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Minime. 31
- Subject: Minime. 31
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 17 Mar 2007 00:38:40 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 31 del 17 marzo 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. La gatta innamorata del topo col mattone 2. Rossana Rossanda presenta "Cinquant'anni d'Europa" di Luciana Castellina 3. Benedetto Vecchi presenta "Homo consumens" di Zygmunt Bauman 4. A Cattolica dal 31 marzo al primo aprile 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LA GATTA INNAMORATA DEL TOPO COL MATTONE Oggi, sabato 17 marzo, in varie citta' del mondo si svolgeranno manifestazioni pacifiste nell'ambito della giornata mondiale contro la guerra indetta dal cosiddetto Forum sociale mondiale (che ormai sembra essere poco piu' che occasione di turismo esotico per privilegiati di vario ordine e rango, mentre gli abitanti delle bidonville, passata la kermesse e ripartiti gli aerei dei notabili e delle tv, nelle bidonville restano - a fare la fame. Sic transit eccetera). * Manifestare contro la guerra e' giusto e necessario. Manifestare contro la guerra - contro tutte le guerre - significa manifestare contro tutti i terrorismi, contro tutte le uccisioni, contro tutte le devastazioni, contro tutte le armi e le organizzazioni armate, in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani. Manifestare contro la guerra e' urgente e indispensabile, anche in Italia. Perche' anche il nostro paese sta partecipando - violando la sua stessa legge fondamentale - a una guerra, la guerra che si prolunga da un quarto di secolo in Afghanistan e che sta incendiando il mondo intero. Una guerra immorale e illegale, una guerra terrorista e stragista. Una guerra che dobbiamo far cessare. Perche' il nostro paese sta attuando una politica internazionale militarista, riarmista, imperialista e razzista. Una politica che alimenta il terrorismo ed e' complice del terrorismo ed e' quindi essa stessa terrorista. Perche' il nostro paese sta precipitando anch'esso in una degradazione della vita civile e politica al cui fondo c'e' il golpe: il colpo di stato gia' tentato dal governo Berlusconi con la modifica costituzionale fortunatamente sventata dall'esito referendario dello scorso anno. Ma la duplice sconfitta di Berlusconi nel 2006 - alle elezioni politiche prima, al referendum poi - non ha significato affatto la fine del berlusconismo, e difatti il governo in carica (che pure e' espressione della eterogenea coalizione che le elezioni vinse proprio perche' si presentava in contrapposizione alla coalizione golpista berlusconiana, ed ottenne il voto della maggioranza della popolazione italiana che si sente impegnata per la pace e i diritti) vi e' ampiamente subalterno - e complice, al punto che la politica internazionale italiana e' ancora nella sostanza la stessa del governo precedente (che a sua volta ereditava e vieppiu' imbarbariva la politica guerrafondaia, bombardiera e stragista di D'Alema del '99, la politica violatrice dei diritti umani dei migranti di Prodi del '98). La guerra porta il fascismo. Una politica razzista e assassina non solo non garantisce la sicurezza e il benessere di nessuno, ma tutto degrada e tutte le persone minaccia, opprime, aliena e vulnera. * Si', manifestare contro la guerra e' giusto e necessario. Ma nell'appello che promuove la manifestazione italiana a Roma, ancora una volta non si dice mai che occorre la scelta della nonviolenza. Non solo: si scrivono parole non meditate, affermando un generico ed astratto sostegno "alla resistenza delle popolazioni in lotta, da Vicenza ai paesi invasi e occupati", formula che non distingue tra resistenza nonviolenta e stragi onnicide, tra trasformazione dei conflitti e terrorismo totaliario, tra costruzione della pace e violenza fascista: poiche' non vi e' dubbio che ad esempio l'Iraq sia un paese invaso e occupato da eserciti stragisti di potenze straniere il cui terrorismo di stato e' flagrante, e cosi' l'Afghanistan: ma non tutte le resistenze sono la stessa cosa. I fascisti stragisti non sono la stessa cosa dei movimenti femministi e per i diritti umani. Coloro che propugnano il genocidio non sono la stessa cosa di chi vuole costruire la pace e la liberazione nel dialogo e nel rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Si protrae cosi' purtroppo un'ambiguita' che nulla di buono puo' recare. * Contrastare la guerra senza fare la scelta della nonviolenza e' peggio che velleitario: e' subalterno e complice degli assassini (sia degli assassini che siedono alla Casa Bianca, sia di quelli che appaiono nei video del terrorismo islamista). Solo la