[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1456
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1456
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 22 Oct 2006 02:49:22 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1456 del 22 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Per Gabriele Torsello e per il popolo afgano 2. Oggi a Verona 3. Un corso a Narni 4. Missy Comley Beattie: Una ruota che gira 5. Maria G. Di Rienzo: Sumi e le "donne fluttuanti" 6. Tiziana Plebani: Il si' di Maria 7. Anna Maria Crispino: Da Nora a noi 8. Massimo Campanini presenta "L'islam in occidente" di Tariq Ramadan 9. Mario Pezzella presenta "Metafisica. Concetto e problemi" di Theodor W. Adorno 10. Ristampe: Giacomo Leopardi, Poesie e prose (volume secondo: Prose) 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PER GABRIELE TORSELLO E PER IL POPOLO AFGANO [Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance, collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006] Pace e liberta'. L'indifferenza che tuttora prevale nel nostro paese per la sorte di Gabriele Torsello e' inquietante. Come e' inquietante l'indifferenza nei confronti della scellerata prosecuzione della illegale e criminale partecipazione italiana alla guerra afgana, una guerra terrorista e stragista che perdura da decenni mietendo innumerevoli vittime. Salvare Gabriele Torsello. Far cessare la guerra. 2. INCONTRI. OGGI A VERONA Si conclude oggi a Verona, con la terza sessione e le conclusioni, il seminario promosso dal Movimento Nonviolento sul tema "La politica della nonviolenza (alla prova della guerra)". Il seminario si svolge presso la Sala Comboni dei padri comboniani, in vicolo Pozzo 1, nel rione di San Giovanni in Valle, quartiere di Veronetta, nel centro storico, vicino a Piazza Isolo. E' previsto che i lavori abbiano termine alle ore 13. Per ulteriori informazioni: Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 3. FORMAZIONE. UN CORSO A NARNI Si e' tenuto il 20 ottobre 2006 a Narni il secondo incontro del secondo "Corso di formazione sull'educazione alla nonviolenza", promosso dall'associazione "Narni per la pace" e dall'Arciragazzi di Narni, con il contributo del Cesvol della provincia di Terni. Tema dell'incontro l'esperienza della "Rosa bianca" e la Resistenza nonviolenta al nazismo. * Il corso attuale fa seguito alla positiva esperienza del primo, ed e' auspicabile che diventi una tradizione che di anno in anno si rinnovi. E' ospitato presso la sede universitaria in via Mazzini 27 a Narni, e si articola in dieci incontri tra ottobre e dicembre. I temi che verranno via via sviluppati sono i seguenti: Resistenza nonviolenta, giustizia sociale ed economica, potere mediatico, giustizia e pace in Medioriente, bambini e aree di guerra, crisi nei Balcani. Parteciperanno agli incontri come relatori Maurizio Pallante, Pierluigi Sullo, Luisa Morgantini, Carla Razzano, Elisa Carlaccini. * Per informazioni e contatti: gabriele.aquilina at tin.it, sucuraj at katamail.com, carlamariani at comune.narni.tr.it, florascaia at tiscali.it, narni at cesvol.net 4. TESTIMONIANZE. MISSY COMLEY BEATTIE: UNA RUOTA CHE GIRA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Missy Comley Beattie. Missy Comley Beattie vive a New York, ha lavorato come autrice per National Public Radio e "Nashville Life Magazine", fa parte di "Gold Star Families for Peace"; suo nipote Chase J. Comley, caporale dei marine, e' morto in Iraq il 6 agosto 2005] L'indice industriale Dow Jones sta salendo. Anche il conto dei morti in Iraq. Dieci soldati statunitensi sono morti martedi' e due mercoledi', portando il totale di ottobre a settantuno. Negli ultimi 18 giorni sono morti circa 1.000 iracheni. Pure, gli investitori sono felici. E secondo i nostri giornalisti televisivi con gli occhi foderati, anche l'uomo della strada e' felice. C'e' ottimismo, se le corporazioni guadagnano. Dodici famiglie hanno appena sentito le parole: "Siamo spiacenti di dovervi informare". L'indice Dow Jones puo' raggiungere la sfera dell'ozono, ma la vita per queste famiglie e' piena di dolore. La vita e' dolorosa per tutte le famiglie che hanno perso cosi' tanto in questa guerra insensata e basata sulla frode. I biglietti di cordoglio dicono: "Possano i ricordi confortarvi". Ma i ricordi non confortano. Portano solo la nostalgia dei giorni in cui questi figli avvolti nelle bandiere erano vivi, avevano sogni e guardavano al futuro. E cosi' il mercato si innalza. La violenza settaria si sta innalzando da mesi. L'Iraq sta sperimentando la guerra civile, e non ha nessuna importanza cosa George Bush dica della nostra missione laggiu': e' un presidente fallito, con le mani sporche del sangue di migliaia di persone. James Baker definisce l'Iraq un "pasticcio infernale". Bush dice che si tratta del fronte centrale della guerra al terrorismo. Gli esperti si accorgono ora che non c'e' democrazia in Iraq. Ci hanno anche detto che la guerra ha incrementato il terrorismo, e che come risultato oggi siamo meno sicuri. * E' ora che ogni genitore che ha perso un figlio in questa guerra dica "Basta". E' ora che ogni madre e ogni padre mettano in questione le centinaia di differenti spiegazioni per l'invasione e l'occupazione dell'Iraq con cui George Bush ha ingozzato l'opinione pubblica americana. E' ora che ogni parente cui e' morta una persona cara, o che se l'e' vista tornare mutilata, con il cervello danneggiato, o sofferente di esaurimento post