[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1453
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1453
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 19 Oct 2006 01:10:21 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1453 del 19 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Afghanistan 2. Cindy Sheehan: Il gioco dei numeri 3. Corradino Secondino Scalcagnati: Gandhi, o della politica 4. Marina Forti: Il Nobel per la pace a Muhammad Yunus e alla Grameen Bank 5. Vittorio Bonanni intervista Ernesto Cardenal 6. Ida Dominijanni: Il paradosso della tolleranza 7. Severino Vardacampi: Una postilla 8. A Verona il 21-22 ottobre un seminario su "La politica della nonviolenza" 9. Alessandro Dal Lago presenta "La tribu' degli antichisti" di Andrea Cozzo 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. AFGHANISTAN [Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance, collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006] Si faccia tutto il possibile perche' Gabriele Torsello sia liberato. E si faccia tutto il possibile perche l'intera poplazione afgana sia liberata da guerra, oppressioni, sofferenze indicibili. Si scelga di voler salvare ogni vita umana, si cessi di sopprimerne. * L'Italia cessi di partecipare alla guerra, e compiuto questo necessario gesto si opponga alla guerra e alle stragi, si adoperi per smilitarizzare il conflitto, per il disarmo di tutte le parti, per aiuti umanitari, per promuovere i diritti umani - di cui il primo e' il diritto a non essere uccisi. L'Italia cessi di violare la sua stessa Costituzione. Sia il popolo italiano ad imporre a governo e parlamento di tornare al rispetto della legge, e dell'umanita'. * La politica della guerra, degli eserciti e delle armi non e' neppure una politica, e' solo un crimine. Occorre una politica internazionale che costruisca la pace con mezzi di pace, che promuova i diritti umani di tutti gli esseri umani cominciando essa col rispettare quei diritti e quegli esseri umani. Occorre una politica della nonviolenza. 2. TESTIMONIANZE: CINDY SHEEHAN: IL GIOCO DEI NUMERI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Ultimamente c'e' stato un gran via vai di numeri, nell'etere. Quanti membri repubblicani del Congresso hanno dovuto dare le dimissioni in seguito a scandali, lo scorso anno? Quattro: Randall "Duke" Cunningham (California), Bob Ney (Ohio), Mark Foley (Florida) e Tom Delay (Texas). Quanti altri parlamentari sono implicati negli scandali in cui questi quattro sono coinvolti? E chi lo sa. Quanti membri di un'amministrazione corrotta sono caduti in disgrazia ed hanno rassegnato le dimissioni, quest'anno? Quattro: Andrew Card, I. Lewis "Scooter" Libby, Susan Ralston e Scotty "Portabugie" McClellan (Mi scuso se ho dimenticato qualche delinquente). Quanti membri del Congresso, di entrambe le camere, dovrebbero andarsene? Tutti quelli che hanno votato per privarci del nostro secolare diritto all'habeas corpus ed hanno votato per esonerare dalle loro responsabilita' Bush e gli altri Torquemada che hanno autorizzato torture e crimini contro l'umanita'. * Secondo lo studio della Johns Hopkins University, quanti innocenti iracheni sono morti dall'inizio dell'invasione e dell'occupazione dell'Iraq? 655.000. Seicentocinquantacinquemila. Fermatevi, riflettete su questo numero. E' all'incirca il numero di abitanti di una delle mie citta' preferite in America: Austin, Texas. Poiche' la popolazione dell'Iraq e' circa un decimo di quella degli Usa, e' come se fossero morti sei milioni e mezzo di nostri cittadini. In milioni, dall'Iraq sono fuggiti: "tutte le brave persone" che hanno potuto farlo, mi ha detto un parlamentare iracheno. Nel frattempo l'Halliburton e' assai indaffarata ad usare i dollari delle nostre tasse, proprio per non ricostruire un paese che i fanatici assetati di sangue che sono al potere hanno distrutto. Ho parlato con molti iracheni e tutti in quel paese hanno perso un parente stretto. Non "l'amico di un amico di un amico", ma un figlio o una figlia, una madre o un padre, una sorella o un fratello: intere famiglie sono state spazzate via dall'avidita' di denaro. George Bush ha detto che il numero abominevolmente alto di persone uccise in Iraq prova solo quanto gli iracheni siano disposti a soffrire per "la liberta' e la democrazia". Allora ecco un altro numero per George: l'87% degli iracheni vuole che le forze di occupazione escano dal loro paese. Questo come suona rispetto alla democrazia, per te, George? Un'altra delle disturbanti conseguenze della "liberta' e democrazia" come le intendi tu, e' che oltre il 50% del popolo iracheno pensa che vada bene sparare sugli americani e gli altri membri della coalizione per ottenere il risultato del completo ritiro. * Quanti dei nostri giovani sono stati uccisi dalle bugie dell'amministrazione Bush e dalle loro ratifiche fatte dal Congresso? 