nonviolenza e' coerente e adeguata nel promuovere smilitarizzazione e disarmo, e nel proporre l'alternativa necessaria in termini di modello di difesa e di gestione politica e non distruttiva delle relazioni internazionali. Solo la nonviolenza pone con chiarezza l'esigenza di una rigorosa coerenza nel rapporto tra i mezzi e i fini, che e' il cuore della politica nell'eta' atomica. Solo la nonviolenza agisce per la pace con mezzi di pace, ergo: costruisce la pace nel dispiegarsi stesso della sua lotta. Solo la nonviolenza gestisce e trasforma i conflitti aprendo spazi di dialogo, di comune riconquista di umanita'. Solo la nonviolenza contrasta la guerra e il terrorismo, si oppone a tutte le uccisioni. La nonviolenza, cosi' a noi pare, e' l'idea-chiave per una politica adeguata alla presente distretta dell'umanita'. * Il che ovviamente significa anche, dal nostro modesto punto di vista, che e' altresi' peggio che inane, e' frivolo e tragico e infine suicida, pensare di potersi opporre alla guerra senza rimettere in discussione il modo di produzione sul piano economico, i rapporti di potere sul piano politico, le forme della rappresentanza e del processo decisionale sul piano istituzionale, i rapporti di classe sul piano sociale, le relazioni intersoggettive e i mondi vitali quotidiani sul piano esistenziale, l'interazione tra umanita' e natura sul piano ecologico. Ancora una volta, dunque, parliamo dei rapporti di produzione, parliamo dei rapporti di proprieta', parliamo dell'oppressione che classi di esseri umani privilegiati esercitano su classi di esseri umani espropriati. E parliamo soprattutto di due decisive cose. La prima e' l'oppressione di genere, che e' la prima e la piu' cruciale delle oppressioni che flagellano l'umanita' intera. La seconda e' la devastazione della natura, che ha raggiunto livelli cosi' catastrofici da revocare in dubbio che le future generazioni avranno la possibilita' di una vita degna. Opporsi alla guerra richiede la scelta della nonviolenza anche nel senso di muovere in primo luogo dall'esperienza e dalle riflessioni del femminismo: il femminismo che della nonviolenza e' storicamente la tradizione teorica e pratica e la verifica empirica piu' rilevante; in secondo luogo dall'esperienza e dalle riflessioni dell'ambientalismo scientifico, cosi' come si e' concretizzato nella pratica sociale, e per cosi' dire nell'esperienza morale ed epistemologica dei movimenti ecologisti piu' lucidi e consapevoli. * A fronte di cio' le ideologie dell'alienazione nulla hanno di utile da offrire, e molto di corruttivo e disastroso. A fronte di cio' le prassi autoritarie, il teatro dei privilegiati, il dogmatismo, l'ignoranza e l'irresponsabilita' come metodo e come sistema, nulla hanno di utile da offrire, e tutto di deleterio. Occorrono pratiche che inverino il principio responsabilita', che costruiscano un'eguaglianza di diritti fondata sul riconoscimento della diversita' di ogni individuo e sull'interdipendenza di tutte e tutti nell'unico mondo che abbiamo; che costruiscano legami politici e guarentigie giuridiche basati sull'inveramento dei principi statuiti nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. * E ad onor del vero anche la rituale e routinaria "forma corteo" (che pure e' meglio di niente) mostra la corda, subalterna al mondo dei simulacri imposto dal potere mediale dominante (che insieme a quello economico, politico, militare e di genere e' decisivo nel denegare dignita' e diritti alla quasi totalita' dell'umanita' oggi vivente), esposta all'infame e feroce violenza autopubblicitaria degli squadristi che domani saranno ministri, subalterna - in una parola - alla societa' dello spettacolo e degli sfruttatori. Si manifesti dunque l'opposizione alla guerra, ma non in forme che l'organizzazione militare mimino e alla propaganda bellica assomiglino. Si manifesti la volonta' di pace reinventando forme democratiche autentiche, profonde: combinazioni adeguate di democrazia diretta e democrazia rappresentativa fondate sul metodo del consenso; imparando ancora una volta dalla tradizione grande del movimento femminista; attuando forme di resistenza nonviolenta, di programma costruttivo nonviolento, di umanizzazione dei conflitti, di presa in carico dell'umanita' di tutti e di ciascuno. Si manifesti dichiarando ed agendo la scelta della nonviolenza. * La scelta della nonviolenza, dunque. Che, per dirla in poche parole, praticamente significa anche un impegno nitido e intransigente, concreto e quotidiano, costruttivo e un passo dopo l'altro, per un nuovo modello di difesa fondato sulla difesa popolare nonviolenta; per una nuova politica di intervento nei conflitti