traumatico, esamini queste ragioni continuamente mutevoli: dalle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein alla propagazione della liberta' e della democrazia, alla guerra tra bene e male. E' ora che ogni singolo essere umano pensi alla gente dell'Iraq, il cui dolore e' soffocato come il nostro, i cui cari sono stati uccisi o mutilati da una scelta ingiustificata di violenza che ha portato ad una violenza ancora maggiore. E' ora che noi tutti si capisca perche' siamo odiati in gran parte del mondo. E' ora di smettere la marcia di conquista. E' l'ora della pace. * L'indice Dow Jones sta aumentando. E stanno aumentando le morti, la distruzione, il dolore. Le persone che avevamo eletto ai piu' alti uffici nel nostro paese hanno sacrificato le loro coscienze per restare al potere. Si', c'e' una lotta tra bene e male. Ma si tratta del male che alligna dentro chiunque di noi si rifiuti di riconoscere la doppiezza del nostro governo: una grande ruota di guerra che gira, avida, insaziabile. 5. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: SUMI E LE "DONNE FLUTTUANTI" [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Sumi Khan e' una giornalista del Bangladesh fortemente impegnata per i diritti umani] "La domanda che mi si fa piu' spesso e': 'Hai paura?'. No, non ne ho. Sono i violenti a doverne avere, perche' io credo che la mia penna sia piu' potente di tutte le loro armi", cosi' dice la giornalista Sumi Khan. Quando nel 1991 tento' di proporsi come cronista di "nera", gli uomini della redazione si misero a ridere. Nessuna donna aveva mai fatto quel tipo di giornalismo in Bangladesh. Sumi non si scoraggio'. Per anni, fece lo stesso il lavoro che aveva scelto come freelance, e lo svolse cosi' bene che infine un grosso giornale, il "Daily Jugantor", la assunse nel 1999. Sei anni prima, aveva cominciato a scrivere articoli sulla violenza di genere. La violenza contro le donne semplicemente non era una gran notizia, per i media del Bangladesh, e di sicuro nessuno riportava quelle storie attraverso la lente dei diritti umani, al modo di Sumi Khan. Grazie a lei, ottennero visibilita' quelle che vengono chiamate "donne fluttuanti": vittime di abusi di ogni genere, finiscono per vivere per strada, o in edifici abbandonati. Sumi sapeva da allora di essere nel mirino dei fondamentalisti, proprio per questi servizi, ma non si fermo'. Precedentemente, delle "donne fluttuanti" si parlava come di tristi casi della vita, ed esse non avevano voce propria sui media, ma Sumi le rese reali, accessibili: per la prima volta queste donne parlavano in prima persona delle violazioni dei diritti umani che avevano subito, e chiedevano giustizia. Gli articoli di Sumi ebbero grande risonanza ed anche grazie a lei negli ultimi dieci anni l'atteggiamento dei media rispetto alla violenza di genere e' un po' cambiato. Nel 1999, mentre lavorava a tempo pieno per il "Daily Jugantor", scrisse di una collaboratrice domestica che era stata stuprata dal datore di lavoro, e poi da questi gettata giu' da un balcone. La ragazza si era rotta una gamba nella caduta. Poiche' lo stupratore, un rispettabile uomo d'affari, aveva amici tra i finanziatori del giornale, lo scandalo ebbe parecchie ramificazioni. Anche alcuni colleghi di Sumi avevano parlato della vicenda, ma lei fu l'unica ad essere licenziata. In meno di un anno un'altra pubblicazione di peso, il settimanale "Shaptahik 2000", l'assunse. * Nel frattempo, per i giornalisti in Bangladesh i tempi si erano fatti sempre piu' cupi. Omicidi, aggressioni e minacce di morte erano e sono frequenti. "Molti dei miei colleghi, fra cui Monazat Uddin, Manik Saha e Humayan Kabir Balu, sono stati uccisi", racconta Sumi, "Erano giornalisti che parlavano degli omicidi di donne, delle persecuzioni delle minoranze etniche e religiose, e della popolazione indigena. Numerosi altri sono stati feriti per i loro coraggiosi articoli. Chiunque faccia reportage di questo tipo corre dei rischi in Bangladesh". I rischi per Sumi Khan si concretizzarono nel 2004. Tre uomini tentarono di rapirla nella citta' portuale di Chittagong, nota per le attivita' illegali, fra cui il traffico clandestino d'armi. Durante l'aggressione le sferrarono coltellate alla fronte, alla bocca ed alle mani. "Ti sei spinta troppo in la'. Le tue sfide hanno passato il segno", le disse uno degli assalitori. Non sono mai stati identificati. Ad ogni modo non hanno fermato Sumi, che recentemente e' passata al quotidiano "Daily Samakal", da dove sta attaccando con i suoi roventi articoli la mafia del Bangladesh. "Se ho mostrato coraggio, lo devo ai miei meravigliosi genitori, ambedue sostenitori dei diritti umani ed assistenti sociali. Mio padre, Saifuddin Khan, lotto' per poter parlare la propria lingua e per liberare il nostro paese e mia madre, Nurjahan Khan, e' ancora oggi una persuasa attivista. Devo molto anche a mio marito Alex Alim, ed ai miei due figli Atulon e Gohon, che sono sempre pronti ad aiutarmi quando ho bisogno di loro". * Sumi Khan e' molto popolare tra i lettori, e riceve segnali di apprezzamento e sostegno in tutto il paese, checche' ne pensino i fondamentalisti: "Hanno parecchia influenza, in questo momento. Si preoccupano molto di mettere le donne le une contro le altre, chiedono che persino le bambine di undici anni si coprano con i veli. Nelle loro madrassa (scuole religiose) fanno un vero e proprio lavaggio del cervello a bambini e bambine. Ma non hanno il controllo del pensiero del popolo. Individui, gente comune, e gruppi mi ringraziano costantemente per quello che faccio contro la corruzione e per i diritti umani". L'anno scorso Sumi Khan ha ricevuto il "Premio per il coraggio nel giornalismo" da International Women Media Foundation, lo stesso premio conferito nel 2002 alla compianta Anna Politikovskaya, assassinata il 7 ottobre scorso. Sumi ammette di essere preoccupata che i suoi cari, in special modo i figli, subiscano attacchi a causa dei suoi servizi giornalistici, ma dice con ironia che forse ha ereditato "geneticamente" un'attitudine dai propri genitori (il padre fu arrestato e torturato pesantemente dall'esercito pachistano nel 1971): "Loro non si sono lasciati vincere dalla paura. Hanno tenuto duro, sono andati avanti". 