La nonviolenza e' in cammino. 1446



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1446 del 12 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Afghanistan
2. Da Russell a noi
3. Marina Forti: Proliferazione nucleare
4. Cindy Sheehan: Io lo so
5. Il 14 ottobre a Roma per opporsi alla violenza contro le donne
6. Domenico Gallo: Abolire l'ergastolo
7. Enrico Peyretti: Una riflessione, da credente
8. Omero Dellistorti: Laiche due considerazioni
9. Alessandro Portelli: Bruce Springsteen, il rock come liberazione e come
storia
10. Letture: Giovanna Providenti (a cura di), La nonviolenza delle donne
11. Ristampe: Giovanni Boccaccio, Decameron
12. Riedizioni: Carl Menger, Principi di economia politica
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. AFGHANISTAN

Sia la guerra afgana la nostra spina nella carne.
Non passi ora senza che ci dolga, non passi giorno senza che noi ci si dica:
cosa ho fatto oggi per far cessare la partecipazione italiana alla guerra?
Cosa ho fatto oggi contro quelle stragi e quel terrorismo di cui anche il
mio paese e' corresponsabile? Cosa ho fatto oggi perche' la guerra cessi,
perche' le vittime siano soccorse, perche' si salvino delle vite umane?
E cosa ho fatto oggi perche' governo e parlamento cessino di violare la
Costituzione e di far morire degli esseri umani?
E cosa ho fatto oggi perche' prevalga la scelta della nonviolenza e siano
ripudiati ad un tempo tutte le guerre, tutte le uccisioni, tutti gli
eserciti, tutte le armi?
Sia la guerra afgana la nostra spina nella carne.

2. RIFLESSIONE. DA RUSSELL A NOI

Talvolta le cose da lontano si vedono meglio che da vicino, e cosi' la
vicenda coreana fa cogliere a molti cose che tutti gia' sapevamo, che
avevamo proprio sotto gli occhi, ma che molti preferivano non vedere.
Due cose sono essenziali per uscire dalle chiacchiere e dai sospiri che, si
sa, nulla rilevano.
La prima: il disarmo. Non basta pontificare che la guerra e' un male,
occorre disarmare e smilitarizzare.
La seconda: opporsi tanto al nucleare militare quanto a quello civile; se
non ci si oppone anche al nucleare civile non c'e' alcuna possibilita' di
fermare il nucleare militare.

3. MATERIALI. MARINA FORTI: PROLIFERAZIONE NUCLEARE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 ottobre 2006. Marina Forti,
giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei
diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il
quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia
globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per
sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di
Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel
Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004]

Il test nucleare annunciato da Pyongyang potrebbe cambiare le coordinate
della politica asiatica. Ancor prima, rivela quanto sia illusorio (e
ipocrita) l'intero sistema della "non proliferazione nucleare".
Se il test di ieri mattina sara' confermato [come di fatto e' stato
confermato - ndr], la Corea del Nord diventa il nono paese nuclearizzato al
mondo e il quarto al di fuori del Trattato di Non Proliferazione, dopo India
e Pakistan (che si sono "dichiarate" con i test del 1998) e Israele, che non
ha mai confermato di avere testate atomiche ma su cui non ci sono dubbi.
Il Tnp e gli altri trattati della non proliferazione nascono dal dibattito
internazionale sul disarmo cominciato negli anni '50, quando la memoria
delle atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945) era ancora
viva, c'era la guerra fredda e l'opinione pubblica mondiale si allarmava per
la corsa agli armamenti e i fall-out nucleari. I test allora si facevano
nell'atmosfera: oltre 50 esplosioni solo tra il '45 e il '53 . Dopo gli
Stati Uniti, avevano cominciato a costruire atomiche la Russia (la prima nel
'49), la Gran Bretagna ('53), infine Francia e Cina ('64): le potenze
vincitrici dalla seconda guerra mondiale, membri permanenti del Consiglio di
sicurezza dell'Onu. Alcune grandi nazioni del terzo mondo denunciavano la
corsa agli armamenti: se n'era fatto portavoce il primo ministro indiano
Nehru, che nel 1954 ha chiesto all'Assemblea generale dell'Onu
l'eliminazione di tutti i test ed esplosioni (altra epoca: l'anno dopo Nehru
sara', insieme all'indonesiano Sukarno, l'egiziano Nasser e lo jugoslavo
Tito, tra i promotori del movimento dei non-allineati).
Il primo risultato e' arrivato solo nel '63, assai limitato: il Trattato per
il bando parziale dei test nucleari vietava esplosioni nell'atmosfera,
sottomarine e nello spazio. Non fu firmato da Francia e Cina, ancora in
piena fase di sperimentazione. Il passo successivo e' stato il Trattato di
non proliferazione, aperto alle firme nel 1968 ed entrato in vigore nel '70.
Il Tnp (ratificato oggi da 188 paesi) riconosce 5 potenze nucleari legali,
quelle che allora possedevano armi atomiche (sempre quelle citate) e si e'
dato uno strumento di controllo (l'Agenzia internazionale per l'energia
atomica con sede a Vienna). Il Tnp non e' mai stato firmato dall'India (che
dopo i test nucleari cinesi aveva abbandonato la linea nehruviana), ne' da
Pakistan e Israele.
Solo molto piu' tardi e' arrivato il Trattato di messa al bando completa dei
test nucleari, Ctbt, che vieta ogni esplosione anche sotterranea: negoziato
tra il 1993 e il '96, e' stato firmato da 71 stati tra cui le 5 potenze
nucleari ufficiali. Non e' mai entrato in vigore, pero', perche' mancano
alcune ratifiche indispensabili: tra le altre quelle di Usa, Cina, India,
Pakistan, Israele e Corea del nord - tutti nuclearizzati. Il definitivo
fallimento del Ctbt e' stato sancito nel 2000 quando il senato degli Stati
Uniti ha negato la ratifica chiesta dall'amministrazione Clinton (dal '92
Washington osserva una moratoria volontaria: gli Usa ammodernano ormai i
loro arsenali con test subcritici, che non richiedono esplosione). Altri
paesi hanno avuto cosi' l'alibi morale ad archiviare la pratica, a
cominciare da India e Pakistan (che avevano firmato il Ctbt dopo i
rispettivi test).
Se il Ctbt e' insabbiato, il bilancio del Trattato di non proliferazione e'
piu' controverso. Riconosce 5 stati nucleari e oggi ne abbiamo 9: dunque ha
fallito. D'altra parte pero' nessuno stato non-nucleare aderente al Tnp ha
costruito armi atomiche mentre era soggetto al regime di ispezioni previsto:
la Corea del Nord e' uscita dal Tnp e sospeso ogni ispezione nel 2003;
l'Iran aderisce al Tnp e accetta le ispezioni conseguenti, e finora l'Aiea
non ha dimostrare che conduca attivita' illecite. In questo senso, il Tnp
funziona.
Il Trattato pero' e' basato su tre "pilastri": la non proliferazione, il
disarmo, e il diritto all'uso pacifico dell'energia nucleare. Con il Tnp le
potenze nucleari si impegnano a non passare tecnologia atomica ad altri (la
Cina pero' ha passato know-how almeno al Pakistan). Si impegnavano anche a
liquidare i loro arsenali atomici, e questo non e' avvenuto: le numerose
proposte discusse dalle Conferenze per il Disarmo negli ultimi trent'anni
sono naufragate, nel 2002 Washington si e' ritirata dal Trattato Abm e oggi
la parola "disarmo" suona naif. Quanto all'uso pacifico dell'energia
atomica, in teoria include il diritto a fabbricare il combustibile, cioe'
uranio arricchito. Ma questo implica tecnologie "a doppio uso", che possono
scivolare verso usi bellici: Mohammed el Baradei, direttore dell'Aiea, stima
che una quarantina di paesi potrebbero, volendo, passare a programmi di
armamenti. Cosi' finisce che il diritto di cui sopra sara' riconosciuto ai
"buoni": gli stati che non pretendono di fare da soli, comprano il
combustibile dalle nazioni nucleari ufficiali, e comunque sono nella sfera
d'influenza di una potenza occidentale.

4. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: IO LO SO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il
successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in
cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli
per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e
alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One
Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

Mentre i Democratici saltellano di gioia per lo scandalo Foley, e i
Repubblicani si arrabattano in una mischia nel tentativo di coprire le loro
malefatte, venticinque dei nostri giovani figli sono stati uccisi in Iraq.
Mentre i Democratici sono assai indaffarati a contare quali uova non si sono
ancora schiuse e i Repubblicani hanno i crampi ai muscoli dati dal continuo
puntare il dito contro chiunque, tranne che contro loro stessi, il Congresso
e' stato molto occupato a cancellare dalla legge comune e dalla nostra
Costituzione il nostro secolare diritto all'"habeas corpus" (se qualcuno
pensa che questo abominio tocchera' solo i "terroristi", vorrei chiedergli:
"Come si vive nel paese delle fate?").
Il vero scandalo in questi giorni e' l'Iraq. La sospensione dell'"habeas
corpus". Le bugie e le coperture delle bugie che hanno condotto 2.738 nostri
giovani a tornare a casa da 2.738 famiglie in un feretro avvolto nella
bandiera.
Una storia importante e potenzialmente assai dannosa, come il Congresso che
una volta di piu' vota per consolidare il potere dell'esecutivo, dando a
Bush e compagnia l'opportunita' di metterci in galera senza processo, non e'
portata all'attenzione pubblica dai media.
Penso che anch'io potrei saltare di gioia per qualcosa che abbatta il
partito delle corporazioni e degli ipocriti, ma mi sento ferita, ferita
dall'intero Congresso. Noi, la gente comune, ci sentiamo violati da questo
Congresso e da questa amministrazione fuori controllo, sapendo che il
Congresso ha passato gli ultimi sei anni ad invalidare se stesso: potrebbe
essere molto difficile riguadagnare quello che e' andato perduto. Per quanto
riguarda George Bush, lui si e' gia' assolto dai crimini contro l'umanita'
che ha commesso assieme agli amici neoconservatori.
*
Ho letto un articolo su una madre il cui figlio avrebbe dovuto tornare
dall'Iraq nel prossimo dicembre. Si tratta di uno dei soldati uccisi questo
mese. La povera madre era a casa quando il campanello e' suonato, e ha detto
che immediatamente ha capito chi era alla porta e perche'. Io lo so bene,
l'avevo capito anch'io. La donna ha cominciato ad urlare. Disgraziatamente,
anch'io ero a casa, e anch'io ho fatto la stessa cosa. Io so cosa questa
madre ha passato, sin da quando suo figlio e' stato inviato in Iraq.
Molte notti non ha dormito, ha avuto attacchi di panico e scoppi
"inspiegabili" di pianto. Ha aspettato, sperando di non ricevere un altro
colpo, peggiore di quello della partenza del figlio. Ha cominciato a
rilassarsi un po' sapendo che per Natale il ragazzo sarebbe finalmente
tornato. Sapeva che ci sarebbero state difficolta' con lui, e stranezze in
lui, ma sperava di rimetterlo in sesto con il suo amore, buon cibo,
pazienza. Ma il secondo colpo e' arrivato, ed ora la sua vita e' cambiata,
per sempre. Non vedeva l'ora di festeggiare il ritorno del figlio. Ora,
tutto quello a cui puo' guardare e' una vita di sofferenza e nostalgia.
Venticinque famiglie questo mese. Duemila da quando Casey e' stato ucciso.
Duemilaseicento da quando Bush ha dichiarato "Missione compiuta" il primo
maggio 2003. Tremila famiglie irachene vengono devastate dagli americani
ogni mese. Quando finira' tutto questo?
Vorrei poter dire che ho fiducia nel nostro processo elettorale e nel
Congresso, ma non ne ho. Ingenuamente, sto sperando che i Democratici
vincano, e che Bush e la sua famiglia del crimine vengano portati in
giudizio, ma visto che negli ultimi sei anni i Democratici per noi non hanno
fatto nulla, non sto trattenendo il fiato.
*
Amica, amico che leggi, tocca a noi (a me e a te) portare il cambiamento in
questo paese. Dal movimento antischiavista a quello per i diritti civili,
passando per ogni buon movimento che c'e' stato fra i due, siamo stati noi,
la gente, a chiedere dei cambiamenti, e non abbiamo avuto requie sino a che
non li abbiamo ottenuti.
Io sono stanca di essere coperta di fango dal nostro governo: quand'e' che
voi ne avrete abbastanza? Il nostro governo non ha intenzione di ripulire la
sua lordura: dobbiamo farlo noi.
"Gold Star Families for Peace" sta pianificando un raduno alla Casa Bianca
nel giorno delle elezioni e in quello successivo. Speriamo che si saranno
abbastanza americani desiderosi di dimostrare a Bush e compagnia che siamo
stanchi di vederci sottrarre i nostri diritti ancor piu' velocemente di
quanto le nostre bombe abbiano distrutto Babilonia.
Siamo stanchi di vedere i nostri figli morire e uccidere innocenti per
aumentare i profitti delle corporazioni economiche. Siamo stanchi di vederci
strappato e strappato e strappato ogni brandello di cio' a cui teniamo.
Io ho sottratto il mio consenso ad essere governata da pazzi molto tempo fa.
Oggi sottraggo il mio consenso ad essere trascinata senza processo a
Guantanamo per aver dissentito "matriotticamente" da questo regime
criminale.
Siete nauseati e sfiniti dalla nausea e dallo sfinimento che la corruzione e
il dolore vi impongono? Venite a mostrare il vostro dissenso con noi. Non
abbiamo piu' partecipato ad una guerra dichiarata secondo Costituzione sin
dalla seconda guerra mondiale, ulteriore prova che il Congresso non detiene
piu' le sue prerogative. George Bush e' di fatto il dittatore che ha sempre
desiderato essere, e di questo dobbiamo ringraziare i nostri rappresentanti
eletti, gente che avevamo eletto affinche' proteggesse i nostri diritti, non
perche' li regalasse a qualcuno che ha da lungo tempo provato di essere un
irresponsabile.

5. INCONTRI. IL 14 OTTOBRE A ROMA PER OPPORSI ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. L'appello cui
in questo testo si fa riferimento e' stato pubblicato anche nel n. 1423 del
nostro foglio. Per adesioni, informazioni e contatti:
appellouomini at libero.it]