fondata sui corpi civili di pace; per una nuova strategia di contrasto dei regimi autoritari e corrotti fondata su aiuti umanitari alle popolazioni vittime e incentivi positivi alla promozione dal basso della costruzione di societa' civile, economie autocentrate con tecnologie appropriate, democrazia diretta e rappresentativa intrecciate in processi decisionali democratici e trasparenti; per l'urgente difesa dei beni comuni e un rapporto di cura con l'unico mondo che abbiamo; per la socializzazione di beni e servizi fondamentali all'inveramento dei diritti di base di ciascuno e la gestione democratica e collettiva di essi beni e servizi intesa al bene comune; cessazione delle guerre e politiche di disarmo, smilitarizzazione, cooperazione di pace promotrice di diritti; trasformazione dei conflitti in forme disarmate e nonviolente; primato della politica come spazio comune di gestione condivisa e non distruttiva dei conflitti umani e delle umane relazioni; nonviolenza giuriscostituente. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 2. LIBRI. ROSSANA ROSSANDA PRESENTA "CINQUANT'ANNI D'EUROPA" DI LUCIANA CASTELLINA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 marzo 2007. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste. Luciana Castellina, militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative dell'impegno pacifista in Europa. La gran parte degli scritti di Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante, e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari; in volume segnaliamo particolarmente: Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona 1973; (a cura di), Il cammino dei movimenti, Intra Moenia, Napoli 2003; Cinquant'anni d'Europa. Una lettura antiretorica, Utet, Torino 2006] Che cosa e' oggi l'Europa? E' uno spazio di libero mercato a moneta unica, governato da una banca centrale autonoma dagli stati con il sussidio d'una Commissione che vigila sulla liberta', concorrenza e competitivita' d'impresa. Non altro. Neanche in senso pieno una zona di "libera circolazione di capitali merci e persone", perche' quest'ultimo termine e' terreno di discussione: quali sono le "persone" che hanno liberta' di circolarvi? D'altra parte, mentre la zona euro e' definita e cogente, l'Unione Europea comprende ora 27 stati (l'affollamento e' seguito al crollo dell'Urss) parte dei quali sono ancora in lista d'attesa rispetto all'euro. Ne' l'Unione Europea copre il continente che nelle carte geografiche e' definito Europa, vi mancano soprattutto i Balcani e la Russia, mentre scalpita alle porte una Turchia che geograficamente non ne farebbe parte e qualcuno propone Israele, idem, che peraltro non scalpita affatto. * Questa zona e' regolata da una sola legge comune tuttora valida, il trattato firmato a Maastricht nel 1992, poi modestamente variato ad Amsterdam, e dai criteri di stabilita' - cioe' da un rigido monetarismo. Il malloppo di trattati, dichiarazioni e velleita' che nel nuovo millennio e' stato messo assieme, sotto la presidenza di Valery Giscard d'Estaing, da sessantadue esperti nominati dai governi e avrebbe dovuto darle, sia pure a cose fatte, una Costituzione, cioe' una fisionomia ideale e politica, attualmente e' in mora perche' bocciato due anni fa dai referendum dell'Olanda e della Francia, che erano fra i padri fondatori. Altrove infatti i governi, a cominciare dall'altro grande sponsor, la Germania, prudentemente non lo avevano sottoposto a referendum popolare: e' stato votato perlopiu' a maggioranza dai parlamenti, che si sono guardati bene dal dedicarvi ampi dibattiti e coinvolgere partiti ed elettori, e tantomeno i "popoli" evocati secondo la formula generosa ma alquanto vaga dal progetto per "Un'altra Europa" dal Forum sociale europeo. Un residuo di decenza ha impedito che il tutto passasse nonostante il no di Francia e Olanda. Tanto la creatura monetaria funziona, fine a se stessa, che ai giorni nostri non e' poco, anzi e' l'essenziale. Essa non si preoccupa gran che della crescita e men che meno del modello sociale e della sua coesione, e lascia un modesto margine di manovra ai singoli stati. Ancora meno all'ormai piu' annoso parlamento europeo, che ha ben scarsi poteri, e quanto al coordinatore della politica estera e sicurezza, detto il signor Pesc, Javier Solana, e' un fedele raccomandatore di questo e quello, che puo' essere o non essere ascoltato. A un rivestimento costituzionale vero e proprio non si andra' finche' le prossime elezioni decideranno della presidenza della repubblica francese, se socialista o di destra - Francia e Germania sono stati infatti l'asse e l'anima, se di anima si puo' parlare, del coagulo. Se vincono i