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La nonviolenza e' in cammino. 1455
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1455
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 21 Oct 2006 00:39:03 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1455 del 21 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Una persona da salvare, una guerra da far cessare 2. Oggi e domani a Verona un seminario su "La politica della nonviolenza" 3. Movimento Nonviolento: Domande sulla politica della nonviolenza 4. Gerard Lutte: Una lettera dalla strada 5. Nadia Angelucci intervista Aminata Traore' 6. Alessandra Marranghello intervista Rana Husseini 7. Clara Jourdan presenta "L'arte della gioia" di Goliarda Sapienza 8. Federico Raponi presenta "Born into brothels" di Zana Briski 9. Enrica Rigo presenta "Oltre la cittadinanza" di Partha Chatterjee 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. UNA PERSONA DA SALVARE, UNA GUERRA DA FAR CESSARE [Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance, collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006] Si faccia tutto il possibile perche' Gabriele Torsello sia liberato. Si faccia tutto il possibile per far cessare la guerra. * Opporsi a tutte le uccisioni. Opporsi a tutte le guerre e a tutti i terrorismi. L'Italia cessi di partecipare alla guerra afgana. Salvare le vite, scegliere la nonviolenza. Questo occorre. 2. INCONTRI. OGGI E DOMANI A VERONA UN SEMINARIO SU "LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA" Si svolge oggi e domani a Verona il seminario promosso dal Movimento Nonviolento su "La politica della nonviolenza (alla prova della guerra)". - Sabato 21 ottobre, ore 10: relazione introduttiva; prima sessione "La teoria della nonviolenza, sulla guerra" (mattina, ore 10-13); seconda sessione "La pratica della nonviolenza, nella politica" (pomeriggio, ore 15-19); serata libera, con due proposte: a) visita guidata alla Mostra del "Mantegna a Verona" (ore 21-23); b) laboratorio del "Teatro dell'oppresso" sui temi discussi (ore 21-23). - Domenica 22 ottobre, ore 9: terza sessione "La strategia della nonviolenza, le iniziative" (mattina, ore 9-11); conclusioni (ore 11-13). Ogni sessione verra' sollecitata da una griglia di domande. * Il seminario si svolge presso la Sala Comboni dei padri comboniani, in vicolo Pozzo 1, nel rione di San Giovanni in Valle, quartiere di Veronetta, nel centro storico, vicino a Piazza Isolo. * Per ulteriori informazioni: Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 3. MATERIALI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: DOMANDE SULLA POLITICA DELLA NONVIOLENZA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci inviato il testo delle domande su cui si svolgera' la riflessione del seminario promosso dal Movimento Nonviolento su "La politica della nonviolenza (alla prova della guerra)" che si tiene a Verona il 21 e 22 ottobre. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] Prima sessione: Sabato mattina La teoria (sulla guerra) Cosa significa "opposizione integrale alla guerra" (e alla sua preparazione)? Abolire la guerra o ridurre la guerra? Esiste una riduzione del danno militare? Come e' possibile "ripudiare la guerra"? Bisogna ripudiare anche le armi? La guerra e' "il piu' grande crimine contro l'umanita'": chi sono i criminali? Guerra no, ma interventi armati si'? Eserciti no, ma polizia internazionale si'? * Seconda sessione: Sabato pomeriggio La pratica (nella politica) La nonviolenza e' riformista o rivoluzionaria? Abbandonare la radicalita'? Navigare a vista? Puo' esistere un partito della nonviolenza? Fare noi le proposte, che poi gestiranno altri? Solo controllo dal basso e mai al governo? * Terza sessione: Domenica mattina La strategia (delle iniziative) Dalla teoria alla pratica: come si organizza la nonviolenza? L'azione diretta nonviolenta e' solo del singolo, o di tutti? La "rete" funziona sempre? La "leadership" come nasce? Due metodi: metodo del consenso, o metodo della fiducia? Quali gli elementi essenziali di una campagna nonviolenta? 4. ESPERIENZE. GERARD LUTTE: UNA LETTERA DALLA STRADA [Attraverso Manilita D'Angelomaria (per contatti: manilita at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente lettera di Gerard Lutte. Gerard Lutte (per contatti: gerardlutte at tin.it), di origine belga, da molti anni in Italia, docente universitario di psicologia dell'eta' evolutiva, ha partecipato a Roma alla vita e alle lotte degli abitanti di una borgata di baraccati e di un quartiere popolare e ad un lavoro sociale con i giovani piu' emarginati; collabora con movimenti di solidarieta' ed esperienze di accoglienza; ha promosso iniziative mirate e concrete di solidarieta' internazionale dal basso e di auto-aiuto, con particolar riferimento alla situazione centroamericana, di impegno di liberazione con i giovani e soprattutto le bambine e i bambini di strada. Tra le opere di Gerard Lutte: Quando gli adolescenti sono adulti... I giovani in Nicaragua, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Sopprimere l'adolescenza?, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna 1987; Dalla religione al vangelo, Kappa, Roma 1989; Cinquantanove ragazze e ragazzi di strada con Gerard Lutte, Principesse e sognatori nelle strade in Guatemala, Kappa, Roma 1994 (ne e' stata successivamente pubblicata una seconda edizione aggiornata). Il sito della Rete di amicizia con le ragazze e i ragazzi di strada del Guatemala, che contiene progetti, testimonianze, ricerche, libri, bollettini e centinaia di foto, sezioni francese, italiana, spagnola ed inglese, e' www.reteamicizia.net] Roma, 10 ottobre 2006 Care amiche ed amici delle ragazze e i ragazzi di strada, dopo un lungo silenzio riprendo contatto con voi, per darvi notizie dalle strade del Guatemala e del nostro Movimento dei giovani di strada. Vi spero tutte e