2.766. Oltre cinquanta solo questo mese. E' mostruoso e barbarico che l'occupazione continui (ed in primo luogo che sia avvenuta), con il Congresso che continua a dare sempre piu' soldi all'irresponsabile presidente affinche' uccida i nostri figli. E oltre agli inutili costi umani di questa guerra, quanto spende l'America in Iraq ogni ora che passa? Dieci milioni di dollari. Cosa potremmo fare con dieci milioni di dollari all'ora se non filtrassero nelle tasche della macchina della guerra? Quante persone che stavano sui tetti avremmo soccorso a New Orleans? Quanti argini di fiume avremmo riparato? Quanti giovani potremmo mandare al college invece di spedirli a combattere guerre illegali e immorali? Il pensiero del costo di un'ora, di due, di ventiquattr'ore in Iraq e' allucinante: quanto ci metteranno i nostri nipoti a ripagare i miliardi di dollari di debito in cui George Bush ci sta annegando? Quanti sono i nostri soldati e gli iracheni feriti? Chi lo sa per certo? Le ferite fisiche sono di per se' gia' abbastanza orribili, ma io credo che si avvicini al 100% il numero di quelli che sono stati feriti emotivamente, e che non possono usufruire neppure del minimo aiuto che ovviamente si da' a chi e' ferito fisicamente. * Quante persone vivono negli Usa? 282 milioni. Quanti credono che Bush stia dicendo la verita' sull'Iraq? Il 17%, ovvero circa 48 milioni di persone, il che ci lascia con circa 235 milioni di individui che sanno che Bush sta mentendo. Quanti sono i membri del Congresso? 535. E i membri dell'esecutivo? Diciassette. Noi, la gente, che aborriamo le politiche omicide del nostro governo, siamo la vera maggioranza silenziosa di questo paese, e stiamo permettendo a meno di 600 persone di controllare i nostri destini, di gettare il nostro paese in una cloaca, di sporcare il nostro nome in altri paesi, di uccidere e torturare esseri umani innocenti e di imprigionarli senza processo (con il sigillo dell'approvazione del Congresso). Gli permettiamo di esaurire le nostre risorse e di consumare il nostro stesso sangue sino all'ultima goccia, poiche' stanno distruggendo il pianeta di cui abbiamo bisogno per vivere. Quanto stomaco abbiamo ancora per sopportare questi delinquenti ed i loro crimini? Io non ce la faccio piu', e sto chiamando chiunque in America sia nauseato a morte dalle persone che dovrebbero rappresentarci, e che in effetti rappresentano solo i propri interessi e quelli della macchina della guerra, di unirsi a "Gold Star Families for Peace" in un sit-in di fronte alla Casa Bianca, dal 6 al 9 novembre, per dire a questi signori che vogliamo ci restituiscano il nostro paese, e che le nostre truppe se ne vadano dall'Iraq. La politica "usuale", ovvero menzogne e furto dei nostri diritti, ci ha stancati. Vogliamo politici onesti e coraggiosi, e cioe' una politica "inusuale"! Sto anche chiedendo a chiunque di firmare la petizione a sostegno del disegno di legge del deputato Jim McGovern, in sigla HR4232, che taglia i fondi all'occupazione. Il mettere fine al finanziamento fu cio' che fermo' la guerra in Vietnam. Facciamolo anche per l'Iraq, prima che diventi un altro Vietnam. * Noi, le persone della mia generazione e di quella precedente, dobbiamo mettere in gioco i nostri corpi, per i nostri figli ed i nostri nipoti. Io voglio essere in grado di guardare negli occhi i miei futuri nipoti e dir loro con la coscienza pulita: "Tua nonna ha fatto tutto quel che ha potuto per rendere il mondo un posto migliore". E spero di cuore che potro' dire queste parole in un mondo che sara' davvero migliore di quello che ho dato a mio figlio Casey. Spero che si smettera' di usare la guerra come strumento diplomatico e che i miei nipoti non verranno usati come pedine, nel gioco dei numeri dei profittatori di guerra. 3. RIFLESSIONE. CORRADINO SECONDINO SCALCAGNATI: GANDHI, O DELLA POLITICA La proposta gandhiana della nonviolenza di tipo satyagraha costituisce una rottura, una novita' storica e culturale, perche' e' una proposta politica. Nel corso della storia dell'umanita' molte altre e molti altri avevano proposto con maggior o minore chiarezza la nonviolenza come scelta esistenziale, morale, sociale, giuridica: Gandhi ne ha fatto un progetto politico rivoluzionario adeguato alle condizioni del mondo contemporaneo. * Solo a restare alle piu' note tradizioni occidentali, la nonviolenza come scelta morale ed esistenziale e' l'idea guida di due figure fondative della cultura occidentale: quella di Socrate ateniese, e quella di Gesu' di Nazareth (di cui qui parliamo in chiave solo storica, prescindendo da cio' che rappresenta - detto diversamente: da chi sia - per chi aderisce alla fede appunto cristiana); figure portatrici di un insegnamento orale ad un tempo profondamente radicato nella cultura di appartenenza e profondamente innovatore; figure che hanno testimoniato con la vita e con la morte la verita' morale - esistenziale, filosofica, religiosa - di cui erano assertrici: al cui cuore e' la scelta di preferir subire il male anziche' compierlo; la forma piu' nitida ed intransigente di opposizione al male e di difesa della dignita' umana propria e di tutti. E sempre restando nell'ambito occidentale non vi e' dubbio che ad esempio non solo gran parte dello stoicismo antico ma anche altre filosofie della grecita' e dell'ellenismo tematizzarono fin sistematicamente