6. RIFLESSIONE. TIZIANA PLEBANI: IL SI' DI MARIA [Ringraziamo Tiziana Plebani (per contatti: tiplebani at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo recente intervento. Tiziana Plebani, prestigiosa intelletuale, bibliotecaria e storica, e' attiva nella Rete di donne per la pace di Mestre e Venezia; tra le sue opere: Il genere dei libri, Angeli, Milano 2001; Corpi e storia, Viella, Roma 2002] Nel 2000, come si ricordera', Karol Wojtyla fece una pubblica confessione degli errori commessi dalla Chiesa e dai cristiani nel passato, dalle Crociate alla tratta dei neri, dallo sterminio degli Indios agli eccessi dell'Inquisizione sino all'Olocausto. L'ammissione delle colpe e' un evento assai importante nella storia perche' interrompe un processo lineare, da' voce alle sofferenze e alle ingiustizie procurate e crea le basi per una riconciliazione col passato. Tuttavia essa non e' sufficiente: l'ammissione degli errori dovrebbe provenire da un sincero accoglimento dell'esistenza e delle istanze degli altri, quelli a cui si sono inflitte le pene, e, conseguentemente, inaugurare la volonta' di non percorrere piu' la strada che ha condotto a tali errori, che, val la pena di ricordarlo, ha lastricato la storia di guerre, morti, bruciati nel rogo, donne disprezzate e condannate, individui torturati nel corpo e nell'anima ed espulsi violentemente dalla societa' attraverso il potere della Chiesa. Questo accoglimento si era palesato nella strada imboccata da Giovanni XXIII ed espressa nel Concilio Vaticano II, soprattutto in quella volonta' di uscire dalla logica delle condanne e di aprirsi alla dialettica interna ed esterna alla Chiesa. Tale direzione e' stata abbandonata con Giovanni Paolo II, che ha inoltre rafforzato, come ben si vede, la struttura di potere delle piu' alte gerarchie ecclesiastiche e negato la parola a comunita' di base, teologi dissidenti e al per nulla uniforme "popolo della fede". La logica della condanna, arma di potere e di rafforzamento dell'autorita', impone norme rigide e punitive e cristallizza i rapporti tra i fedeli e il capo spirituale, istaurando un'equazione pericolosa tra la sua figura e la figura del giudice del potere secolare, in assenza tuttavia di processo e di strumenti di difesa da parte dell'accusato. * Sono una laica e dunque qualcuno potra' chiedermi perche' mi interesso di tutto cio' e non mi accontento di ribadire i necessari confini tra gli ambiti del potere religioso e quelli dello Stato. Piu' di una ragione invece mi spinge a pensare che la pura difesa della separazione delle sfere sia insufficiente e che alle idee che animano una cultura - perche' quando si parla di religione si parla di cultura che come tale non e' statica e astorica - si deve controbattere con altre idee. E chi vive in questo paese, come me, sa che la separazione tra le due sfere non e' ne' esistente nel presente, dato l'ancora permanente confessionalita' dello stato italiano, ne' tantomento nel passato. L'influenza della cultura religiosa, nel complesso delle credenze che hanno un significativo peso nel plasmare i comportamenti e la mentalita' degli individui (un'influenza che e' cresciuta a dismisura, come ben si vede, in tutto il mondo attuale), e la presenza di una struttura ecclesiastica di potere, sono altre ragioni che spingono chi voglia occuparsi criticamente della propria cultura di appartenenza a non ripararsi dietro confini piu' immaginari che reali e a prendere parte nel discorso. Inoltre, proprio perche' le idee, le pratiche e le cornici di senso non sono statiche, e non lo sono state nemmeno nel passato, e' necessario evidenziarne i cambiamenti e, in quanto studiosa di storia, sono attenta alle svolte di pensiero che condizionano o vogliono condizionare la nostra vita. E quella che e' sotto i nostri occhi e' una svolta autoritaria delle piu' alte gerarchie ecclesiastiche che si sta prepotentemente acuendo e a cui bisogna rispondere non tanto e non solo fissando i limiti dell'influenza della Chiesa (visto che abitiamo lo stesso paese e la stessa cultura) ma confliggendo in merito ai metodi, alle questioni e all'oggetto delle condanne. Gettare condanne e non assumere su di se' le sofferenze del mondo, la fragilita' dei viventi, respingere e non accogliere, non perdonare, fare della minaccia di peccato un'arma di potere e', a partire dalla critica ai metodi, davvero un percorso violento, non tollerabile e che si e' allontanato dalla strada dell'amore che lo stesso Cristo indicava perdonando la persona "peccatrice", proteggendo i deboli e gli umili (tematiche che non appartengono solo ai credenti ma alla storia dell'etica). * E in quanto ai contenuti, cio' che mi colpisce profondamente e' l'incapacita' dopo