tutti bene, riposati dopo le vacanze e ancora piu' decisi ad appoggiare con la vostra amicizia le ragazze e i ragazzi che mi hanno incaricato di salutarvi affettuosamente. L'anno 2006 ha segnato una svolta importantissima nella storia del Mojoca [sigla per Movimento delle ragazze e dei ragazzi di strada - ndr]. L'8 aprile scorso, l'assemblea generale dei giovani di strada ha approvato nuovi statuti che segnavano l'inizio dell'autogestione. Il 23 settembre scorso l'assemblea generale dell'Associazione giuridica ha ratificato questa decisione ormai irreversibile. Lo scopo principale di questa Associazione giuridica, ufficialmente fondata nel 1999 (dal 1996 al 1999 il Mojoca, come la nostra Rete all'inizio, era soltanto un'associazione spontanea senza alcun riconoscimento giuridico) era di promuovere la formazione di un movimento diretto dalle stesse ragazze e ragazzi di strada. Ora che sono le ragazze e i ragazzi che gestiscono il loro Movimento, lo scopo dell'associazione e' diventato quello di appoggiare il Mojoca. * Gli effetti positivi dell'autogestione si sono rapidamente manifestati. Gia' in maggio, il comitato di gestione formato da quattro ragazze (Glenda, Ana Maria, Sara e Lubia) e tre ragazzi (Mauricio, Raul e Nelson), ha compiuto una vera "rivoluzione culturale". Hanno infatti deciso che la scuola, che prima si faceva solo durante due mattinate alla settimana, si sarebbe fatta ogni mattina dal lunedi' al venerdi' e che la formazione professionale si sarebbe svolta ogni pomeriggio. In precedenza si facevano tre volte alla settimana le cosiddette "giornate aperte" durante le quali venivano molte ragazze e ragazzi che ancora non avevano deciso di impegnarsi seriamente nel movimento. Molti tra gli educatori erano scettici e dicevano che il numero degli allievi si sarebbe ridotto drasticamente. E' successo proprio il contrario: il numero e' triplicato al punto che non ci sono piu' posti per accogliere nuovi studenti. In questi giorni di chiusura delle scuole, diciannove allievi della nostra "scuola dell'amicizia" e ventitre alfabetizzati della strada, si presentano agli esami per conseguire il titolo di seconda, quarta o sesta elementare. Si tratta di un titolo ufficiale che permette loro di proseguire gli studi. Sempre grazie al comitato di gestione e' stato possibile iniziare un cambiamento culturale significativo. Il Guatemala e' un paese che non ha conosciuto una vera democrazia perche' e' stato dominato a lungo da dittature militari. La maggior parte delle organizzazioni e associazioni comportano una rigida gerarchia fondata sul dominio della sottomissione. Le trasgressioni alle norme sono severamente punite con sospensioni ed espulsioni, castighi severi e spesso umilianti. Instaurare in questo contesto una democrazia di base fondata sull'amicizia e' una sfida audace. Penso che poteva riuscire solo con ragazze e ragazzi di strada che rifiutano i capi e le gerarchie. Dicono spesso: "nel nostro gruppo ognuno comanda se stesso". Da anni stavo facendo sforzi per cambiare la mentalita' punitiva che dominava anche il Movimento. Ma solo adesso, con il comitato di gestione, e' stato possibile iniziare una svolta radicale. I giovani hanno infatti deciso, e ora le decisioni spettano solo a loro, che dovevano essere abolite le espulsioni, eccetto in casi gravissimi, e le sospensioni e i castighi umilianti, come lavare i piatti, le latrine ecc. Adesso si punta sul dialogo e misure costruttive come un volontariato, la lettura e l'esposizione ai compagni e compagne di un capitolo di un libro ecc. Molto cammino rimane da fare ma abbiamo imboccato la via giusta. Il comitato di gestione capisce il significato del Movimento e non ha paura di assumere le sue responsabilita' criticando anche all'occasione gli accompagnanti. Ultimamente una lavoratrice vedendo due fratelli che si picchiavano, aveva pensato di risolvere il problema proponendo loro di picchiarsi di santa ragione per un minuto, dopodiche' sarebbe intervenuta per far capire loro che non era una soluzione alle loro divergenze. Di fronte a questa scena i giovani del comitato sono intervenuti per separare i due fratelli. Hanno poi convocato l'accompagnante per spiegare che non era un metodo adatto ai ragazzi di strada e allo spirito del Movimento. La lavoratrice ha riconosciuto il suo errore e ringraziato il comitato per le osservazioni fatte con rispetto e amicizia. * Altro evento molto importante: l'apertura l'8 marzo scorso della "Casa 8 marzo" per le ragazze di strada e i loro figli. Ora vivono nella casa otto ragazze e quattro bambini piccoli (da dieci giorni a un anno) tre dei quali sono nati in casa. In gennaio vogliamo aprire una casa per i ragazzi. E' una necessita' perche' continuano gli assassinii e gli stupri, anche di ragazzi, nella strada. Siamo alla ricerca di una casa e di un'accompagnante per iniziare a gennaio. Un gruppo di amici di Cordoba ci ha promesso di inviare volontari. In agosto scorso abbiamo elaborato insieme la programmazione e il preventivo per il prossimo anno. Prevedono l'incremento di tutti i programmi esistenti e l'inizio di alcuni nuovi, come la gia' citata apertura di una casa per i ragazzi, l'avvio di microimprese, l'apertura di un centro di salute con una infermiera e una assistente. I problemi di salute infatti sono sempre piu' drammatici tanto piu' che l'hiv e l'aids si stanno diffondendo rapidamente nella strada. * Malgrado i numerosi progressi, il Movimento conosce non poche ostacoli. Il processo di autogestione e' indebolito dalle difficolta' incontrate da vari membri del comitato di gestione per uscire dai problemi della strada. Devono anche trovare i mezzi per coinvolgere in modo piu' efficace le loro compagne e compagni di strada nella presa delle decisioni. Inoltre, non e' facile per gli accompagnanti rinunciare al potere e non tentare di imporre le loro decisioni. Una