socialisti e' verosimile che su un progetto da rifare siano consultati, finalmente, non solo i governi e i parlamenti. Se vince la destra di Sarkozy e' gia' stato annunciato che, dopo una robusta potatura, il Trattato subira' soltanto veloci passaggi a maggioranza parlamentare. * Esce in questi giorni e sara' presentato domani a Roma il lavoro di Luciana Castellina (Cinquant'anni d'Europa. Una lettura antiretorica, Utet Editore) che di questo farraginoso processo descrive l'itinerario. E' un lavoro prezioso, perche' di esso poco si sa anche se molto si conclama nelle sedi ufficiali. L'Europa non ha mai destato una passione popolare, ne' la si e' cercata da parte dei suoi, chiamiamoli cosi', costruttori. Per cui quando i cittadini sono costretti a pronunciarsi, come nelle elezioni del parlamento europeo, esprimono diverse diffidenze e moderata partecipazione. Le fanfare che accompagneranno il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma terranno assieme vaghezze e non verita', perche' tutto si puo' dire fuorche' esso abbia indicato un percorso lento e difficile ma coerente con se stesso dalle origini all'attuale approdo. Perche' un approdo c'e' stato e rappresenta qualcosa di non facilmente reversibile. Luciana Castellina ne indica molto bene le tappe, sia nel ricostruire il seguito di avvicinamenti, abbracci, rotture fra i governi nel variare della scena internazionale della seconda meta' del Novecento e nelle accelerazioni del terzo millennio, sia nel mutare della soggettivita' dei protagonisti, analizzati nella seconda parte del volume per nazioni e correnti politiche. Certo l'approdo non realizza l'ideale di Spinelli e del suo gruppo di amici, tardivamente assunti come alleati dal Pci, che era nato come reazione alle due guerre mondiali. Un'Europa federale avrebbe chiuso con i sanguinosi conflitti fra paesi che ne avevano segnato da sempre il cammino e soprattutto con le feroci avventure del fascismo e del nazismo, formatesi nel suo seno negli anni Venti e Trenta, che avevano portato al piu' devastante conflitto della storia dell'umanita'. Ma subito la guerra fredda faceva prevalere, fra gli alleati che avevano battuto Mussolini e Hitler e fra i partiti precedenti la Resistenza o nati con essa, il discrimine fra il campo atlantico, che si andava organizzando anche con istituzioni sovranazionali, e il campo dell'Urss, che si era allargato nelle cosiddette democrazie popolari. L'Europa fu il terreno dello scontro o confronto: l'ex Terzo Reich, che era uscito dalla sconfitta e separato in quattro zone di occupazione, sarebbe rimasto diviso in due fra la Repubblica federale tedesca all'ovest e la Repubblica democratica tedesca all'est, sotto l'ombrello atlantico l'una, sotto quello dell'Urss l'altra. In mezzo, territorio sempre sull'orlo di prendere fuoco, Berlino. E tale sarebbe rimasto finche' l'ostpolitik di Brandt non fece balenare uno spiraglio di pacificazione. Ma ormai la crisi dell'Urss e del suo campo era piu' che matura, fradicia, e avrebbe in pochi anni portato al crollo del Muro e alla fine dell'esperienza sovietica. * Castellina sottolinea l'intervento americano nel favorire i primi passi verso un'unita' europea, concepita come baluardo anche militare contro l'Unione Sovietica, facendo perno su una Germania riarmata. Insomma una strategia parallela a quella dell'Alleanza Atlantica che prendeva corpo nel 1949. Gia' questo mutava del tutto l'idea del movimento federalista di Spinelli, senonche' un obiettivo militare, che non poteva non includere la Germania, era destinato a incontrare sul continente, ancora scottato dal nazismo, molte diffidenze mentre il piano Marshall non ne incontrava nessuna, anzi una vivace riconoscenza verso gli Stati Uniti. E un'idea di qualche unificazione europea, che non poteva dirsi ancora esplicitamente liberista, era bene accolta anche perche' faceva fronte alla presenza di alcuni poderosi partiti comunisti, quello italiano e quello francese, che uscivano dalla Resistenza rafforzati in prestigio e che si temevano piu' come organizzatori del conflitto sociale interno che come longa manus di Mosca. Di fatto mentre le proposte della Ced e della Ueo faticarono a farsi strada, passava nel 1951 fra i sei paesi storici - Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo - la prima forma di stretto rapporto continentale, quella Comunita' europea del carbone e dell'acciao (Ceca) che avrebbe rappresentato non solo la messa in comune dei due prodotti che tiravano nel lungo dopoguerra, ma avrebbe portato a una prima brutale divisione del lavoro, privando l'Italia della sua grossa siderurgia e Francia e Belgio degli imponenti charbonnages, con