acutissime idee morali che noi definiremmo nonviolente, con una capacita' di articolazione ed una sottigliezza restate, ci sembra, insuperate. E insuperata ci pare resti la teoria e la pratica della nonviolenza come proposta comunitaria e finanche macropolitica di una figura come quella di Francesco d'Assisi nella societa' e nel tempo che furono suoi. E non abbiamo fatto cenno ai profili di nonviolenza in grandi tradizioni culturali cosiddette "orientali", ad alcune delle quali peraltro piu' volte lo stesso Gandhi si e' riferito. * La novita' di Gandhi, ci sembra, e' il progressivo disvelarglisi, nel corso dei suoi "esperimenti con la verita'" (dalle iniziali azioni difensive di diritti particolari volta a volta conculcati a quelle riformistiche per il riconoscimento e l'estensione di diritti generali nel quadro istituzionale dato, a quelle rivoluzionarie per la trasformazione delle stesse strutture politiche, giuridiche, economiche e sociali), che la nonviolenza, cosi' come la veniva elaborando nel vivo delle lotte che conduceva, e' una proposta politica e giuriscostituente di trasformazione sociale ed istituzionale adeguata al contesto della societa' mondiale contemporanea. E che tale trasformazione per darsi doveva essere complessa ed olistica, ovvero coinvolgere tutte le dimensioni dell'esistere, del riflettere e dell'agire umano. Complessa ed olistica, non totalitaria: ovvero che individua l'interconnessione ed esige la coerenza, ma non applica quella reductio ad unum che porta allo stato etico e/o al nichilismo, e quindi ai gulag e ai lager. La nonviolenza gandhiana si fonda sulla relazione e la responsabilita', adotta un'etica della cura e del limite, fa propria un'epistemologia fallibilista e una metodologia sperimentale, si pone come relativa, situata, contestuale, dialettica ed aperta alla pluralita' e al novum... La peculiarita' della nonviolenza gandhiana e' che essa e' una politica: lotta politica e proposta politica. * Gandhi e' certo anche un saggio, un uomo di spiritualita', e molte altre cose: ma e' innanzitutto un drigente politico di grandi lotte politiche. Per questo la nonviolenza di tipo satyagraha non puo' essere confusa con le tante esperienze che talora del suo lessico abusivamente si appropriano per veicolare pratiche e contenuti riferiti ad altri ambti (la psicoterapia, la mistica, persino il management); la nonviolenza gandhiana e' peculiarmente un progetto politico di trasformazione, e si attua in forma di conflitto politico, di movimento sociale, di proposta giuriscostituente. Una proposta politica rivoluzionaria molto affine per decisivi aspetti anche ad elementi centrali delle due grandi tradizioni del pensiero politico rivoluzionario europeo ottocentesco: la tradizione liberale e quella socialista. Ed e' interessante notare che in Italia il piu' acuto e tenace propugnatore della nonviolenza gandhiana sia stato Aldo Capitini, che nell'ambito della riflessione politica alla confluenza di quelle due tradizioni di pensiero si colloca. Ne consegue che la nonviolenza gandhiana, lungi dall'essere "antipolitica" e meramente testimoniale come pretendono taluni che o non la conoscono o volutamente la sfigurano, e' invece eminentemente politica, e quindi concretamente operativa non solo nell'ambito del conflitto sociale, ma dello stesso processo istituzionale e giuridico. * In guisa di postilla: questo spiega anche perche' alla nonviolenza di tipo satyagraha si siano persuasamente accostate anche persone la cui visione del mondo e' su punti non irrilevanti finanche assai diversa da quella di Gandhi, o di Capitini, o di altre figure ritenute rappresentative di questo orientamento, ma che con Gandhi e Capitini condividono l'urgenza dell'azione politica contro la violenza, la consapevolezza della necessita' della coerenza tra mezzi e fini, la scelta di un impegno critico e concreto, il criterio del riconoscimento e dell'inveramento dei diritti e della dignita' degli esseri umani. 4. PROFILI. MARINA FORTI: IL NOBEL PER LA PACE A MUHAMMAD YUNUS E ALLA GRAMEEN BANK [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 ottobre 2006 riportiamo per ampi stralci il seguente articolo. Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004. Muhammad Yunus e' l'ideatore e fondatore della Grameen Bank; nato e cresciuto a Chittagong, principale porto mercantile del Bangladesh, economista, docente universitario negli Usa poi in Bangladesh; fondatore nel 1977 della Grameen Bank, un istituto di credito indipendente che pratica il microcredito senza garanzie, grazie a cui centinaia di migliaia di persone - le piu' povere tra i poveri - si sono affrancate dalla miseria e dall'usura e sono riuscite a prendere nelle proprie mani il proprio destino. Opere di Muhammad Yunus: Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 1998. Opere su Muhammad Yunus e la Grameen Bank: Federica Volpi, Il denaro della speranza, Emi, Bologna 1998. Una intervista a Muhammad Yunus e' nel n. 396 di questo foglio] Un economista del Bangladesh e la banca da lui fondata sono i vincitori ex aequo del premio Nobel per la pace 2006. L'economista