tanti secoli, dibattiti, scontri e alleanze, di guardare alla corporeita' dei viventi come a un bene prezioso e non a un luogo di smarrimento e di bassezza, bensi' a cio' che ci fa umani, viventi, bisognosi, nati da un corpo di madre che insegna il valore e la necessita' dell'amore e del suo corpo, sessuato, finito, reale. Perche' ancora questa Chiesa (come molti ambienti politici, culturali, religiosi) non riesce ad accettare la realta' dei corpi e la differenza sessuale come ricchezza? Perche' quest'insistenza sul celibato e sul rifiuto di entrata alle donne (presenti invece nella storia della Chiesa con figure di rilievo), che fa dei sacerdoti delle figure emotivamente fragili, e in profonda difficolta' a gestire la propria sessualita'? Perche' queste alte cariche ecclesiastiche non si prendono carico della radicale misoginia culturale di cui sono imbevute e non ne disinnescano la carica esplosiva? La loro irrisolta ossessione verso le pratiche corporee li conduce a guardare il corpo femminile, il corpo Altro in assoluto per il clero maschile, come l'emblema della vita di pulsioni, umori, cicli biologici, godimento e bisogno, scandita da fecondita', da cui tutti originiamo e dipendiamo. E la dipendenza, se non e' accolta "culturalmente", e' fonte di oscure paure e repulsioni. La risposta attuale alla radicale diversita' del corpo femminile rievoca la misoginia dei chierici medievali, rinfocola drammi ed errori del passato, quelli stessi per cui Wojtyla ha fatto ammissione di colpa. E il dominio, il controllo attraverso dettami e prescrizioni della vita sentimentale e sessuale, pare voler tendere a depotenziare le donne e gli uomini delle loro energie vitali e a convincerli di lasciare il governo del proprio corpo e di pulsioni, desideri e necessita' - l'insieme del "disordine" del corpo - in mano a uomini ordinati (sacerdoti, prelati eccetera) che invece dovrebbero ammettere la loro debolezza e il loro difficile equilibrio. Non e' un caso dunque che ad essere oggetto delle maggiori condanne sia la direzione della sessualita', (che le donne, e anche gli uomini, hanno voluto separare dalla fecondita') schiacciando i fedeli tra l'impossibilita' di agire la contraccezione e l'imposizione della maternita' e rinviando all'intera comunita' di individui, credenti o meno, un'immagine misera e sporca del proprio desiderio. * Tuttavia, sia perche' gli individui sempre piu' costruiscono il senso e il valore della vita a partire dalle proprie esperienze e dai propri sentimenti, sia perche' l'oggetto della repulsione dei chierici, le donne, ha risposto con una propria elaborazione culturale e con autonome pratiche politiche, tale presunto dominio sui cuori e sul talamo si sta mostrando sempre piu' nudo ormai agli occhi del mondo. E visibile cosi' com'e' - privo di amore e povero di accoglienza - resta solo un linguaggio violento e rozzo, svuotato di quella profonda umanita' e rispetto della soggettivita' femminile che si riscontra nella cultura religiosa piu' autentica e pulsante. Ed e' quindi, attingendo anche a quel patrimonio, valore universale anche per i laici come me, che io, rispondendo agli attacchi sulla libera scelta della maternita' che abbiamo voluto e praticato, guardo a Maria e a quell'episodio centrale non solo nella sua vita ma nel cristianesimo tutto, incentrato nell'annunciazione, una scena che ci e' stata consegnata solo dal vangelo di Luca. Uno degli elementi cruciali e non a caso sottaciuto, riguarda, nel colloquio con l'angelo Gabriele, il consenso della Vergine: solo l'accettazione consapevole di Maria da' corso alla storia, apre la possibilita' all'avvento. E' solo il suo si' che accoglie nel corpo e nella mente la vita. Dunque le materie sulle quali alcuni esponenti delle piu' alte gerarchie ecclesiastiche stanno emanando condanne, dettami e divieti non sono tematiche che appartengono solo al popolo della fede ma riguardano la vita di tutte e di tutti e i valori e i simboli della nostra cultura, e di cio' dobbiamo essere pienamente consapevoli. 7. RIFLESSIONE. ANNA MARIA CRISPINO: DA NORA A NOI [Dal quotidiano "Liberazione" dell'11 ottobre 2006 riportiamo la seguente presentazione del prossimo fascicolo (novembre 2006) della bella rivista "Leggendaria" dedicato al centenario della morte di Ibsen, e che avra' come figura di riferimento quella della protagonista di "Casa di bambola". Anna Maria Crispino e' nata a Napoli, ma vive e lavora a Roma; giornalista, si occupa prevalentemente di questioni internazionali; ha ideato la rivista "Leggendaria - Libri, letture, linguaggi" che dirige dal 1987; e' tra le socie fondatrici - e attualmente presidente - della Societa' Italiana delle Letterate. Henrik Ibsen (Skien 1828 - Oslo 1906) e' il grande drammaturgo norvegese sulle cui opere - e sui cui personaggi - tutti abbiamo dovuto meditare. Opere di Henrik Ibsen: in italiano un'edizione di tutto il teatro ibseniano e' stata pubblicata dalla Newton Compton di Roma. Opere su Henrik Ibsen: per un avvio Franco Perrelli, Introduzione a Ibsen, Laterza, Roma-Bari 1988] Un magnifico tratto in stile liberty per ritrarre una donna col volto imbronciato, capelli raccolti su cui il cappello si posa con eleganza, sullo sfondo un gruppo di bambole ottocentesche, visi lisci di porcellana e abitini arricciati: cosi' si presentava la copertina cartonata di Nora, la Casa di bambola a fumetti disegnata da Cinzia Ghigliano (e colorata da Francesca Cantarelli). Il volume fu pubblicato