debolezza importante della nostra organizzazione si manifesta nell'inserimento dei giovani che si sono formati da noi nel mondo lavorativo. La maggior parte dei guatemaltechi svolgono un lavoro informale e l'accesso ad un lavoro formale e' ancora piu' difficile per le ragazze e i ragazzi di strada, stigmatizzati come tossici e ladri. E' anche necessario dare una migliore formazione agli accompagnanti, al personale amministrativo, ai giovani del comitato di gestione per migliorare l'azione del Movimento. * Finora il nostro Movimento dipende per piu' del 90% dell'aiuto esterno e non e' ancora riuscito a trovare le necessarie risorse in Guatemala. Pero' malgrado le sue debolezze, il Movimento si afferma sempre di piu' e viene riconosciuto come l'organizzazione delle ragazze e dei ragazzi di strada nella capitale. Lavora con il Municipio e il "Benessere sociale", organizzazione di aiuto sociale diretta dalla moglie del Presidente della Repubblica. E per la seconda volta di seguito ha ricevuto una sovvenzione straordinaria dell'Unesco in riconoscimento della validita' del suo lavoro. Alla fine del mese di settembre, le ragazze e i ragazzi del Mojoca hanno presentato nella sede dell'Unesco uno spettacolo di alta qualita' di circo e di danza. Ma per svilupparsi il Movimento ha bisogno di nuovi spazi, di piu' lavoratori, di maggiori risorse: almeno 300.000 euro per il 2007. Tanto e poco: 300 persone o associazioni che diano 1.000 euro all'anno. Ma questa e' la vostra sfida e sono sicuro che con la vostra generosita' e creativita' riuscirete ad accompagnare le ragazze e i ragazzi di strada nella realizzazione dei loro sogni... Un affettuoso abbraccio, Gerard Lutte 5. PROFILI. NADIA ANGELUCCI INTERVISTA AMINATA TRAORE' [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo la seguente intervista. Nadia Angelucci e' giornalista di "Noi donne". Aminata Traore' e' stata funzionaria delle Nazioni Unite, ministra delle cultura in Mali e una delle principali animatrici del Forum sociale mondiale] Quello che colpisce in questa donna e' l'attenzione per le persone che le sono intorno e per le piccole cose quotidiane. Attratta dalla maglia che indosso la tocca a lungo e mi racconta che con le donne, a Bamako, hanno messo su un atelier di confezioni. E' uno dei suoi innumerevoli progetti con e per le donne, per uscire dal bisogno ma anche per riconoscere e riaffermare le capacita' antiche e tradizionali che tengono insieme l'identita' culturale. La cultura, appunto. Questa e' una delle sue principali preoccupazioni; "A noi africani e' solo chiesto di aprirci: aprire le nostre frontiere, aprire il nostro animo, il nostro spirito. Su di noi viene esercitata una violenza che e' politica, culturale, simbolica. I simboli dicono che non siamo nulla, non valiamo nulla fino a che non diventiamo come voi". La responsabilita' e' anche dei governi nazionali, dominati da uomini con una "evidente sete di potere. Un potere che e' autoritario, maschile e basato su di un modello eurocentrico". * - Nadia Angelucci: Lei ha lavorato a lungo negli organismi internazionali e al governo. Ma ha deciso di uscirne. E' molto difficile per una donna lavorare nelle istituzioni, contaminarle? - Aminata Traore': Inizialmente, ho creduto moltissimo nella possibilita' di poter cambiare le cose. Poi la mia esperienza mi ha fatto capire che l'Onu e' un'organizzazione che e' regolata fondamentalmente dalla burocrazia, da un linguaggio ingessato, in cui non e' prevista la presa di parola che affronti le questioni in maniera diretta e questo finisce per far svanire i progetti e portarli al fallimento attraverso questa ombra di vaghezza e di irrealta'. Diffido delle parole governo e governance perche' sono letteralmente delle "parole chiave" che aprono delle porte e senza le quali le porte non si aprono, quindi possono aiutare solo chi puo' utilizzarle. D'altra parte in Africa i governi nazionali non esistono piu' perche' sono ostaggi delle organizzazioni internazionali e parlano lo stesso linguaggio "onusizzato" e non hanno l'autonomia di porre le questioni veramente urgenti per il paese. * - Nadia Angelucci: Come e' arrivata a capire tutto questo? - Aminata Traore': All'inizio quando ero molto giovane pensavo che la classica cooperazione avrebbe aiutato a cambiare le cose e anche io pensavo di poter dare una mano in questo senso. Ma sin dalle prime volte che mi sono trovata con quelli che avrebbero dovuto essere i beneficiari dei progetti mi sono sentita dire: "Per favore ascoltateci. Ci sono delle cose che non vanno in quello che state facendo". * - Nadia Angelucci: Quali sono invece i principali punti che la portano a credere che il Forum Sociale Mondiale possa realmente cambiare le cose? - Aminata Traore': Con il Forum si e' creata una solidarieta' politica e culturale che sta dando i suoi frutti anche perche' comincia ad influenzare parecchi stati africani che si rendono conto che la politica non si fa solo arrivando alle elezioni. C'e' una partecipazione e una pressione popolare che e' ineludibile. * - Nadia Angelucci: Quale e' il ruolo delle donne nel Forum sociale mondiale? - Aminata Traore': Io penso che non ci sia differenza tra uomini e donne a questo livello. Il Forum e' un'organizzazione democratica e quello che succede nel livello pubblico riflette la stessa organizzazione che c'e' anche nella base. * - Nadia Angelucci: Quale e' il suo giudizio sul Social forum dello scorso anno a Bamako. E' stata un'occasione anche per l'Africa, e per il suo paese, per mostrarsi al mondo. - Aminata Traore': 'E' stato un evento mondiale al quale hanno partecipato differenti persone provenienti da tutto il mondo per riflettere sulla situazione globale. Noi in Mali abbiamo solo messo lo spazio. Certo la profonda differenza con gli altri Forum e' stata che molti piu' africani hanno potuto partecipare e il Forum ora e' molto