e' Mohammad Yunus e la banca e' la Grameen Bank, fondata nel '77. La sua particolarita' e' che fa il contrario delle banche "normali": presta piccole somme a persone nullatenenti e prive di garanzie. E' il sistema del "microcredito", ormai consolidato ma allora assolutamente nuovo e per nulla ortodosso. Eppure l'impresa e' riuscita, anzi e' stata copiata in po' in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all'Uganda. E' questo che il Comitato norvegese del Nobel ha voluto premiare: Mohammad Yunus e la Grameen Bank hanno aiutato "a creare sviluppo sociale ed economico dal basso" con l'innovativo programma del microcredito. "La pace duratura non puo' essere realizzata se ampi gruppi di popolazione non trovano il modo per uscire dalla poverta'. Il microcredito e' uno dei modi. Lo sviluppo dal basso serve anche a promuovere la democrazia e i diritti umani", aggiunge il Comitato. Cosi' il Nobel, con il suo bel gruzzolo di dieci milioni di corove svedesi (1,36 milioni di dollari) saranno divisi a meta' tra Yunus e la "banca dei poveri". L'annuncio dato ieri mattina a Oslo e' stato un po' una sorpresa - fino alla vigilia si davano per favoriti un ex premier finlandese impegnato in diverse missioni di pace delle Nazioni Unite, oppure un ex ministro degli esteri australiano che dirige un importante centro studi sulla risoluzione dei conflitti. Invece, ecco premiato un economista e un'impresa che si dedicano a lottare contro la poverta' e per i diritti sociali. Mohammad Yunus si e' detto felice, ieri: "Eliminare la poverta' puo' dare davvero la pace", ha detto ai giornalisti che sono andati a cercarlo a casa sua a Dakha, in Bangladesh. Molti si sono congratulati per la scelta: a cominciare dal segretario generale dell'Onu Kofi Annan (lui stesso Nobel per la pace), che ha definito Yunus e la Grameen Bank "alleati di lunga data delle Nazioni Unite nella causa dello sviluppo e della promozione delle donne". Commenti addirittura trionfali in Bangladesh, paese con 140 milioni di abitanti e un'economia fragile: la premier Begum Khaleda Zia si e' congratulata con Yunus "per la sua riuscita, che avra' un grande ruolo nel risollevare l'immagine del paese". Apprezzamento anche da Sheikh Harina, leader dell'opposizione: "La sua riuscita avra' un grande impatto per lo sviluppo socio-economico e democratico della societa'". Il Bangladesh torna sulle mappe mondiali grazie a quella banca atipica ma di estremo successo, che in trent'anni ha sommato 6,6 milioni di clienti (il 97% donne, e per scelta deliberata: le considerano piu' affidabili) e ha prestato 5,7 miliardi di dollari con un tasso di restituzione che sfiora il 99%. "Il microcredito si e' dimostrato un'importante forza liberatrice in societa' dove le donne in particolare devono lottare contro condizioni economiche e sociali repressive", dice ancora il Comitato del Nobel. Per molti verso il Nobel per la pace a Yunus e alla banca del microcredito s ono "atipici". Ma non e' la prima volta che il Comitato del Nobel dimostra di voler ampliare il senso della parola "pace": non solo la risoluzione di conflitti armati, ma le condizioni che rendono possibile mantenere la pace, dunque anche la difesa dei diritti umani o dell'ambiente o dello sviluppo sociale. Il primo premio atipico in questo senso e' stato quello del 2003 all'avvocata iraniana Shirin Ebadi, che si batte per i diritti umani. Ancora piu' eccentrico era stato considerato quello dato nel 2004 all'ambientalista kenyana Wangari Maathai, fondatrice di un movimento per ripiantare alberi e spezzare la catena tra degrado ambientale e poverta'... 5. RIFLESSIONE. VITTORIO BONANNI INTERVISTA ERNESTO CARDENAL [Dal quotidiano "Liberazione" del 12 ottobre 2006. Vittorio Bonanni e' giornalista. Ernesto Cardenal, nato a Granada (Nicaragua) nel 1925, monaco, poeta, rivoluzionario, ministro della rivoluzione sandinista; una delle grandi figure morali e delle grandi voci poetiche dell'America latina. Opere di Ernesto Cardenal: due antologie di versi sono: La vita e' sovversiva, Accademia, Milano 1977; Dalla rivoluzione alla contemplazione politica, Cittadella, Assisi 1974. Altre raccolte di versi: Grido. Salmi degli oppressi, Cittadella, Assisi 1979; Voli di vittoria, Cittadella, Assisi 1984; Quetzalcoatl, Mondadori, Milano 1989. Altri libri: Canto all'amore, Cittadella, Assisi 1976; Il vangelo a Solentiname, 2 voll., Cittadella, Assisi 1978; A Cuba, Cittadella, Assisi 1975. Suoi versi sono anche in AA. VV., Nicaragua ora zero, Guanda, Parma 1969; e nelle piu' importanti antologie di poesia latinoamericana contemporanea] Tutti coloro che seguivano negli anni '80 con simpatia ed apprensione l'esperienza della rivoluzione piu' originale e democratica dell'America latina, non hanno certo dimenticato la figura inconfondibile di padre Ernesto Cardenal, gia' ministro della cultura in Nicaragua durante il governo sandinista. Basco in testa, barba e capelli bianchi, lo ricordiamo ancora oggi mentre si inginocchia di fronte a papa Wojtyla, in visita a Managua nel 1983, in un gesto di sottomissione solo formale, visto che la sfida nei confronti del Vaticano Ernesto Cardenal la porto' fino in fondo. Il teologo e' in questi giorni in Italia, invitato, insieme a tanti altri esponenti della cultura internazionale, al quarto "Incontro mondiale degli intellettuali ed artisti in difesa dell'umanita'". Lunedi' scorso ha recitato, nella sala del Consiglio provinciale di Roma, alcune poesie di una delle sue opere piu' significative, il Cantico cosmico, realizzata nel 1992, uno dei piu' importanti prodotti dalla poesia ispanoamericana dopo il Canto generale di Neruda. Un'opera letteraria tradotta in tutte le principali lingue del mondo, tranne che in italiano. Per questa ragione, Maria Celina Moncada, nicaraguense, in Italia da circa 18 anni, si sta impegnando nella traduzione di questi versi, per il momento con un approccio spontaneo e volontaristico in quanto non e' stato ancora trovato un editore. E' proprio Celina ad organizzare il nostro incontro con Cardenal. "Voglio precisare - dice il poeta - che io non sono mai stato un politico, bensi' un rivoluzionario. Accettai l'incarico di ministro perche' si trattava di un'esperienza rivoluzionaria. Non lo avrei mai fatto se non si fosse trattato di un governo rivoluzionario. Voglio inoltre precisare che per me essere rivoluzionario non e' mai stato in contraddizione con il mio essere sacerdote e poeta. Si e' trattato in tutti e tre i casi della stessa vocazione, di un'unica cosa". * - Vittorio Bonanni: Padre Ernesto, l'era sandinista si caratterizzo' per una grande produzione culturale, assolutamente straordinaria per un paese cosi' povero. Ricordo, per esempio, i tantissimi libri pubblicati dalla Editorial Nueva Nicaragua. Che cosa e' rimasto di quel grande fermento culturale? - Ernesto Cardenal: Non e' rimasto nulla perche' quello scenario era possibile solo in un contesto rivoluzionario che prevedeva l'alfabetizzazione e la scuola per tutti fino all'universita', assistenza sanitaria per tutta la popolazione e tanti altri diritti. Tutte le case editrici di allora sono scomparse, compresa la Editorial Nueva Nicaragua, che continuo' a vivere per alcuni anni sotto la direzione di Sergio Ramirez per poi scomparire anch'essa. Anche le esperienze teatrali e cinematografiche che caratterizzarono il Nicaragua sandinista non ci sono piu'. Resiste invece ancora oggi la cultura popolare, quella che si esprime in particolare con la pittura e l'artigianato, realta' che avevano mosso i primi passi nell'arcipelago di Solentiname, nel lago di Nicaragua. E proprio a Solentiname sono stati fatti dei progressi, malgrado tutto. Quando arrivai nell'isola nel 1966 (Cardenal allora fondo' una comunita' che divenne famosa in tutto il mondo - ndr) c'era una sola scuola, ora ce ne sono otto, comprese le superiori. Abbiamo anche un centro medico e un battello che permette ai contadini di raggiungere il porto di San Carlos. * - Vittorio Bonanni: Anche il suo impegno letterario continua... - Ernesto Cardenal: E' rimasto lo stesso anche dopo la caduta del governo sandinista. Del resto la poesia e' stata per me la prima vocazione. Fin da bambino cominciai a scrivere e ho continuato poi per tutta la vita, con una sola interruzione durante la mia permanenza all'interno di un monastero trappista negli Stati Uniti, perche' li' non era possibile scrivere. * - Vittorio Bonanni: Come giudica l'attuale situazione del Nicaragua? - Ernesto Cardenal: Molto negativamente. Dopo la rivoluzione siamo entrati in una lunga fase capitalistica e neoliberista, e l'economia del nostro paese e' ormai in mano agli americani con il risultato che il Nicaragua e' il secondo paese piu' povero dell'America latina dopo Haiti. Per quanto riguarda il governo sandinista dobbiamo ricordare che la prima sconfitta si verifico' soprattutto a causa dell'ingerenza degli Stati Uniti. C'era stata una guerra organizzata dagli americani contro la rivoluzione sia durante la presidenza Reagan che Bush, senza dimenticare il blocco economico che significo' non avere relazioni commerciali con gli Usa, partner principale del Nicaragua prima di allora. Questa situazione creo' malcontento all'interno della popolazione che credette alle promesse della Casa Bianca, secondo la quale se avesse vinto l'opposizione antisandinista le cose sarebbero cambiate significativamente. * - Vittorio Bonanni: Che cosa pensa delle critiche che sono state mosse al Fsln, i cui dirigenti sono stati accusati di corruzione morale ed economica? - Ernesto Cardenal: La nostra era una rivoluzione democratica con tanto di elezioni libere e dunque la possibilita' che i rivoluzionari passassero all'opposizione era prevista. La sconfitta ebbe pero' ripercussioni molto negative sui dirigenti piu' alti del Fsln che persero la morale e cominciarono a rubare. Un fenomeno che in Nicaragua e nel mondo si chiamo' "la pinata". Questa fu la rovina per la rivoluzione. Fu una corruzione economica e morale fatta anche di menzogne. Senza dimenticare la recente alleanza tra Daniel Ortega e l'estrema destra in occasione dell'imminente appuntamento elettorale. * - Vittorio Bonanni: In America latina stanno emergendo nuove realta' progressiste che possono rimettere in discussione il dominio statunitense. Qual e' la novita' rispetto al passato? - Ernesto Cardenal: La novita' e' che in Venezuela c'e' stata una rivoluzione bolivariana, che riprende gli ideali di Simon Bolivar, fautore dell'unita' di tutta l'America latina. C'e' poi la Bolivia, con alla testa Evo Morales, un presidente indio per la prima volta nella storia del paese andino; e il Messico, dove e' in atto, dopo le ultime elezioni presidenziali, una grande trasformazione. Voglio ricordare a questo proposito la figura leggendaria del subcomandante Marcos, la cui azione va ben al di la' della politica, perche' non aspira al governo ne' ad organizzare un partito politico ma a dare voce alle popolazioni indigene. * - Vittorio Bonanni: C'e' poi il Brasile... - Ernesto Cardenal: Certo. Io personalmente sono sempre stato solidale con Lula. Me lo presento' Frei Betto e lo incontrai anche in Nicaragua a casa di Sergio Ramirez. Ora in Brasile e' aumentato lo scontento nei suoi confronti ma un presidente del piu' grande paese latinoamericano non puo' essere padrone di tutta la politica, non puo' dominare l'economia. Ha insomma dei limiti anche perche' quella brasiliana non e' una rivoluzione. 6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL PARADOSSO DELLA TOLLERANZA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 ottobre 2006. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] Il paradosso della tolleranza torna in campo ormai ogni settimana nell'Europa alle prese con l'incontro-scontro con altre culture, altre religioni e altre storie. Ne avevo parlato la settimana scorsa, a proposito dei propositi di impedire o limitare l'uso del burka e del velo in Olanda e in Gran Bretagna, nonche' a proposito del caso Redeker in Francia. Nei giorni successivi la questione e' di nuovo esplosa, ancora in territorio francese e ancora con effetti e risonanze europee, a proposito della legge che punisce il negazionismo sul genocidio degli armeni. La legge, com'e' noto (ne hanno gia' scritto, sul "Manifesto", Annamaria Merlo, Astrit Dakli e Carla Casalini) , e' stata approvata in prima lettura dal parlamento francese, ma difficilmente riuscira' a passare la seconda lettura entro la fine della legislatura e per fortuna, non sembrandoci buona prassi, ne' in questo ne' in altri casi, quella di affidare a una legge penale la sanzione di un problema storiografico, culturale e politico: e' una di quelle circostanze in cui la sacrosanta giustezza di un contenuto - combattere il negazionismo - rischia di essere del tutto inficiata dallo strumento a cui ci si affida. Come hanno sostenuto i tre intellettuali turchi e armeni autori di un appello contro la legge francese - e tutti e tre accusati e condannati in patria per avere scritto del genocidio armeno - una legge del genere sarebbe opposta negli intenti, ma identica nella forma alla legislazione turca che inibisce la liberta' d'espressione. Puo' la Francia - e puo' l'Europa - impugnare la liberta' d'espressione quando si tratta di difendere il professor Redeker, autore di un attacco frontale all'islam, dalle minacce di morte fondamentaliste, e dimenticarsene quando pretende di punire per legge il suo pessimo esercizio negazionista sul genocidio armeno? Ralf Dahrendorf, su "La Repubblica" di ieri, aggiunge al dilemma un elemento importante. La cultura europea, scrive, e' quella che ha progressivamente - e positivamente - fatto cadere tutti i tabu', soprattutto dagli anni '60 in poi e soprattutto nel campo del pensiero e dell'espressione artistica. Come difendere questa conquista dell'illuminismo europeo, nel momento in cui entriamo in contatto ravvicinato con comunita' che viceversa ricorrono anche a metodi violenti pur di salvaguardare i loro tabu'? Il paradosso della tolleranza interviene in questo punto: se da un lato essa ci imporrebbe di tollerare gli "altri" da noi, dall'altro lato tollerarli significherebbe in questi casi rinunciare alle nostre liberta'. In altri - e classici - termini: e' possibile tollerare l'intolleranza? Dei due corni del dilemma, Dahrendorf sceglie il secondo, con una condizione che lo distingue pero' dall'arroccamento aggressivo dei "fondamentalisti" occidentali dello scontro di civilta': le liberta' illuministe vanno difese come valori non negoziabili, ma in tutti i casi in cui il dilemma si pone e' d'obbligo aprire la sfera pubblica al dibattito, non necessariamente conciliante ma se necessario anche aspro, con gli "altri". Slavoj Zizek, che al paradosso della tolleranza si e' piu' volte dedicato, risponderebbe invece con qualche ragione che e' falso il punto di partenza, perche' in Occidente la tolleranza funziona solo quando c'e' da tollerare il simile, ma cade non appena il contatto con l'altro diventa un urto. La questione dei tabu' pero' complica e arricchisce il tema. Siamo sicuri infatti di poter applicare alla caduta dei tabu' lo schema lineare e progressivo che Dahrendorf assume? Davvero la convivenza umana puo' fare a meno di qualsivoglia tabu'? La questione della Shoah, ad esempio, per l'Europa e' un tabu' di quelli non arcaici e primitivi, bensi' positivamente costruiti in seguito ad accadimenti e responsabilita' storiche precise: e' dal "mai piu'" sullo sterminio che simbolicamente prende avvio la costruzione europea, nonche' molto costituzionalismo europeo. Non sempre dunque i tabu' si tratta di abbatterli; qualche volta - ed e' il caso del genocidio armeno - si tratterebbe semmai di allargarli. Ma prendendosi la briga di un confronto e di un conflitto culturale e politico, invece di prendere la scorciatoia di una legge. 7. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: UNA POSTILLA La discussione sul proibire per legge che si possa negare la realta' del genocidio degli armeni (o di altri popoli) pone molte questioni e sappiamo che persone di valore hanno sostenuto con solidi argomenti punti di vista fin opposti. A tali punti di vista vorremmo aggiungere in tutta modestia il nostro, in due considerazioni ed una conclusione. La prima considerazione, per cosi' dire di metodo negli studi: vi e' un ineludibile dovere della ricerca storiografica, ed e' quello di tendere alla verita'. Ove alcune verita' siano accertate, continuare a indagare e interpretare e' cosa buona e giusta, ma negare i fatti no. La seconda considerazione, per cosi' dire di etica politica: negare la realta' di un genocidio realmente avvenuto significa farsi difensori e complici degli autori, e contribuire a creare alcune delle condizioni perche' altri genocidi possano essere eseguiti. La conclusione: poiche' negare che delitti realmente avvenuti siano tali ci sembra sia anch'esso evidentemente un delitto, essendo giusto e necessario proibire e punire per legge i delitti, anche questo delitto ci sembra sia giusto la legge punisca. Negare la realta' del genocidio degli armeni, come della Shoah, del genocidio degli indios in Guatemala, di quelli avvenuti in Cambogia e nella regione dei Grandi Laghi e ancora altrove, e' un crimine. Un crimine che favoreggia gli autori dei massacri, un crimine che di nuovi massacri favorisce la preparazione. Chi tollera le uccisioni non e' "tollerante", e' complice delle uccisioni. Chi tollera le carneficine aiuta i carnefici - tutti i carnefici -, e perseguita ancora le vittime - tutte le vittime, l'umanita' intera. 8. INCONTRI. A VERONA IL 21-22 OTTOBRE UN SEMINARIO SU "LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA" Si svolgera' a Verona il 21 e 22 ottobre 2006 il seminario promosso dal Movimento Nonviolento su "La politica della nonviolenza (alla prova della guerra)". - Sabato 21 ottobre, ore 10: relazione introduttiva; prima sessione "La teoria della nonviolenza, sulla guerra" (mattina, ore 10-13); seconda sessione "La pratica della nonviolenza, nella politica" (pomeriggio, ore 15-19); serata libera, con due proposte: a) visita guidata alla Mostra del "Mantegna a Verona" (ore 21-23); b) laboratorio del "Teatro dell'oppresso" sui temi discussi (ore 21-23). - Domenica 22 ottobre, ore 9: terza sessione "La strategia della nonviolenza, le iniziative" (mattina, ore 9-11); conclusioni (ore 11-13). Ogni sessione verra' sollecitata da una griglia di domande. * Il seminario si svolgera' presso la Sala Comboni dei Padri Comboniani, in vicolo Pozzo 1, nel rione di San Giovanni in Valle, quartiere di Veronetta, nel centro storico, vicino a Piazza Isolo: collegamento diretto dalla stazione di Verona Porta Nuova con l'autobus n. 73 (partenza dal marciapiede F ai minuti 15 e 45 di ogni ora, tempo di percorrenza venti minuti, scendere al capolinea di Piazza Isolo). * Per ulteriori informazioni: Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 045 8009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 9. LIBRI ALESSANDRO DAL LAGO PRESENTA "LA TRIBU' DEGLI ANTICHISTI" DI ANDREA COZZO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 ottobre 2006. Alessandro Dal Lago e' docente di sociologia dei processi culturali all'Universita' di Genova, presso la stessa Universita' coordina un gruppo di ricerca sui conflitti globali; e' membro della redazione della rivista filosofica "aut aut", ha curato l'edizione italiana di opere di Hannah Arendt e di Michel Foucault. Tra le opere di Alessandro Dal Lago segnaliamo particolarmente Non-persone. L'esclusione dei migranti in una societa' globale, Feltrinelli, Milano 1999. Cfr. inoltre: I nostri riti quotidiani, Costa & Nolan, Genova 1995; (a cura di), Lo straniero e il nemico, Costa & Nolan, Genova 1997; La produzione della devianza, Ombre corte, Verona 2001; Giovani, stranieri & criminali, Manifestolibri, Roma 2001. Polizia globale. Guerra e conflitti dopo l'11 settembre, Ombre corte, Verona 2003. Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004; La tribu' degli antichisti, Carocci, Roma 2006] Se si seguono (su blog e gruppi di discussione vari, e ovviamente sulla stampa) i dibattiti tra i docenti sullo stato attuale dell'universita' italiana, si avverte facilmente il nervosismo che serpeggia per la cosiddetta comunita' accademica. Apparentemente, si discute di "3+2", di riforma dello status giuridico dei docenti e di concorsi, ma in realta' emerge un'inquietudine piu' profonda, che si potrebbe riassumere nella domanda: "Che ci faccio qui?". Molti che si avvicinano ai sessant'anni cominciano a parlare apertamente di pensione, i piu' giovani maledicono il momento in cui, invece di filarsela all'estero, hanno accettato di passare ricercatori in qualche ateneo nostrano, altri - secondo me, i migliori - si interrogano sempre piu' apertamente sul "che cosa" del proprio lavoro. Che ci faccio qui? Perche' lo faccio? Che senso ha farlo? Questo risulta evidente se si legge un insolito, divertente libro di Andrea Cozzo (La tribu' degli antichisti. Un'etnografia ad opera di un suo membro, Carocci, pp. 285, euro 20,30). Dico subito che non posso vantare alcuna competenza per discutere un saggio che, in sostanza, sottopone il mondo dei grecisti alle stesse pratiche cognitive che essi applicano ai loro Greci. Ma in realta' il saggio, a partire dal titolo, ha pretese piu' ampie che operare una decostruzione "antichistica" degli antichisti. Vuole essere una sorta di etnografia, cioe' una descrizione delle strutture cognitive e sociali, dei discorsi - diremmo con Foucault - che rendono possibile l'antichistica. Da qui il titolo, che mette al centro la "tribu'". * Un'antica sostanza comune Noi docenti universitari sappiamo benissimo che, in base a interessi culturali magari genuini, a interessi sociali perseguiti ma dichiarati poco o nulla (i posti, le cattedre) e a una certa inclinazione al dispotismo, gli accademici si suddividono in gruppi, fazioni e partiti scientifici che sviluppano un loro linguaggio, adottano costumi e rituali particolari, e di solito si combattono aspramente. A mia conoscenza, quello di Cozzo e' uno dei primi saggi che studia in questa prospettiva una "tribu'" accademica. L'autore e' davvero coraggioso, visto che e' un antichista. In senso stretto, questo non e' un libro etnografico. Non descrive, come farebbe un antropologo alieno, le pratiche sociali e rituali degli antichisti. Non ci fa vedere come organizzano i concorsi, come trattano gli allievi, come valutano i dottorandi, come si comportano alle sedute di laurea. Ma e' meglio cosi', perche' se finalmente qualcuno si decidesse a fare un'etnografia dei professori universitari, non potrebbe limitarsi agli antichisti, ai sociologi o ai biochimici, ma dovrebbe cercare di analizzare la sostanza comune che fa degli universitari una tribu' sociale particolarissima. Trattandosi di antichisti, Cozzo studia invece come questa sottotribu' accademica costruisca i suoi oggetti e le sue retoriche prevalenti; e come, a partire dal padre fondatore Friedrich Wolf (inventore dello studio dei Greci come Altertumswissenschaft o scienza dell'antichita') abbia individuato un territorio e poi difeso i confini, e soprattutto come oggi tale dominio sia minacciato, all'interno e all'esterno. Quello di Cozzo e' un lavoro che si colloca tra gli studi di Michael Foucault e Bruno Latour, in quanto misura lo scarto tra la pretesa assolutezza dei principi scientifici e la relativita' storico-culturale delle pratiche conoscitive. Gli antichisti costruiscono i Greci e cosi' facendo edificano se stessi. Ogni epoca fara' prevalere la propria concezione come universale, da Wilamowitz-Moellendorf, che attaccava Nietzsche in nome dell'aderenza ai dati e ai fatti, fino alle tendenze contemporanee in cui le retoriche geografiche, antropologiche e anche sociologiche sostituiscono quelle tradizionalmente storiche e letterarie. Cozzo ha buon gioco a mostrare come, in ogni epoca, la scienza dell'antichita' relativizzi e storicizzi i propri oggetti in nome dell'universalismo scientifico. Un doppio movimento, in cui lo scienziato si chiama sempre fuori dal rischio di essere relativizzato. Un modo, insomma, per perpetuare l'ideologia della scienza. * Le retoriche del discorso In questo saggio gli antichisti troveranno di che discutere e polemizzare. Ma chi appartiene a un'altra tribu', oltre a imparare cose che non conosce, trova in questo libro lo stimolo a riflettere sul modo in cui anche le altre discipline umanistiche alimentano le retoriche del proprio rigore universalistico. Nella ricerca storica, grazie soprattutto a Foucault, questa discussione e' cominciata tanto tempo fa, anche se oggi sembra un po' languente. Ma che dire delle altre scienze umane e sociali? Quand'e' che si comincera' a lavorare su quanto di tribale - in senso stretto e lato - connota discipline come la filosofia, la sociologia, la pedagogia, per non parlare delle scienze dure e pure, le cui strutture feticistiche Bruno Latour indaga da anni? Che sia dunque apprezzato il lavoro di Cozzo, il quale, nella prospettiva di saperi accademici piu' nobili e - diciamolo pure - anche piu' snob, ha iniziato a lavorare su cio' che tanti di noi vorrebbero, ma non hanno ancor trovato il tempo di fare: studiare le "forme di vita" in cui ogni sapere si colloca. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1453 del 19 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1452
- Next by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 86
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1452
- Next by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 86
- Indice: