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La nonviolenza e' in cammino. 1452
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1452
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 18 Oct 2006 05:40:05 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1452 del 18 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Afghanistan 2. Guenther Anders: Tesi sull'eta' atomica 3. Marc W. Herold: Stragismo e vittime civili in Afghanistan 4. Simone Weil: Nell'irreale 5. A Verona il 21-22 ottobre un seminario su "La politica della nonviolenza" 6. Riletture: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg 7. Riletture: Lucia Borghese, Invito alla lettura di Heinrich Boell 8. Riedizioni: Hermann Hesse, Poesie 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. AFGHANISTAN [Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance, collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006] Salvare Gabriele Torsello. Salvare tutte le vite. Cessare la guerra. Sia pace in Afghanistan. * Cessi la partecipazione italiana alla guerra e s'impegni l'Italia perche' la guerra cessi, perche' cessino le stragi, perche' si smilitarizzi il conflitto, le parti disarmino, tutte le vittime siano soccorse. Vi e' una sola umanita'. 2. DOCUMENTI. GUENTHER ANDERS: TESI SULL'ETA' ATOMICA [Ancora una volta ripubblichiamo questo breve ma capitale testo di Guenther Anders. Riprendiamo il testo dall'appendice all'edizione italiana del libro di Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und Nagasaki, apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino 1961, nella traduzione di Renato Solmi (questo maestro grande e generoso che cogliamo l'occasione per salutare e ringraziare ancora una volta). Come li' si specifica, queste Tesi sull'eta' atomica sono "un testo improvvisato dall'autore dopo un dibattito sui problemi morali dell'eta' atomica organizzato da un gruppo di studenti dell'Universita' di Berlino-Ovest, e uscito nell'ottobre 1960 nella rivista 'Das Argument - Berliner Hefte fuer Politik und Kultur' [nota del traduttore]". Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale), Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e' antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato Solmi] Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e' cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti. Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e' l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita' dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine stessa. * Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come "dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato il problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e' sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo". Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata, siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi". * Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica. * Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta e spreco di tempo. * Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata solo con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non regge. 1) La bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui non c'era affatto il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un potere totalitario. 2) L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio atomico; oggi e' un argomento suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto da una situazione politica, che non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma continuera' a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita' di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione totale, e' totalitaria per sua natura: poiche' vive del ricatto e trasforma la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse della liberta', l'assoluta privazione della stessa, e' il non plus ultra dell'ipocrisia. * Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi', nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale, ma morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini". * Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e' solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma anche quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano nell'ambito del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui, presso di noi, poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle generazioni", a cui appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri vicini nel tempo. Se diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si appicca anche al futuro, e con la nostra cadono anche le case non ancora costruite di quelli che non sono ancora nati. E anche i nostri antenati appartengono a questa "internazionale": poiche' con la nostra fine perirebbero anch'essi, per la seconda volta (se cosi' si puo' dire) e definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa seconda morte sarebbero stati solo come se non fossero mai stati. * Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati alla sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe. Raffigurarci il non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e' gia' di per se' abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al compito che dobbiamo assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo nostro compito non consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di qualcosa di particolare, in un contesto universale supposto stabile e permanente, ma nel supporre inesistente questo contesto, e cioe' il mondo stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa "astrazione totale" (che corrisponderebbe, sul piano del pensiero e dell'immaginazione, alla nostra capacita' di distruzione totale) trascende le forze della nostra immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma poiche', come homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre il nulla totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra "ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di rappresentarci anche il nulla. * Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca: "Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine di cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi non sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto. * Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra il dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la nostra capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico". * Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione. Si puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita', dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto", tanto piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone premendo un tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola persona. Al "subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo per provocare gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che e' troppo grande per provocare ancora una reazione (per esempio un meccanismo inibitorio). * La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti) e l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo della verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa testimone": molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la filosofia greca. Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto. La terra promessa degli "escapisti" di oggi non e' la fantasia, ma la percezione. Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in contrasto con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente dilatati. * Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma si realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado della nostra angoscia. - Nulla di piu' falso della frase cara alle persone di mezza cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa tesi ci e' inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che noi si possa realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi viviamo piuttosto nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine all'angoscia. L'imperativo di allargare la nostra immaginazione significa quindi in concreto che dobbiamo estendere e allargare la nostra paura. Postulato: "Non aver paura della paura, abbi coraggio di aver paura. E anche quello di far paura. Fa' paura al tuo vicino come a te stesso". Va da se' che questa nostra angoscia deve essere di un tipo affatto speciale: 1) Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di quelli che potrebbero schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante, poiche' invece di rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3) Un'angoscia amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe capitarci. * Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio' che possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente irrealizzabile. Non e' nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di fare qualche passo in avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci spaventare; il fallimento ripetuto non depone contro la ripetizione del tentativo. Anzi, ogni nuovo insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in guardia contro il pericolo di continuare a produrre cio' che non possiamo immaginare. * Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si puo' fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze spaziali e temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione e' stata pagata a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella, che diventa ogni giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di immaginare cio' che si produce. * Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui possiamo assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che possiamo utilizzare sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la nostra offerta superano spesso la nostra domanda (e ci costringono a produrre appositamente nuovi bisogni e richieste); ma la nostra offerta trascende addirittura il nostro bisogno, consiste di cose di cui non possiamo avere bisogno: cose troppo grandi in senso assoluto. Cosi' ci siamo messi nella situazione paradossale di dover addomesticare i nostri stessi prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo addomesticato finora le forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi cosiddette "pulite", sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi cerchiamo di migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro effetti. L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione, che continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e dimostrano che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa hanno prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della concorrenza - ha perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile diventare. Distruggere meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile neppure in seguito. * Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di noi all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne siano affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo incompetenti nel "campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a non "immischiarci". L'uso di questi termini e' addirittura la prova della loro incompetenza morale: poiche' in tal modo essi mostrano di credere che la loro posizione dia loro il monopolio e la competenza per decidere del "to be or not to be" dell'umanita'; e di considerare l'apocalissi come un "ramo specifico". E' vero che molti di loro si appellano alla "competenza" solo per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola "democrazia" ha un senso, e' proprio quello che abbiamo il diritto e il dovere di partecipare alle decisioni che concernono la "res publica", che vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale e non ci riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non si puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come cittadini e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi siamo la "res publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione sulla nostra sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai. Rinunciando a "immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere democratico. * Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E' giusto? Si' e no. Perche' no? Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come tale dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal lavorare; 2) dall'azionare. 1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di non aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo "lavorare" intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella fase attuale della rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane invisibile per chi lo esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne' deve piu' riguardarlo. Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta moralmente neutrale: "non olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo lavoro puo' macchiare chi lo esegue. A questo tipo dominante di prestazione sono oggi assimilate quasi tutte le azioni affidate agli uomini. Lavoro come mimetizzamento. Questo mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di sentirsi colpevole, poiche' non solo non occorre rispondere del lavoro che si fa, ma esso - in teoria - non puo' rendere colpevoli. Stando cosi' le cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale ("ogni agire e' lavorare") nell'altra: "ogni lavorare e' un agire". 2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e' abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal modo pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e' piu' un lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si fa nulla (anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e l'annientamento). L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora necessario) non si accorge piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo dell'azione e quello che la subisce non coincidono piu', poiche' la causa e l'effetto sono dissociati, non puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in analogia a "schizofrenia". E' chiaro che solo chi arriva a immaginare l'effetto ha la possibilita' della verita'; la percezione non serve a nulla. Questo genere di mimetizzamento e' senza precedenti: mentre prima i mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima designata dell'azione, e cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a proteggere gli autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire all'autore di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una vittima; in questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione. * Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne non hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie"). La loro astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento davanti a cui non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di menzogne; e cio' perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni. Mentre le menzogne, finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora si camuffano in altre guise: 1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno gia' in se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l'espressione "armi atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende, poiche' da' per scontato, che si tratta di armi. 2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo al punto che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni, presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose' irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche' lavori "coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza del mondo. 3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si traveste ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se non sa che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia' accaduto. Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito all'agire degli uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella dei prodotti. Essi sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba atomica (per il semplice fatto di esistere) e' un ricatto costante: e nessuno potra' negare che il ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha trovato la sua forma piu' menzognera: non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani pulite, non c'entriamo. Assurdita' della situazione: nell'atto stesso in cui siamo capaci dell'azione piu' enorme - la distruzione del mondo - l'"agire", in apparenza, e' completamente scomparso. Poiche' la semplice esistenza dei nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda consueta: che cosa dobbiamo "fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo usarli solo come "deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in quanto omette che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre agito. * Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione "reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire, "agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e' ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato (trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del fatto che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai prodotti: i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere, diventano pseudopersone. * Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale. Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un esame di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti potremmo rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e nell'avere solo quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che potremmo assumerci come agire personale. * Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che la subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire subire senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita', peraltro affatto fallace. La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai vista. Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la vittima non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla di piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima, e' quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del colpo. Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara' quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei" di ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare veramente occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non potra' entrare minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e proprie: e la schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che odiare e colpire saranno rivolti a oggetti completamente diversi. * Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore degli uomini, la massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa? Continuiamo come se non lo fossimo!". 3. DOCUMENTAZIONE. MARC W. HEROLD: STRAGISMO E VITTIME CIVILI IN AFGHANISTAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 ottobre 2006 riprendiamo il seguente articolo. Ci scusiamo con chi legge per questa macabra schidionata di dati e raffronti, e' noto quale sia il nostro punto di vista: contro tutte le uccisioni; ma puo' esser utile verificare una volta di piu' che stragiste e terroriste sono ambedue le parti belligeranti; e ricordare ancora che della Nato anche l'Italia fa parte, e delle stragi dalla Nato commesse sciaguratamente anche il nostro paese e' quindi corresponsabile (p. s.). Marc W. Herold e' professore di economia all'Universita' del New Hampshire; e' stato autore anni fa del piu' dettagliato resoconto sulle vittime civili della guerra americana all'Afghanistan] L'esercito statunitense e i grandi media continuano a lodare la precisione chirurgica garantita dalle bombe di nuova tecnologia e a condannare le morti e la violenza derivanti dagli attacchi suicidi. Ma un'analisi dei numeri e delle informazioni provenienti dal teatro afghano rivela che, in realta', per i civili afghani una bomba di precisione statunitense e' ben piu' mortale di un'autobomba talebana, se si prendono in considerazione i costi dei due tipi di bombe. Dopo tutto, una delle principali giustificazioni allo sviluppo delle armi cosiddette di precisione e' che spendere di piu' per lo sviluppo e la produzione di queste armi vale la pena, visto che esse salverebbero vite di innocenti in prossimita' degli obiettivi militari dell'attacco; insomma, si comprerebbe una maggiore precisione, a caro prezzo. Un prezzo irraggiungibile per i piu'; Mike Davis ha in effetti affermato che l'autobomba e' l'aviazione militare dei poveri. Le conseguenze di una tecnologia non possono essere separate dai contesti sociali, culturali ed economici nei quali essa e' impiegata. Nessuno nega che la tecnologia di precisione delle bombe "intelligenti" sia ben piu' precisa delle precedenti bombe "stupide" (ad esempio quelle usate nel corso delle guerre in Indocina). Ma la decisione degli strateghi militari di Usa e Nato (e recentemente di Israele) di bombardare aree ricche di presenze civili rende queste bombe di precisione altamente imprecise e viola le norme internazionali che regolano la condotta bellica. Nel quinto anniversario dell'11 settembre diversi articoli sui grandi media hanno tentato la conta dei morti nei principali attacchi suicidi avvenuti in Afghanistan. Si tratta spesso di calcoli inadeguati. Uno studio piu' accademico e' stato compiuto da Hekmat Karzai (cugino di Hamid) e Seth Jones sotto gli auspici della Rand Corporation e comprende un "database degli eventi terroristici". Gli autori cosi' elencano il crescere della spirale di attentati suicidi in Afghanistan: uno nel 2002, fallito; 2 nel 2003; 6 nel 2004; 21 nel 2005; 43 fra gennaio e agosto del 2006. Di questi attacchi nel corso degli anni, 15 si sono verificati a Kandahar, 12 a Kabul, 3 a Khost, il resto in altre province. Per il periodo gennaio 2005 - 28 agosto 2006 la Reuters riferisce di 64 attacchi suicidi con 181 persone morte (escludendo gli attentatori) e 273 ferite. Tutte le fonti concordano nel sostenere che questi numeri sono destinati a crescere. Gli attacchi suicidi e gli ordigni esplosivi improvvisati sono un'efficace tattica a basso costo nelle mani di Taleban e associati; come ha riferito il "Christian Science Monitor", i talebani ritengono gli attentati suicidi compatibili con l'islam. Robert Pape ha documentato in modo convincente che il terrorismo suicida segue una logica strategica e in tutto il mondo sta crescendo perche', semplicemente, "paga". Karzai e Jones hanno scritto che Al Qaeda e talebani hanno imparato tecniche e "know-how" sviluppati altrove (soprattutto in Iraq) e sono arrivati alla conclusione che gli attentati suicidi sono molto piu' efficaci di ogni altra tecnica nell'uccidere le forze di occupazione straniere e gli afghani. Del resto quando talebani e associati attaccano direttamente l'esercito statunitense e gli altri eserciti, hanno solo un 5% di possibilita' di infliggere perdite. Inoltre gli attentati, aumentando il livello generale di insicurezza, ostacolano la ricostruzione; e infine offrono a talebani e al Qaeda una visibilita' ben maggiore di quella che hanno avuto i metodi di guerriglia adottati fra il 2002 e il 2005. Un'analisi seppure incompleta delle statistiche circa le persone uccise dalle autobombe in Afghanistan fra il primo e fallito attentato (19 luglio 2002) e la devastante esplosione a Lashkar Gah il 26 settembre scorso evidenzia che su un totale di 229 morti i civili sono stati 146, ovvero circa il 65% del totale; le forze di occupazione, invece, parlano dell'84%. I militari statunitensi e Nato sono stati il 17% dei morti, a cui vanno aggiunti molti feriti. Gli attacchi suicidi con autobomba sono generalmente condotti in aree a elevata presenza di civili e dunque causano morti e feriti innocenti. Per fare un confronto con le vittime provocate dai cosiddetti "bombardamenti chirurgici" americani, occorre scegliere gli attacchi aerei Usa/Nato condotti contro realta' simili, cioe' aree ricche di presenze civili. Ho scelto la relativamente economica bomba Gbu-12 Paveway II, da 500 libbre e guidata dal laser. Trasportata da un'ampia gamma di aerei, compresi gli F-16 cosi' ampiamente utilizzati in Afghanistan a partire dal 22 ottobre 2001, ha un raggio letale di circa 225 metri, davvero molto in aree a elevata presenza di civili. Fabbricarla costava 19.000 dollari nel 1995. Poiche' il costo orario di un F-16 in volo e' di circa 5.000 dollari e assumendo che una missione di bombardamento duri tre ore, il costo totale di una bomba "utilizzata" e' di 34.000 dollari. Per confronto, a Kabul una Toyota Corolla - il veicolo preferito per le autobomba - usata del 1992 si trova sul mercato a poche migliaia di dollari. Supponendo che l'attentatore l'abbia acquistata per 1.500 dollari, pagando inoltre 150 dollari per gli esplosivi (un residuato della guerra contro i sovietici ampiamente presente nel paese), il costo totale e' di 1.650. Abbiamo detto che la ragion d'essere delle "armi di precisione" e' spendere maggior denaro per ridurre i "danni collaterali". A prima vista e' logico aspettarsi una relazione lineare fra l'accuratezza e il costo di una bomba. La Gbu-12, costando 21 volte piu' di un'autobomba, dovrebbe essere 21 volte piu' precisa. Ma e' proprio cosi'? Il 65% di vittime civili negli attacchi suicidi in Afghanistan significa che per uccidere 10 militari statunitensi o Nato si fanno morire in media 18,6 civili afgani. La bomba di precisione, se fosse piu' accurata di 21 volte come il costo farebbe supporre, per uccidere dieci taleban dovrebbe sacrificare un solo civile o meno ancora. Il calcolo vale a maggior ragione per le bombe piu' costose egualmente impiegate nel teatro afghano. Invece, l'evidenza empirica dal terreno rivela che quando una bomba "di precisione" cade su un'area con elevata presenza di civili, sono questi a morire e essere feriti in numero molto maggiore rispetto ai taleban. Durante il recente attacco Nato nel distretto di Panjwayi, a sudovest di Kandahar, secondo testimonianze locali riferite dalla Reuters per ogni talebano ucciso sono morti tre civili. Il 3 settembre 2006 un jet da combattimento ha bombardato Ghaljain, villaggio di fango vicino a Zangabad, uccidendo sette taleban ma anche tredici fra donne, bambini e anziani. Analoghe le descrizioni dei bombardamenti in Helmand, nel mese di agosto, con la caduta di relativamente pochi talebani e di molti civili. Un attacco nello scorso mese di luglio su un gruppo di villaggi a nord di Tarin Kot nell'Uruzgan avrebbe ucciso almeno dieci civili ma solo quattro o cinque talebani. Ho scritto altrove che l'aumento della quota di bombe di precisione sul totale del tonnellaggio sganciato determina addirittura un aumento del numero di civili uccisi per dieci tonnellate di bombe cadute. Sono d'accordo che quando gli aerei Usa e Nato bombardano campi di taleban e associati in aree isolate non si hanno vittime civili, ma questo confronto e' inappropriato perche' occorre confrontare universi simili: nella fattispecie, aree a elevata presenza di civili. E i miei dati nel progetto Afghan Victim Memorial indicano che in questi mesi del 2006 gli attacchi Usa e Nato hanno ucciso fra 390 e 446 civili. La conclusione e' allora inevitabile: a considerare i dati relativi ai costi delle armi come indice di accuratezza nella selezione del bersaglio, le bombe "di precisione" di Usa e Nato ammazzano molti piu' innocenti di quanti non ne faccia fuori un'autobomba talebana. Similmente, l'Iraq Body Count nel suo "A Dossier of Civilian Casualties" ha calcolato - per il periodo dal 20 marzo 2003 al 19 marzo 2005 - che il numero medio di civili uccisi da attacchi aerei era pari a 13,5 mentre il numero medio di civili uccisi da attentatori suicidi era pari a 10,9. Quanto al Libano, gli F-16 israeliani hanno fatto cadere armi "di precisione" su aree popolate di civili e in quel caso il rapporto fra vittime civili e militari e' stato di 10 a uno o a due. Il 12 settembre scorso a Kabul il portavoce della Nato maggiore Luke Knittig, commentando la stima dei 173 civili uccisi - secondo le stime militari - nel 2006 nel corso di attacchi suicidi, ha parlato di "palese disprezzo per la vita umana" da parte dei terroristi. Le sue parole devono essere corrette cosi': "palese disprezzo per la vita umana" da parte di Usa e Nato. Che si definiscono portatori di pace. 4. MAESTRE. SIMONE WEIL: NELL'IRREALE [Da Simone Weil, Quaderni. Volume III, Adelphi, Milano 1988, p. 269. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Un uomo che e' nell'irreale e maneggia una spada puo' sprofondare tutta una popolazione nell'irreale. 5. INCONTRI. A VERONA IL 21-22 OTTOBRE UN SEMINARIO SU "LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA" Si svolgera' a Verona il 21 e 22 ottobre 2006 il seminario promosso dal Movimento Nonviolento su "La politica della nonviolenza (alla prova della guerra)". - Sabato 21 ottobre, ore 10: relazione introduttiva; prima sessione "La teoria della nonviolenza, sulla guerra" (mattina, ore 10-13); seconda sessione "La pratica della nonviolenza, nella politica" (pomeriggio, ore 15-19); serata libera, con due proposte: a) visita guidata alla Mostra del "Mantegna a Verona" (ore 21-23); b) laboratorio del "Teatro dell'oppresso" sui temi discussi (ore 21-23). - Domenica 22 ottobre, ore 9: terza sessione "La strategia della nonviolenza, le iniziative" (mattina, ore 9-11); conclusioni (ore 11-13). Ogni sessione verra' sollecitata da una griglia di domande. * Il seminario si svolgera' presso la Sala Comboni dei Padri Comboniani, in vicolo Pozzo 1, nel rione di San Giovanni in Valle, quartiere di Veronetta, nel centro storico, vicino a Piazza Isolo: collegamento diretto dalla stazione di Verona Porta Nuova con l'autobus n. 73 (partenza dal marciapiede F ai minuti 15 e 45 di ogni ora, tempo di percorrenza venti minuti, scendere al capolinea di Piazza Isolo). * Per ulteriori informazioni: Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 045 8009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 6. RILETTURE. LELIO BASSO (A CURA DI): PER CONOSCERE ROSA LUXEMBURG Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori, Milano 1977, pp. LXXII + 360. Una utile introduzione alla figura e all'opera di Rosa Luxemburg da parte di uno dei suoi maggiori studiosi (di cui si veda anche la fondamentale antologia Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976, con una vasta e illuminante introduzione). Lelio Basso, come ognun sa, e' stato anche uno dei maggiori protagonisti dell'antifascismo, della Resistenza, dell'impegno civile per la democrazia, delle lotte e della riflessione teorica del movimento operaio, della solidarieta' internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli oppressi. 7. RILETTURE. LUCIA BORGHESE: INVITO ALLA LETTURA DI HEINRICH BOELL Lucia Borghese, Invito alla lettura di Heinrich Boell, Mursia, Milano 1980, 1990, pp. 252, lire 10.000. Una utile introduzione al grande scrittore, strenuo difensore della dignita' umana e nitido oppositore di ogni guerra e di ogni totalitarismo; l'autrice e' una delle maggiori studiose di Boell. 8. RIEDIZIONI. HERMANN HESSE: POESIE Hermann Hesse, Poesie, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2006 (estratti da precedenti volumi Mondadori, Milano 1981 e 2002), pp. XVIII + 222, s. i. p. ma 9,70 (in supplemento al settimanale "L'Espresso"). Una raccolta di versi di Hesse con alcune delle sue poesie piu' note, con testo a fronte e traduzioni - talora stupende - di poeti e germanisti (Bruno Arzeni, Roberto Fertonani, Ervino Pocar, Nicoletta Salomon, Sergio Solmi, Mario Specchio, Diego Valeri) e di un martire della Resistenza come Giaime Pintor (il cui nome per evidente distrazione di chi ha curato l'editing del volume e' stato storpiato in Jaime). 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1452 del 18 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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