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La nonviolenza e' in cammino. 1446
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1446
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 12 Oct 2006 01:04:22 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1446 del 12 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Afghanistan 2. Da Russell a noi 3. Marina Forti: Proliferazione nucleare 4. Cindy Sheehan: Io lo so 5. Il 14 ottobre a Roma per opporsi alla violenza contro le donne 6. Domenico Gallo: Abolire l'ergastolo 7. Enrico Peyretti: Una riflessione, da credente 8. Omero Dellistorti: Laiche due considerazioni 9. Alessandro Portelli: Bruce Springsteen, il rock come liberazione e come storia 10. Letture: Giovanna Providenti (a cura di), La nonviolenza delle donne 11. Ristampe: Giovanni Boccaccio, Decameron 12. Riedizioni: Carl Menger, Principi di economia politica 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. AFGHANISTAN Sia la guerra afgana la nostra spina nella carne. Non passi ora senza che ci dolga, non passi giorno senza che noi ci si dica: cosa ho fatto oggi per far cessare la partecipazione italiana alla guerra? Cosa ho fatto oggi contro quelle stragi e quel terrorismo di cui anche il mio paese e' corresponsabile? Cosa ho fatto oggi perche' la guerra cessi, perche' le vittime siano soccorse, perche' si salvino delle vite umane? E cosa ho fatto oggi perche' governo e parlamento cessino di violare la Costituzione e di far morire degli esseri umani? E cosa ho fatto oggi perche' prevalga la scelta della nonviolenza e siano ripudiati ad un tempo tutte le guerre, tutte le uccisioni, tutti gli eserciti, tutte le armi? Sia la guerra afgana la nostra spina nella carne. 2. RIFLESSIONE. DA RUSSELL A NOI Talvolta le cose da lontano si vedono meglio che da vicino, e cosi' la vicenda coreana fa cogliere a molti cose che tutti gia' sapevamo, che avevamo proprio sotto gli occhi, ma che molti preferivano non vedere. Due cose sono essenziali per uscire dalle chiacchiere e dai sospiri che, si sa, nulla rilevano. La prima: il disarmo. Non basta pontificare che la guerra e' un male, occorre disarmare e smilitarizzare. La seconda: opporsi tanto al nucleare militare quanto a quello civile; se non ci si oppone anche al nucleare civile non c'e' alcuna possibilita' di fermare il nucleare militare. 3. MATERIALI. MARINA FORTI: PROLIFERAZIONE NUCLEARE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 ottobre 2006. Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Il test nucleare annunciato da Pyongyang potrebbe cambiare le coordinate della politica asiatica. Ancor prima, rivela quanto sia illusorio (e ipocrita) l'intero sistema della "non proliferazione nucleare". Se il test di ieri mattina sara' confermato [come di fatto e' stato confermato - ndr], la Corea del Nord diventa il nono paese nuclearizzato al mondo e il quarto al di fuori del Trattato di Non Proliferazione, dopo India e Pakistan (che si sono "dichiarate" con i test del 1998) e Israele, che non ha mai confermato di avere testate atomiche ma su cui non ci sono dubbi. Il Tnp e gli altri trattati della non proliferazione nascono dal dibattito internazionale sul disarmo cominciato negli anni '50, quando la memoria delle atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945) era ancora viva, c'era la guerra fredda e l'opinione pubblica mondiale si allarmava per la corsa agli armamenti e i fall-out nucleari. I test allora si facevano nell'atmosfera: oltre 50 esplosioni solo tra il '45 e il '53 . Dopo gli Stati Uniti, avevano cominciato a costruire atomiche la Russia (la prima nel '49), la Gran Bretagna ('53), infine Francia e Cina ('64): le potenze vincitrici dalla seconda guerra mondiale, membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Alcune grandi nazioni del terzo mondo denunciavano la corsa agli armamenti: se n'era fatto portavoce il primo ministro indiano Nehru, che nel 1954 ha chiesto all'Assemblea generale dell'Onu l'eliminazione di tutti i test ed esplosioni (altra epoca: l'anno dopo Nehru sara', insieme all'indonesiano Sukarno, l'egiziano Nasser e lo jugoslavo Tito, tra i promotori del movimento dei non-allineati). Il primo risultato e' arrivato solo nel '63, assai limitato: il Trattato per il bando parziale dei test nucleari vietava esplosioni nell'atmosfera, sottomarine e nello spazio. Non fu firmato da Francia e Cina, ancora in piena fase di sperimentazione. Il passo successivo e' stato il Trattato di non proliferazione, aperto alle firme nel 1968 ed entrato in vigore nel '70. Il Tnp (ratificato oggi da 188 paesi) riconosce 5 potenze nucleari legali, quelle che allora possedevano armi atomiche (sempre quelle citate) e si e' dato uno strumento di controllo (l'Agenzia internazionale per l'energia atomica con sede a Vienna). Il Tnp non e' mai stato firmato dall'India (che dopo i test nucleari cinesi aveva abbandonato la linea nehruviana), ne' da Pakistan e Israele. Solo molto piu' tardi e' arrivato il Trattato di messa al bando completa dei test nucleari, Ctbt, che vieta ogni