in Italia nel 1978 dalla casa editrice Dalla parte delle bambine, nella collana "per le ragazze", ma fu letto soprattutto dalle giovani donne che in quegli anni affollavano le manifestazioni femministe e che di Ibsen, forse, non avevano ancora sentito parlare. E rimase nelle biblioteche domestiche di molte di noi. Perche' Nora era entrata di diritto nel pantheon delle eroine femministe, delle antenate di quel movimento che scuoteva l'Italia cattolica, familistica e ancora democristiana, dei modelli da proporre alle prime figlie o sorelle piu' giovani di quella generazione che stava facendo contemporaneamente il doppio salto mortale dell'emancipazione e della liberazione, come allora si definiva la presa di coscienza della soggettivita' femminile. Poi, avremmo parlato di politica della differenza. E di liberta' femminile. Ma allora, negli anni Settanta, se la Nora del primo atto sembrava incarnare quel "sogno d'amore" che eravamo state addestrate a perseguire - un marito amoroso, dei figli affettuosi, una casa confortevole -, lo svelamento della trappola della dipendenza, del peso delle convenzioni, dell'ipocrisia di facciata risuonava come una verita' fin troppo riconoscibile anche a distanza di un secolo. L'agio di una vita protetta nello sperimentato ruolo di mogli e madri, magari anche gia' con un lavoro "compatibile", sembrava sfuggire alla nostra esperienza: disagio, conflitto, crisi erano le parole per dirlo. E quella scena finale di Casa di bambola, quello sbattere di porta che arrivava a scena ormai muta, produceva un doppio effetto straniante: allora si puo'! Ma anche: e poi? Ghigliano la disegna in cinque sequenze finali, Torvald ormai solo una voce fuori campo: un primissimo piano di Nora, sguardo diretto e l'essenzialita' della battuta "Migliaia di donne l'hanno fatto...". Lo zoom sul dettaglio lezioso di quella casa di bambola (un lume ornato), poi Nora di spalle che si avvia alla porta, l'ingrandimento che mostra il cappotto ben chiuso, la porta chiusa che sbatte sue spalle. Che si potesse uscire dalla famiglia tradizionale e da rapporti di coppia insoddisfacenti perche' dispari quando non oppressivi ce lo aveva raccontato gia' molta letteratura e peraltro lo stavamo verificando nel vivo dell'esperienza. Ma quell'"e poi"? E' la domanda lunga un secolo che fa la nostra storia tuttora in corso: perche' molte Nore sono rimaste a casa o ci sono ritornate, ma molte altre sono ancora in cammino, alla ricerca di una risposta. * La celebrazione dell'anno ibseniano ha offerto l'occasione di rimettere a fuoco non solo la figura e l'opera del drammaturgo ma anche le questioni che al tempo suscitarono scandalo e su cui oggi possiamo tornare a riflettere. Il tempo ha distillato l'essenziale, facendo anche giustizia dell'ormai sterile dibattito sul "femminismo" di Ibsen: al di la' del contesto storico che quel dibattito aveva prodotto - e su cui molti e molte si sono attardati/e - l'essenziale e' che il "mago" Ibsen (come lo definisce Elizabeth Robins nel saggio del 1928 pubblicato su "Leggendaria") aveva saputo cogliere, e rendere drammaturgicamente, quel nodo cruciale che il femminismo ha chiamato "il personale e' politico": la relazione di Nora e Torvald e' determinata in modo non contingente dal quadro legislativo, sociale e di costume ma da un conflitto cruciale tra uomo e donna, oggi diremmo tra soggettivita' e dinamica delle relazioni. L'elemento rivoluzionario - e straordinariamente anticipatore - e' che Nora non resta sulla soglia di quella che pure era stata la sua casa, esce e chiude la porta dietro di se'. Torvald, l'uomo per cui si era sacrificata (facendosi fare un prestito e lavorando in segreto per restituirlo) e' ormai un estraneo. "Non potro' essere dunque mai piu' che un estraneo per te?", chiede l'uomo. "Temo di no. Dovrebbe accadere qualcosa di inverosimile... io non credo piu' ai miracoli". Non e' solo un gesto di trasgressione: l'amore non basta, una pagina si chiude, quella che si apre nelle relazioni tra uomini e donne e' in gran parte ancora da scrivere. * Il numero di novembre di "Leggendaria" dedicato a Ibsen, (fascicolo monografico bilingue in italiano e inglese) sara' in libreria per novembre con il titolo "Nora e le altre". Tra gli articoli centrali quello di Bia Sarasini, La lodoletta ha imparato a volare, in cui analizza la figura di Nora come vittima non solo dell'oppressione sociale, ma anche della trappola psichica e interiore dell'eterna bambina. 8. LIBRI. MASSIMO CAMPANINI PRESENTA "L'ISLAM IN OCCIDENTE" DI TARIQ RAMADAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 ottobre 2006. Massimo Campanini insegna nelle Universita' di Milano e Urbino, ha curato fondamentali edizioni italiane di opere di alcuni dei piu' grandi pensatori islamici. Tra le opere di Massimo Campanini: La Surah della Caverna. Meditazione filosofica sull'Unicita' di Dio, La Nuova Italia, Firenze 1986; La teoria del socialismo in Egitto, Centro Alfarabi, Palermo 1987; L'Intelligenza della fede. Filosofia e religione in Averroe' e nell'Averroismo, Lubrina, Bergamo 1989; introduzione, traduzione e note a Averroe', Il Trattato Decisivo, Rizzoli, Milano 1994; introduzione, traduzione e note a al-Farabi, La citta' virtuosa, Rizzoli, Milano, 1996; introduzione, traduzione e note a Averroe', L'Incoerenza dell'incoerenza dei filosofi, Utet, Torino 1997; Islam e politica, Il Mulino, Bologna 1999, 2003; introduzione, traduzione e note a al-Ghazali, Le perle del Corano, Rizzoli, Milano 2000; introduzione, traduzione e note a Avempace, Il regime del solitario, Rizzoli, Milano 2002 (in collaborazione con A. Illuminati); Introduzione alla filosofia islamica, Laterza, Roma-Bari 2004; Il Corano e la sua interpretazione, Laterza, Roma-Bari 2004; introduzione, traduzione e note ad al-Ghazali, La bilancia dell'azione ed altri scritti, Utet, Torino 2005; (a cura di), Dizionario dell'Islam, Rizzoli, Milano 2005; Il pensiero islamico contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2005; Storia dell'Egitto contemporaneo, Edizioni Lavoro, Roma 2005; Storia del Medio Oriente. 