piu' conosciuto in Africa. * - Nadia Angelucci: Cosa possiamo fare allora noi donne del Nord? - Aminata Traore': Noi dobbiamo aiutarci da sole. Quello che potete fare e' solo ascoltarci e rispettarci, rispettare i nostri desideri. Noi stessi dobbiamo identificare i nostri problemi. Siamo stanchi di persone che arrivano nei nostri paesi e cercano di imporci le loro idee pensando che le soluzioni che hanno avuto risultati nel loro paese siano esportabili. Invece credo che se qualcuno vuole aiutare deve mettere le popolazioni locali nella condizione di avere opportunita' di agire e prendersi le proprie responsabilita'. Questa e' la democrazia. Quando vedo investimenti milionari per infrastrutture, ad esempio strade, che dovrebbero facilitare il commercio, mi chiedo se questo investimento e' per gli africani o per le multinazionali che possono aprire delle fabbriche enormi, comprare grandi quantita' di terreno. Per chi e' il commercio? 6. ESPERIENZE. ALESSANDRA MARRANGHELLO INTERVISTA RANA HUSSEINI [Dal quotidiano "Liberazione" del 12 ottobre 2006. Rana Husseini, giornalista giordana, attivista per i diritti umani, e' impegnata nell'esperienza del "National Committee to Eliminate so-called Crimes of Honour" (Comitato per l'eliminazione dei cosiddeti "delitti d'onore")] Rana Husseini e' una giornalista giordana che da anni si batte per i diritti delle donne nel suo paese. Dai primi anni '90 ha cominciato ad occuparsi del "delitto d'onore", l'assassinio di donne, stuprate o accusate di avere avuto rapporti sessuali illeciti, per mano dei loro familiari perche' ritenute colpevoli di aver compromesso l'onore della famiglia. Una pratica diffusa contro la quale Husseini, che dal 1999 fa parte del "National Committee to Eliminate so-called Crimes of Honour", ha intrapreso una lunga campagna di denuncia. L'abbiamo incontrata a Cesano Boscone, alle porte di Milano, in occasione della mostra "Coraggio" promossa dalla Robert F. Kennedy Foundation of Europe: trentacinque scatti del premio Pulitzer Eddie Adams che ritraggono attivisti a favore dei diritti umani nei loro paesi. * - Alessandra Marranghello: Qual e' la condizione della donna nei paesi mediorientali oggi? - Rana Husseini: Negli ultimi vent'anni la situazione e' certamente migliorata. Sempre piu' donne cominciano ad ottenere incarichi importanti nel governo o in compagnie importanti. Anche nei cosiddetti "gulf states" e' decisamente aumentata la percentuale di donne presenti nel mondo del lavoro. Oggi sono tante le associazioni di donne e le Ong che richiamano l'attenzione su temi fino a poco tempo fa considerati tabu'. Purtroppo perche' le cose cambino del tutto il cammino e' ancora lungo, ma la presa di coscienza e' un ottimo segno. Ci sono ancora tante violenze e discriminazioni nei confronti delle donne. Un esempio e' la legge di cittadinanza per la quale in molti paesi arabi una donna quando si sposa prende automaticamente la cittadinanza del marito e perde la propria. Sicuramente dietro ci sono ragioni politiche, ma e' comunque un atto discriminatorio nei confronti della donna. La Giordania e' il paese leader nella lotta alla violenza sulle donne, all'abuso dei minori, e questo grazie alle associazioni di donne, alle attiviste e alle Ong. Ma anche negli altri paesi arabi le donne discutono della condizione femminile. Ogni paese ha il suo focus. In Egitto si parla molto di infibulazione, in Marocco di stupro. In Giordania molte donne si sono battute contro i crimini d'onore, ma credo che su questo tema ci sia un movimento in tutti i paesi arabi. Il fatto che i media abbiano cominciato ad occuparsene ha fatto aumentare la consapevolezza. * - Alessandra Marranghello: Ha una stima del numero di questo tipo di delitti? - Rana Husseini: In Giordania i casi registrati sono intorno ai venti l'anno, ma potrebbero essercene anche altri, magari mascherati da incidenti. * - Alessandra Marranghello: Cosa succede a chi commette un delitto d'onore? - Rana Husseini: Quando una famiglia decide di uccidere una figlia perche' "disonorata", di solito l'omicidio viene affidato ad un membro della famiglia maschio sotto i diciotto anni. Questo perche' data la giovane eta' le pene non potranno essere troppo severe. Nel 98% dei crimini, i giovani assassini si costituiscono alla polizia. Viene aperta un'inchiesta dopo la quale segue il processo che dura almeno un anno. E' una procedura lunga. In passato le pene erano molto leggere quando la famiglia dimostrava che la ragazza uccisa aveva agito in modo immorale diventando un problema per la societa'. Oggi anche l'attegiamento dei giudici e' cambiato. Ora quando qualcuno arriva a denunciare la morte di una ragazza in famiglia, spesso la polizia non crede alla versione data e va a fondo nelle indagini. * - Alessandra Marranghello: Ma l'attenzione al fenomeno c'e'? - Rana Husseini: E' un'attenzione periodica. Quando le associazioni delle donne e le Ong ne parlano l'attenzione e' alta. C'e' un momento in cui tutti ne parlano, poi l'attenzione cade e per un po' se ne parla pochissimo. Io ne scrivo da dodici anni per tenere viva l'attenzione. Prima il governo era molto poco sensibile a queste tematiche. Oggi, dopo i nostri sforzi, il problema e' sotto gli occhi del governo che non lo nega piu', anzi lo riconosce ed e' costretto a fare qualcosa. Sicuramente per motivi politici, ma tutto viene fatto per interessi politici. All'inizio la stampa araba non toccava queste tematiche, le riteneva questioni minori. Quando denunciavamo queste cose la gente era convinta che stessimo esagerando. Ora i giornali se ne occupano, anche se devo ammettere che spesso gli articoli non sono fatti molto bene. Anche il re e la regina sono a favore di leggi a tutela delle donne e contro il delitto d'onore, ne hanno parlato, ma non possiamo appoggiarci su di loro. Sono gli individui che si devono battere per cambiare le