esplosione anche sotterranea: negoziato tra il 1993 e il '96, e' stato firmato da 71 stati tra cui le 5 potenze nucleari ufficiali. Non e' mai entrato in vigore, pero', perche' mancano alcune ratifiche indispensabili: tra le altre quelle di Usa, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del nord - tutti nuclearizzati. Il definitivo fallimento del Ctbt e' stato sancito nel 2000 quando il senato degli Stati Uniti ha negato la ratifica chiesta dall'amministrazione Clinton (dal '92 Washington osserva una moratoria volontaria: gli Usa ammodernano ormai i loro arsenali con test subcritici, che non richiedono esplosione). Altri paesi hanno avuto cosi' l'alibi morale ad archiviare la pratica, a cominciare da India e Pakistan (che avevano firmato il Ctbt dopo i rispettivi test). Se il Ctbt e' insabbiato, il bilancio del Trattato di non proliferazione e' piu' controverso. Riconosce 5 stati nucleari e oggi ne abbiamo 9: dunque ha fallito. D'altra parte pero' nessuno stato non-nucleare aderente al Tnp ha costruito armi atomiche mentre era soggetto al regime di ispezioni previsto: la Corea del Nord e' uscita dal Tnp e sospeso ogni ispezione nel 2003; l'Iran aderisce al Tnp e accetta le ispezioni conseguenti, e finora l'Aiea non ha dimostrare che conduca attivita' illecite. In questo senso, il Tnp funziona. Il Trattato pero' e' basato su tre "pilastri": la non proliferazione, il disarmo, e il diritto all'uso pacifico dell'energia nucleare. Con il Tnp le potenze nucleari si impegnano a non passare tecnologia atomica ad altri (la Cina pero' ha passato know-how almeno al Pakistan). Si impegnavano anche a liquidare i loro arsenali atomici, e questo non e' avvenuto: le numerose proposte discusse dalle Conferenze per il Disarmo negli ultimi trent'anni sono naufragate, nel 2002 Washington si e' ritirata dal Trattato Abm e oggi la parola "disarmo" suona naif. Quanto all'uso pacifico dell'energia atomica, in teoria include il diritto a fabbricare il combustibile, cioe' uranio arricchito. Ma questo implica tecnologie "a doppio uso", che possono scivolare verso usi bellici: Mohammed el Baradei, direttore dell'Aiea, stima che una quarantina di paesi potrebbero, volendo, passare a programmi di armamenti. Cosi' finisce che il diritto di cui sopra sara' riconosciuto ai "buoni": gli stati che non pretendono di fare da soli, comprano il combustibile dalle nazioni nucleari ufficiali, e comunque sono nella sfera d'influenza di una potenza occidentale. 4. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: IO LO SO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Mentre i Democratici saltellano di gioia per lo scandalo Foley, e i Repubblicani si arrabattano in una mischia nel tentativo di coprire le loro malefatte, venticinque dei nostri giovani figli sono stati uccisi in Iraq. Mentre i Democratici sono assai indaffarati a contare quali uova non si sono ancora schiuse e i Repubblicani hanno i crampi ai muscoli dati dal continuo puntare il dito contro chiunque, tranne che contro loro stessi, il Congresso e' stato molto occupato a cancellare dalla legge comune e dalla nostra Costituzione il nostro secolare diritto all'"habeas corpus" (se qualcuno pensa che questo abominio tocchera' solo i "terroristi", vorrei chiedergli: "Come si vive nel paese delle fate?"). Il vero scandalo in questi giorni e' l'Iraq. La sospensione dell'"habeas corpus". Le bugie e le coperture delle bugie che hanno condotto 2.738 nostri giovani a tornare a casa da 2.738 famiglie in un feretro avvolto nella bandiera. Una storia importante e potenzialmente assai dannosa, come il Congresso che una volta di piu' vota per consolidare il potere dell'esecutivo, dando a Bush e compagnia l'opportunita' di metterci in galera senza processo, non e' portata all'attenzione pubblica dai media. Penso che anch'io potrei saltare di gioia per qualcosa che abbatta il partito delle corporazioni e degli ipocriti, ma mi sento ferita, ferita dall'intero Congresso. Noi, la gente comune, ci sentiamo violati da questo Congresso e da questa amministrazione fuori controllo, sapendo che il Congresso ha passato gli ultimi sei anni ad invalidare se stesso: potrebbe essere molto difficile riguadagnare quello che e' andato perduto. Per quanto riguarda George Bush, lui si e' gia' assolto dai crimini contro l'umanita' che ha commesso assieme agli amici neoconservatori. * Ho letto un articolo su una madre il cui figlio avrebbe dovuto tornare dall'Iraq nel prossimo dicembre. Si tratta di uno dei soldati uccisi questo mese. La povera madre era a casa quando il campanello e' suonato, e ha detto che immediatamente ha capito chi era alla porta e perche'. Io lo so bene, l'avevo capito anch'io. La donna ha cominciato ad urlare. Disgraziatamente, anch'io ero a casa, e anch'io ho fatto la stessa cosa. Io so cosa questa madre ha passato, sin da quando suo figlio e' stato inviato in Iraq. Molte notti non ha dormito, ha avuto attacchi di panico e scoppi "inspiegabili" di pianto. Ha aspettato, sperando di non ricevere un altro colpo, peggiore di quello della partenza del