conseguenze sociali acute. I passi successivi, non senza andirivieni e non prima di un totale reincontro anche simbolico di Francia e Germania, che - ben decise a tenere in mano almeno in due, se non potevano farlo ognuna da sola, il bandolo della matassa - si sarebbero solennemente abbracciate nelle persone di Kohl e Mitterrand. Come si legge nella precisa ricostruzione di Castellina, sono centinaia gli accordi, i trattati piu' o meno allargati, gli incontri anche con forze non continentali, i tavoli con presenze diverse a seconda degli umori e delle suscettibilita' nazionali, ma una e riconoscibile e' la rotta che avrebbe portato al governo del mercato e all'affidamento dello stato sovranazionale alla moneta. Ne' l'uno ne' l'altro si sarebbero realizzati senza la caduta dell'Urss e il mutare di rotta di sindacati e partiti comunisti occidentali. Questi - accusati di essere antieuropei per obbedienza a Stalin - lo furono di fronte alle perdite manifeste del peso contrattuale dei lavoratori man mano che gli elementi dell'ingegneria liberista, che emergevano dalla discussione sulla "crisi fiscale dello stato sociale", che sfondo' inaspettatamente in settori insospettati della sinistra e fu un possente grimaldello per far saltare il medesimo. Se l'Europa moderna aveva una sua caratteristica inconfondibile era il rilievo dato al conflitto sociale che dalla Rivoluzione francese sarebbe rimasto una dialettica aperta. E' questa che andava chiusa secondo i cervelli governativi che pilotarono sempre il cammino verso qualche forma di unione. E la Commissione valorosamente esige ogni due giorni, dovendo demolire un assieme di diritti e protezioni sociali assai forte nel Regno Unito, in Francia, e nella Germania e Italia postbelliche. Nel doppio attributo classico della sovranita', trarre l'esercito e battere moneta, e' il secondo che ha vinto. Per le armi, gli stati europei hanno preferito mettersi sotto l'ombrello della Nato, cui non erano affatto obbligati, e il cui art. 5, come ricorda Isidoro Mortellaro, non li obbliga neanche adesso fino al punto che si pretende (per esempio sulla base di Vicenza). Dalla Nato la Francia si tiene ancora fuori. * Insomma e' la storia d'Europa nel quadro dei rapporti est-ovest e, dopo il 1989, in quello della globalizzazione a dominazione americana che si legge nei tragitti verso l'Unione Europea. La loro accelerazione ha tre nomi, Delors, Santer e Prodi, e l'euro, assieme al trattato di Maastricht e al patto di stabilita', costituisce il vero alloro riportato dal centrismo continentale. E riportato senza fatica da quando la sinistra ha cessato di esistere. Niente affatto rivoluzionaria in Europa dal 1945 in poi, essa era stata fermamente riformista nel senso che teneva ancora aperto il conflitto fra le classi in vista di mediazioni alte o basse. Oggi su chi punta ancora a questo cade l'accusa di sovranismo o protezionismo, sotto il cui nome va ogni tentativo di protezione dei propri cittadini, come ricorda Fitoussi, largamente consentita soltanto agli Stati Uniti. Dire antieuropeo, scrive Luciana Castellina, e' oggi un sanguinoso insulto, la piu' corrente sanguinosa insinuazione. Ma la sinistra italiana e' stata antieuropea? Si', ha diffidato di come l'Europa andava delineandosi. Non perche' innamorata del proprio stato, nazione o etnia - fra i suoi molti difetti questo non c'era - ma perche' persuasa che un superstato europeo non avrebbe assicurato i diritti sociali che essa aveva scritto nella sua Costituzione del 1948. E infatti non ci sono, o assai annacquati e praticamente inesigibili. Va osservato che anche senza l'ingresso in Europa e nella zona dell'euro sarebbe stato duro difenderli: l'azzeramento della prima parte della Costituzione e' chiesto da noi da parti politiche non piccole, perche' il primato dell'impresa, con relativi codicilli, concorrenza e competitivita' e, per i salariati, flessibilita' e precarizzazione e' uno tsunami formatosi dalla meta' degli anni Settanta e precipitato con il crollo dell'Urss e dei partiti comunisti, nonche' con l'indebolimento del sindacato. In altre parole, la natura dell'Unione Europea e' iscritta nella modificazione dei rapporti di classe (se ancora si puo' usare l'espressione) su scala mondiale. E questo le sinistre non l'avevano previsto. Non solo in Italia. Neanche la' dove - come in Germania - l'antica socialdemocrazia aveva cambiato colore da un pezzo, ne' nel Regno Unito dove la vittoria di Margaret Thatcher aveva preluso al rovesciarsi del Labour Party nel New Labour di Tony Blair. Ma sta di fatto che i diritti del lavoro, a lungo considerati in Europa come un fattore di coesione sociale e di sollecitazione allo