cose. * - Alessandra Marranghello: Un'attenzione internazionale al fenomeno aiuta? - Rana Husseini: Si' e no. Da una parte molti governi non si muovono se non c'e' l'interesse internazionale, ma le iniziative devono essere fatte a livello locale, sul territorio e non da persone estranee. Il problema e' che sembra che sia un fenomeno esclusivo del mondo arabo, ma sappiamo bene che sia la violenza ma anche l'omicidio contro le donne sono un problema internazionale. Un problema che esiste anche da voi in Italia, solo che viene chiamato in maniera diversa, per esempio "delitto passionale". * - Alessandra Marranghello: Ha mai subito minacce in seguito al suo lavoro? - Rana Husseini: In dodici anni il governo non mi ha mai perseguitata e se non l'ha fatto vuol dire che e' favorevole alla mia battaglia e anche se non fa piu' di tanto tutto sommato le cose vanno bene. Il problema si crea quando ci sono forze che cercano di portare il paese indietro. Fondamentalisti islamici, conservatori, associazioni come l'Islamic Action Front. Il regime giordano si basa sulle tribu' ed e' su queste che le associazioni conservatrici hanno presa perche' le tribu' sono conservatrici. * - Alessandra Marranghello: Cosa bisogna fare per evitare di tornare indietro? - Rana Husseini: Dobbiamo prendere coscienza del fatto che non ci si puo' basare solo sul governo, ma che per ottenere qualcosa bisogna battersi e tenere sempre alta l'attenzione. Molte donne nel mondo arabo ancora non hanno coscienza dei loro diritti, non sanno che ci sono Ong nate allo scopo di aiutarle. Si sta facendo un grosso lavoro nelle zone rurali aiutando le donne senza pero' distruggere le famiglie. Il training ha un ruolo fondamentale. Bisogna continuamente parlare del problema perche' ci saranno sempre persone che non ne sono a conoscenza. Il lavoro su questi temi deve essere costante e non periodico. Ci tengo ancora a sottolineare che non bisogna considerare questi crimini un fenomeno legato alla religione islamica. Sia la religione islamnica che quella cristiana sono contro l'uccisione delle donne. Non e' un problema di religione, ma un problema culturale. Nel mio lavoro mi sono trovata anche a occuparmi di casi di donne cristiane vittime del delitto d'onore. A volte vengo attaccata da altre donne che mi dicono che ci sono tanti altri problemi oltre al delitto d'onore, problemi seri come lo stupro e la violenza, ma secondo me questo omicidio, che segue stupri e violenze, e' la cosa piu' grave che puo' essere inflitta ad una donna. 7. LIBRI. CLARA JOURDAN PRESENTA "L'ARTE DELLA GIOIA" DI GOLIARDA SAPIENZA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la seguente presentazione del libro di Goliarda Sapienza, L'arte della gioia, tenuta da Clara Jourdan alla Fondazione Olivetti, a Roma, il 26 settembre 2006. Clara Jourdan, prestigiosa intellettuale femminista, e' particolarmente impegnata nelle esperienze della Libreria delle donne di Milano e della rivista "Via Dogana". Goliarda Sapienza (Catania 1à24 - Roma 1996), nata in una famiglia di prestigiosi militanti del movimento operaio, attrice teatrale, intellettuale, scrittrice. Opere di Goliarda Sapienza: L'universita' di Rebibbia, Rizzoli, 1984, 2006; Le certezze del dubbio, Pellicanolibri, 1987; Lettera aperta, Sellerio, 1997; Destino coatto, Empiria, 2002; Il filo di mezzogiorno, La Tartaruga, 2003; L'arte della gioia. Nuovi Equilibri, 2003, 2006] Ringrazio Pia Mazziotti per avermi invitata a questo incontro che mi ha dato l'occasione di leggere ancora una volta L'arte della gioia, che avevo gia' letto nelle edizioni precedenti (1994 e 1998): e' veramente un'opera che a ogni rilettura offre nuove emozioni e nuovi suggerimenti di riflessione. E cosi' voglio dire qualcosa di questo libro a partire dalla mia esperienza di lettura, io sono una donna che legge e ama la scrittura femminile, in particolare il romanzo. Sono anche venditrice di libri, alla Libreria delle donne di Milano, ma mi sento piu' che altro una lettrice. Ricordo che quando ho letto quel piccolo libro rosso appena pubblicato da Stampa Alternativa (che poi ho saputo essere solo la prima parte del romanzo) l'ho subito consigliato e regalato alle amiche. Lo trovavo coinvolgente e agghiacciante, poetico e brutale, erotico e divertente. Le avventure e le scoperte di quella bambina e poi adolescente alla ricerca di una via d'uscita dal "destino" e disposta a tutto con una spregiudicatezza insieme sconcertante e toccante, mi avevano conquistato. Al punto che quando poi usci' il romanzo completo, rimasi un pochino delusa dal seguito, meno scoppiettante e piu' ponderoso. Invece, rileggendo adesso L'arte della gioia, ho trovato tutto il libro estremamente interessante, una miniera di pensiero femminile sul mondo, sulle donne, gli uomini, le relazioni umane, la vita, la storia... Anche il cambiamento di registro dopo la prima parte, mi pare che risponda al percorso narrativo, perche' Modesta, la protagonista, da ragazza che era e' diventata una donna adulta. Comunque non voglio entrare in un discorso di critica letteraria, non e' il mio campo. Tra le chiavi di lettura possibili del romanzo, che sono sicuramente molte, vorrei scegliere quella del pensiero, in particolare come pensiero politico, anche perche' tutto il libro e' permeato da una forte passione politica. Ha ragione Angelo Pellegrino a dire nell'introduzione a L'arte della gioia (da lui curato) che Goliarda Sapienza si faceva chiaramente torto a definirsi scrittrice ideologica. E' riduttivo, in effetti, cosi' come e' chiaramente riduttivo il sottotitolo "romanzo anticlericale", poi tolto nell'ultima edizione. Pero' vorrei riscattare il senso di queste definizioni intendendole oltre che come consapevolezza dell'importanza delle idee, soprattutto come espressione di un preciso desiderio di nominare la realta'. Un desiderio che ho trovato realizzato anche