figlio. Ha cominciato a rilassarsi un po' sapendo che per Natale il ragazzo sarebbe finalmente tornato. Sapeva che ci sarebbero state difficolta' con lui, e stranezze in lui, ma sperava di rimetterlo in sesto con il suo amore, buon cibo, pazienza. Ma il secondo colpo e' arrivato, ed ora la sua vita e' cambiata, per sempre. Non vedeva l'ora di festeggiare il ritorno del figlio. Ora, tutto quello a cui puo' guardare e' una vita di sofferenza e nostalgia. Venticinque famiglie questo mese. Duemila da quando Casey e' stato ucciso. Duemilaseicento da quando Bush ha dichiarato "Missione compiuta" il primo maggio 2003. Tremila famiglie irachene vengono devastate dagli americani ogni mese. Quando finira' tutto questo? Vorrei poter dire che ho fiducia nel nostro processo elettorale e nel Congresso, ma non ne ho. Ingenuamente, sto sperando che i Democratici vincano, e che Bush e la sua famiglia del crimine vengano portati in giudizio, ma visto che negli ultimi sei anni i Democratici per noi non hanno fatto nulla, non sto trattenendo il fiato. * Amica, amico che leggi, tocca a noi (a me e a te) portare il cambiamento in questo paese. Dal movimento antischiavista a quello per i diritti civili, passando per ogni buon movimento che c'e' stato fra i due, siamo stati noi, la gente, a chiedere dei cambiamenti, e non abbiamo avuto requie sino a che non li abbiamo ottenuti. Io sono stanca di essere coperta di fango dal nostro governo: quand'e' che voi ne avrete abbastanza? Il nostro governo non ha intenzione di ripulire la sua lordura: dobbiamo farlo noi. "Gold Star Families for Peace" sta pianificando un raduno alla Casa Bianca nel giorno delle elezioni e in quello successivo. Speriamo che si saranno abbastanza americani desiderosi di dimostrare a Bush e compagnia che siamo stanchi di vederci sottrarre i nostri diritti ancor piu' velocemente di quanto le nostre bombe abbiano distrutto Babilonia. Siamo stanchi di vedere i nostri figli morire e uccidere innocenti per aumentare i profitti delle corporazioni economiche. Siamo stanchi di vederci strappato e strappato e strappato ogni brandello di cio' a cui teniamo. Io ho sottratto il mio consenso ad essere governata da pazzi molto tempo fa. Oggi sottraggo il mio consenso ad essere trascinata senza processo a Guantanamo per aver dissentito "matriotticamente" da questo regime criminale. Siete nauseati e sfiniti dalla nausea e dallo sfinimento che la corruzione e il dolore vi impongono? Venite a mostrare il vostro dissenso con noi. Non abbiamo piu' partecipato ad una guerra dichiarata secondo Costituzione sin dalla seconda guerra mondiale, ulteriore prova che il Congresso non detiene piu' le sue prerogative. George Bush e' di fatto il dittatore che ha sempre desiderato essere, e di questo dobbiamo ringraziare i nostri rappresentanti eletti, gente che avevamo eletto affinche' proteggesse i nostri diritti, non perche' li regalasse a qualcuno che ha da lungo tempo provato di essere un irresponsabile. 5. INCONTRI. IL 14 OTTOBRE A ROMA PER OPPORSI ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. L'appello cui in questo testo si fa riferimento e' stato pubblicato anche nel n. 1423 del nostro foglio. Per adesioni, informazioni e contatti: appellouomini at libero.it] Contro la violenza alle donne: a Roma un incontro nazionale promosso da uomini. Cosa cambia se la questione della violenza alle donne viene interrogata come violenza maschile? Se si sposta lo sguardo dalle vittime agli autori? E' questa la domanda da cui sono partiti alcuni uomini che hanno deciso di prendere parola contro la violenza e di darsi appuntamento a Roma per confrontarsi e lanciare assieme una serie di iniziative concrete. L'incontro nazionale si terra' nella giornata di sabato 14 ottobre presso il Teatro Due (vicolo Due Macelli 37): si aprira' alle ore 11 con dei lavori di gruppo mentre alle 14,30 si terra' l'assemblea pubblica plenaria. L'iniziativa e' stata presa da uomini impegnati nella riflessione sul maschile e sui rapporti tra uomini e donne, che qualche settimana fa hanno promosso un appello intitolato "La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo parola come uomini". "L'appello - spiegano i promotori - e' il risultato di una pratica di scambi tra uomini e donne e di appuntamenti di confronto moltiplicatisi sempre piu' negli ultimi anni in diverse citta' italiane, segno di un lento ma significativo cambiamento di coscienza". L'appello, pubblicato da diverse testate giornalistiche locali e nazionali e quindi rilanciato via radio e via internet, ha oramai ottenuto oltre quattrocento adesioni da diversi gruppi e associazioni, ma anche da professori e insegnanti, politici, sindacalisti, giornalisti, artisti, psicologi, medici, o semplici cittadini uniti dalla volonta' comune di dichiarare la propria contrarieta' alla violenza e dalla disponibilita' a interrogarsi come uomini sulle radici di questo inaccettabile fenomeno sociale. All'appello hanno aderito fra gli altri professori universitari quali Giuseppe Cotturri, Angelo D'Orsi, Ivano Spano, Alessandro