sviluppo, non sono stati difesi affatto dalla diffidenza senza alternative che le sinistre hanno opposto al processo europeo. Lo dico anche per alcuni di noi - de me fabula narratur: vedevamo il pericolo ma ne abbiamo sottovalutato la natura strutturale, di processo mondiale dopo gli anni Sessanta, e non vi siamo intervenuti. Alla conduzione tutta dall'alto dei governi e dei grandi interessi finanziari non e' stata opposta nessuna discussione della sinistra e nessun coinvolgimento delle societa' che ne sarebbero state percosse. Non lo sono neppure adesso. Se, come e' verosimile, i nuovi dirigenti degli stati d'Europa, proporrano una costituzione non dissimile da quella finora avanzata - l'entrata dei paesi dell'Est non puo' che peggiorarla - neanche le sinistre antiliberiste, e sono poche, sembrano in grado di presentare un dispositivo capace di indurvi spaccature e revisioni di fondo. Soltanto il Forum sociale europeo ha prodotto, assieme ad alcune associazioni della societa' civile, un serio pacchetto di principi diversi, ma senza entrare nel merito di una strategia di cambiamento. Molto di irreversibile e' avvenuto, non e' pensabile che si azzeri l'euro ma potrebbero essere modificati alcuni parametri del trattato di Maastricht, non e' pensabile che si chiuda la Banca centrale ma se ne puo' ridiscutere la filosofia, e via dicendo. Quelli che il progetto del Forum chiama i popoli devono articolarsi anche in rappresentanze. L'assenza dei sindacati, la loro incapacita' di unirsi almeno nell'Europa occidentale dove mantengono una loro forza, e' una catastrofe. Come difenderanno i lavoratori se la zona euro e' aperta alle scorrerie dei capitali? Non che soltanto su questo tema si definisca un'altra Europa, anche se su questo tema il Trattato costituzionale e' stato bocciato, dove c'e' stato il referendum. Ce ne sono molti altri che, segnalati dal Forum sociale europeo, si iscrivono in uno scenario opposto a quello dominante. Chi pensa che l'Europa ha da essere diversa e costituire nella globalizzazione un modello di controtendenza per metodi e fini, ha davanti a se' non molto piu' di un paio di anni per promuovere una campagna d'opinione che dovrebbe essere non meno vasta di quella che fece per un momento vacillare l'Italia alla scoperta di Tangentopoli. Li' era in ballo la corruzione d'un ceto politico, qui e' in ballo la perfetta e asettica inumanita' di un sistema disuguagliante. Non so quale sia peggio. 3. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "HOMO CONSUMENS" DI ZYGMUNT BAUMAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 marzo 2007. Benedetto Vecchi e' redattore delle pagine culturali del quotidiano "Il manifesto"; nel 2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita' a Zygmunt Bauman. Zygmunt Bauman, illustre sociologo, intellettuale democratico, ha insegnato a Varsavia, a Tel Aviv e Haifa, a Leeds; e' il marito di Janina Bauman. Opere di Zygmunt Bauman: segnaliamo almeno Cultura come prassi, Il Mulino, Bologna 1976; Modernita' e olocausto, Il Mulino, Bologna 1992, 1999; La decadenza degli intellettuali, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il teatro dell'immortalita', Il Mulino, Bologna 1995; Le sfide dell'etica, Feltrinelli, Milano 1996; La societa' dell'incertezza, Il Mulino, Bologna; Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma-Bari 1999; Voglia di comunita', Laterza, Roma-Bari 2001; Modernita' liquida, Laterza, Roma-Bari 2002; Intervista sull'identita', Laterza, Roma-Bari 2003; La societa' sotto assedio, Laterza, Roma-Bari 2003; Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari 2005; Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006; L'Europa e' un'avventura, Laterza, Roma-Bari 2006; Lavoro, consumismo e nuove poverta', Citta' aperta, Troina (Enna) 2007; Homo consumens, Erickson, Trento 2007] Innocui cartelloni pubblicitari che vengono modificati per mettere in rilievo il lato oscuro delle merci di cui incensano le lodi. Cosi', l'uomo Marlboro mantiene il cappello di cowboy che adorna tuttavia un teschio. Lo stesso e' capitato a scarpe da ginnastica, maglioni, camicie, prodotte pero' da bambini o lavoratori costretti allo schiavismo. La tecnica di subadvertising e' stata salutata come una delle efficaci forme di attivismo sociale che ha spostato l'attenzione dalla produzione al consumo. Non sappiamo pero' come la valuta Zygmunt Bauman, che al consumo ha dedicato il volume Homo consumens (Erickson edizioni, pp. 101, euro 10), nel quale usa parole sprezzanti verso i movimenti dei consumatori, qualificandoli come reazionari ed espressione di un populismo del mercato che distoglie l'attenzione dalle condizioni lavorative