1798-2005, Il Mulino, Bologna 2006. Tariq Ramadan, intellettuale e teologo islamico, e' docente universitario in Svizzera e in Gran Bretagna. Tra le opere di Tariq Ramadan: Essere musulmano europeo, Citta' aperta, Troina (Enna) 1999; L'Islam in Occidente, Rizzoli, Milano 2006] Islam europeo o Islam italiano? Le tensioni, le accuse, i distinguo che da sempre accompagnano il discorso sui musulmani italiani (e in specie sull'Unione delle comunita' e organizzazioni islamiche in Italia) e che coinvolgono la legittimita' e l'utilita' della cosiddetta "carta dei valori", nascondono il fatto che, se l'Islam italiano avra' nel futuro un senso, potra' averlo solo in una proiezione europea. Altrimenti rischia di essere marginalizzato di fronte a realta' ben piu' strutturate, quali la presenza islamica in Francia o in Gran Bretagna, oppure di irretirsi in dispute intestine provinciali, nel decidere chi veramente rappresenta i musulmani nella prospettiva di un "concordato" con lo stato italiano. Porre pregiudiziali o peggio ancora, come fa molta parte della stampa, affrettare identificazioni che non hanno alcun fondamento ne' storico ne' dottrinale (del tipo, la maggioranza dei musulmani italiani e' infiltrata dai Fratelli musulmani, i Fratelli musulmani sono terroristi, dunque la maggioranza dei musulmani italiani e' collusa col terrorismo) rischia di avvelenare e di rendere incandescente il confronto invece di risolverlo. * Un esponente dell'Islam futuro Tariq Ramadan - piaccia o no, lo si giudichi sincero o meno - e' un rappresentante autorevole dell'Islam europeo del futuro. Nipote del fondatore dei Fratelli musulmani al-Banna, ma nato a Ginevra, docente universitario in Svizzera e in Inghilterra, consigliere di Tony Blair, musulmano ma pienamente imbevuto di cultura occidentale, Ramadan e' in grado di enunciare le coordinate di una dogmatica e di una prassi europea dell'Islam. Lo ha fatto nel 1999 con Essere musulmano europeo (tradotto in italiano da Citta' aperta), autentico trattato di teologia, attualizzata alla luce della metodologia scientifica moderna. E lo fa oggi con L'Islam in Occidente (Rizzoli, pp. 333, euro 17,50) che appare un vero e proprio manifesto rivolto ai musulmani europei, perche' ne traggano consiglio, e agli europei non musulmani che sono invitati a rendersi conto della nuova realta' e a comprenderne le motivazioni e anche le richieste. Due gli scopi dichiarati del libro: da un lato, rileggere le scienze islamiche tradizionali alla luce del nuovo contesto occidentale in cui i musulmani si trovano a vivere; dall'altro, indicare la via di una applicazione pratica dei nuovi orientamenti teorici. Innanzi tutto, dunque, si tratta di decostruire certe categorie del pensiero islamico tradizionale che richiedono non gia' di essere negate, ma di essere adattate. Cosi', si ribadisce che la trascendenza e l'unicita' di Dio e l'assoluta originalita' dell'esperienza profetica di Maometto sono costitutive del monoteismo islamico. Ma, al di la' di questo principio dogmatico di base, Ramadan avanza alcune utili proposte. La sharia non deve piu' essere intesa come un corpo rigido di norme ma, interpretando l'autentico significato del nome che allude al cammino verso una sorgente d'acqua, come una "via" che indica la direzione morale dell'agire dei musulmani. In tal modo, se ne potra' abolire la rigidita' distinguendo tra principi essenziali e modalita' della loro attuazione. L'antica distinzione tra la "casa dell'Islam" dove vige un governo musulmano e la "casa della guerra", cioe' il territorio dei non musulmani contro i quali condurre la "guerra santa", non ha piu' senso di esistere e del resto non appartiene ne' al Corano ne' all'universalismo dell'Islam. Viene cosi' neutralizzato un principio giuridico ambiguo, cui il terrorismo attinge: nei confronti della casa della guerra non vi puo' essere che solo momentanea tregua, mentre la situazione normale e' quella del conflitto. * Culto senza costrizioni Al contrario, per Ramadan e i musulmani europei, l'Europa e' essa stessa "casa dell'Islam". Anzi, e' veramente casa dell'Islam perche' in Europa l'Islam puo' essere professato liberamente, senza le costrizioni cui spesso i musulmani sono sottoposti dai regimi autoritari o dittatoriali dei paesi di origine. Allo stesso modo, il non musulmano non e' un miscredente, ma semplicemente uno che non accetta (kafir, che letteralmente vuol dire "colui che nega") i principi religiosi dell'islam; naturalmente perche' ne condivide altri, legittimi come sono legittimi quelli islamici. Cosi', e' necessario parlare della donna in quanto donna, cioe' in quanto individuo e persona, e non piu' solo relativamente alla sua funzione sociale, che l'Islam patriarcale - come lo sono state e lo sono ancora in parte quasi tutte le societa' umane e non solo quelle mediterranee - identifica nel fatto di essere moglie e madre. Dopo la decostruzione, vi e' la costruzione. Ramadan insiste particolarmente sull'etica della cittadinanza. I musulmani europei devono sentirsi cittadini d'Europa e cittadini dei singoli paesi europei che li ospitano, senza complessi di inferiorita' e senza sentirsi "diversi". Cio' impone che i musulmani europei debbano conoscere approfonditamente l'ambiente in cui vivono, imparare alla perfezione la lingua parlata dagli europei con cui convivono, evitare la ghettizzazione e obbedire alle leggi dello stato di cui sono cittadini. In questo contesto, i musulmani devono attivamente impegnarsi nella politica e nella societa, partecipando alle elezioni per esempio, e addirittura cercando, se possibile, di essere eletti; partecipando alle associazioni della societa' civile, affiancando a quelle gia' presenti le associazioni musulmane. Senza che questo implichi, in alcun modo, la costruzione di un ipotetico e fumoso "stato islamico". Neppure vi e' bisogno di identificare la religione e la politica, come ha fatto l'islamismo radicale; anche se, e' ovvio, l'Islam e l'ispirazione religiosa debbono innervare l'azione sociale e la partecipazione dei cittadini musulmani europei alla vita pubblica. Si tratta per Ramadan di un compito storico. I musulmani europei, infatti, come egli dice esplicitamente, sono e debbono essere la "coscienza del sud del mondo", la voce di chi non ha voce, per la rivendicazione della giustizia e della dignita'. Questo impegno e questa consapevolezza sono l'autentico jihad. Il libro propone dunque ai musulmani europei (e italiani) e agli europei non musulmani una sfida di merito, ma anche di metodo. Ramadan rivendica infatti orgogliosamente l'identita' musulmana nell'alterita' del rapporto con l'altro, l'europeo. Nell'eta' della globalizzazione si tratta di non relativizzare i principi universali dell'Islam, se pur adattandone quelli che universali non sono e appaiono modificabili alla luce della storia. Cosi' si aprira' un dialogo pluralistico. Del resto e' vero che il dialogo non si fa pretendendo che l'altro diventi come noi, in nome di una universalita' dei valori, i nostri, che possono e debbono essere esportati. La democrazia ad esempio, se imposta come in Iraq, appare piu' una prevaricazione che un aiuto al progresso. Tolleranza non significa sopportazione, ma accettazione e rispetto dell'altro per quello che e': l'europeo, cristiano o meno, nei confronti del non europeo, musulmano o meno; e viceversa. Solo cosi' il confronto e' dialogo e non scontro, di civilta', di religione o semplicemente di soggettivita' e di interessi. 9. LIBRI. MARIO PEZZELLA PRESENTA "METAFISICA. CONCETTO E PROBLEMI" DI THEODOR W. ADORNO [Dal quotidiano "Liberazione" del 5 settembre 2006. Mario Pezzella, docente universitario di estetica, studi filosofici a Pisa e a Parigi, ha curato l'edizione italiana di testi di Bachofen e su Jung, organizzato seminari e convegni di studio, ha collaborato con Remo Bodei nella progettazione della collana "Il lessico dell'estetica" presso l'editore "ll Mulino" ed e' redattore della rivista "Iride" e direttore responsabile della rivista "Controtempo". Theodor W. Adorno, nato nel 1903 a Francoforte sul Meno, costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, acutissimo osservatore della societa' contemporanea, filosofo e musicologo, e' deceduto nel 1969. Una delle figure di massimo spicco della "scuola di Francoforte". Opere di Theodor W. Adorno: nella sua vastissima produzione segnaliamo almeno, per un primo approccio, Dialettica dell'illuminismo (con Max Horkheimer), Minima moralia, Dialettica negativa, tutti presso Einaudi, Torino. Opere su Theodor W. Adorno: si veda almeno, per un primo orientamento, Sergio Moravia, Adorno e la teoria critica della societa', Sansoni, Firenze; e Fredric Jameson, Tardo marxismo, Manifestolibri, Roma. Sulla scuola di Francoforte si vedano le monografie introduttive di Assoun (Lucarini), Bedeschi (Laterza), Jay (Einaudi), Rusconi (Il Mulino), Therborn (Laterza), Zima (Rizzoli)] E' possibile la metafisica dopo Auschwitz? Culminano in questa domanda radicale le lezioni tenute da Theodor W. Adorno nel 1965 all'Universita' di Francoforte, nel periodo in cui scriveva Dialettica negativa, una delle sue opere maggiori (un testo trascritto delle lezioni e' stato pubblicato di recente da Einaudi, col titolo Metafisica. Concetto e problemi, edizioni Einaudi, a cura di Stefano Petrucciani). E' comune a diverse forme di pensiero metafisico l'immagine di un cosmo ordinato, mosso da una causa prima e volto ad un fine che lo giustifica; ma, nel Novecento, il male radicale che si e' palesato ad Auschwitz rende letteralmente impensabile il senso stesso del mondo. Nelle strutture piene e totalizzanti del pensiero metafisico irrompe un male non reintegrabile, una negativita' non redimibile. I principi del vero, del bello e del buono sembrano "soltanto un puro scherno rispetto alle vittime e all'immensita' del loro supplizio". Si vede come Adorno sia lontano da ogni trattazione accademica dell'argomento. La prima parte delle lezioni tuttavia e' un commento puntuale alla Metafisica di Aristotele. Secondo Adorno dal suo pensiero provengono categorie e polarita' concettuali che hanno poi determinato il corso successivo della filosofia in Occidente: forma e materia, necessita' e possibilita', genesi e validita' della conoscenza. Piu' in generale e' con Aristotele che si palesa la caratteristica dialettica del