Portelli, Osvaldo Pieroni, politici quale Piero Fassino e Franco Giordano, giornalisti quali Gad Lerner, Alberto Leiss, intellettuali quali Aldo Tortorella e Goffredo Fofi, psicoanalisti come Luigi Zoja, scrittori come Nanni Balestrini. "Non c'e' alcuna intenzione di criminalizzare genericamente l'intero genere maschile", sottolineano ancora i promotori, "non si puo' tuttavia fare a meno di interrogarsi criticamente sul radicamento e l'ampiezza delle pratiche di violenza maschile, dallo sfruttamento sessuale, agli stupri, agli omicidi di donne. Questa piaga sociale ci obbliga a interrogarci in prima persona e a ripensare criticamente la cultura e la mentalita' maschile e anche la concezione dei rapporti tra i sessi che segnano la nostra societa'. Tale problema non puo' essere risolto semplicemente con misure repressive o d'emergenza o trattando queste violenze come fenomeni di marginalita' sociale o di follia. E' a un cambiamento di civilta' tra uomini e donne, cio' a cui siamo chiamati. Non e' solo una lotta contro la violenza e la prevaricazione, ma uno sforzo positivo per aprire spazi di liberta' e di riconoscimento per tutti, per le donne e per gli stessi uomini". L'iniziativa ha suscitato molto interesse tra uomini e donne che a centinaia hanno scritto dando la propria convinta adesione ma anche proponendo spunti di riflessione o contributi alla discussione. Ora gli organizzatori si aspettano con l'assemblea romana di costruire uno spazio pubblico di confronto e di rilanciare nuove iniziative. L'appello e' disponibile sul sito: www.donnealtri.it Si puo' aderire scrivendo una e-mail ad: appellouomini at libero.it Per informazioni: 3385243829, 3477999900 6. RIFLESSIONE. DOMENICO GALLO: ABOLIRE L'ERGASTOLO [Dal quotidiano "Liberazione" del 10 ottobre 2006. Domenico Gallo (per contatti: domenico.gallo at tiscali.it), illustre giurista, e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto saggista, gia' parlamentare, tra gli animatore dell'Associazione nazionale giuristi democratici; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985; Millenovecentonovantacinque, Edizioni Associate, Roma 1999; (a cura di, con Corrado Veneziano), Se dici guerra umanitaria. Guerra e informazione. Guerra all'informazione, Besa, 2005; (a cura di, con Franco Ippolito), Salviamo la Costituzione, Chimienti, Taranto 2006. Vari suoi scritti sono disponibili nel sito www.domenicogallo.it] Con il nuovo clima politico istauratosi con la vittoria politica del centro-sinistra alle ultime elezioni, e grazie ai lavori della commissione per la riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia e' divenuto attuale un progetto perseguito in piu' legislature, ma mai portato a termine: l'abolizione dell'ergastolo. Questo progetto e' stato piu' volte fermato dalle gravi emergenze che hanno funestato la nostra vita pubblica ed e' stato persino bloccato attraverso un referendum, improvvidamente proposto e svoltosi nel 1981 in piena stagione terroristica. Per evitare che il dibattito su una scelta di ordinamento penale che ha un cosi' grande valore simbolico (e quindi politico) si areni nelle secche della banalita' occorre comprendere le ragioni profonde che sono alla radice dell'esigenza di cancellare dal nostro ordinamento la pena perpetua. Al riguardo occorre tenere presente che l'ergastolo non e' una pena assimilabile alla reclusione, ma e' una pena da essa qualitativamente diversa, assai piu' assimilabile alla pena di morte che non a quella della privazione temporanea della liberta' personale. La ragione profonda per la sua abolizione risiede nei principi supremi della Costituzione. Se l'ergastolo verra' abolito cio' avverra' perche' sara' messo a frutto uno dei doni piu' preziosi del nostro ordinamento costituzionale: il principio personalista. Si e' molto dibattuto in dottrina e nella giurisprudenza ordinaria e costituzionale dei significati e del valore profondo di quel precetto costituzionale contenuto nel terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, che recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato". Se la Corte costituzionale, con la sentenza n. 264 del 22 novembre 1974, con la quale ha respinto la questione di incostituzionalita' dell'ergastolo, si e' arrampicata sugli specchi di una tormentata concezione polifunzionale della pena, essa, tuttavia, non e' sfuggita al paradosso (lucidamente segnalato da Luigi Ferrajoli) di una pena perpetua dichiarata costituzionalmente legittima nella misura in cui e', in realta', non perpetua (poiche' l'ergastolano puo' essere ammesso al beneficio delle liberta' condizionale). * Il dibattito sull'abolizione dell'ergastolo, tuttavia, non puo' fermarsi al principio rieducativo della pena, se non si comprende la ragione per cui quel principio e' stato posto. In realta' esso rappresenta un mero corollario di un principio piu' alto, il principio personalista, che informa di se' tutto l'edificio costituzionale ed ha trovato compiuta espressione soprattutto negli articoli 2 e 3 della Costituzione. Alla radice di questo principio c'e' il famoso ordine del giorno Dossetti (9 settembre 1946) presentato nei primi giorni di attivita' della Prima Sottocommissione. "La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell'uomo; esclusa quella che si ispiri a una visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri a una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l'attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunita' fondamentali; ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell'Italia democratica deve soddisfare, e' quella che: a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella; b) riconosca ad un tempo la necessaria socialita' di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda, mediante una reciproca solidarieta' economica e spirituale: anzitutto in varie comunita' intermedie disposte secondo una naturale gradualita' (comunita' familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi per tutto cio' in cui quelle comunita' non bastino, nello Stato; c) che percio' affermi l'esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunita' anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato". Sulla base di questo ordine del giorno e' stato elaborato l'articolo 2 della Costituzione, la cui formula: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'" significa che la persona umana, nella sua concreta individualita' sociale, e' un valore storico-naturale, un valore originario, che l'ordinamento deve riconoscere e rispettare in ogni circostanza. Per questo i suoi diritti fondamentali sono "inviolabili", non possono essere cancellati o manomessi dall'ordinamento, neppure con il procedimento di revisione costituzionale, ne' possono essere sacrificati sull'altare della ragione di Stato o per fini generali di politica criminale. L'ergastolo, in quanto pena "eliminativa", e' in contraddizione con l'idea stessa della persona come fine, e quindi con l'essenza del principio personalista, radice profonda, gloria e vanto del nostro ordinamento costituzionale. 7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UNA RIFLESSIONE, DA CREDENTE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Quando la morte e' piu' buona della vita. E, magari, aggiungiamo il punto interrogativo. La vita e' davvero un dono di Dio. Ma non un dono ricattatorio: "devi tenerti la vita che ti viene!". In tutti i suoi aspetti, la vita che riceviamo e' affidata alla nostra responsabilita', che vuol dire migliorarla (talenti da coltivare) e risponderne: vivere per gli altri, per lo sviluppo di umanita'. Chi crede in Dio si riconsegna, morendo, nelle sue mani. E deve preferire la morte al tradimento della vita, della verita', dell'altro: solo cosi' testimonia (martire vuol dire testimone, non vittima) il valore del dono ricevuto. Con quella morte testimonia il valore della vita, che dunque non e' da conservare sempre e comunque. Gesu' in croce ne e' il massimo segno. In quel caso, la morte e' vita. E deve, il credente, anche preferire morire piuttosto che uccidere. Molti hanno saputo vivere questa "eu-tanasia", la morte buona, che svuota guerra e violenza, e costruisce pace. C'e' dunque una morte che afferma il valore della vita. Di contro, chi preferisce l'uccidere al morire pecca di accanimento terapeutico, a spese del fratello. La morte di questi e' la sua feroce medicina: mors tua, vita mea. Dica pure la chiesa che mille e altre mille devono essere le cautele davanti al mistero del dono ricevuto. Ma dica anche, una buona volta, definitivamente, che difendere la propria vita con la morte altrui non e' rispetto del dono ricevuto. Anche lui ha ricevuto il dono che tu distruggi. Ma come mai l'uccisione di altri - soprattutto per motivi pubblici: pena di morte, guerra, dominio - ha trovato nella storia cristiana tante giustificazioni, scuse, persino esaltazioni, di piu' che l'uccisione di se stessi? E' sorprendente. Solo oggi il suicida, fino a ieri maledetto, trova misericordia e ha funerale religioso. La chiesa dica tutta intera la buona norma, poi ognuno cammina fin dove puo'. La misericordia trionfa sul giudizio. L'accanimento terapeutico, invece, tiene con zanne serrate il dono che chiede di essere speso, oppure di tornare, coi frutti che ha potuto dare, e con l'invocazione della sua poverta', nel cuore della piena vita universale, che tanta parte dell'umanita' chiama Dio. Tutta la difficolta' - lo capiamo tutti - e' nel valutare il caso concreto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo. Si studino criteri e regole, le migliori possibili, che una scienza umana potra' aiutare sempre meglio, per risolvere questa difficolta'. E infine, il dono e' tutto affidato alla nostra responsabilita', che e' l'unica gratitudine. 8. RIFLESSIONE. OMERO DELLISTORTI: LAICHE DUE CONSIDERAZIONI La prima: mi e' sempre sembrata nel vero quella considerazione che risale a Socrate secondo la quale e' preferibile subire il male che compierlo. Mi e' sempre sembrata falsa ogni visione sacrificale della vita, sia che fosse riferita ad altri che a se stessi: non solo, sovente chi e' disponibile a sacrificare se stesso diventa disponibile altresi' a che altri siano sacrificati. Ed invece io tengo per certo che il primo dovere di tutti sia rispettare il diritto di tutti a non essere uccisi: solo stipulando questo comune patto si fonda su basi concrete e razionali la convivenza, la convivenza civile. Dal modesto mio punto di vista - chi legge l'intende - la critica girardiana delle ideologie vittimarie si estende anche al cristianesimo, e ad altre tradizioni anche non religiose. * La seconda: come vi e' un inalienabile diritto di tutti gli esseri umani - in quanto esseri umani - a non essere uccisi, analogamente vi e' un altrettanto inalienabile diritto di tutti gli esseri umani ad autodeterminare (entro limiti e secondo regole di liberta', razionalita', consapevolezza e responsabilita', e stante il comune dovere di solidarieta') la propria vita, fino a quel suo estremo protendersi e limite che e' il morire. E la tradizione lunga e sapiente depositata nelle tante forme dell'"ars moriendi" ne e' buona conferma. E vi e' un eguale diritto di tutti gli esseri umani alla dignita', e pertanto finanche - in condizioni estreme e dopo aver esperito ogni altra via (e fermo restando l'obbligo assoluto delle altre persone per quanto in loro potere di recare aiuto per salvare le vite, lenire il dolore, contrastare l'oppressione e l'annichilimento) - al rifiutare una vita di sofferenze sentite come non piu' tollerabili. Dal modesto mio punto di vista togliersi la vita non e' sempre inammissibile (fermo restando che sempre le altre persone hanno l'obbligo di cercar di salvare la vita altrui). Ma beninteso altro e' togliere a se stessi la vita, altro e' toglierla altrui. Qui la mia etica laica - del limite e della cura, della responsabilita' - si arresta in timore e tremore, ferma nella massima "tu non uccidere" (massima, appunto, nel senso kantiano). Senza nascondersi il dramma, ma senza sentirsi di poter avallare pratiche che sente e sa essere concretamente ineludibilmente confliggenti con quel fondante principio. Ho letto anch'io migliaia di pagine di riflessione bioetica sulla cosiddetta eutanasia (termine inquietante, che dovrebbe designare non la buona morte, poiche' la morte non e' buona, ma il ben morire, che e' altra cosa), e le mie perplessita' non sono diminuite, ma aumentate: sento qui un'hybris che m'interroga e m'inquieta, e sento che solo nel principio "tu non uccidere" mi pare di cogliere un criterio regolativo essenziale. Temo tutti gli apprendisti stregoni, e temo tutti i benintenzionati assassini. "Tu non uccidere", sempre mi ripeto, scilicet: tu contrasta tutte le uccisioni. * In questo breve tempo che e' la nostra vita, cerchiamo di salvare le vite, cerchiamo di assistere i sofferenti, cerchiamo di dare amore e di riconoscere dignita' ad ogni essere umano. Questo penso, questo credo. 9. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: BRUCE SPRINGSTEEN, IL ROCK COME LIBERAZIONE E COME STORIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 ottobre 2006. Alessandro Portelli (per contatti: alessandro.portelli at uniroma1.it), studioso della cultura americana e della cultura popolare, docente universitario, saggista, storico, militante della sinistra critica, per la pace e i diritti. Dal sito alessandroportelli.blogspot.com riprendiamo la seguente scheda autobiografica: "Sono nato a Roma nel 1942. Di mestiere, insegno letteratura americana alla Facolta' di scienze umanistiche dell'Universita' 'La Sapienza' di Roma. Ho svolto l'incarico di consigliere delegato del sindaco di Roma per la tutela e la valorizzazione delle memorie storiche della citta'; ho fondato e presiedo il Circolo Gianni Bosio per la conoscenza critica e la presenza alternativa delle culture popolari; faccio parte del consiglio direttivo dell'Irsifar (Istituto Romano per la Storia d'Italia dal Fascismo alla Resistenza) e ho la tessera dell'Anpi. Collaboro al 'Manifesto' fin dal 1972, e ho scritto spesso anche su 'Liberazione' e 'l'Unita''. Ho studiato, insegnato e diffuso la cultura dell'America a cui vogliamo bene - quella di Woody Guthrie, Pete Seeger, Bob Dylan, Bruce Springsteen, di Malcolm X, Martin Luther King, Cindy Sheehan, Mark Twain, Don DeLillo, Spike Lee, Woody Allen. Ho raccolto le canzoni popolari e politiche e la memoria storica orale di Roma e del Lazio, collaborando con il Canzoniere del Lazio, Giovanna Marini, Sara Modigliani, Piero Brega, Ascanio Celestini. Ho conosciuto i partigiani e le partigiane di Roma e i familiari degli uccisi delle Fosse Ardeatine, e dai loro racconti ho messo insieme la loro storia. Ho ascoltato i racconti delle borgate e dei quartieri popolari, dalle occupazioni delle case degli anni '70 alla storia orale di Centocelle. Ho cercato di non limitarmi a studiare e a scrivere, ma anche di organizzare cultura: mettere in piedi strutture (dal Circolo Bosio alla Casa della Memoria); fondare e far vivere riviste; condividere con gli altri, attraverso dischi e libri, quello che ho imparato; coinvolgere persone piu' giovani e aprirgli spazi; organizzare eventi, concerti, incontri. Ho accompagnato gli studenti romani ad Auschwitz, ho girato decine di scuole per parlare della memoria, della democrazia, dell'antifascismo. E ho voglia di continuare a farlo. Le mie passioni sono l'uguaglianza, la liberta', l'insegnamento, la musica popolare, la memoria, ascoltare i racconti delle persone, i libri e i film, e il rock and roll". Tra le opere di Alessandro Portelli: Il re nascosto. Saggio su Washington Irving, Bulzoni, Roma 1979; Taccuini americani, Manifestolibri, Roma 1991, 2000; Il testo e la voce, Manifestolibri, Roma 1992; La linea del colore, Manifestolibri, Roma 1994; L'aeroplano e le stelle, Manifestolibri, Roma 1995; Biografia di una citta', Einaudi, Torino 1997; (con Cesare Bermani e Silverio Corvisieri), Guerra civile e Stato, Odradek, Roma 1998; L'ordine e' gia' stato eseguito, Donzelli, Roma 1999; America, dopo, Donzelli, Roma 2003; Canzone politica e cultura popolare in America, DeriveApprodi, 2004; Canoni americani, Donzelli, Roma 2004. Bruce Springsteen e' giustamente una delle piu' note ed apprezzate figure del rock, alcune sue canzoni sono autentici gioielli, ed affermazioni sincere e combattive dell'umana dignita' degli esseri umani tutti. Dal sito www.musicaememoria.com riprendiamo la seguente discografia sintetica: 1973 Greetings From Asbury Park, N.J.; 1973 The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle; 1975 Born to Run; 1978 Darkness on the Edge of Town; 1980 The River; 1982 Nebraska; 1984 Born in the Usa; 1987 Tunnel of Love; 1992 Human Touch; 1992 Lucky Town; 1992 Plugged: In Concert [live]; 1993 Lucky Town [live]; 1993 In Concert/Mtv Plugged [live]; 1995 The Ghost of Tom Joad; 2001 Live in New York City; 2002 The Rising; 2006 We Shall Overcome / The Seeger Sessions] Prendiamo O Mary Don't You Weep, il classico spiritual che Bruce Springsteen canta nel suo ultimo disco, We Shall Overcome. The Seeger Sessions. Comincia cosi': "If I could, I surely would stand on the rock where Moses stood": se potessi, vorrei salire anch'io sulla roccia dove sali' Mose'. E' un riferimento alla storia dell'Esodo, tradizionale metafora di liberazione per gli schiavi afroamericani e poi per il movimento dei diritti civili che ritroviamo in tutto il repertorio dello spiritual e del gospel (il ritornello dice: "Maria non piangere, l'esercito del Faraone e' annegato, non piangere Maria"). Andiamo avanti, alla terza strofa. "One of these nights about twelve o'clock this old world is gonna rock": una sera di queste, verso mezzanotte, il vecchio mondo tremera'. E' un'altra profezia di un cambiamento traumatico, rivoluzionario, che scuotera' il vecchio mondo e lo fara' tremare fin dalle fondamenta. Pero', in bocca a Bruce Springsteen, quella parola assume un altro significato ancora: rock/roccia, rock/scuotersi, e, naturalmente e inaspettatamente, rock/and roll (in molte varianti di O Mary don't you weep, infatti si canta "this world is gonna reel and rock", oscillera' e tremera'): una di queste sere, insomma, il vecchio mondo di scuotera' di dosso la vecchiaia e ballera' il rock and roll e sara' libero. * Certo, i creatori afroamericani di questo canto nell'800 non avevano ancora in mente il rock and roll, ma anche loro si scuotevano e tremavano nella passione estatica e musicale del rito - e infatti il rock and roll viene direttamente dalla loro cultura e dalla loro storia, dalle chiese pentecostali ed evangeliche del profondo sud. Bruce Springsteen questo lo ha capito perfettamente, e non e' un caso che gia' nel disco e concerto newyorkese di qualche anno fa si fosse rivolto al pubblico con lo stile oratorio dei grandi predicatori evangelici, annunciando un "battesimo rock and roll, un bar mitzvah rock and roll", appropriando al rock and roll non la teologia delle chiese popolari bianche e nere ma il fervore ed entusiasmo di una ritualita' liberatoria, partecipata, e cantata. Noi siamo abituati a pensare al rock and roll come a una rottura epocale, e c'e' molta verita' in questo (specie nel nostro contesto culturale italiano). Ma questa rottura si innesta anche su una continuita' profonda. Dopo tutto, all'inizio della discografia di Elvis Presley stanno una "cover" di un brano rhythm and blues (That's All Right Mama di Arthur Big Boy Crudup) e una reinterpretazione di un classico bluegrass (Blue Moon of Kentucky di Bill Monroe). E allora, se risaliamo la corrente della storia musicale d'America, dal rock and roll, passando per rhythm and blues e gospel, e per country e bluegrass, risaliamo senza interruzioni fino all'Africa da una parte e alla Scozia e all'Irlanda dall'altra. Nelle Seeger Sessions di Springsteen, anche per questo, ritroviamo gli spiritual afroamericani, e una grande canzone antimilitarista irlandese, Mrs. McGrath. Anche per questo, senza elucubrazioni e fisime puristiche, tuttavia le versioni di queste canzoni che ci offre Springsteen a me sembrano anche filologicamente giuste: non ha fatto altro che prendere coscienza delle fonti stesse della propria voce. Rock come liberazione, insomma, e rock come storia: una musica