nel libro da poco ripubblicato (Rizzoli) L'universita' di Rebibbia, dove effettivamente il mondo carcerario ci appare in modo nuovo rispetto alle letture correnti di quella realta'. E questo per me e' fare politica attraverso la scrittura. Percio' io intendo e apprezzo Goliarda Sapienza come una scrittrice politica, che va oltre le ideologie, anche oltre le proprie ideologie, che pure ci sono. Infatti se e' innegabile che L'arte della gioia sia ideologico, c'e' molto molto piu' di questo, come pensiero politico. * Vorrei mostrarlo brevemente in due aspetti per me notevoli del romanzo. Uno e' lo sguardo sulla storia. Che L'arte della gioia voglia essere anche un percorso nella storia del Novecento si capisce dalla data di nascita della protagonista, nata appunto il primo gennaio del 1900: la storia d'Italia attraverso la storia di vita di una donna. Ma quello che mi ha molto colpita e' il modo con cui L'arte della gioia ci parla di quella storia del Novecento che si trova sui libri di storia (cioe' non tanto la cosiddetta vita quotidiana ma proprio gli avvenimenti e i personaggi piu' noti): ce ne parla attraverso un punto di vista femminile, un punto di vista che si sente che e' di una donna. Un punto di vista che pervade tutto il romanzo, si trova espresso un po' in tutti i dialoghi e i racconti dei fatti, non solo nelle parole della protagonista e degli altri personaggi femminili. E che ci fa entrare nella storia direttamente: non ci sono lunghe narrazioni degli avvenimenti, spesso basta una frase, un dettaglio, per aprire un squarcio in profondita' sul Novecento, che ci fa capire l'essenziale, sulle guerre, sul fascismo, e soprattutto sulla storia del pensiero e delle pratiche politiche, sul mondo dei rivoluzionari e degli antifascisti (tra cui viene nominata anche la madre dell'autrice, Maria Giudice). Cito, per fare solo un esempio, un frammento di un dialogo tra Modesta e l'amico Carlo che le ha raccontato della "compagna Montessori": "La rivoluzione con fiabe! E' bello, pero'", dice Modesta. E lui: "Certo, principessa. Ma prima ci sono problemi leggermente piu' seri da risolvere: la disoccupazione, la fame..." E lei: "Mi pare di capire che la Montessori fa rientrare la fiaba in questi problemi seri. La fiaba, insieme al pane, e' il cibo dei bambini, ed e' importante che il cibo sia diverso" (p. 189 dell'edizione 1998). Come si vede da questo frammento, nel romanzo viene messa in scena sia l'interpretazione maschile corrente delle politica, delle questioni cruciali del Novecento, del rapporto tra i sessi anche come contributo femminile alla politica degli uomini, sia lo spostamento operato da una donna che si mette in gioco a partire da se'. Inoltre, questo scambio tra una donna e un uomo sulle cose piu' importanti, mostra l'altro aspetto che volevo evidenziare nel romanzo: L'arte della gioia fa emergere l'essere donna come un essere in relazione. Infatti il percorso di vita della protagonista si snoda attraverso le sue relazioni, piu' o meno riuscite, piu' o meno felici ma sempre vissute con intensita'. Cioe' tutto quello che succede e le succede, passa sempre attraverso le relazioni. Relazioni con donne e relazioni con uomini. E in particolare tante forme diverse di relazioni tra donne. Nel percorso della vita di Modesta incontriamo tutte le tipiche esperienze femminili, dallo studio al lavoro, dallo stupro all'aborto, dall'amore per le donne all'amore per gli uomini, dalla maternita' alla politica ecc. e c'e' posto per tutti i sentimenti, compresa la misoginia femminile, e per tutti i comportamenti, compreso l'omicidio premeditato. E' quindi una storia di vita che si puo' intendere come una rappresentazione dell'infinito universo femminile. Non della bonta' femminile. Un universo con al centro il desiderio femminile e che si rivela sempre piu', man mano che si va avanti nel romanzo, essere costituito da relazioni. Le relazioni che costellano l'esistenza della protagonista continuano a vivere in lei anche quando l'altra persona non c'e' piu'. Fino alla fine Modesta si misurera' con le donne e gli uomini su cui si e' appoggiata per pensare, per agire e per sentire. E' vero che queste relazioni inizialmente si potrebbero definire strumentali, perche' vengono cercate e usate per raggiungere degli scopi, ma proprio il bisogno estremo in cui Modesta si trova, lo stato di necessita' che la porta a mettersi in relazione fa si' che le relazioni diventino la sua vita e la trasformino profondamente, cessando quindi di essere strumentali. * Per finire, posso non essere d'accordo con alcune cose che scrive Goliarda Sapienza, con alcune sue idee e giudizi, ma in questa rappresentazione di una donna come un essere in relazione mi sono riconosciuta, ho trovato qualcosa di molto vero di me. E ho sentito l'autrice vicina alla politica delle donne come la intendo io. 8. CINEMA. FEDERICO RAPONI PRESENTA "BORN INTO BROTHELS" DI ZANA BRISKI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 ottobre 2006. Federico Raponi si occupa di cinema, collabora al quotidiano "Liberazione". Zana Briski e' fotografa e documentarista, nel 2005 ha ottenuto l'Oscar per il miglior documentario] Nel suo viaggiare, durante il 1995 l'obiettivo della fotografa Zana Briski (londinese residente a New York) si fisso' sulla condizione femminile in India. Non secondo una ragione logica o razionale, ma per empatia. "Nulla di pianificato, avvertivo come una chiamata, tutto mi spingeva in quella direzione", ha raccontato lei stessa ieri alla conferenza stampa di presentazione del suo lavoro Born into brothels (Oscar 2005 per il miglior documentario), da venerdi' 13 ottobre in una decina di sale italiane distribuito dalla Fandango. La ricerca umana porta Zana Briski a Sonagachi, distretto a luci rosse di Calcutta, dove dopo due anni di diffidenze riesce ad affittare una stanza in un bordello. Il primo