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La nonviolenza e' in cammino. 1454
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1454
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 20 Oct 2006 00:18:08 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1454 del 20 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Afghanistan 2. Cindy Sheehan: Chi verra' a sedersi con noi di fronte alla Casa Bianca? 3. Peppe Sini: Il dialogo, la nonviolenza 4. Alessandro Dal Lago: Hannah Arendt, i senza patria e noi 5. Lea Melandri: Dietro il velo 6. L'indice di "Difesa popolare nonviolenta" di Antonino Drago 7. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2007 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. AFGHANISTAN [Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance, collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006] Chi tiene in ostaggio una persona e' un criminale. Lo e' anche chi tiene in ostaggio interi popoli. * Chi fa stragi con un'autobomba e' un terrorista. Lo e' anche chi fa stragi con un bombardiere. * Sia liberato Gabriele Torsello. E sia liberato il popolo afgano dalla guerra che lo opprime da decenni. Lo stato italiano cessi di partecipare alla guerra afgana, e si adoperi per costruire la pace con mezzi di pace, si adoperi per soccorrere le vittime, si adoperi per salvare vite umane anziche' sopprimerle. 2. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: CHI VERRA' A SEDERSI CON NOI DI FRONTE ALLA CASA BIANCA? [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Di solito chiudo i miei articoli con un invito all'azione, questa volta con tale invito comincio. Magari i lettori si stancano di scorrere i miei pezzi prima di arrivare alla parte dell'azione, che e' la parte piu' importante. "Gold Star Families for Peace" sta chiamando all'azione di fronte alla Casa Bianca nei giorni dal 6 al 9 novembre (vista l'urgenza della situazione, noi cominceremo il sit-in di sabato, il 4 novembre). Come Gandhi ci ha insegnato, siederemo insieme per la pace e la giustizia. Vi chiediamo di unirvi a noi in tutti questi giorni, o per quanto tempo potete. E' ora che guardiamo in faccia la Casa Bianca e il suo potere. Il Congresso ha passato sei anni a delegittimare se stesso e a sostenere un esecutivo che lo accarezza sulla testa per essere stato obbediente ed aver invalidato la Corte suprema, e si rivolge piagnucolando a questo stesso Congresso quando la Corte, in casi rarissimi, da' a George Bush uno schiaffetto sulla mano. * La democratica Nancy Pelosi ha gia' detto che se il suo partito ottenesse la maggioranza, i procedimenti per l'incriminazione del presidente non verrebbero portati avanti. E allora, chi verra' a sedersi con noi per far si' che i criminali di guerra al potere rispondano dei loro crimini contro l'umanita'? * Ieri, senza che noi, la gente, emettessimo un suono, e mentre dieci soldati erano stati assassinati in Iraq nell'orrenda guerra fatta per ingozzare le corporazioni economiche, Bush ha firmato una nuova legge. Dieci soldati sono stati uccisi mentre difendevano l'osceno profitto della macchina della guerra, dopo che era stato loro detto che stavano diffondendo "liberta' e democrazia" in Iraq. Mentre essi morivano per queste supposte "liberta' e democrazia", il loro comandante in capo, il presidente degli Usa, era assai indaffarato a portarci via le nostre. Chi verra' a sedere con noi perche' le morti di questi dieci giovani contino veramente per la liberta' e la democrazia? * La legge che Bush ha firmato si chiama "Military Commissions Act" e permette a chiunque, a partire da lui per arrivare al torturatore effettivo, di infliggere atti inumani ai propri simili in totale impunita'. La legge permette anche a Bush di decidere chi e' un terrorista che non merita l'habeas corpus e chi non lo e', e quindi merita tale diritto. Chi verra' a sedere con noi per dire: "Rivendico i miei diritti e ripudio la tortura in tutte le sue forme"? * Dove sono le proteste di massa contro questa legge? Perche' nessuno si e' sentito oltraggiato, mentre Re George, illegittimo pretendente al trono, la firmava? Dove siamo noi, il popolo? Devo pensare, stante questo silenzio, che la maggioranza degli americani approvi la tortura e la sospensione dell'habeas corpus? Quand'e' che il silenzio passa la misura e diventa complicita'? Chi verra' a sedersi con noi per dire: "Io non sono un criminale di guerra come Bush e compagnia"? * Noi, la gente, che per oltre due terzi disapproviamo il governo per le sue politiche estere distruttive ed insensibili, dobbiamo cominciare a contarci. Le iniziative in memoria dei nostri figli uccisi in Iraq si cerca di sconciarle dicendo che sono "politiche", ma servono esattamente allo scopo di mostrare cosa il numero 2.768 significa in realta'. Il 65% degli Usa e' solo un numero astratto: chi verra' a sedere con noi per mostrare alla nostra amministrazione assetata di sangue ed al Congresso come e' fatta la maggioranza dell'America? * George Bush ha condannato i nostri insostituibili giovani a tombe precoci, e circa 700.000 innocenti iracheni sono stati massacrati grazie alle