Contro la violenza alle donne: a Roma un incontro nazionale promosso da
uomini.
Cosa cambia se la questione della violenza alle donne viene interrogata come
violenza maschile? Se si sposta lo sguardo dalle vittime agli autori? E'
questa la domanda da cui sono partiti alcuni uomini che hanno deciso di
prendere parola contro la violenza e di darsi appuntamento a Roma per
confrontarsi e lanciare assieme una serie di iniziative concrete.
L'incontro nazionale si terra' nella giornata di sabato 14 ottobre presso il
Teatro Due (vicolo Due Macelli 37): si aprira' alle ore 11 con dei lavori di
gruppo mentre alle 14,30 si terra' l'assemblea pubblica plenaria.
L'iniziativa e' stata presa da uomini impegnati nella riflessione sul
maschile e sui rapporti tra uomini e donne, che qualche settimana fa hanno
promosso un appello intitolato "La violenza contro le donne ci riguarda:
prendiamo parola come uomini".
"L'appello - spiegano i promotori - e' il risultato di una pratica di scambi
tra uomini e donne e di appuntamenti di confronto moltiplicatisi sempre piu'
negli ultimi anni in diverse citta' italiane, segno di un lento ma
significativo cambiamento di coscienza".
L'appello, pubblicato da diverse testate giornalistiche locali e nazionali e
quindi rilanciato via radio e via internet, ha oramai ottenuto oltre
quattrocento adesioni da diversi gruppi e associazioni, ma anche da
professori e insegnanti, politici, sindacalisti, giornalisti, artisti,
psicologi, medici, o semplici cittadini uniti dalla volonta' comune di
dichiarare la propria contrarieta' alla violenza e dalla disponibilita' a
interrogarsi come uomini sulle radici di questo inaccettabile fenomeno
sociale.
All'appello hanno aderito fra gli altri professori universitari quali
Giuseppe Cotturri, Angelo D'Orsi, Ivano Spano, Alessandro Portelli, Osvaldo
Pieroni, politici quale Piero Fassino e Franco Giordano, giornalisti quali
Gad Lerner, Alberto Leiss, intellettuali quali Aldo Tortorella e Goffredo
Fofi, psicoanalisti come Luigi Zoja, scrittori come Nanni Balestrini.
"Non c'e' alcuna intenzione di criminalizzare genericamente l'intero genere
maschile",  sottolineano ancora i promotori, "non si puo' tuttavia fare a
meno di interrogarsi criticamente sul radicamento e l'ampiezza delle
pratiche di violenza maschile, dallo sfruttamento sessuale, agli stupri,
agli omicidi di donne. Questa piaga sociale ci obbliga a interrogarci in
prima persona e a ripensare criticamente la cultura e la mentalita' maschile
e anche la concezione dei rapporti tra i sessi che segnano la nostra
societa'. Tale problema non puo' essere risolto semplicemente con misure
repressive o d'emergenza o trattando queste violenze come fenomeni di
marginalita' sociale o di follia. E' a un cambiamento di civilta' tra uomini
e donne, cio' a cui siamo chiamati. Non e' solo una lotta contro la violenza
e la prevaricazione, ma uno sforzo positivo per aprire spazi di liberta' e
di riconoscimento per tutti, per le donne e per gli stessi uomini".
L'iniziativa ha suscitato molto interesse tra uomini e donne che a centinaia
hanno scritto dando la propria convinta adesione ma anche proponendo spunti
di riflessione o contributi alla discussione. Ora gli organizzatori si
aspettano con l'assemblea romana di costruire uno spazio pubblico di
confronto e di rilanciare nuove iniziative.
L'appello e' disponibile sul sito: www.donnealtri.it
Si puo' aderire scrivendo una e-mail ad: appellouomini at libero.it
Per informazioni: 3385243829, 3477999900

6. RIFLESSIONE. DOMENICO GALLO: ABOLIRE L'ERGASTOLO
[Dal quotidiano "Liberazione" del 10 ottobre 2006. Domenico Gallo (per
contatti: domenico.gallo at tiscali.it), illustre giurista, e' nato ad Avellino
nel 1952, magistrato ed acuto saggista, gia' parlamentare, tra gli animatore
dell'Associazione nazionale giuristi democratici; tra i suoi scritti
segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di
resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985;
Millenovecentonovantacinque, Edizioni Associate, Roma 1999; (a cura di, con
Corrado Veneziano), Se dici guerra umanitaria. Guerra e informazione. Guerra
all'informazione, Besa, 2005; (a cura di, con Franco Ippolito), Salviamo la
Costituzione, Chimienti, Taranto 2006. Vari suoi scritti sono disponibili
nel sito www.domenicogallo.it]

Con il nuovo clima politico istauratosi con la vittoria politica del
centro-sinistra alle ultime elezioni, e grazie ai lavori della commissione
per la riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia e' divenuto
attuale un progetto perseguito in piu' legislature, ma mai portato a
termine: l'abolizione dell'ergastolo. Questo progetto e' stato piu' volte
fermato dalle gravi emergenze che hanno funestato la nostra vita pubblica ed
e' stato persino bloccato attraverso un referendum, improvvidamente proposto
e svoltosi nel 1981 in piena stagione terroristica. Per evitare che il
dibattito su una scelta di ordinamento penale che ha un cosi' grande valore
simbolico (e quindi politico) si areni nelle secche della banalita' occorre
comprendere le ragioni profonde che sono alla radice dell'esigenza di
cancellare dal nostro ordinamento la pena perpetua. Al riguardo occorre
tenere presente che l'ergastolo non e' una pena assimilabile alla
reclusione, ma e' una pena da essa qualitativamente diversa, assai piu'
assimilabile alla pena di morte che non a quella della privazione temporanea
della liberta' personale.
La ragione profonda per la sua abolizione risiede nei principi supremi della
Costituzione. Se l'ergastolo verra' abolito cio' avverra' perche' sara'
messo a frutto uno dei doni piu' preziosi del nostro ordinamento
costituzionale: il principio personalista.
Si e' molto dibattuto in dottrina e nella giurisprudenza ordinaria e
costituzionale dei significati e del valore profondo di quel precetto
costituzionale contenuto nel terzo comma dell'art. 27 della Costituzione,
che recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso
di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Se la Corte costituzionale, con la sentenza n. 264 del 22 novembre 1974, con
la quale ha respinto la questione di incostituzionalita' dell'ergastolo, si
e' arrampicata sugli specchi di una tormentata concezione polifunzionale
della pena, essa, tuttavia, non e' sfuggita al paradosso (lucidamente
segnalato da Luigi Ferrajoli) di una pena perpetua dichiarata
costituzionalmente legittima nella misura in cui e', in realta', non
perpetua (poiche' l'ergastolano puo' essere ammesso al beneficio delle
liberta' condizionale).
*
Il dibattito sull'abolizione dell'ergastolo, tuttavia, non puo' fermarsi al
principio rieducativo della pena, se non si comprende la ragione per cui
quel principio e' stato posto. In realta' esso rappresenta un mero
corollario di un principio piu' alto, il principio personalista, che informa
di se' tutto l'edificio costituzionale ed ha trovato compiuta espressione
soprattutto negli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Alla radice di questo principio c'e' il famoso ordine del giorno Dossetti (9
settembre 1946) presentato nei primi giorni di attivita' della Prima
Sottocommissione.
"La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di
una dichiarazione dei diritti dell'uomo; esclusa quella che si ispiri a una
visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri a una
visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l'attribuzione dei
diritti dei singoli e delle comunita' fondamentali; ritiene che la sola
impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto
dell'Italia democratica deve soddisfare, e' quella che: a) riconosca la
precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei
suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali)
rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella; b)
riconosca ad un tempo la necessaria socialita' di tutte le persone, le quali
sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda, mediante una
reciproca solidarieta' economica e spirituale: anzitutto in varie comunita'
intermedie disposte secondo una naturale gradualita' (comunita' familiari,
territoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi per tutto cio' in
cui quelle comunita' non bastino, nello Stato; c) che percio' affermi
l'esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti
delle comunita' anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato".
Sulla base di questo ordine del giorno e' stato elaborato l'articolo 2 della
Costituzione, la cui formula: "La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalita'" significa che la persona umana,
nella sua concreta individualita' sociale, e' un valore storico-naturale, un
valore originario, che l'ordinamento deve riconoscere e rispettare in ogni
circostanza. Per questo i suoi diritti fondamentali sono "inviolabili", non
possono essere cancellati o manomessi dall'ordinamento, neppure con il
procedimento di revisione costituzionale, ne' possono essere sacrificati
sull'altare della ragione di Stato o per fini generali di politica
criminale.
L'ergastolo, in quanto pena "eliminativa", e' in contraddizione con l'idea
stessa della persona come fine, e quindi con l'essenza del principio
personalista, radice profonda, gloria e vanto del nostro ordinamento
costituzionale.

7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UNA RIFLESSIONE, DA CREDENTE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con
altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio",
che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi
"Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi
per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della
rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Quando la morte e' piu' buona della vita.
E, magari, aggiungiamo il punto interrogativo.
La vita e' davvero un dono di Dio. Ma non un dono ricattatorio: "devi
tenerti la vita che ti viene!".
In tutti i suoi aspetti, la vita che riceviamo e' affidata alla nostra
responsabilita', che vuol dire migliorarla (talenti da coltivare) e
risponderne: vivere per gli altri, per lo sviluppo di umanita'.
Chi crede in Dio si riconsegna, morendo, nelle sue mani. E deve preferire la
morte al tradimento della vita, della verita', dell'altro: solo cosi'
testimonia (martire vuol dire testimone, non vittima) il valore del dono
ricevuto. Con quella morte testimonia il valore della vita, che dunque non
e' da conservare sempre e comunque. Gesu' in croce ne e' il massimo segno.
In quel caso, la morte e' vita.
E deve, il credente, anche preferire morire piuttosto che uccidere. Molti
hanno saputo vivere questa "eu-tanasia", la morte buona, che svuota guerra e
violenza, e costruisce pace. C'e' dunque una morte che afferma il valore
della vita.
Di contro, chi preferisce l'uccidere al morire pecca di accanimento
terapeutico, a spese del fratello. La morte di questi e' la sua feroce
medicina: mors tua, vita mea.
Dica pure la chiesa che mille e altre mille devono essere le cautele davanti
al mistero del dono ricevuto. Ma dica anche, una buona volta,
definitivamente, che difendere la propria vita con la morte altrui non e'
rispetto del dono ricevuto. Anche lui ha ricevuto il dono che tu distruggi.
Ma come mai l'uccisione di altri - soprattutto per motivi pubblici: pena di
morte, guerra, dominio - ha trovato nella storia cristiana tante
giustificazioni, scuse, persino esaltazioni, di piu' che l'uccisione di se
stessi? E' sorprendente. Solo oggi il suicida, fino a ieri maledetto, trova
misericordia e ha funerale religioso.
La chiesa dica tutta intera la buona norma, poi ognuno cammina fin dove
puo'. La misericordia trionfa sul giudizio.
L'accanimento terapeutico, invece, tiene con zanne serrate il dono che
chiede di   essere speso, oppure di tornare, coi frutti che ha potuto dare,
e  con l'invocazione della sua poverta', nel cuore della piena vita
universale, che tanta parte dell'umanita' chiama Dio.
Tutta la difficolta' - lo capiamo tutti - e' nel valutare il caso concreto,
dal punto di vista oggettivo e soggettivo. Si studino criteri e regole, le
migliori possibili, che una scienza umana potra' aiutare sempre meglio, per
risolvere questa difficolta'. E infine, il dono e' tutto affidato alla
nostra responsabilita', che e' l'unica gratitudine.