contatto e' con i figli e le figlie delle prostitute. Gran parte dei padri sono drogati, spacciatori e venditori abusivi di alcol, si ubriacano e picchiano le mogli. Tra caos e sporcizia, in alcuni casi incatenati, venduti, vittime di abusi sessuali, i bambini lavano piatti, pavimenti e fanno commissioni. Il loro futuro e' fatto di furti, matrimoni a 11 anni o, gia' col rossetto sulle labbra, prostituzione. "Mi stavano sempre intorno, entusiasti", ha detto l'artista, "cosi' ho deciso di insegnare loro a fare fotografie. Ho utilizzato la fotocamera per creare un legame, far parte della realta' circostante e comunicare al mondo quanto vedevo. Per entrare in contatto con loro era pero' necessario un rapporto di rispetto e fiducia reciproca". Per una decina di piccoli, Briski diventa cosi' "zia" Zana. In pullman e taxi, la giovane donna organizza gite allo zoo e al mare, incontrando continui ostacoli - soprattutto per far entrare i bambini nelle scuole - di carattere pregiudiziale e burocratico (gli istituti non sono disposti a prendere figli dei bordelli), ma anche affaristico (per ritorsione una delle mamme mori' bruciata dal protettore). Trascorsi altri due anni in quest'avventura, Briski si improvvisa cameraman per realizzarne un film, coinvolgendo il fidanzato documentarista. Per ottenere i soldi necessari a garantire una vita differente a quei ragazzini "zia" Zana organizza mostre e vende le foto scattate dagli allievi (Amnesty International ad esempio le inseri' in un calendario), riuscendo a farle giungere sino alla prima pagina del piu' importante quotidiano indiano, e a renderle protagoniste dei media televisivi. Altalenanti, invece, i risultati concreti. Solo pochi piccoli vengono accettati dalle scuole e, di questi, diversi vengono ritirati dopo pochi giorni dai genitori. Pero', come mostrano le immagini fuori fuoco di Born into Brothels, in movimento e sgranate, la ricchezza umana emersa e' impagabile. "La vita la' - ha continuato la fotografa - e' estremamente dura, ma vera. Difficile poi tornare alla vita da classe media, che dopo un'esperienza del genere sembra finta. Per me e' stato un grande onore essere accettata e condividere quella condizione, anche perche' io me ne sarei potuta andare in qualunque momento, loro no". A sostegno dell'iniziativa, Zana Briski ha dato vita in questi anni all'organizzazione no profit "Kids with Camera", con sede a New York, attualmente impegnata in diverse zone (Gerusalemme, Haiti - con corsi per domestiche - e il Cairo per i bambini delle discariche, a cui una pittrice insegna murales). In questo contesto di impegno, il capitolo indiano "e' un'istantanea, un attimo di un lungo progetto in cui mi sono impegnata", ha spiegato. "Con i ragazzi di Calcutta sono in costante contatto, la' le cose cambiano continuamente. Molti proseguono la scuola, noi vendiamo le loro opere e i soldi vanno in un fondo di cui possono disporre. Da parte nostra hanno un costante appoggio, garantiamo un'assistenza medica e rispettiamo profondamente le loro scelte. Anche quelle difficili, come nel caso di una delle nostre giovani che ora fa la prostituta. Io provo a soddisfare le richieste che mi fanno, senza prendere mai l'iniziativa, anche perche' non so cosa sia meglio per loro. L'importante e' che si sviluppino come esseri umani". Chiudiamo ancora con le parole di Zana, per descrivere il senso piu' alto della sua esperienza: "dimostrare che anche una singola persona puo' fare la differenza". 9. LIBRI. ENRICA RIGO PRESENTA "OLTRE LA CITTADINANZA" DI PARTHA CHATTERJEE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 ottobre 2006. Enrica Rigo, giurista, e' impegnata nel movimento antirazzista e nell'esperienza dello Sportello legale immigrati di Napoli. Partha Chatterjee, membro fondatore del Subaltern Studies Editorial Collective, e' direttore del Centre for Studies in Social Sciences di Calcutta e Visiting Professor di Antropologia alla Columbia University. Tra i suoi libri: Nationalist Thought and the Colonial World (1986); The Nation and Its Fragments (1993); Oltre la cittadinanza. La politica dei governati, Meltemi, 2006] Il voto e' "la grande performance anonima della cittadinanza". Basterebbe forse questo giudizio, riportato in epigrafe della vicenda di Dhorai, per giustificare la scelta del titolo, Oltre la cittadinanza, di Partha Chatterjee (Meltemi, pp. 192, euro 17) che raccoglie una serie di scritti e conferenze tenute dall'autore tra il 2001 e il 2003. Dhorai e' il protagonista di un romanzo modernista sul nazionalismo indiano, il quale viene raggiunto al suo villaggio da un volontario che porta delle lettere da parte del mahatma (Gandhi). Il volontario dice ai koeri (una "casta arretrata di contadini e operai") che ognuno di loro deve mandare una lettera in risposta al mahatma inserendola nella sua cassetta postale personale (quella bianca, non quella di colori diversi): "questo si chiama voto". Il racconto prosegue descrivendo l'emozione di Dhorai nella solitudine della cabina elettorale, con il cuore gonfio di dolore: "se solo avesse saputo scrivere, avrebbe scritto di proprio pugno la lettera per il mahatma. Provate a immaginare tutta quella gente che scriveva lettere al mahatma, da un capo all'altro del paese, tutti insieme, nello stesso momento". * Il tempo vuoto della modernita' L'iniziazione di Dhorai alla performance della cittadinanza riproduce una di quelle ampie e anonime forme di socialita' che diventano "comunita' immaginate" (si', proprio quelle di Benedict Anderson) grazie all'accadere simultaneo dell'esperienza in un tempo concepito come vuoto e omogeneo: sia essa l'esperienza simultanea della lettura dei quotidiani, della rappresentazione della democrazia attraverso il voto, o quella del mercato e del capitale. La "politica popolare" della maggior parte del mondo (quello non occidentale) ha poco a che fare, pero', sia con queste comunita' immaginate che con i concetti che volteggiano nelle discussioni liberal sui diritti di cittadinanza, sul valore emancipativo del nazionalismo civico, sulla societa' civile, o sul senso civico che alberga nei centri storici o nelle periferie residenziali delle citta' borghesi. L'India di Chatterjee, uno dei fondatori del collettivo dei Subaltern Studies, ci parla piuttosto di "tecnologie governamentali" non abitate da cittadini, ma da popolazioni. Ossia, da un nozione empirico-descrittiva che non ha alcun valore emancipativo o normativo e che indica, invece, categorie statistiche o evoca affiliazioni: tribali o non tribali, musulmane o non musulmane, di setta, e cosi' via. E' bene chiarire che, sebbene ne utilizzi il linguaggio e le categorie, Chatterjee rivendica un debito "obliquo" con Foucault. E non soltanto perche' Foucault non si e' mai occupato delle politiche coloniali (come osserva Sandro Mezzadra nella postfazione); ma perche' la "politica dei governati" - nel linguaggio di Chatterjee - oscilla tra l'indicare le tecnologie utilizzate per "governare i governati", e le pratiche di resistenza (o sopravvivenza) contrapposte da questi ultimi per fare presa su quelle stesse politiche e piegarle ai propri interessi o bisogni. Chi cercasse nella "politica popolare" qualche traccia di una narrazione romantica, magari condita da esotismo o dalla nostalgia per una qualche "autenticita'" ormai perduta nel ricco Occidente, rimarrebbe pero' deluso. I gruppi di popolazione di cui parla Chatterjee non abitano in case occupate abusivamente, non utilizzano illegalmente acqua ed elettricita', non viaggiano senza biglietto sui trasporti pubblici per rivendicare il proprio "antagonismo" sociale. Utilizzano piuttosto queste pratiche per "fare presa" sul potere, organizzandosi all'interno della "governamentalita'" con i mezzi piu' diversi, compreso quello di far eleggere propri amministratori o di sostenere la carriera di propri burocrati. E' probabilmente questa mancanza di indulgenza verso ogni forma di esotismo e romanticismo, cosi' come verso ogni "etica" della rappresentanza, a trasmettere al lettore occidentale una certa insoddisfazione. Ci si puo' chiedere, infatti, perche' tirare in ballo la governamentalita' nell'India postcoloniale se poi, neppure questa, e' in grado di produrre veri "subalterni" da concettualizzare come nuovi soggetti rivoluzionari, o "autentici" nativi da opporre al capitale che trasforma i loro villaggi in periferie metropolitane. Ma cocente puo' risultare anche la delusione per la mancanza di un appiglio che permetta di distinguere (e legittimare) le pratiche antagoniste "autentiche" da quelle di mero opportunismo politico o reazionarie, cosi' come la "politica del popolo" dal populismo. Si tratta di una delusione che riflette la tendenza diffusa a rivestire le forme organizzative dei movimenti sociali di quella sorta di moralita', che, tradotta nel discorso pubblico liberal, conferisce loro legittimazione, evocando il magico acronimo delle Ong. Ovvero, la "formalizzazione" contemporanea che ha assunto la "societa' civile", e che si traduce in un frenetico attivismo umanitario sostenuto da un consenso trasversale (quanto sospetto) proprio perche' non oltrepassa mai un certo limite. Alla categoria di "societa' civile" Chatterjee affianca, pero', quella di "societa' politica". E' quest'ultima a portare nei corridoi del potere "parte dello squallore, della bruttezza e della violenza della vita popolare", senza per questo contrapporsi alla "societa' civile" ma, anzi, facendone propri alcuni codici e mostrando, piuttosto, come il molteplice e l'eterogeneo si compongano anche del "brutto". * Il prisma della governamentalita' Nonostante sia lo stesso Chatterjee che invita a guardare all'Occidente di oggi attraverso il prisma della governamentalita' coloniale, esiste una reale difficolta' a tradurre il contributo degli studi postcoloniali sulla ribalta della politica globale senza banalizzarlo nel semplice diritto dei "subalterni" di narrarsi in prima persona, o ridurre la "politica dei governati" a mera gestione della poverta' o della marginalita'. Si tratta di una difficolta' che puo' essere superata solo prendendo sul serio la sfida che viene dal fatto che il tempo della governamentalita' e quello della cittadinanza non sono in un rapporto lineare di successione, come se il primo fosse il passato "premoderno" del secondo, bensi' il prodotto originale di un incontro che convive nel "tempo eterogeneo della modernita'". E' esattamente nell'intersezione tra il tempo della governamentalita' e quello della cittadinanza che la "politica dei governati" eccede inevitabilmente i limiti, talvolta clientelari e corporativi, entro cui e' confinata, riportando - questa volta, si' - "autenticamente" in primo piano il nodo pratico-teorico della rappresentanza: "chi rappresenta chi". Seppure abbia i toni dell'inappellabilita', la presa di posizione di Chatterjee rappresenta quindi un giudizio disincantato: "E' moralmente illegittimo sostenere gli ideali universalistici del nazionalismo senza pretendere, allo stesso tempo, che le politiche prodotte dalla governamentalita' vengano riconosciute come un aspetto ugualmente legittimo della moderna vita della nazione". A fronte di un dilagante zelo per il politically correct e per la "moralizzazione" della politica appare sempre piu' urgente rivendicare, insomma, una genuina amoralita' della liberta'. Vale a dire, di quelle istanze soggettive che, quando riescono a tradursi in fenomeni collettivi o di massa, si prendono la liberta' di rimettere in gioco gli assetti attuali della "democrazia", a livello locale come nell'intero pianeta. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1455 del 21 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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