sue politiche. Il numero e' allucinante, e a me spezza il cuore. Ho incontrato un giovane uomo all'aeroporto, di recente. Era in lacrime. Apparteneva al reggimento First Cavalry (lo stesso di mio figlio Casey) e la sua unita' deve tornare in Iraq alla fine di questo mese. Gli avevano appena confermato che l'unita' restera' in Iraq per i prossimi diciotto mesi. Il ragazzo mi ha detto che si sentiva come se lo avessero condannato ad un anno e mezzo di prigione per il crimine di essersi arruolato e di aver voluto servire il suo paese. Chi verra' a sedersi con noi per questo mio giovane amico, Carl, e per tutti quelli come lui che hanno ricevuto la medesima sentenza? * Mentre noi, il popolo, stavamo riponendo ingenuamente le nostre speranze nelle prossime elezioni, sessantotto dei nostri figli sono stati uccisi in Iraq questo mese, ed un numero ignoto di innocenti iracheni ha avuto lo stesso fato ingiusto. Sessantotto famiglie sono state violentemente lacerate questo mese, con una pena senza fine. Sessantotto bare avvolte nella bandiera torneranno ammantate anche di segretezza, come se si trattasse di una vergogna, a sessantotto famiglie devastate, mentre i profittatori di guerra ad ogni livello si fregano soddisfatti le mani sporche di sangue. Sessantotto funerali a cui George Bush non presenziera', avendo da pianificare con i suoi compari la prossima guerra in cui usare i nostri figli (non i loro) come pedine nel gioco malvagio e mortale del profitto. Con cosa giustifichiamo il nostro agio e la nostra compiacenza, quando sessantotto madri non saranno a loro agio mai piu'? Chi verra' a sedersi con noi perche' non vi siano altre madri, irachene o americane, bianche o nere, cristiane o musulmane, destinate a precipitare nello stesso dolore? * Noi di "Gold Star Families for Peace" continuiamo a chiederci perche' i nostri figli sono morti. Tutti loro avevano prestato il giuramento di proteggere e difendere la Costituzione "da tutti i nemici esterni ed interni", e i nostri leader non fanno altro che massacrare quello stesso documento, dopo che essi stessi hanno prestato giuramento. Chi verra' a sedere con "Gold Star Families for Peace", per aiutarci a chiudere questa guerra, e a far si' che le morti dei nostri cari contino per la nobile causa della pace? * Non c'e' nobile causa per la guerra, e i figli di altra gente stanno morendo mentre il nostro imperatore nudo, privo di coraggio o di onesta', giocherella con i diritti della nostra nazione e con il bilancio dello stato, e sta disonorevolmente abusando dei nostri onorevoli figli, che non si sarebbero mai arruolati se avessero saputo che dovevano combattere per alimentare la macchina della guerra. Chi verra' a sedersi con noi, per mostrare a questa macchina che intendiamo gettare sabbia nei suoi voraci ingranaggi? * Non possiamo starcene ad aspettare che siano le famiglie ferite a fare il grosso del lavoro. Tocca a noi, siamo proprio noi quelli che stavamo aspettando perche' facessero qualcosa, non il Congresso, i cui membri stanno beneficiando finanziariamente dei fallimenti in Medio Oriente. E sappiamo di non poter contare su un'amministrazione grondante di sangue. Bush ha piu' volte ripetuto che le truppe non torneranno a casa sino a che lui sara' il presidente. Chi verra' a sedersi con noi affinche' il Congresso faccia la cosa giusta, e dia inizio ai procedimenti per incriminarlo? E affinche' i nostri giovani tornino finalmente a casa dall'incubo nel deserto, e la gente irachena possa cominciare a ricostruire il proprio paese e le proprie vite devastate? * Vi prego, vi prego, vi prego: venite di fronte alla Casa Bianca con noi. Se mai c'e' stato un tempo in cui mettere fine alla nostra condiscendenza verso uno status quo di guerra per il profitto, e' ora. Ci sono persone in tutto il mondo che contano su di noi, contano che noi si faccia la nostra parte per una democrazia vera, e per la pace nel mondo. Il momento e' adesso. La persona sei tu. 3. INCONTRI. PEPPE SINI: IL DIALOGO, LA NONVIOLENZA Si addensano in questo periodo molti appuntamenti di riflessione che possono essere anche momenti preziosi di riconoscimento reciproco tra persone ed esperienze impegnate a contrastare la violenza con le modalita' peculiari con cui gli esseri umani comunicano, conoscono, si riconoscono: la parola, i volti, l'ascoltarsi, la vicinanza, il dialogo. * Tra questi incontri un rilievo particolare ci sembra abbiano le molte iniziative che stanno avendo luogo gia' da settimane in varie parti d'Italia con riferimento alla quinta giornata del dialogo cristiano-islamico (per tutte le informazioni e per una straordinaria mole di materiali di documentazione e di riflessione si veda l'ottimo sito de "Il dialogo", www.ildialogo.org). Proprio mentre da piu' parti si propaganda l'odio e si pratica una violenza feroce (il femminicidio, il razzismo, il terrorismo, la guerra...), questa iniziativa che per il quinto anno si rinnova costituisce un elemento di aggregazione, chiarificazione, azione nonviolenta, che va anche oltre i credenti delle due religioni e coinvolge ormai tante persone di volonta' buona persuase che smilitarizzare (e - cosa non meno urgente e decisiva - depatriarcalizzare) le religioni e le culture, favorire il colloquio corale senza pretese egemoniche, convocare tutte e tutti al riconoscimento della dignita' di ogni persona e dell'umanita' intera, e all'impegno in difesa dei diritti di tutte e tutti, e dell'unico mondo che abbiamo, sono compiti cosi' urgenti che ogni tradizione di pace deve impegnarvisi nella consapevolezza della propria verita' e della propria parzialita', dei doni e dei limiti propri ed altrui, della pluralita' delle visioni del mondo e dei linguaggi, nella sollecitudine per la liberta' di ciascuna persona, nella responsabilita' dinanzi al volto altrui, nella solidarieta' che tutte e tutti abbraccia, sostiene e non soffoca. * Un altro rilevante appuntamento e' quello del seminario su "la politica della nonviolenza" promosso dal Movimento Nonviolento, che si terra' il 21-22 ottobre a Verona (per ulteriori informazioni si veda il sito del Movimento Nonviolento, www.nonviolenti.org). Non e' chi non veda l'urgenza di ridefinire su basi rigorosamente nonviolente non solo la costruzione di un movimento per la pace che sappia essere coerente, adeguato, efficace (dopo la recente catastrofe, che e' frutto non solo di circostanze contingenti - che pure ovviamente hanno il loro tremendo peso - ma anche di protratti equivoci e di gravissime ambiguita' politiche e morali rispetto a cui da anni almeno questo foglio chiamava a un'azione di rottura, di chiarificazione, di uscita dalla subalternita', dalle complicita'); ma anche una proposta politica complessiva di gestione della societa' e delle istituzioni, un progetto politico per un movimento politico di trasformazione politica: un'azione che non puo' essere delegata a "macchine politiche" che giunte al paragone hanno dato pessima prova di se', ma che deve essere assunto dalle persone, dai movimenti, dalle esperienze della nonviolenza, che in Italia hanno ormai una lunga tradizione sia teorica che pratica (molte volte, naturalmente, percependosi e nominandosi con altro, proprio lessico, e con incandescente passione per la propria autonomia: ma di nonviolenza in cammino si tratta; e pensiamo a davvero molteplici e variegatissime esperienze). E' giunto il momento di abbandonare ogni timidezza, di uscire dalla marginalita', di porsi non come fiancheggiatori di chicchessia, bensi' come soggetto autonomo - complesso e plurale - portatore di istanze generali. Naturalmente questo richiede un'opera non lieve di ricognizione, di chiarificazione, di rielaborazione, ed infine anche di riconoscimento e - diciamola la brutta parola - di organizzazione (nessuno si spaventi: sappiamo tutte e tutti che modelli gerarchici, autoritari e carrieristici sono incompatibili con la nonviolenza - sebbene non manchino esempi spregevoli di pretesi amici della nonviolenza che ad essi si sono dati con selvaggia bramosia, esempi utilissimi per capire cosa non si deve fare -; qualche modello positivo alla cui scuola collocarsi ci viene dalla piu' rilevante delle esperienze nonviolente del XX secolo: quella del femminismo). E quindi proseguire quel percorso specifico avviato con la marcia Perugia-Assisi del 2000 (e con quanto ad essa e' seguito nella medesima prospettiva) e' necessario ed urgente, ed anche questo seminario - certo, nella sua parzialita' e nei suoi limiti - puo' essere una tappa proficua, sapendo che c'e' abbondante materia per discutere e per confliggere (e sapendo anche che l'area delle persone amiche della nonviolenza non e' composta di persone migliori rispetto ad altre aree culturali e politiche, anzi: il tasso di presunzione, litigiosita', settarismo, nevrosi, e talora cialtroneria e fin irresponsabilita', in essa e' non meno elevato che altrove). Discutere e confliggere, beninteso, su cio' su cui discutere e confliggere occorre; ma restando fermi sui principi, cedendo sui quali tutto e' perduto. E per quanto concerne quella parte - piccola ma rilevantissima sul piano della storia e della cultura - della nonviolenza organizzata che si chiama appunto Movimento Nonviolento sembra a noi che essa non possa tradire quella sua carta costitutiva dettata da Aldo Capitini (che su questo foglio in ogni numero si riporta), la quale testualmente recita che prima delle sue direttrici d'azione e' "l'opposizione integrale alla guerra". Non ci dovrebbe essere bisogno di ricordarlo. Ma nell'obnubilamento che ha colto tante persone in questi tempi di guerra (in cui l'Italia, in palese violazione della sua stessa legge fondamentale, sta partecipando a guerre terroriste e stragiste - in Afghanistan ed ancora anche in Iraq, nonostante da mesi si dica il contrario, per non dire della guerra ai migranti con tanto di stragi nel Mediteraneo e campi di concentramento e schiavismo lungo tutta la penisola) certe cose e' meglio ripeterle. E dunque buon lavoro, ce ne e' davvero bisogno. 