; Voglia di comunita',
Laterza, Roma-Bari 2001; Modernita' liquida, Laterza, Roma-Bari 2002;
Intervista sull'identita', Laterza, Roma-Bari 2003; La societa' sotto
assedio, Laterza, Roma-Bari 2003; Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari 2005;
Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006; L'Europa e' un'avventura, Laterza,
Roma-Bari 2006; Lavoro, consumismo e nuove poverta', Citta' aperta, Troina
(Enna) 2007; Homo consumens, Erickson, Trento 2007]

Innocui cartelloni pubblicitari che vengono modificati per mettere in
rilievo il lato oscuro delle merci di cui incensano le lodi. Cosi', l'uomo
Marlboro mantiene il cappello di cowboy che adorna tuttavia un teschio. Lo
stesso e' capitato a scarpe da ginnastica, maglioni, camicie, prodotte pero'
da bambini o lavoratori costretti allo schiavismo. La tecnica di
subadvertising e' stata salutata come una delle efficaci forme di attivismo
sociale che ha spostato l'attenzione dalla produzione al consumo. Non
sappiamo pero' come la valuta Zygmunt Bauman, che al consumo ha dedicato il
volume Homo consumens (Erickson edizioni, pp. 101, euro 10), nel quale usa
parole sprezzanti verso i movimenti dei consumatori, qualificandoli come
reazionari ed espressione di un populismo del mercato che distoglie
l'attenzione dalle condizioni lavorative di chi quelle merci produce e dal
crescente esercito di scarti umani che la modernita' liquida produce a sua
volta.
Un libro cupo, questo di Bauman, dove l'emergere dell'homo consumens si
accompagna all'evanescenza della democrazia e dello stato sociale ("la piu'
grande realizzazione della civilta' umana finita sotto assedio"). Si
potrebbe tranquillamente affermare che i saggi qui raccolti sono marchiati
da un tono apocalittico che non ammette repliche. La modernita' liquida
dell'homo consumens oscilla infatti dalla disperata denuncia della
manipolazione delle menti che caratterizza il film Essi vivono del regista
John Carpenter alle atmosfere claustrofobiche e criminali dell'ultimo
romanzo Regno a venire di James Ballard. Per Bauman, la centralita' del
consumo nelle societa' contemporanee va combattuta strenuamente, mettendo in
evidenza la disintegrazione del legame sociale e la conseguente
militarizzazione della vita in societa'. Le "armi" da usare in questa
battaglia sono quelle della"morale e del principio di responsabilita',
sapendo benissimo che l'esito non necessariamente sara' la vittoria.
Chi ha seguito il percorso teorico dello studioso di origine polacca
rimarra' stupito dal tono apodittico che pervade il volume, lontano da
quella pacata e articolata forma di esposizione della sua riflessione che ha
caratterizzato gran parte della sua produzione saggistica. Frasi secche,
sempre di denuncia. La crescita dell'informazione e' per Bauman una iattura,
perche' cancella ogni gerarchia di importanza negli argomenti della
discussione pubblica, riducendo cosi' la democrazia all'impersonale
esercizio del potere di una elite che non tollera nessun controllo sul suo
operato se non quello delle elezioni, che vedono vieppiu' una partecipazione
sempre piu' ridotta della popolazione. E poi: la tanto decantata liberta' di
scelta del consumatore non e' altro che una retorica che nasconde l'obbligo
di rinnovare l'acquisto di merci inutili, pena la cacciata nel girone
infernale degli esclusi.
Il consumatore vive continuamente all'interno di uno strano stato di
emergenza decretato dal sovrano, dove non ci sono sospensioni dei diritti
individuali, quanto appunto l'obbligo a rinnovare l'atto del consumo
indipendentemente dal rapporto con "l'altro". Il singolo passa cosi' da uno
stato di euforia per il senso di liberazione dai vincoli all'orrore di una
vita scandita da una visita al mall. La sua, chiosa ironicamente l'autore,
e' una vita sempre in movimento all'insegna pero' della "tirannia del
momento", dove l'oscillazione tra apprendimento delle nuove merci e l'oblio
del senso di appagamento che danno e' repentina. Il principio etico del
consumo, conclude amaramente Bauman, e racchiuso nella frase: "e'
illegittimo sentirsi soddisfatti".
E tuttavia questo viaggio sulle montagne russe di sentimenti cosi'
contrastanti plasma l'intera vita sociale. Opacizzate le appartenenze forti
(la classe, la nazione, il genere sessuale), l'immagine che meglio
rappresenta questo continuo "movimento dei consumatori" e' lo sciame, dove
non c'e' scambio, ne' cooperazione, ne' reciprocita', ma solo prossimita'
fisica e una generale direzione di movimento. Gli sciami si radunano
casualmente e altrettanto casualmente si disperdono, una volta cessato il
motivo per cui si incontrano. Eppure, il sentimento forte che plasma lo
sciame e' il risentimento. Non pero' il sentimento su cui Friedrich
Nietzsche si e' molto dilungato per spiegare i conflitti a favore
dell'eguaglianza sociale, ma quello piu' corrosivo e feroce di chi difende i
propri privilegi o la propria esclusione.
E' noto che il filosofo tedesco indico' nel risentimento il propellente dei
conflitti di classe e della tendenza a mortificare i singoli della societa'
moderna. Il sentimento che Bauman indica come centrale nello sciame e'
quello di chi, partendo da uno stesso livello di vita, cerca di innalzare il
proprio stato sociale spingendo in basso i suoi oppositori. Nutrono
risentimento i poveri verso gli altri poveri che cercano di uscire dalle
discariche sociali in cui vivono. Nutrono risentimento anche gli
appartenenti della classe media verso i loro simili. Gli unici che sono
dispensati dal vivere il risentimento sembrano essere i membri dell'elite, i
quali non hanno l'obbligo di consumare, ne' di nutrire sentimenti di
ostilita' verso i loro simili. Sono, infatti, loro che scandiscono il tempo
della vita sociale e se si sentono insicuri possono tranquillamente
rifugiarsi nelle loro enclave militarizzare e protette da sguardi ostili.
Non c'e' nessun "principio speranza" a cui appellarsi, se non aderendo a
quella caratteristica della natura umana che e' prendersi cura dell'altro,
conclude Bauman. Ma l'etica della responsabilita' esprime la sua potenza
politica solo se e' un fatto collettivo. Di azioni misericordiose e' piena
la modernita' liquida, ma questo non ha certo cambiato lo stato delle cose.
Dunque un'etica della responsabilita' collettiva. Ma questa ricerca di una
dimensione sociale dell'etica sposta l'asse della riflessione dal consumo
alle pratiche di riappropriazione delle merci stesse. E dunque alla natura
del potere e dei mezzi per trasformarla. Un argomento tuttavia escluso dalla
riflessione proposta da Bauman in questo volume.