8. RIFLESSIONE. OMERO DELLISTORTI: LAICHE DUE CONSIDERAZIONI

La prima: mi e' sempre sembrata nel vero quella considerazione che risale a
Socrate secondo la quale e' preferibile subire il male che compierlo.
Mi e' sempre sembrata falsa ogni visione sacrificale della vita, sia che
fosse riferita ad altri che a se stessi: non solo, sovente chi e'
disponibile a sacrificare se stesso diventa disponibile altresi' a che altri
siano sacrificati. Ed invece io tengo per certo che il primo dovere di tutti
sia rispettare il diritto di tutti a non essere uccisi: solo stipulando
questo comune patto si fonda su basi concrete e razionali la convivenza, la
convivenza civile.
Dal modesto mio punto di vista - chi legge l'intende - la critica girardiana
delle ideologie vittimarie si estende anche al cristianesimo, e ad altre
tradizioni anche non religiose.
*
La seconda: come vi e' un inalienabile diritto di tutti gli esseri umani -
in quanto esseri umani - a non essere uccisi, analogamente vi e' un
altrettanto inalienabile diritto di tutti gli esseri umani ad
autodeterminare (entro limiti e secondo regole di liberta', razionalita',
consapevolezza e responsabilita', e stante il comune dovere di solidarieta')
la propria vita, fino a quel suo estremo protendersi e limite che e' il
morire. E la tradizione lunga e sapiente depositata nelle tante forme
dell'"ars moriendi" ne e' buona conferma.
E vi e' un eguale diritto di tutti gli esseri umani alla dignita', e
pertanto finanche - in condizioni estreme e dopo aver esperito ogni altra
via (e fermo restando l'obbligo assoluto delle altre persone per quanto in
loro potere di recare aiuto per salvare le vite, lenire il dolore,
contrastare l'oppressione e l'annichilimento) - al rifiutare una vita di
sofferenze sentite come non piu' tollerabili.
Dal modesto mio punto di vista togliersi la vita non e' sempre inammissibile
(fermo restando che sempre le altre persone hanno l'obbligo di cercar di
salvare la vita altrui).
Ma beninteso altro e' togliere a se stessi la vita, altro e' toglierla
altrui. Qui la mia etica laica - del limite e della cura, della
responsabilita' - si arresta in timore e tremore, ferma nella massima "tu
non uccidere" (massima, appunto, nel senso kantiano). Senza nascondersi il
dramma, ma senza sentirsi di poter avallare pratiche che sente e sa essere
concretamente ineludibilmente confliggenti con quel fondante principio.
Ho letto anch'io migliaia di pagine di riflessione bioetica sulla cosiddetta
eutanasia (termine inquietante, che dovrebbe designare non la buona morte,
poiche' la morte non e' buona, ma il ben morire, che e' altra cosa), e le
mie perplessita' non sono diminuite, ma aumentate: sento qui un'hybris che
m'interroga e m'inquieta, e sento che solo nel principio "tu non uccidere"
mi pare di cogliere un criterio regolativo essenziale.
Temo tutti gli apprendisti stregoni, e temo tutti i benintenzionati
assassini. "Tu non uccidere", sempre mi ripeto, scilicet: tu contrasta tutte
le uccisioni.
*
In questo breve tempo che e' la nostra vita, cerchiamo di salvare le vite,
cerchiamo di assistere i sofferenti, cerchiamo di dare amore e di
riconoscere dignita' ad ogni essere umano. Questo penso, questo credo.

9. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: BRUCE SPRINGSTEEN, IL ROCK COME
LIBERAZIONE E COME STORIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 ottobre 2006.
Alessandro Portelli (per contatti: alessandro.portelli at uniroma1.it),
studioso della cultura americana e della cultura popolare, docente
universitario, saggista, storico, militante della sinistra critica, per la
pace e i diritti. Dal sito alessandroportelli.blogspot.com riprendiamo la
seguente scheda autobiografica: "Sono nato a Roma nel 1942. Di mestiere,
insegno letteratura americana alla Facolta' di scienze umanistiche
dell'Universita' 'La Sapienza' di Roma. Ho svolto l'incarico di consigliere
delegato del sindaco di Roma per la tutela e la valorizzazione delle memorie
storiche della citta'; ho fondato e presiedo il Circolo Gianni Bosio per la
conoscenza critica e la presenza alternativa delle culture popolari; faccio
parte del consiglio direttivo dell'Irsifar (Istituto Romano per la Storia
d'Italia dal Fascismo alla Resistenza) e ho la tessera dell'Anpi. Collaboro
al 'Manifesto' fin dal 1972, e ho scritto spesso anche su 'Liberazione' e
'l'Unita''. Ho studiato, insegnato e diffuso la cultura dell'America a cui
vogliamo bene - quella di Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob Dylan, Bruce
Springsteen, di Malcolm X, Martin Luther King, Cindy Sheehan, Mark Twain,
Don DeLillo, Spike Lee, Woody Allen. Ho raccolto le canzoni popolari e
politiche e la memoria storica orale di Roma e del Lazio, collaborando con
il Canzoniere del Lazio, Giovanna Marini, Sara Modigliani, Piero Brega,
Ascanio Celestini. Ho conosciuto i partigiani e le partigiane di Roma e i
familiari degli uccisi delle Fosse Ardeatine, e dai loro racconti ho messo
insieme la loro storia. Ho ascoltato i racconti delle borgate e dei
quartieri popolari, dalle occupazioni delle case degli anni '70 alla storia
orale di Centocelle. Ho cercato di non limitarmi a studiare e a scrivere, ma
anche di organizzare cultura: mettere in piedi strutture (dal Circolo Bosio
alla Casa della Memoria); fondare e far vivere riviste; condividere con gli
altri, attraverso dischi e libri, quello che ho imparato; coinvolgere
persone piu' giovani e aprirgli spazi; organizzare eventi, concerti,
incontri. Ho accompagnato gli studenti romani ad Auschwitz, ho girato decine
di scuole per parlare della memoria, della democrazia, dell'antifascismo. E
ho voglia di continuare a farlo. Le mie passioni sono l'uguaglianza, la
liberta', l'insegnamento, la musica popolare, la memoria, ascoltare i
racconti delle persone, i libri e i film, e il rock and roll". Tra le opere
di Alessandro Portelli: Il re nascosto. Saggio su Washington Irving,
Bulzoni, Roma 1979; Taccuini americani, Manifestolibri, Roma 1991, 2000; Il
testo e la voce, Manifestolibri, Roma 1992; La linea del colore,
Manifestolibri, Roma 1994; L'aeroplano e le stelle, Manifestolibri, Roma
1995; Biografia di una citta', Einaudi, Torino 1997; (con Cesare Bermani e
Silverio Corvisieri), Guerra civile e Stato, Odradek, Roma 1998; L'ordine e'
gia' stato eseguito, Donzelli, Roma 1999; America, dopo, Donzelli, Roma
2003; Canzone politica e cultura popolare in America, DeriveApprodi, 2004;
Canoni americani, Donzelli, Roma 2004.
Bruce Springsteen e' giustamente una delle piu' note ed apprezzate figure
del rock, alcune sue canzoni sono autentici gioielli, ed affermazioni
sincere e combattive dell'umana dignita' degli esseri umani tutti. Dal sito
www.musicaememoria.com riprendiamo la seguente discografia sintetica: 1973
Greetings From Asbury Park, N.J.; 1973 The Wild, the Innocent & the E Street
Shuffle; 1975 Born to Run; 1978 Darkness on the Edge of Town; 1980 The
River; 1982 Nebraska; 1984 Born in the Usa; 1987 Tunnel of Love; 1992 Human
Touch; 1992 Lucky Town; 1992 Plugged: In Concert [live]; 1993 Lucky Town
[live]; 1993 In Concert/Mtv Plugged [live]; 1995 The Ghost of Tom Joad; 2001
Live in New York City; 2002 The Rising; 2006 We Shall Overcome / The Seeger
Sessions]