4. MEMORIA. ALESSANDRO DAL LAGO: HANNAH ARENDT, I SENZA PATRIA E NOI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 ottobre 2006. Alessandro Dal Lago e' docente di sociologia dei processi culturali all'Universita' di Genova, presso la stessa Universita' coordina un gruppo di ricerca sui conflitti globali; e' membro della redazione della rivista filosofica "aut aut", ha curato l'edizione italiana di opere di Hannah Arendt e di Michel Foucault. Tra le opere di Alessandro Dal Lago segnaliamo particolarmente Non-persone. L'esclusione dei migranti in una societa' globale, Feltrinelli, Milano 1999. Cfr. inoltre: I nostri riti quotidiani, Costa & Nolan, Genova 1995; (a cura di), Lo straniero e il nemico, Costa & Nolan, Genova 1997; La produzione della devianza, Ombre corte, Verona 2001; Giovani, stranieri & criminali, Manifestolibri, Roma 2001. Polizia globale. Guerra e conflitti dopo l'11 settembre, Ombre corte, Verona 2003. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Nel 1969, mentre preparavo la tesi di laurea sul pensiero politico di Gramsci, il relatore mi suggeri' di "dare un'occhiata" ai libri di Hannah Arendt, usciti negli anni precedenti. Capii ben poco di Vita activa, fui moderatamente interessato da Eichmann a Gerusalemme e liquidai come propaganda Le origini del totalitarismo. Lessi le tre opere come manifestazioni, qua e la' interessanti, di un pensiero sostanzialmente conservatore. Questo era il clima prevalente nella sinistra dell'epoca. Come e' noto, in meno di vent'anni il giudizio cambio'. Il tentativo di omologare Hannah Arendt a una riscoperta del platonismo conservatore (Leo Strass, Eric Voegelin) duro' lo spazio di qualche convegno accademico. Venne invece alla luce una stratificazione filosofica complessa - un pensiero che partiva da Heidegger per superare l'impoliticita' di Sein und Zeit - e soprattutto si scopri' una lucida teoria dell'agire politico che suscito' un certo entusiasmo perfino nel marxismo piu' innovativo. Prima che sensibilita' diverse (letterarie, femministe) accrescessero la varieta' delle letture, Vita activa fu per molto tempo il testo centrale per l'interpretazione di quella che era ormai considerata figura centrale del pensiero politico novecentesco. Le origini del totalitarismo restarono invece un testo marginale. Sulla prima parte, dedicata all'antisemitismo, pesavano ancora le polemiche innescate dal celebre reportage sul caso Eichmann. La terza parte, sul totalitarismo in senso stretto, poteva sembrare, e non lo era, debitrice del clima della guerra fredda. La seconda (l'imperialismo), a mio avviso la piu' importante, fu interpretata probabilmente come un intermezzo in larga parte letterario, giacche' discuteva il ruolo delle teorie razziste e imperialiste nella formazione dell'uomo del XX secolo. Non solo: quando il volume usci', forse perche' si era in piena decolonizzazione, l'imperialismo sembrava un residuo del passato. Insomma, le analisi storiche di Hannah Arendt, rispetto a quelle filosofico-politiche, erano in gran parte ignorate. Oggi, la sezione sull'imperialismo mi sembra la piu' attuale delle Origini e senz'altro centrale in tutta l'opera arendtiana. Si tratta non gia' di una ricostruzione originale dei processi di lungo periodo che portarono alla crisi della prima guerra mondiale - su cui Arendt e' debitrice dei grandi studi di Hilferding e Luxemburg, tra gli altri -, ma dell'analisi dei movimenti culturali e ideologici in cui si espresse l'espansionismo europeo. Uno soprattutto e' comune al nazionalismo esasperato, al colonialismo e all'imperialismo: il razzismo. Venticinque anni prima del Foucault di Bisogna difendere la societa' (e spesso utilizzando le stesse fonti) Arendt dimostra che l'invenzione delle razze e' essenziale all'autorappresentazione europea e occidentale. Europa e occidente non possono esistere senza fondarsi sulla superiorita', comunque determinata, rispetto al resto dell'umanita'. Superiorita' volta per volta mitologica, biologica, razziale, culturale; quale ne sia l'espressione "scientifica", la pretesa ideologica di dominare gli altri sulla base della superiorita', della conquista, della forza o "per il loro bene" e' l'essenza della coscienza europea - al di la' delle forme piu' o meno stravaganti con cui la cultura letteraria e filosofica di fine secolo ha rappresentato tale pretesa. Se la competizione imperiale, maturata per una ventina d'anni prima del 1914, contribui' alla prima guerra mondiale, la fine di quest'ultima, con la soppressione di imperi e stati, ha causato il primo esodo di massa del Novecento e l'invenzione dei moderni senza patria. Le pagine dedicate alle migrazioni forzate tra le due guerre e soprattutto alla fine dell'illusione nei diritti umani sono tra le migliori di Arendt in assoluto. Quello che apparve indiscutibile e' che i "diritti" non precedevano logicamente gli stati ma ne erano la conseguenza. Chi, armeno, ebreo o balcanico avesse perso lo stato perdeva qualsiasi personalita' giuridica. Gli stati europei non riuscirono a risolvere il problema delle stateless persons tra le due guerre, o meglio le confinarono nel limbo degli apolidi, i titolari del celebre passaporto Nansen, che Vladimir Nabokov, con uno dei suoi famosi giochi di parole, defini' passaporto nonsense. Si gettavano le premesse per la sparizione di massa degli esseri umani praticata su larga scala a