di chi quelle merci produce e dal crescente esercito di scarti umani che la modernita' liquida produce a sua volta. Un libro cupo, questo di Bauman, dove l'emergere dell'homo consumens si accompagna all'evanescenza della democrazia e dello stato sociale ("la piu' grande realizzazione della civilta' umana finita sotto assedio"). Si potrebbe tranquillamente affermare che i saggi qui raccolti sono marchiati da un tono apocalittico che non ammette repliche. La modernita' liquida dell'homo consumens oscilla infatti dalla disperata denuncia della manipolazione delle menti che caratterizza il film Essi vivono del regista John Carpenter alle atmosfere claustrofobiche e criminali dell'ultimo romanzo Regno a venire di James Ballard. Per Bauman, la centralita' del consumo nelle societa' contemporanee va combattuta strenuamente, mettendo in evidenza la disintegrazione del legame sociale e la conseguente militarizzazione della vita in societa'. Le "armi" da usare in questa battaglia sono quelle della"morale e del principio di responsabilita', sapendo benissimo che l'esito non necessariamente sara' la vittoria. Chi ha seguito il percorso teorico dello studioso di origine polacca rimarra' stupito dal tono apodittico che pervade il volume, lontano da quella pacata e articolata forma di esposizione della sua riflessione che ha caratterizzato gran parte della sua produzione saggistica. Frasi secche, sempre di denuncia. La crescita dell'informazione e' per Bauman una iattura, perche' cancella ogni gerarchia di importanza negli argomenti della discussione pubblica, riducendo cosi' la democrazia all'impersonale esercizio del potere di una elite che non tollera nessun controllo sul suo operato se non quello delle elezioni, che vedono vieppiu' una partecipazione sempre piu' ridotta della popolazione. E poi: la tanto decantata liberta' di scelta del consumatore non e' altro che una retorica che nasconde l'obbligo di rinnovare l'acquisto di merci inutili, pena la cacciata nel girone infernale degli esclusi. Il consumatore vive continuamente all'interno di uno strano stato di emergenza decretato dal sovrano, dove non ci sono sospensioni dei diritti individuali, quanto appunto l'obbligo a rinnovare l'atto del consumo indipendentemente dal rapporto con "l'altro". Il singolo passa cosi' da uno stato di euforia per il senso di liberazione dai vincoli all'orrore di una vita scandita da una visita al mall. La sua, chiosa ironicamente l'autore, e' una vita sempre in movimento all'insegna pero' della "tirannia del momento", dove l'oscillazione tra apprendimento delle nuove merci e l'oblio del senso di appagamento che danno e' repentina. Il principio etico del consumo, conclude amaramente Bauman, e racchiuso nella frase: "e' illegittimo sentirsi soddisfatti". E tuttavia questo viaggio sulle montagne russe di sentimenti cosi' contrastanti plasma l'intera vita sociale. Opacizzate le appartenenze forti (la classe, la nazione, il genere sessuale), l'immagine che meglio rappresenta questo continuo "movimento dei consumatori" e' lo sciame, dove non c'e' scambio, ne' cooperazione, ne' reciprocita', ma solo prossimita' fisica e una generale direzione di movimento. Gli sciami si radunano casualmente e altrettanto casualmente si disperdono, una volta cessato il motivo per cui si incontrano. Eppure, il sentimento forte che plasma lo sciame e' il risentimento. Non pero' il sentimento su cui Friedrich Nietzsche si e' molto dilungato per spiegare i conflitti a favore dell'eguaglianza sociale, ma quello piu' corrosivo e feroce di chi difende i propri privilegi o la propria esclusione. E' noto che il filosofo tedesco indico' nel risentimento il propellente dei conflitti di classe e della tendenza a mortificare i singoli della societa' moderna. Il sentimento che Bauman indica come centrale nello sciame e' quello di chi, partendo da uno stesso livello di vita, cerca di innalzare il proprio stato sociale spingendo in basso i suoi oppositori. Nutrono risentimento i poveri verso gli altri poveri che cercano di uscire dalle discariche sociali in cui vivono. Nutrono risentimento anche gli appartenenti della classe media verso i loro simili. Gli unici che sono dispensati dal vivere il risentimento sembrano essere i membri dell'elite, i quali non hanno l'obbligo di consumare, ne' di nutrire sentimenti di ostilita' verso i loro simili. Sono, infatti, loro che scandiscono il tempo della vita sociale e se si sentono insicuri possono tranquillamente rifugiarsi nelle loro enclave militarizzare e protette da sguardi ostili. Non c'e' nessun "principio speranza" a cui appellarsi, se non aderendo a quella caratteristica della natura umana che e' prendersi cura dell'altro, conclude Bauman. Ma l'etica della responsabilita' esprime la sua potenza politica solo se e' un fatto collettivo. Di azioni misericordiose e' piena la modernita' liquida, ma questo non ha certo cambiato lo stato delle cose. Dunque un'etica della responsabilita' collettiva. Ma questa ricerca di una dimensione sociale dell'etica sposta l'asse della riflessione dal consumo alle pratiche di riappropriazione delle merci stesse. E dunque alla natura del potere e dei mezzi per trasformarla. Un argomento tuttavia escluso dalla riflessione proposta da Bauman in questo volume. 