4. INCONTRI. A CATTOLICA DAL 31 MARZO AL PRIMO APRILE
[Dalla Lega degli obiettori di coscienza (in sigla Loc, per contatti:
locosm at tin.it) riceviamo e diffondiamo]

Si svolgera' sabato 31 marzo e domenica primo aprile 2007, a Cattolica
(Rimini), pressso l'Hotel Royal, in viale Carducci 30, la XXVI assemblea
nazionale della Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per
la difesa popolare nonviolenta
*
Programma di massima
Venerdi' 30 marzo:
- sera: riunione del comitato dei promotori (allargato a tutti quanti si
trovino a Cattolica) per discutere la preparazione dell'assemblea, i
documenti e le proposte.
Sabato 31 marzo:
- ore 10: interventi sulla campagna di obiezione di coscienza alle spese
militari per la difesa popolare nonviolenta (segreteria, dati campagna,
volantone, opzioni di finanziamento...)
- ore 13: pranzo
- ore 15: interventi su opzione fiscale, proposta di legge, parte normativa
sul diritto individuale, parte economica destinazione fondi
- ore 19: cena
- ore 21: spazio aperto per interventi o proseguimento interventi.
Domenica primo aprile:
- ore 9: interventi su spese militari, nuovo modello di difesa
ore 13: pranzo.
*
E' obbligatoria la prenotazione, contattando la Lega degli obiettori di
coscienza (Loc) di Milano (tel. e fax: 0258101226, cellulare: 3396489529,
e-mail: locosm at tin.it) per gestire meglio la parte organizzativa.
Indicazioni logistiche: l'assemblea si svolgera' presso l'Hotel Royal, in
viale Carducci 30, a Cattolica (Rimini); per raggiungere la sede
dell'assemblea:
- in auto: si esce dall'autostrada, si gira a destra e si prosegue sempre
dritto entrando a Cattolica. Bisogna andare sempre diritto, anche quando si
incontrano due rotonde e uno stop: sempre dritto, non si puo' sbagliare.
Quando si arriva su viale Carducci, che e' sul lungomare, subito a destra si
vede l'Hotel Royal;
- in treno: dalla stazione FS di Cattolica, l'Hotel Royal e' raggiungibile a
piedi in circa dieci minuti. All'uscita dalla stazione imboccare il viale di
fronte fino allo stop; da qui si gira a sinistra fino ad una rotonda
abbastanza grande (ce ne e' prima una piu' piccola); da li', girare a destra
finche' si vede il mare; arrivati sul lungomare, a sinistra inizia viale
Carducci: noi siamo al n. 30.
Costi: il costo e' di 29 euro per un giorno di pensione completa (sabato)
piu' 10 euro per il pranzo di domenica. Per chi e' vicino e rimane solo a
mangiare, il costo e' di 10 euro a pasto. Per chi arriva venerdi' sera, il
pernottamento e la prima colazione di sabato costano 15 euro. Nei costi di
partecipazione e' gia' inserito quanto dovuto per i saloni e per
l'attrezzatura che useremo.
Per informazioni: Centro coordinatore nazionale della Campagna di obiezione
di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta presso
la Lega degli obiettori di coscienza (Loc), via M. Pichi 1, 20143 Milano,
tel. e fax: 0258101226, e-mail: locosm at tin.it, sito della Campagna:
www.osmdpn.it
Chi avesse problemi di partecipazione all'assemblea e' invitato a inviare
documentazione o propri scritti al Centro coordinatore nazionale.
La Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa
popolare nonviolenta e' promossa da: Associazione per la pace, Beati i
costruttori di pace, Associazione Papa Giovanni XXIII, Lega per il disarmo
unilaterale, Lega degli obiettori di coscienza, Pax Christi, Berretti
bianchi. Aderiscono: Agenzia per la pace di Sondrio, Rete Lilliput, Casa per
la pace di Milano, Donne in nero di Como, Associazione locale obiezione e
nonviolenza di Forli', Un ponte per..., Coordinamento comasco per la pace,
Cooperativa Chico Mendes, Coordinamento lombardo Nord/Sud, Centro Gandhi di
Pisa, Comunita' dell'Arca, Centro di documentazione del manifesto pacifista
internazionale di Bologna, Solidaunia di Foggia, Rete Radie' Resch di
Foggia, Caritas di Foggia, Tavola della pace della provincia di Biella.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 31 del 17 marzo 2007

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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