partire dalla seconda guerra mondiale. Hannah Arendt scrive a proposito di profughi e migranti: "Gli individui costretti a vivere fuori di ogni comunita' sono confinati nella loro condizione naturale, nella loro mera diversita', pur trovandosi nel mondo civile. (...) Il loro distacco dal mondo, la loro estraneita' sono come un invito all'omicidio, in quanto la morte di uomini esclusi da ogni rapporto di natura giuridica, sociale e politica, rimane priva di qualsiasi conseguenza per i sopravvissuti". Arendt pensava che il limbo degli apolidi, conseguenza della prima guerra mondiale, preparasse le stragi della seconda e che fosse quindi una premessa del totalitarismo. Ma le sue analisi hanno un valore che trascende l'analisi storica. Se e' la cittadinanza - e non una generica appartenenza umana, come nell'espressione "diritto umano" -, a fondare l'esistenza sociale, allora la perdita della cittadinanza, come avviene per i profughi, o la rinuncia forzata, come nel caso dei migranti, significa l'esposizione all'omicidio anche in situazioni di apparente protezione dell'umanita', come nei sedicenti stati di diritto contemporanei. Arendt avrebbe visto nell'episodio dei polacchi di Puglia, come nelle morti in mare vicino a Lampedusa, un esempio evidente dell'inclinazione omicida (se non altro per omissione) degli stati di diritto nei confronti di chi non ne e' cittadino. Se si sospettasse che dieci italiani sono stati uccisi in qualche parte del mondo (e non solo in Italia) lo scandalo sarebbe enorme. Uno stupro imputabile a uno straniero fa infinitamente piu' rumore della morte di alcune decine di stranieri sulle nostre coste. Non si tratta di minimizzare il primo, ma di notare come agli stranieri, privi della nostra cittadinanza, non sia applicabile alcuno schema di responsabilita', anche indiretta, che non sia quella degli scafisti, colpevoli a portata di mano. Si alzano le spalle, si da' per scontata la nostra innocenza, anche quando - e capita abbastanza spesso - e' una nostra nave militare ad affondare qualche battello di migranti. I diritti, e tanto meno umani, non esistono sul nostro territorio e all'interno delle nostre acque territoriali, per chi non e' dei nostri. Collegando fobia anti-islamica e razzismo anti-migranti, la Fallaci (bisogna riconoscerlo) ha il merito di aver reso esplicito oggi cio' che Hannah Arendt aveva intuito cinquant'anni fa e che pochi hanno il coraggio di dire esplicitamente: che il trattamento dei migranti e' l'altra faccia del dominio coloniale. La differenza e' che all'interno dei nostri stati la privazione dei diritti e' sostanzialmente civile, mentre all'esterno e' militare. Ma il peso di chi non e' europeo o occidentale e' lo stesso a Baghdad come nel Mediterraneo, indipendentemente dal fatto che muoia per mano dei marines o per indifferenza. Non esiste socialmente e quindi umanamente. Lo scenario prefigurato da Arendt nella sezione sull'imperialismo preparava il totalitarismo, ma non si sarebbe esaurito con la sconfitta dei nazisti ne' con la fine del socialismo reale. E' la semplice conseguenza dell'incapacita' dello stato nazione di concepire l'esistenza dei soggetti di diritto al di fuori di se stesso. Della finzione intrinseca a organizzazioni come le Nazioni Unite o dell'ipocrisia di un'Europa che e' solo la somma di una ventina di nazionalismi grandi piccoli e non del loro superamento (che d'altra parte non potrebbe configurarsi che come un supernazionalismo). Le politiche migratorie e del diritto d'asilo, in Europa e nel mondo, lo dimostrano. Ecco dunque il carattere profetico del libro di Hannah Arendt, se lo si sottrae alla vulgata della guerra fredda. Con esso una teoria della soggettivita' giuridico-politica trova un ancoraggio, anche se non una fondazione vera e propria, tanto meno positiva. Ma e' proprio dall'esistenza di un'umanita' senza stato, marginale o confinata nelle enclave degli stati nazione del mondo ricco, che potrebbe partire una riflessione su una cittadinanza globale. Si tratta in fondo del riflesso concreto, troppo concreto, di quella fondazione di un agire comune che Arendt ha perseguito nelle sue opere piu' celebrate. 5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: DIETRO IL VELO [Dal quotidiano "Liberazione" del 18 ottobre 2006 (ivi col titolo "Dietro il velo, se l'identita' della donna e' solo corpo" e il sommario "C'e' una relazione tra la violenza sul soggetto femminile e la rinascita di fondamentalismi religiosi? L'ossessione per la sessualita' e' retaggio arcaico, rigurgito patriarcale oppure un'esigenza del potere oggi?". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Il dibattito che ha fatto seguito al caso Hina, agli stupri avvenuti in agosto a Milano, alla ripresa di omicidi di donne in ambito familiare, e infine ai casi di violenza sessuale denunciati pochi giorni fa a Roma, non poteva che percorrere la strada tortuosa dell'annodamento tra quello che oggi viene visto come "scontro di civilta'", in particolare tra Islam e Occidente, e la guerra piu' antica, universalmente estesa, per quanto mai dichiarata, tra uomo e donna. Era altrettanto inevitabile che avrebbe finito per oscillare tra spiegazioni opposte: per alcuni, l'evidenza rimasta cosi' a lungo invisibile di un dominio, come quello maschile, che attraversa la storia quasi senza variazioni significative di tempi e luoghi; per altri, il legame manifesto tra la violenza contro le donne e la rinascita di fondamentalismi religiosi, difese identitarie, bisogni di appartenenza. Il corpo femminile, la sessualita', sono l'ossessione di culture "arretrate", di rigurgiti patriarcali, di pregiudizi antichi nascosti nelle pieghe della modernita', o non appartengono piuttosto ai fondamenti stessi dell'economia, della politica, dei poteri e dei saperi istituzionali, su cui si sono costruite le societa' umane sotto qualunque cielo? "Cristo e Maometto" e' la semplificazione rozza, con cui si vorrebbe inglobare oggi il rapporto tra i sessi, in quella "campagna di cultura e di civilta'" che l'Occidente, "custode" dell'universalita' dei diritti dell'uomo e del cittadino, e' chiamato a "impostare e vincere, anche con il ricorso alla forza", contro l'insorgenza di un "Islam guerriero e dominatore" ("Il foglio", 21 agosto 2006). Non e' un caso che, a dispetto di cronache, rapporti Onu, inchieste, denunce quotidiane, che descrivono la molteplicita' tragica, agghiacciante, delle forme che prende la violenza contro le donne, si torni sempre riduttivamente, coattivamente, alla questione del "velo". Che se ne discuta animosamente nei governi, nelle piazze del mondo, o che se ne impadroniscano gli stilisti per dare una coloritura esotica alla moda, che lo si enfatizzi fino a farne oggetto di leggi in alcuni Stati, o che si preferisca considerarlo alla stregua dei conflitti che attraversano da sempre tradizioni familiari e comunitarie, il "velo islamico" e' oggi l'immagine, o, se si preferisce, il simbolo piu' appropriato a rappresentare quel "confine", "scontro" o "dialogo", fra mondi che si vorrebbero chiusi, omogenei, con identita' definite, valori propri e irriducibili. Come si spiega che un abbigliamento, sia pure discutibile per l'ombra di imposizione, razzista, patriarcale, che lo accompagna, diventi, come ha detto l'ex-ministro Straw, "una dichiarazione di separazione e diversita' tanto visibile da mettere in pericolo l'armonia sociale", o, per dirla con un altro noto esponente politico inglese, Gordon Brown, "parte di un discorso piu' vasto sulla diversita' e l'integrazione, sulle responsabilita' e i diritti di tutti coloro che vivono in Gran Bretagna"? In confronto a tanto clamore, il richiamo del Corano affinche' le credenti abbassino i loro sguardi e siano caste, sfuma come un leggero velo di cipria. Sull'ombelico scoperto di Hina, nella foto che giornali e tv hanno riportato con piu' insistenza, gli appartenenti a comunita' musulmane in Italia vengono chiamati a misurare la loro maggiore o minore aderenza alla sensibilita', agli umori, ai comportamenti del paese che li ospita, come se in quel rettangolo di pelle scoperta si fossero concentrati secoli di ribellione e di conquiste femminili di liberta'. * Forse e' proprio in questo riduzionismo estremo - appiattimento di una realta' multiforme su un solo aspetto, su un registro unico - che va cercata la saldatura tra violenza maschile e "scontro di civilta'". Classificare gli abitanti del pianeta sulla base di una identita' unica, trasformare il mondo in una "federazione di religioni", come se non esistesse un numero infinito di altre divisioni e affiliazioni, di classe, lingua, genere, professione, opinione politica, ecc. - scrive Amartya Sen (Identita' e violenza, Laterza 2006) - e' l'arte con cui gli "istigatori di violenza" costruiscono contrapposizioni immaginarie, destinate a trasformarsi con una rapidita' sorprendente in guerre reali. Valga per tutti l'esempio dei Balcani. Gli "odi settari", se incoraggiati, possono diffondersi in un lampo, l'identificazione con un gruppo di persone "puo' essere trasformata in un'arma potentissima per esercitare violenza su un altro gruppo". Sono passati molti anni, e sono anche mutati, insieme al contesto economico e politico, i processi di settarizzazione a cui assistiamo oggi, ma la logica che li guida non e' molto diversa da quella descritta da Elvio Fachinelli nel suo saggio Gruppo chiuso o gruppo aperto? ("Quaderni piacentini", n. 36, novembre 1968): "Il movimento di allontanamento dall'esterno, e quello di raccolta in un nucleo chiuso, nascono dalla stessa esigenza", "il processo di differenziazione dagli estranei e' intimamente collegato a quello di una progressiva adeguazione a un'immagine di gruppo omogeneo perfettamente fuso nell'unita' dei suoi membri". Il richiamo a un "bene ideale" da difendere e proteggere e' cio' che oggi nei paesi europei, minacciati dall'eterogeneita' crescente dei loro abitanti, va a costruire "valori", "identita'" che si vorrebbero "autoctone", senza macchia e contaminazione, da imporre come modello universale di umanita'. * Ma se queste sono le logiche d'amore e morte, conservazione e distruzione, che da sempre sottostanno ai conflitti tra gruppi, popoli, culture, la domanda allora si sposta, si fa piu' radicale. "Quello che si