Prendiamo O Mary Don't You Weep, il classico spiritual che Bruce Springsteen
canta nel suo ultimo disco, We Shall Overcome. The Seeger Sessions. Comincia
cosi': "If I could, I surely would stand on the rock where Moses stood": se
potessi, vorrei salire anch'io sulla roccia dove sali' Mose'. E' un
riferimento alla storia dell'Esodo, tradizionale metafora di liberazione per
gli schiavi afroamericani e poi per il movimento dei diritti civili che
ritroviamo in tutto il repertorio dello spiritual e del gospel (il
ritornello dice: "Maria non piangere, l'esercito del Faraone e' annegato,
non piangere Maria").
Andiamo avanti, alla terza strofa. "One of these nights about twelve o'clock
this old world is gonna rock": una sera di queste, verso mezzanotte, il
vecchio mondo tremera'. E' un'altra profezia di un cambiamento traumatico,
rivoluzionario, che scuotera' il vecchio mondo e lo fara' tremare fin dalle
fondamenta.
Pero', in bocca a Bruce Springsteen, quella parola assume un altro
significato ancora: rock/roccia, rock/scuotersi, e, naturalmente e
inaspettatamente, rock/and roll (in molte varianti di O Mary don't you weep,
infatti si canta "this world is gonna reel and rock", oscillera' e
tremera'): una di queste sere, insomma, il vecchio mondo di scuotera' di
dosso la vecchiaia e ballera' il rock and roll e sara' libero.
*
Certo, i creatori afroamericani di questo canto nell'800 non avevano ancora
in mente il rock and roll, ma anche loro si scuotevano e tremavano nella
passione estatica e musicale del rito - e infatti il rock and roll viene
direttamente dalla loro cultura e dalla loro storia, dalle chiese
pentecostali ed evangeliche del profondo sud. Bruce Springsteen questo lo ha
capito perfettamente, e non e' un caso che gia' nel disco e concerto
newyorkese di qualche anno fa si fosse rivolto al pubblico con lo stile
oratorio dei grandi predicatori evangelici, annunciando un "battesimo rock
and roll, un bar mitzvah rock and roll", appropriando al rock and roll non
la teologia delle chiese popolari bianche e nere ma il fervore ed entusiasmo
di una ritualita' liberatoria, partecipata, e cantata.
Noi siamo abituati a pensare al rock and roll come a una rottura epocale, e
c'e' molta verita' in questo (specie nel nostro contesto culturale
italiano). Ma questa rottura si innesta anche su una continuita' profonda.
Dopo tutto, all'inizio della discografia di Elvis Presley stanno una "cover"
di un brano rhythm and blues (That's All Right Mama di Arthur Big Boy
Crudup) e una reinterpretazione di un classico bluegrass (Blue Moon of
Kentucky di Bill Monroe).
E allora, se risaliamo la corrente della storia musicale d'America, dal rock
and roll, passando per rhythm and blues e gospel, e per country e bluegrass,
risaliamo senza interruzioni fino all'Africa da una parte e alla Scozia e
all'Irlanda dall'altra. Nelle Seeger Sessions di Springsteen, anche per
questo, ritroviamo gli spiritual afroamericani, e una grande canzone
antimilitarista irlandese, Mrs. McGrath. Anche per questo, senza
elucubrazioni e fisime puristiche, tuttavia le versioni di queste canzoni
che ci offre Springsteen a me sembrano anche filologicamente giuste: non ha
fatto altro che prendere coscienza delle fonti stesse della propria voce.
Rock come liberazione, insomma, e rock come storia: una musica che scuote il
mondo, e una musica che ha dentro la memoria implicita di migrazioni,
guerre, schiavitu', liberazioni.
*
Certo, non e' questa la versione che ce ne ha fornito l'industria musicale,
attentissima a disinnescare ogni riferimento che non fosse puramente
adolescenziale e sentimentale. C'erano due grandi tabu' nella prima
generazione del rock and roll: il lavoro e la storia ("Don't know much about
history", cantava Chuck Berry, non so molto di storia; e Eddie Cochran
inveiva contro i lavoretti estivi che gli servivano per comprarsi la
benzina). Anche per questo, il rock and roll classico ha subito un'eclissi
negli anni dei movimenti, prima a favore del folk revival impegnato, poi -
dal Dylan elettrico e dai Beatles in poi - a favore di una musica che ha
lasciato cadere il "roll" e ha continuato a chiamarsi aggressivamente rock e
basta.
Ma, anche per la composizione sociale dei movimenti, questa eclissi ha
facilitato un ritorno del rock and roll al mondo blue-collar, del lavoro,
delle periferie. Bob Seger, per esempio, e' direttamente legato al mondo
industriale di Detroit. E Bruce Springsteen irrompe sulla scena con la
storia di un ragazzo che lavora in un garage, di un padre che si ammazza
entrando e uscendo dalla fabbrica; e trionfa, in The River, con la storia di
un operaio edile disoccupato. Per di piu', Bruce Springsteen si accorge
anche di un'altra cosa: gli adolescenti che hanno imparato piu' cose da tre
minuti di disco che da anni di scuola adesso sono diventati adulti ma non
hanno dimenticato da dove vengono. A decenni di distanza, anche il rock and
roll ha una storia: la voce di Roy Orbison che canta Only the Lonely (uno
dei primissimi dischi che mi sono comprato, correva l'anno 1960) serve a
collocare nel tempo un'altra visione di memoria, il momento in un cui
un'altra Mary esce sulla veranda per salire in macchina col vestito che
ondeggia nel vento.
*
Negli Stati Uniti, come esistono associazioni accademiche di studi su Herman
Melville o Henry James, esiste una rispettabile associazione di studi su
Bruce Springsteen radicata anche nelle universita'. Questo non significa
affatto che per prendere sul serio Bruce Springsteen dobbiamo assimilarlo al
canone letterario (anche se non mancano libri che lo rileggono alla luce di
Whitman ed Emerson; e anche a me e' venuto in mente Mark Twain sentendo The
River). Bruce Springsteen sa benissimo di essere un'altra cosa; come Elvis
Presley, come i Beatles o come Bob Dylan, va conosciuto e ascoltato nei suoi
stessi termini, non come un poeta ma come un rocker. Perche' nella storia
della cultura americana, molto prima e piu' vigorosamente che da noi, i
significati profondi, i problemi cruciali, i conflitti radicali si sono
espressi anche nella cultura che i colti disprezzavano, nella cultura orale
e in quella popular. Percio', se anche noi cerchiamo di imparare qualcosa da
tre minuti di disco di Bruce Springsteen, non facciamo altro che il nostro
dovere.