4. INCONTRI. A CATTOLICA DAL 31 MARZO AL PRIMO APRILE [Dalla Lega degli obiettori di coscienza (in sigla Loc, per contatti: locosm at tin.it) riceviamo e diffondiamo] Si svolgera' sabato 31 marzo e domenica primo aprile 2007, a Cattolica (Rimini), pressso l'Hotel Royal, in viale Carducci 30, la XXVI assemblea nazionale della Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta * Programma di massima Venerdi' 30 marzo: - sera: riunione del comitato dei promotori (allargato a tutti quanti si trovino a Cattolica) per discutere la preparazione dell'assemblea, i documenti e le proposte. Sabato 31 marzo: - ore 10: interventi sulla campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta (segreteria, dati campagna, volantone, opzioni di finanziamento...) - ore 13: pranzo - ore 15: interventi su opzione fiscale, proposta di legge, parte normativa sul diritto individuale, parte economica destinazione fondi - ore 19: cena - ore 21: spazio aperto per interventi o proseguimento interventi. Domenica primo aprile: - ore 9: interventi su spese militari, nuovo modello di difesa ore 13: pranzo. * E' obbligatoria la prenotazione, contattando la Lega degli obiettori di coscienza (Loc) di Milano (tel. e fax: 0258101226, cellulare: 3396489529, e-mail: locosm at tin.it) per gestire meglio la parte organizzativa. Indicazioni logistiche: l'assemblea si svolgera' presso l'Hotel Royal, in viale Carducci 30, a Cattolica (Rimini); per raggiungere la sede dell'assemblea: - in auto: si esce dall'autostrada, si gira a destra e si prosegue sempre dritto entrando a Cattolica. Bisogna andare sempre diritto, anche quando si incontrano due rotonde e uno stop: sempre dritto, non si puo' sbagliare. Quando si arriva su viale Carducci, che e' sul lungomare, subito a destra si vede l'Hotel Royal; - in treno: dalla stazione FS di Cattolica, l'Hotel Royal e' raggiungibile a piedi in circa dieci minuti. All'uscita dalla stazione imboccare il viale di fronte fino allo stop; da qui si gira a sinistra fino ad una rotonda abbastanza grande (ce ne e' prima una piu' piccola); da li', girare a destra finche' si vede il mare; arrivati sul lungomare, a sinistra inizia viale Carducci: noi siamo al n. 30. Costi: il costo e' di 29 euro per un giorno di pensione completa (sabato) piu' 10 euro per il pranzo di domenica. Per chi e' vicino e rimane solo a mangiare, il costo e' di 10 euro a pasto. Per chi arriva venerdi' sera, il pernottamento e la prima colazione di sabato costano 15 euro. Nei costi di partecipazione e' gia' inserito quanto dovuto per i saloni e per l'attrezzatura che useremo. Per informazioni: Centro coordinatore nazionale della Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta presso la Lega degli obiettori di coscienza (Loc), via M. Pichi 1, 20143 Milano, tel. e fax: 0258101226, e-mail: locosm at tin.it, sito della Campagna: www.osmdpn.it Chi avesse problemi di partecipazione all'assemblea e' invitato a inviare documentazione o propri scritti al Centro coordinatore nazionale. La Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta e' promossa da: Associazione per la pace, Beati i costruttori di pace, Associazione Papa Giovanni XXIII, Lega per il disarmo unilaterale, Lega degli obiettori di coscienza, Pax Christi, Berretti bianchi. Aderiscono: Agenzia per la pace di Sondrio, Rete Lilliput, Casa per la pace di Milano, Donne in nero di Como, Associazione locale obiezione e nonviolenza di Forli', Un ponte per..., Coordinamento comasco per la pace, Cooperativa Chico Mendes, Coordinamento lombardo Nord/Sud, Centro Gandhi di Pisa, Comunita' dell'Arca, Centro di documentazione del manifesto pacifista internazionale di Bologna, Solidaunia di Foggia, Rete Radie' Resch di Foggia, Caritas di Foggia, Tavola della pace della provincia di Biella. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell’uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 31 del 17 marzo 2007 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html e anche alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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