fa fatica a capire - precisa Amartya Sen - e' perche' questa ricerca di unicita' abbia tanto successo, considerando che si tratta di una tesi straordinariamente ingenua in un mondo in cui la pluralita' di affiliazione e' un fatto evidente". Soprattutto, ma questo Amartya Sen non lo dice: perche' la cultura, e, nella cultura specificamente la religione, diventa sistema unico per classificare gli esseri umani? Nell'accezione ristretta con cui oggi si usa il termine "cultura", riducendola a credo religiosi, tradizione, norme consuetudinarie, obblighi comunitari, e' chiaro che ci si muove sul terreno che piu' e' rimasto separato dalla politica, dalla vita pubblica e dalle sue istituzioni, pur essendone incluso. Riconoscersi una "pluralita' di appartenenze" e poter scegliere a ragion veduta quale priorita' dare di volta in volta all'una o all'altra, e' la conquista di una liberta' individuale che emerge con lentezza alla storia, e che, al contrario, puo' retrocedere con estrema rapidita'. Le "identita' precostituite", tra cui prima fra tutte quella dell'appartenenza a un sesso o all'altro, affondano per l'appunto in quell'area di frontiera - tra biologia e storia, famiglia e societa', sentimenti e ragione - che vede ancora il singolo amalgamato col gruppo, prigioniero delle "idee ricevute" insieme alla garanzia di sopravvivenza. E' in questa vasta zona di esperienza, dentro cui gravitano vicende essenziali dell'umano, come la nascita, la sessualita', la malattia, la morte, che la religione ha il suo radicamento, anche se sempre piu' vacillante, conteso oggi dalle biotecnologie e dalla biopolitica, ma pur sempre rivendicato come "riserva" propria, come luogo di un ordine "naturale", di "valori indiscutibili", di cui la Chiesa, o le chiese, sarebbero depositarie. Anziche' fissarsi sull'idea che "la religione si politicizza", e gridare contro l'ingerenza clericale nelle scelte dei governi, si dovrebbe riconoscere che oggi la politica - e con essa i poteri forti che l'accompagnano, come l'economia, la scienza, la tecnica - comincia ad avvicinarsi alla sfera che e' stata appannaggio del sacro, e che ci stiamo abituando a nominare genericamente come "vita". * Il pesante "velo" che ha chiuso meta' del genere umano nelle case, nella funzione sessuale e riproduttiva, nella cura di bambini, anziani, malati, solo con fatica, estrema lentezza, resistenze di ogni sorta, affiora alla coscienza mostrandosi, una volta sfrondato dalle mille coperture - onore, pudore, protezione, cavalleria -, come il primo e il piu' duraturo modello di proprieta' e di dominio. Se la "liberta' di scegliere la propria identita' agli occhi degli altri e' sempre limitata", quale maggiore semplificazione di quella che ha identificato le donne con una funzione biologica? Con o senza veli, protetta o esposta rispetto allo sguardo, al desiderio dell'uomo, la donna resta comunque prigioniera di un'identita' precostituita fin dall'origine della specie, vincolata a quella cultura atavica che la vede essenzialmente e prioritariamente come corpo, puro o impuro, schiavo o liberato, sottomesso o trasgressivo, ma sempre e comunque corpo. * Se la religione - e, confusi con essa, pregiudizi antichi spacciati per "valori" - si va imponendo cosi' aggressivamente come regolatore unico della convivenza tra popoli, gruppi, lingue, culture, e' perche' tra le comunita' storiche di sesso maschile quella dei sacerdoti, e in generale dei rappresentanti di dio in terra, ha avuto, piu' di ogni altra, controllo dei corpi e accesso ai segreti del cuore femminile. Se e' facile condannare la violenza manifesta contro le donne, non altrettanto vibrata ed esplicita e' la protesta per il peso che vanno assumendo le autorita' religiose in sostituzione della societa' civile, dei cittadini, dei loro legittimi rappresentanti, quando si tratta di questioni riguardanti la famiglia, la sessualita', la maternita', le convivenze, le liberta' personali. A un'idea di "virilita'" messa in crisi da profondi cambiamenti, in quella che ancora si vuol vedere come "natura" della donna, risponde l'arrogante, violenta affermazione dell'autorita' maschile, con nessi evidenti tra la violenza che si consuma tra le mura domestiche e la prevaricazione che esercitano in ambito politico, giuridico, morale, i fondamentalisti e i comunitaristi di ogni specie. Se sul "velo" resta aperto un largo margine di dubbio, tra scelta e imposizione, molto piu' pericolosa e' la maschilita' che avanza oggi sulla scena pubblica, protettiva e insieme guerriera, oscillante tra "dialogo" e "scontro", determinata, in entrambi i casi, a non lasciarsi sfuggire il dominio piu' antico della storia del mondo. 