10. LETTURE. GIOVANNA PROVIDENTI (A CURA DI): LA NONVIOLENZA DELLE DONNE
Giovanna Providenti (a cura di), La nonviolenza delle donne, "Quaderni
satyagraha", n. 10, Libreria Editrice Fiorentina - Centro Gandhi,
Firenze-Pisa 2006, pp. 288, euro 16. Come e' ormai tradizione dei "Quaderni
satyagraha" ancora un corposo volume monografico di grande interesse; in
questo caso su un tema a nostro giudizio decisivo: il nesso tra femminsmo e
nonviolenza, nesso su cui il nostro foglio insiste da anni. Con contributi,
oltre che della curatrice, di Lidia Menapace, Luisa Muraro, Valeria Ando',
Patrizia Caporossi, Fabrizia Abbate, Debora Tonelli, Elisabetta Donini,
Luisa Del Turco, Ada Donno, Federica Ruggiero, Sandra Endrizzi, Luana
Pistone, Itala Ricaldone, Diego Marani, Cecilia Brighi, Adriana Chemello,
Monica Lanfranco, Giancarla Codrignani, Maria G. Di Rienzo, Elena
Zdravomyslova, Livia Alga. Per richieste: Centro Gandhi, via Santa Cecilia
30, 56127 Pisa, tel. 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it, sito:
www.centrogandhi.it

11. RISTAMPE. GIOVANNI BOCCACCIO: DECAMERON
Giovanni Boccaccio, Decameron, mondadori, Milano 1985, 2006, pp. LXXVIII +
1242, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nell'edizione
curata da Vittore Branca, uno dei pochi libri che introducono alla vita e
alla saggezza.

12. RIEDIZIONI. CARL MENGER: PRINCIPI DI ECONOMIA POLITICA
Carl Menger, Principi di economia politica,Utet, Torino 1976, 2004, Istituto
geografico De Agostini - Milano Finanza Editori, Novara-Milano 2006, pp.
472, euro 12,90 (in supplemento a "Milano finanza"). La prima e fondamentale
opera del capostipite di quella "scuola austriaca" cui poi appartennero
anche Mises e Hayek il cui contributo alla teoria economica e alle scienze
sociali costituisce un ineludibile elemento di confronto anche per chi si
sente piu' affine a tradizioni diverse e fin contrapposte su punti decisivi.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1446 del 12 ottobre 2006

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