che scuote il mondo, e una musica che ha dentro la memoria implicita di migrazioni, guerre, schiavitu', liberazioni. * Certo, non e' questa la versione che ce ne ha fornito l'industria musicale, attentissima a disinnescare ogni riferimento che non fosse puramente adolescenziale e sentimentale. C'erano due grandi tabu' nella prima generazione del rock and roll: il lavoro e la storia ("Don't know much about history", cantava Chuck Berry, non so molto di storia; e Eddie Cochran inveiva contro i lavoretti estivi che gli servivano per comprarsi la benzina). Anche per questo, il rock and roll classico ha subito un'eclissi negli anni dei movimenti, prima a favore del folk revival impegnato, poi - dal Dylan elettrico e dai Beatles in poi - a favore di una musica che ha lasciato cadere il "roll" e ha continuato a chiamarsi aggressivamente rock e basta. Ma, anche per la composizione sociale dei movimenti, questa eclissi ha facilitato un ritorno del rock and roll al mondo blue-collar, del lavoro, delle periferie. Bob Seger, per esempio, e' direttamente legato al mondo industriale di Detroit. E Bruce Springsteen irrompe sulla scena con la storia di un ragazzo che lavora in un garage, di un padre che si ammazza entrando e uscendo dalla fabbrica; e trionfa, in The River, con la storia di un operaio edile disoccupato. Per di piu', Bruce Springsteen si accorge anche di un'altra cosa: gli adolescenti che hanno imparato piu' cose da tre minuti di disco che da anni di scuola adesso sono diventati adulti ma non hanno dimenticato da dove vengono. A decenni di distanza, anche il rock and roll ha una storia: la voce di Roy Orbison che canta Only the Lonely (uno dei primissimi dischi che mi sono comprato, correva l'anno 1960) serve a collocare nel tempo un'altra visione di memoria, il momento in un cui un'altra Mary esce sulla veranda per salire in macchina col vestito che ondeggia nel vento. * Negli Stati Uniti, come esistono associazioni accademiche di studi su Herman Melville o Henry James, esiste una rispettabile associazione di studi su Bruce Springsteen radicata anche nelle universita'. Questo non significa affatto che per prendere sul serio Bruce Springsteen dobbiamo assimilarlo al canone letterario (anche se non mancano libri che lo rileggono alla luce di Whitman ed Emerson; e anche a me e' venuto in mente Mark Twain sentendo The River). Bruce Springsteen sa benissimo di essere un'altra cosa; come Elvis Presley, come i Beatles o come Bob Dylan, va conosciuto e ascoltato nei suoi stessi termini, non come un poeta ma come un rocker. Perche' nella storia della cultura americana, molto prima e piu' vigorosamente che da noi, i significati profondi, i problemi cruciali, i conflitti radicali si sono espressi anche nella cultura che i colti disprezzavano, nella cultura orale e in quella popular. Percio', se anche noi cerchiamo di imparare qualcosa da tre minuti di disco di Bruce Springsteen, non facciamo altro che il nostro dovere. 10. LETTURE. GIOVANNA PROVIDENTI (A CURA DI): LA NONVIOLENZA DELLE DONNE Giovanna Providenti (a cura di), La nonviolenza delle donne, "Quaderni satyagraha", n. 10, Libreria Editrice Fiorentina - Centro Gandhi, Firenze-Pisa 2006, pp. 288, euro 16. Come e' ormai tradizione dei "Quaderni satyagraha" ancora un corposo volume monografico di grande interesse; in questo caso su un tema a nostro giudizio decisivo: il nesso tra femminsmo e nonviolenza, nesso su cui il nostro foglio insiste da anni. Con contributi, oltre che della curatrice, di Lidia Menapace, Luisa Muraro, Valeria Ando', Patrizia Caporossi, Fabrizia Abbate, Debora Tonelli, Elisabetta Donini, Luisa Del Turco, Ada Donno, Federica Ruggiero, Sandra Endrizzi, Luana Pistone, Itala Ricaldone, Diego Marani, Cecilia Brighi, Adriana Chemello, Monica Lanfranco, Giancarla Codrignani, Maria G. Di Rienzo, Elena Zdravomyslova, Livia Alga. Per richieste: Centro Gandhi, via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, tel. 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it, sito: www.centrogandhi.it 11. RISTAMPE. GIOVANNI BOCCACCIO: DECAMERON Giovanni Boccaccio, Decameron, mondadori, Milano 1985, 2006, pp. LXXVIII + 1242, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nell'edizione curata da Vittore Branca, uno dei pochi libri che introducono alla vita e alla saggezza. 12. RIEDIZIONI. CARL MENGER: PRINCIPI DI ECONOMIA POLITICA Carl Menger, Principi di economia politica,Utet, Torino 1976, 2004, Istituto geografico De Agostini - Milano Finanza Editori, Novara-Milano 2006, pp. 472, euro 12,90 (in supplemento a "Milano finanza"). La prima e fondamentale opera del capostipite di quella "scuola austriaca" cui poi appartennero anche Mises e Hayek il cui contributo alla teoria economica e alle scienze sociali costituisce un ineludibile elemento di confronto anche per chi si sente piu' affine a tradizioni diverse e fin contrapposte su punti decisivi. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1446 del 12 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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