6. LIBRI. L'INDICE DI "DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA" DI ANTONINO DRAGO [Riportiamo di seguito l'indice dell'ultimo libro di Antonino Drago, Difesa popolare nonviolenta. Premesse teoriche, principi politici e nuovi scenari, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006, pp. 384, euro 22. Per informazioni e richieste alla casa editrice: Ega, Corso Trapani 95, 10141 Torino, tel. 0113859500, fax: 011389881, e-mail: ega at egalibri.it, www.egalibri.it Antonino (Tonino) Drago (per contatti: drago at unina.it), nato a Rimini nel 1938, e' stato il primo presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile non armata e nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Storia e tecniche della nonviolenza, La Laurenziana, Napoli 2006; Difesa popolare nonviolenta. Premesse teoriche, principi politici e nuovi scenari, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2006] Introduzione 0.1. Le due grandi novita' del XX secolo: le guerre mondiali e la risoluzione nonviolenta dei conflitti collettivi 0.2. Le tematiche trattate 0.3. Le difficolta' interne ed esterne alla trattazione del tema 0.4. La difficolta' generale: la mancanza di una chiara coscienza storica 0.5. Il tema cruciale della razionalita' 0.6. L'esposizione seguente come esempio di un'alternativa nell'organizzazione teorica. * Capitolo 1: Il problema. La difesa nucleare e la sua alternativa storica 1.1. Il problema: quale e' la migliore difesa collettiva 1.2. Guerra moderna e corsa agli armamenti 1.3. Difesa nucleare e guerriglia. E' possibile sopravvivere? 1.4. Esempi storici di difesa non armata e nonviolenta: antichi e moderni 1.5. Le alternative nei settori della societa' occidentale e l'alternativa nella difesa 1.6. La capacita' di una difesa alternativa in Occidente 1.7. Le proposte di difesa nazionale alternativa: la difesa popolare nonviolenta. * Capitolo 2: La prospettiva politica della difesa alternativa. La sua motivazione razionale 2.1. I principali teorici della Difesa popolare nonviolenta. Quale rapporto difesa-societa'? 2.2. Il legame difesa-societa'. Analisi del 1989 2.3. La Difesa popolare nonviolenta: una nuova prospettiva storica e politica 2.4. La prospettiva suggerita dalla storia della scienza: "la pace come cambiamento di paradigma" 2.5. Le teorie scientifiche alternative e la nuova razionalita' * Capitolo 3: La rappresentazione effettiva della difesa alternativa. I modelli di sviluppo 3.1. Caratterizzazione scientifica del tradizionale modello di difesa nazionale 3.2. Caratterizzazione scientifica dei due principali modelli di difesa nazionale 3.3. L'incommensurabilita' tra modelli di difesa 3.4. Le due opzioni sociali fondamentali e i quattro modelli di sviluppo * Capitolo 4: La rappresentazione soggettiva della difesa alternativa 4.1. Teorica dei conflitti: Galtung 4.2. Teorica dei conflitti: oltre Galtung 4.3. Definizioni di nonviolenza: dalla soggettiva a quella strutturale * Capitolo 5: La rappresentazione oggettiva della difesa alternativa: tecniche e strategia 5.1. Il cambiamento di paradigma difensivo alla prova: la rappresentazione oggettiva 5.2. Tecniche della difesa popolare nonviolenta 5.3. Concetti, principi e modelli di difesa alternativa suggeriti dalla scienza 5.4. Strategia verticistica e strategia popolare. Sun Tzu, L. Carnot e Clausewitz. * Capitolo 6: Il contesto e la preparazione sociale di una difesa alternativa 6.1. I vari scenari della Difesa popolare nonviolenta 6.2. Precondizioni sociali per l'organizzazione dal basso di una Difesa popolare nonviolenta operativa: solidarieta', decentramento, protezione civile, sevizio civile e ricerca per la Difesa popolare nonviolenta 6.3. Quattro principi politici per l'istituzione statale di una Difesa popolare nonviolenta operativa 6.4. Difesa nel sociale. Il problema della difesa dalla mafia all'interno del modello di sviluppo dominante * Capitolo 7: I termini politici e istituzionali della difesa alternativa dopo il 1989 7.1. Il quadro politico del 1989: la nascita storica dei quattro modelli di sviluppo 7.2. Il quadro politico del dopo 1989: il grande conflitto Nord/Sud sul tipo di sviluppo 7.3. Il nuovo concetto di difesa delle Forze armate del Nord 7.4. Le interposizioni nonviolente e la nascita della Difesa popolare nonviolenta istituzionale 7.5. La ricerca degli Stati per una difesa nazionale alternativa * Capitolo 8: Il processo storico italiano verso una difesa alternativa 8.1. La componente non armata e nonviolenta nella Resistenza italiana 8.2. Anticipazioni della Difesa popolare nonviolenta: servizio civile, lotta contro le centrali nucleari e campagna di obiezione fiscale 8.3. Nuovo modello di difesa militare e interposizioni nonviolente 8.4. Il cammino giuridico verso la Difesa popolare nonviolenta: dall'articolo 11 della Costituzione al Comitato ministeriale per la Difesa popolare nonviolenta * Appendice Tre teorici della Difesa popolare nonviolenta: Sharp, Galtung ed Ebert 7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2006 Come ogni anno le Edizioni Qualevita mettono a disposizione l'agenda-diario "Giorni nonviolenti", un utilissimo strumento di lavoro per ogni giorno dell'anno. Vivamente la raccomandiamo. Il costo di una copia e' di 9,50 euro, con sconti progressivi con l'aumento del numero delle copie richieste. Per informazioni ed acquisti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail: qualevita3 at tele2.it 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1454 del 20 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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