pensiero metafisico: da un lato esso si presenta come una critica della tradizione dominante, della mitologia che ne inficia e ne limita il valore razionale; ma d'altro lato cerca di salvare, su un piano piu' illuminato e consapevole, proprio gli aspetti decisivi di quel passato che ha criticato. Cosi' in Platone gli dei della mitologia sono solo una figurazione imperfetta delle idee; ma le idee stesse dovrebbero assicurare quell'ordine del cosmo, che prima era garantito dalla religione olimpica. C'e' quindi nella metafisica un aspetto critico-distruttivo e un momento invece apologetico e conservativo dell'esistente: da un lato vengono dissolte le "falsificazioni" imposte dall'esperienza mitica o religiosa; dall'altro la metafisica si assume come compito quello di ricondurre tutto il molteplice a una Unita' sensata e indiscutibile. Questa mediazione, che si conclude in fondo nel trionfo del principio razionale e unitario, compare nella metafisica fin dalla sua origine e se ne trovano accenni nello stesso Aristotele. La metafisica cerca di mettere in salvo "il mondo dell'apparenza molteplice, cangiante, corruttibile, accogliendola, strutturandola, fondandola nell'orizzonte di cio' che invece e' unitario, stabile, permanente" (Petrucciani). * Il male radicale, che si palesa nella storia del Novecento, rende tuttavia discutibile qualsiasi spiegazione totale e razionale del mondo. I concetti piu' grandi e piu' nobili, che la tradizione attribuiva alla verita' e allo spirito, ricompaiono stravolti nel linguaggio dei regimi totalitari. La purezza, l'ideale, l'assoluta perfezione vengono attribuiti a un oppressore, che se ne serve per distruggere ogni traccia dell'Altro: "Per loro e' anatema cio' che essi perseguitano e distruggono come l'inferiore, l'insetto, lo sporco, come umanita' inferiore" (Adorno). D'altra parte l'idea che ogni singolarita' e ogni differenza debbano dissolversi in un ordine indiscusso e integrale non e' propria solo dei regimi totalitari. In forme piu' soffici, questa pretesa vige anche nell'industria culturale delle societa' occidentali, che sprofondano sempre piu' nel pensiero unico e unidimensionale, "nell'assoluta fungibilita' e sostituibilita' di ogni singolo uomo" (Adorno). Ognuno e' di fatto minacciato da una nullita' e insignificanza, che rendono impensabile la sua partecipazione all'impresa eroica della metafisica. Se e' divenuto improponibile un senso unitario e permanente del mondo, non e' pero' venuta meno secondo Adorno la necessita' di una esperienza metafisica: essa avverra' pero' in luoghi e forme diverse da quelle tradizionali. Ridotta ai suoi termini elementari, l'esperienza metafisica si configura oggi nel rifiuto di accettare cosi' com'e' l'inerzia dell'esistente: se non e' lecito indicare il significato affermativo e unitario dell'esistenza, e' pero' possibile quantomeno negare e trascendere il dato che si presenta di fronte al pensiero, criticare l'opaca compattezza del dominio che vorrebbe presentarsi come unidimensionale e indiscutibile. Il gesto originario del pensiero diviene il dire "non cosi'", "non questo qui". Come gia' aveva intuito Benjamin, la riflessione si rivolge alle esperienze rigettate, marginali, considerate non degne dello spirito. Proprio in esse si mantiene una forza di alterita' non riducibile all'esistente. Secondo Adorno, la critica - pur restando fedele al suo rigore - deve confrontarsi con "l'extralogico", nelle sue forme piu' contingenti e radicali: l'orrore per la violenza, "per il dolore fisico del corpo straziabile", diventa il primo movente del pensiero. Esso si configura come apertura oltre il dominio esistente, ma perche' questa sia autentica occorre confrontarsi prima di tutto con la minaccia che incombe sullo stesso essere biologico dell'uomo. La "vana attesa" di coloro che non riescono a realizzare le possibilita' della propria vita e la felicita' che portano in se' come un'immagine di sogno, diventa l'atto iniziale di una esperienza metafisica non falsificata: "La negativita' della situazione della vana attesa: questa e' forse la forma in cui l'esperienza metafisica e' per noi fortissima" (Adorno). "Cio' che non siamo e di cui nell'intimo sappiamo", diviene il varco attraverso cui e' possibile un pensiero non omologato. Si e' spesso affermato che il pensiero di Adorno termina in una visione "solo" estetica, o in una distruzione degli strumenti stessi della ragione, o in una sorta di teologia negativa. Da queste lezioni affiora in realta' l'immagine di un pensiero che insiste nella critica delle situazioni particolari, debole e fallibile, senza piu' la forza "di essere sovrano sulla realta' e di dominarla" (Petrucciani): ma che si configura come una tenace e insostituibile "forza di resistenza" e di sopravvivenza. 10. RISTAMPE. GIACOMO LEOPARDI: POESIE E PROSE (VOLUME SECONDO: PROSE) Giacomo Leopardi, Poesie e prose (volume secondo: Prose), Mondadori, Milano 1988, 2006, pp. XIV + 1506, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Rolando Damiani tutte le prose leopardiane (ad eccezione dello Zibaldone, dell'epistolario, e di pochissimo altro). Un'ottima edizione, una lettura che vivissimamente raccomandiamo. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1456 del 22 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1455
- Next by Date: La domenica della nonviolenza. 96
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1455
- Next by thread: La domenica della nonviolenza. 96
- Indice: