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Voci e volti della nonviolenza. 44
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 44
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 17 Oct 2006 11:17:48 +0200
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 44 del 17 ottobre 2006 In questo numero: 1. Ron Kovic: spezzare il silenzio della notte 2. Et coetera 1. RON KOVIC: SPEZZARE IL SILENZIO DELLA NOTTE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Ron Kovic] "Vi sono momenti in cui il silenzio e' tradimento" (Martin Luther King, 4 aprile 1967) Tutto comincia cosi', con il farsi domande, il dubitare, la sensazione che qualcosa non sia giusto: come quel giorno in cui il capitano diede fuoco alla capanna della donna vietnamita, o la notte in cui uccidemmo donne e bimbi per errore. Tutto inizia da qualche parte. Possono essere stati i civili innocenti uccisi ad un check-point a nord di Baghdad, o i bambini morti allineati sulla strada a Kirkuk, o quella notte a Nasiriyah in cui buttarono giu' a calci la porta di una casa, urlando ai bambini e maledicendoli mentre sbattevano il padre per terra, gli legavano le mani dietro la schiena e gli infilavano la testa in un cappuccio. Ma tu resti zitto, non dici nulla. Ti e' stato insegnato ad eseguire gli ordini, ad obbedire e a non porre domande, a fare esattamente quello che ti si dice di fare. Lo hai imparato al campo di addestramento. Lo impari proprio dal primo giorno a Parris Island, quando l'istruttore comincia a trapanarti le orecchie con le sue urla. E' "sissignore" e "nossignore", con niente nel mezzo. C'e' abuso fisico e verbale, minacce viziose, il costante spingerti fuori equilibrio. E' un processo di condizionamento potente, un processo che e' cominciato molto tempo fa, ben prima che noi firmassimo quelle carte alle locali stazioni di reclutamento nelle nostre citta', un processo profondamente radicato nella psiche e nella cultura americane, che mostra la sua influenza sin dalla nostra tenera infanzia. * Io sono nato il giorno del compleanno del mio paese, nel 1946. Sono cresciuto all'ombra della guerra fredda, dopo la seconda guerra mondiale. Sia mio padre sia mia madre prestarono servizio nella marina durante questa guerra. Fu durante il servizio che si incontrarono e si sposarono, e i loro figli sarebbero stati i bambini del "baby boom". Sembrava un bel periodo. Un tempo di innocenza, patriottismo, lealta', e pure di conformismo ed obbedienza. La minaccia del comunismo era ovunque, non ci saremmo mai sognati di metterla in discussione. Non avevamo dubbi. Credevamo nei nostri leader ed avevamo piena fiducia in loro. L'America aveva sempre ragione. Quando mai avevamo avuto torto? Eravamo la piu' potente nazione sul pianeta e non avevamo mai perso una guerra, ma tutto questo doveva cambiare, stava per essere spazzato via dal Vietnam. Mi ricordo sfilare durante il Memorial Day, con i miei genitori sul marciapiede a sventolare con orgoglio la bandiera statunitense. C'erano film di guerra, e fumetti di guerra, e i fucili giocattolo per Natale e i piccoli soldatini di plastica verde con cui giocavo nel cortile, combattendo i giapponesi e i tedeschi, attaccando bunker immaginari con bazooka e lanciafiamme, e sognando il momento in cui noi ragazzini saremmo diventati uomini, come i nostri padri prima di noi. * Andai volontario in Vietnam nel 1965, solo per tornare poi ad un paese profondamente diviso. Ricordo di aver pianto quando vidi su un giornale la fotografia di una bandiera americana bruciata durante una manifestazione contro la guerra a New York. Mi sentivo oltraggiato, e volevo dare esempio di patriottismo, cosi' andai volontario in Vietnam per la seconda volta, pronto a morire per il mio paese se ce ne fosse stato bisogno. Prima di partire decisi che avrei tenuto un diario durante il servizio: ce l'ho ancora, e' un po' consumato e le pagine tendono a scollarsi, ma le parole che ho scritto circa quarant'anni fa sono ancora li'. Il 18 gennaio 1968, prima che mi sparassero ed io rimanessi paralizzato, avevo scritto: "Il tempo scorre cosi' veloce che mi sembra di aver passato qui cento anni. Amo la mia grande nazione e sono pronto a morire per la liberta'". * Come molti statunitensi che hanno prestato servizio in Vietnam, e come quelli che stanno ora prestando servizio in Iraq, e come innumerevoli altri esseri umani durante la storia, ero disposto a dare la mia vita senza realmente sapere cosa questo significasse. Avevo fiducia, e credevo, e non avevo ragioni per dubitare della sincerita' o delle motivazioni del mio governo. Fu solo molti mesi piu' tardi, all'ospedale dei veterani a New York, che cominciai a domandarmi se io e gli altri che eravamo andati in guerra c'eravamo andati per niente. Fu una primavera violenta. Martin Luther King era stato ucciso a Memphis ed io stavo leggendo il libro di Robert F. Kennedy "Cercare un mondo nuovo" nel mio letto d'ospedale quando Kennedy fu assassinato a Los Angeles. Kennedy era stato il candidato contro la guerra, e ricordo che il suo libro lo presi dapprima esitando, perche' le sue opinioni sembravano cosi' differenti dalla mie, ma c'era qualcosa che mi attraeva, in lui e nella sua richiesta di por fine alla guerra. Forse perche' ero circondato da feriti e paraplegici, o forse erano le centinaia di americani che continuavano a morire ogni settimana, ma ricordo che la sua morte mi riempi' di infinita tristezza, la stessa che avevo provato nel 1963 quando era stato il presidente John F. Kennedy ad essere assassinato. Ero stato cosi' sicuro della vittoria, prima, ma ogni giorno comprendevo sempre di piu' che non avremmo vinto in Vietnam. Provavo dolore e mi sentivo tradito dai miei governanti. Avevano idea, costoro, dei sacrifici che avevamo fatto, di quanti erano morti e di quanti altri erano mutilati, come me? Depresso e triste, continuavo a prendere in prestito libri dalla biblioteca dell'ospedale. Scoprii il diario di Che Guevara e mi sentivo a disagio tenendolo in mano mentre sedevo paralizzato nella mia carrozzella, perche' temevo che qualcuno potesse sorprendermi mentre leggevo cio' che "il nemico" aveva scritto: ma io, ora, "il nemico" volevo conoscerlo. Volevo sapere chi erano queste persone che mi era stato insegnato ad odiare, chi erano queste persone che ero stato mandato a combattere ed uccidere. * Ricordo quando assieme ad altri veterani paralizzati guardammo in televisione le proteste di Chicago, nel 1968, mentre si teneva la convention repubblicana. La folla di dimostranti nelle strade cantava: "Il mondo intero sta guardando!", e venivano picchiati e feriti dalla polizia e trascinati sanguinanti sui furgoni. La maggioranza dei miei compagni li malediceva e li chiamava traditori, ma io mi sentivo in modo molto differente quella sera. Quel che la polizia aveva fatto era sbagliato, e sebbene non condividessi questo giudizio con nessun altro, cominciai a provare simpatia per i dimostranti. Non molto tempo dopo lasciai l'ospedale ed andai all'universita', a Long Island, deciso a dare una svolta alla mia vita. Il campus era quieto, pacifico, e per la prima volta assistevo ad appassionati scambi di idee e di differenti punti di vista. La maggior parte delle discussioni vertevano sulla guerra e sul perche' dovesse finire. C'erano veglie, candele accese, la canzone di John Lennon "Give peace a chance"; c'era il poster sull'infame massacro di My Lai con la scritta: "Anche i bambini?". Ne fui sconvolto. Non facevo altro che ripensare alla notte in cui donne e bambini vennero uccisi per errore, al vecchio signore a cui il cervello usciva dalla testa, al bimbo a cui erano fatti saltare i piedi e che penzolava da un ramo. Continuai a frequentare le lezioni e a tenere per me i miei pensieri. * In quel periodo lessi il saggio di Thoreau sulla disobbedienza civile e fui immediatamente colpito dai concetti di resistenza e non-cooperazione: essi sembravano contraddire cio' in cui avevo creduto sin da ragazzino, ovvero che il mio paese aveva sempre ragione, e non poteva fare alcunche' di sbagliato. L'idea che noi, come cittadini, avevamo il diritto di seguire le nostre coscienze e di opporci a leggi ingiuste ed immorali ebbe un grande effetto su di me. Venni a conoscenza del fatto che il senatore McCarthy aveva tentato di mettere al bando il saggio di Thoreau, e che esso aveva influenzato le filosofie del Mahatma Gandhi e di Martin Luther King rispetto alla nonviolenza creativa come tecnica per il cambiamento sociale. Poi ci fu "L'autobiografia di Malcom X", e "Negro", di Dick Gregory e "Cuore di tenebra" di Joeseph Conrad, che esponevano le brutalita' e l'orrore del colonialismo, e i testi di Jerry Rubin e Abbie Hoffman, e l'articolo del sergente dei "berretti verdi" Donald Duncan, che si opponeva alla guerra. E c'erano i sit-in alla Columbia University, e Woodstock, e la radio alternativa Wbai che ascoltavo durante la notte nella mia stanza, profondamente commosso dalle parole della protesta, dalla richiesta che il potere fosse restituito alle persone e dai testi delle canzoni pacifiste. Tutto mi dava una prospettiva interamente diversa di quel che stava accadendo, in Vietnam e a casa nostra. Gli Usa sembravano sul punto di lacerarsi, mai la nazione era stata piu' polarizzata, mai la gente era stata cosi' divisa. Tutto veniva interrogato e discusso, nulla era piu' sacro, e persino l'esistenza di Dio era dubbia. Mi sembrava che la terra franasse sotto di me, perche' nulla sembrava piu' certo, e in nulla si poteva piu' avere fiducia, o credere. * In quel periodo ricevetti una telefonata dal mio amico Bobby Muller, che avevo incontrato all'ospedale dei veterani, e che come me era rimasto paralizzato in Vietnam. Mi chiese se volevo andare con lui al liceo Levittown Memorial di Long Island, a parlare contro la guerra. Esitai, gli dissi che non mi sentivo sicuro. Non avevo mai parlato in pubblico precedentemente, e l'idea che il mio primo discorso fosse contro la guerra mi spaventava. Quando riappesi il ricevitore provavo una dolorosa sensazione allo stomaco. Una parte di me voleva parlare, dire tutto quello che avevo visto in Vietnam e all'ospedale, un'altra non poteva fare a meno di chiedersi cosa mi sarebbe accaduto se lo avessi fatto. Mi avrebbero chiamato traditore? Sarei finito schedato dall'Fbi, non piu' il tranquillo studente seduto sulla sua carrozzella, ma ora un partecipante diretto, un radicale, un manifestante? Si trattava di passare la linea, e di raggiungere quelle stesse persone che un tempo avevo creduto dei traditori. Cos'avrebbero pensato i miei genitori se lo avessero saputo? E i veterani all'universita', cos'avrebbero detto? Si sarebbero sentiti traditi, questa volta da me? Bobby mi richiamo' parecchie volte quella settimana, un po' impaziente, ma ancora io esitavo, gli rispondevo che non avevo le idee chiare. Infine gli dissi di chiamarmi la mattina in cui bisognava tenere l'incontro, e gli avrei dato una risposta definitiva. La notte non riuscii a dormire, mi rigiravo tormentato dalla paura e dai dubbi, ma quando Bobby chiamo' come gli avevo chiesto di fare, gli dissi che sarei andato con lui. Sono passati quasi quarant'anni, ma ricordo ancora perfettamente ogni dettaglio dell'episodio. Il mio ingresso in carrozzella, Bobby gia' seduto al palco con un insegnante, la mia testa che si gira a guardare gli studenti, cosi' simili a cio' che anch'io ero stato, giovani e innocenti, fiduciosi e pronti a credere senza fare domande. Bobby parlo' per primo, e pochi minuti dopo io presi lentamente il microfono, e con una voce che ricordo leggermente ansiosa cominciai a raccontare. Dapprima dell'ospedale, del sovraffollamento e dei topi, e quando cominciavo a spiegare come ero stato ferito in Vietnam suono' l'allarme della scuola. Ci fu un fuggi fuggi generale, e uno degli insegnanti ci spiego' che qualcuno aveva telefonato dicendo che c'era una bomba nella scuola. Mi sentivo spaventato, arrabbiato e oltraggiato, allo stesso tempo. Chi poteva volere che io non parlassi? Uno studente, un insegnante, un genitore, e perche'? Non lo avrei mai saputo, pero' ora sapevo che qualcuno, quel mattino, aveva fatto uno sforzo per mettermi a tacere. Questo mi colpi' profondamente. Dopo una breve discussione, l'incontro continuo' nel campo da football, dove terminai il mio discorso, ormai fermamente deciso a non lasciarmi zittire mai piu'. * Poi ci fu la mia prima dimostrazione a Washington, con i Veterani dei Vietnam contro la guerra, e poi arresti, telefono sotto controllo, mesi e anni di discorsi in pubblico, mentre continuavo a scoprire che l'America era ben differente dall'immagine in cui avevo creduto da ragazzo. Ci furono processi, giorni e notti in galera sulla mia carrozzella, mentre mi sentivo molto piu' un criminale che qualcuno che aveva rischiato la vita per il proprio paese, e pero' non smisi di parlare. Forse era il senso di colpa del sopravvissuto, o il mio disperato bisogno di essere perdonato e di tenere altri lontano dalla possibilita' di fare cio' che io avevo fatto, ma mentre sedevo in mezzo alle folle di dimostranti il mio cuore si apriva come non si era mai aperto prima, e condividevo tutto, gli orrori e gli incubi, tutte le cose che avevo tenuto sepolte dentro di me, e che avevo avuto terrore di portare alla luce. Si puo' dire che in un certo senso io stessi confessando i miei peccati all'America. Molte notte, ritornando da questi incontri e dimostrazioni al mio appartamento, ero comunque turbato, perche' sapevo che con il sonno sarebbe tornato il Vietnam, e io sarei stato di nuovo la', e dopo poche ore di sonno mi sarei svegliato con il cuore che batteva all'impazzata, sentendomi terribilmente solo e chiedendomi il perche' di tanto dolore e della mia agonia. * Solo pochi anni prima avevo ascoltato, con le lacrime agli occhi, il presidente John F. Kennedy, chiamare la mia generazione una "nuova frontiera", e chiedere a tutti noi di essere pronti a sopportare ogni durezza per far vivere la liberta'. Quelle parole mi inseguono ancora oggi. Da qualche parte, lungo la strada, abbiamo preso la curva sbagliata, lasciandoci alle spalle i nostri ideali e tradendo le radici stesse del nostro rivoluzionario passato. Invece dei "campioni della liberta'", abbiamo fatto emergere impostori, corrotti, bugiardi, e una mostruosita' spaventosa. Ci siamo posti dal lato sbagliato della storia. Il paese che difendeva la liberta' e' diventato un tiranno, un bullo arrogante, un crudele sfruttatore. Indossando la falsa maschera di liberatori, promettendo democrazia, abbiamo rubato e stuprato, pervertito e calunniato, sostenendo i piu' detestabili tiranni e despoti pur di espandere il nostro sanguinario impero, causando morte e sofferenza ad innumerevoli esseri umani. * Quando la guerra in Vietnam fini', nel 1975, con il suo termine rinacque la speranza di cambiamento per l'America. Tragicamente, questa speranza non si e' avverata, ed il sogno di un'America piu' pacifica e nonviolenta e' stato impedito da un governo che continua a rifiutare la realta' dei terribili crimini che ha commesso in nome nostro. Per i tre anni e mezzo appena trascorsi io ho guardato con orrore l'immagine allo specchio di un altro Vietnam comporsi in Iraq. Oltre 2.700 statunitensi sono morti, circa 20.000 i feriti, decine e decine di migliaia gli innocenti civili iracheni uccisi, e molti di essi erano bambini, e donne. Rifiutandosi di imparare dalla lezione del Vietnam, il nostro governo continua a distorcere, manipolare e negare, facendo di tutto pur di nascondere al popolo americano le sue vere intenzioni. La "guerra al terrorismo", purtroppo, e' diventata una "guerra di terrore". Questo governo non si e' mai chiesto quanto le sue oltraggiose provocazioni e le sue aggressioni violente abbiamo messo in pericolo i cittadini di questo paese. Mai prima d'ora, in 230 anni passati dalla nostra rivoluzione, le nostre vite e i nostri diritti sono stati cosi' seriamente minacciati. Un'era di arroganza, brutalita' e violenza pare tornata dal passato a tormentarci. L'11 settembre e' accaduto. La maschera e' stata strappata. Le menzogne sono state messe a nudo e nudo e' il nostro criminale governo di fronte al mondo intero. * Le mie sono parole dure, e la verita' puo' provocare disagio, ma quando avra' fine questo silenzio? Quando ci decideremo ad ammettere che l'assassino vive in casa nostra, e che chi doveva proteggere la nostra vita e la nostra liberta' le sta invece continuamente ferendo con azioni immorali ed ingiuste? Siamo diventati cosi' compiacenti, e il nostro governo ci ha intimiditi al punto tale che non ricordiamo piu' il diritto al dissenso che abbiamo come diritto di nascita? L'11 settembre ci ha raggelati al punto che daremo via liberta' e diritti per la promessa di una sicurezza che non esiste, fornita da un governo che ci minaccia? Quanto ci vorra', prima che noi finalmente si comprenda la verita' di questa crisi? Quanti altri attacchi terroristici, guerre prive di senso, bare avvolte nella bandiera, madri disperate, e figli paraplegici o mutilati o impazziti ci vogliono, prima che il silenzio di questa notte vergognosa venga spezzato? Apriamo i nostri cuori, e parliamo in quel modo in cui non abbiamo mai parlato prima, sapendo che la nostra stessa esistenza dipende da cio', e che ad essere in gioco e' la stessa sopravvivenza della nostra nazione. Non permettiamo al silenzio di defraudarci del nostro destino. 2. ET COETERA Ron Kovic, veterano del Vietnam da cui torno' paralizzato, e' uno dei piu' noti attivisti contro la guerra; sulla sua vicenda e' basato il film "Nato il 4 di luglio" di Oliver Stone. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 44 del 17 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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