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La nonviolenza e' in cammino. 1445
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1445
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 11 Oct 2006 00:37:13 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1445 dell'11 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Afghanistan 2. Contro il nucleare 3. Maria Teresa Carbone: Anna Politkovskaja 4. Marina Forti intervista Ibu Robin Lim 5. "Una citta'" intervista Giuseppe Moscati: La religione di Aldo Capitini 6. Letture: Dario Paccino, I senzapatria. Resistenza ieri e oggi 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. AFGHANISTAN Chi, se non il popolo italiano, deve battersi - con la forza della nonviolenza - per far cessare la partecipazione militare italiana alla guerra e alle stragi in Afghanistan? Chi, se non il popolo italiano, deve battersi - con la forza della nonviolenza - per costringere il governo e il parlamento italiani a tornare nella legalita' costituzionale che impone di ripudiare la guerra, quella legalita' costituzionale che e' fondamento e presidio della nostra comune liberta' e che da troppi anni governi golpisti e sanguinari, e maggioranze parlamentari complici, reiteratamente scelleratamente violano? Chi, se non il popolo italiano, deve - con la forza della nonviolenza - contrastare ad un tempo la guerra, le stragi, l'illegalita' golpista, il terrorismo che ulteriore terrorismo produce, i crimini insomma di cui governo e parlamento italiano si sono fatti responsabili e complici? Se non ripristiniamo la legalita' costituzionale nel nostro paese, se non facciamo cessare la partecipazione italiana alle guerre, come possiamo sperare di agire per la pace e i diritti dei popoli e delle persone? Chi non contrasta la guerra e le stragi, della guerra e delle stragi e' complice. Non conta che si dicano e si facciano altre cose, magari buone e degne: poiche' quella complicita' con la guerra e le stragi corrompe e vanifica tutto il resto. 2. EDITORIALE. CONTRO IL NUCLEARE Gia' Albert Einstein e Bertrand Russell seppero porre la richiesta secca: salvare l'umanita', ripudiare l'atomica. Gia' Mohandas Gandhi seppe chiarire che dopo Hiroshima l'alternativa era ancora piu' secca: o la nonviolenza, o la distruzione dell'umanita'. Gia' Guenther Anders seppe dire questa verita' estrema e ineludibile: la sola esistenza dell'arma atomica e' gia' antiumana. Gia' in molte e molti nelle vive lotte degli anni '70 e '80 in Italia sapemmo dire che il nucleare tutto - militare e civile - e' una minaccia inaccettabile, un pericolo immenso per l'umanita' intera. Le varie iniziative (come quella della causa civile promossa da pacifiste e pacifisti contro le atomiche ad Aviano), i vari appelli di questi mesi (come quello promosso da padre Zanotelli) confermano in varie forme e con varie accentuazioni un'esigenza, un'urgenza assoluta: occorre il disarmo, occorre la smilitarizzazione dei conflitti, occorre cessare di costruire le armi - non solo quelle atomiche - e smantellare gli arsenali esistenti; ma occorre anche - aggiungiamo - cessare di costruire anche gli impianti atomici "civili" e smantellare quelli esistenti. Occorre la scelta della nonviolenza: come base e criterio della politica internazionale (che e' oggi la politica tout court), come principio giuriscostituente. 3. MEMORIA. MARIA TERESA CARBONE: ANNA POLITKOVSKAJA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 ottobre 2006. Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale, curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete www.zoooom.it Anna Politkovskaja, giornalista russa, nata a New York nel 1958, impegnata nella denuncia delle violazioni dei diritti umani con particolar riferimento alla guerra cecena, e' stata assassinata nell'ottobre 2006. Opere di Anna Politkovskaja disponibili in italiano: Cecenia. Il disonore russo, Fandango, 2003; La Russia di Putin, Adelphi, 2005] Non sembrava destinata a diventare una eroina, Anna Politkovskaja. Ragazza "di buona famiglia", era nata nel 1958 a New York, perche' i genitori, diplomatici di origine ucraina, lavoravano alla rappresentanza sovietica presso le Nazioni Unite. Una infanzia privilegiata, all'estero, lontano dalla penuria dell'Urss di quegli anni, dalle piccole case sbilenche che Khrushchev stava facendo costruire in fretta e furia per le moltissime famiglie che ancora vivevano in coabitazione, dalle code nei negozi. Privilegiata, la sua infanzia, anche per la possibilita' di avere accesso a tanti libri, consentiti o vietati, che lei, "lettrice accanita, un po' secchiona" (come si sarebbe definita) divorava uno dopo l'altro. Rientrata in patria per compiere gli studi, si iscrive alla facolta' di giornalismo dell'Universita' statale di Mosca, la Mgu, la migliore di tutta la Russia, e ottiene addirittura di scrivere la tesi sulla grande poetessa Marina Cvetaeva, venerata nelle conversazioni delle fumose cucine russe, ma pochissimo amata dalla cultura ufficiale di quegli anni. I privilegi continuano: nel 1980 si laurea, diventa giornalista prima per l'Izvestija e poi per il quotidiano dell'Aeroflot, comincia a viaggiare per tutto il paese ("i giornalisti avevano biglietti gratis tutto l'anno, potevamo prendere qualsiasi aereo e andare dove volevamo"). E intanto si sposa e ha due figli. La svolta arriva alla meta' degli anni Ottanta, con la perestrojka: "Dal punto di vista economico la vita divento' molto piu' difficile, ma era pura felicita', quella di poter leggere, pensare e scrivere tutto quello che volevamo". Una gioia, quella di allora, che a distanza di anni trapela nel libro di denuncia La Russia di Putin (edito da Adelphi nel 2005), in cui la giornalista rievoca con nostalgia - e senza apparentemente rendersi conto di quanto la facciata differisse dalla realta' - i "tentativi di democratizzazione" di Eltsin. In quegli anni Anna Politkovskaja passa alla stampa indipendente, prima alla "Obshaja Gazeta" e poi, dal 1999, alla "Novaja Gazeta", che nel panorama spianato con le ruspe dell'informazione russa al tempo dello "zar Vladimir" rappresenta una delle pochissime voci non conformi alla linea del Cremlino. Nello stesso 1999 i russi invadono per la seconda volta la Cecenia e la giornalista comincia a scrivere una serie di reportage (poi raccolti in un volume, Cecenia. Il disonore russo, pubblicato anche in Italia nel 2003 per Fandango) che a mano a mano la renderanno sempre piu' conosciuta, in Russia e anche all'estero: da semplice cronista del conflitto, diventa una figura di riferimento dell'opposizione alla guerra, fino a farsi mediatrice (senza successo) fra autorita' e terroristi nel tragico attacco al teatro mosvovita Na Dubrovke. Il suo coinvolgimento le costa moltissimo, sotto tutti i punti di vista: il suo matrimonio finisce, e lei e' sottoposta a una serie di pressioni che culmineranno nell'oscuro tentativo di avvelenamento di cui la giornalista e' vittima nel settembre 2004, mentre cerca di raggiungere la scuola assediata di Beslan. Le capita addirittura, nei suoi continui andirivieni con la Cecenia, di dover scappare da sola, a piedi, nella notte, nel terrore di cadere nelle mani delle squadre della morte del governo di Mosca o di Grozny. Ma Anna Politkovskaja non si arrende: nei suoi articoli, e nel libro La Russia di Putin (uscito non a caso fuori dal suo paese) continua a denunciare con nome e cognome gli autori dei crimini cui le e' toccato di assistere, i giudici corrotti, la "mostruosa stabilita'" del suo paese. "Non ci vorranno generazioni prima che la Russia diventi un paese davvero libero" aveva detto, esattamente due anni fa, nell'ottobre del 2004, a James Meek del "Guardian", e aveva aggiunto: "Nell'arco della mia esistenza voglio riuscire a vivere una vita da essere umano, in cui ogni individuo e' rispettato". Ma nella Russia di Putin questo non le e' stato dato. 4. PROFILI. MARINA FORTI INTERVISTA IBU ROBIN LIM [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 ottobre 2006. Marina Forti, giornalista e saggista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004. Ibu Robin Lim e' ostetrica, operatrice umanitaria, costruttrice di pace; un suo profilo essenziale e' nel n. 1385 di questo foglio] Ibu Robin Lim e' un'ambientalista, una poetessa, una pacifista; cerca l'armonia tra le persone e tra queste e la natura. E' anche un'ostetrica professionale: vive da anni a Bali, in Indonesia, lavora per migliorare la salute delle madri e dei neonati; dice che aiutare i bambini a venire al mondo senza violenza e' il primo passo per guardare con speranza il futuro. Per questo nel 1994 Ibu Robin ha creato un'associazione no profit, la Yayasan Bumi Sehat ("Fondazione madreterra sana"), che ha costruito una clinica-consultorio non lontano dalla cittadina di Ubud, a Bali. Quando le chiedo cosa l'ha spinta, parla di madri che muoiono di emorragia durante il parto e di bambini malnutriti. Anche nella relativamente benestante Bali, isola nota in occidente come destinazione turistica? "Bali e' come una scena teatrale", mi risponde Ibu Robin: "I turisti non sanno cosa ci sia dietro le quinte. In Indonesia, e anche a Bali, la morte per parto e' comune e la malnutrizione e' la prima causa di morte infantile, oltre a causare ritardo nello sviluppo dei bebe' che sopravvivono". Ibu Robin Lim era in Italia la settimana scorsa: il 29 settembre ha ricevuto il Premio internazionale "Alexander Langer" a Bolzano, poi ha partecipato a una serie di incontri (tra cui quello con il presidente della Camera Fausto Bertinotti, a Roma). "Dopo la strage del 2002, Bali e' precipitata nella crisi", continua Ibu Robin: "L'isola viveva di turismo, e con tanti hotel e ristoranti chiusi centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro. Anche il problema della malnutrizione e' peggiorato". Nel consultorio di Bumi Sehat le madri e i bambini trovano assistenza gratuita e sono seguiti durante il parto e dopo. "Il 100% delle notre assistite allatta al seno", dice soddisfatta Ibu Robin: "Con l'allattamento aumentano le chance di vedere il bambino crescere sano", spiega, ma purtroppo il business spinge piuttosto sul latte in polvere, per evidenti interessi economici - in un sistema del resto dove le cure mediche sono riservate a chi le puo' pagare. La clinica di Bumi Sehat e' diventata un luogo dove trovano aiuto tutte coloro che ne hanno bisogno, siano cristiane o hindu o musulmane (e' cosa in se' importante, fa notare Ibu, in una societa' dove le tensioni sono acuite dalla crisi economica; "anche il nostro staff e' misto"). Trovano assistenza, vitamine, rimedi tradizionali, un po' di medicina cinese, l'ospedale se serve: la clinica di Bumi Sehat mescola saperi tradizionali e scienza medica. Accanto sono nati un piccolo orto botanico e atelier dove alcune donne preparano prodotti tradizionali e li vendono. ("Ibu Robin vuole impedire l'espropriazione delle conoscenze femminili da parte dei medici",dice la motivazione del premio della Fondazione Alex Langer). * Questa pero' e' solo la prima parte della storia. La seconda comincia quando lo tsunami ha spazzato l'oceano Indiano alla fine del 2004: la signora dallo sguardo insieme affettuoso e vigile ha impacchettato in gran fretta il materiale sanitario disponibile e, insieme a diversi collaboratori e volontari, e' volata a Aceh, provincia settentrionale di Sumatra, epicentro della devastazione. "Non avevo mai visto nulla di simile. 280.000 persone erano morte - ma c'e' chi dice che siano di piu', 400.000 - e i sopravissuti non avevano nulla". Serviva tutto, a cominciare dall'acqua ("i pozzi erano sommersi o salinizzati"). E servivano cure mediche. Cosi' Bumi Sehat (con la fondazione Idep di Bali) ha costruito una clinica che ora cura fino a 1.500 pazienti al mese - con annesso centro comunitario, un campo da gioco, la biblioteca, cucina, toilettes. E' in una zona un po' remota, lontano dai capoluoghi, dove bisogna portare la benzina per il generatore (manca l'elettricita') e ogni rifornimento. Fino allo tsunami Aceh era off limits, travolta da un conflitto armato: e' stato difficile lavorare in quel contesto? "Mi sono assicurata che noi restassimo neutrali, ne' con i governativi ne' con i separatisti. Solo cosi' potevamo aiutare tutti". Con uno staff misto di volontari, il gruppo di Bumi Sehat ha fatto i conti con la tradizione islamica, magari coperto la testa per rispetto alle pazienti, riuscendo a superare le tensioni. Dice Ibu Robin: "L'Indonesia e' una terra che trema, terremoti, vulcani. Ma dopo la catastrofe ho visto persone mobilitarsi per aiutare, e questo mi da grande speranza". 5. RIFLESSIONE. "UNA CITTA'" INTERVISTA GIUSEPPE MOSCATI: LA RELIGIONE DI ALDO CAPITINI [Dalla rivista "Una citta'", n. 140, giugno-luglio 2006 (disponibile anche nel sito www.unacitta.it) riprendiamo il seguente colloquio su Aldo Capitini con Giuseppe Moscati. Giuseppe Moscati (per contatti: giuseppe.moscati at tiscalinet.it) e' dottore di ricerca presso l'Universita' degli Studi di Perugia dove svolge attivita' di collaboratore scientifico, tutore di sostegno e cultore della materia presso le cattedre di filosofia morale e storia della filosofia morale del professor Mario Martini, con cui condivide tra l'altro gli studi capitiniani. Formatore sui temi dell'intercultura, della pace, del dialogo tra i popoli e della cooperazione allo sviluppo, e' segretario e membro supplente del Premio di laurea "Aldo Capitini". E' redattore della rivista "Rocca". Ha pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate occupandosi in particolar modo degli aspetti etico-politici dell'opera di Capitini e in generale del pensiero nonviolento, tra cui: "Il libero-socialismo di Aldo Capitini", in AA. VV., Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2001; La presenza alla persona nell'etica di Aldo Capitini. Considerazioni su alcuni scritti "minori", "Kykeion", n. 7, Firenze University Press, Firenze 2002; Mazzini, Capitini, Gandhi. Intervista a Mario Martini, "Pensiero Mazziniano", nuova serie LVII, n. 4, Bologna University Press, Bologna 2002; Pensare la pace, scacco matto alla guerra. Una riflessione filosofica su conflitto e dintorni, "Foro ellenico", VI, n. 53/2003; Dietrich Bonhoeffer: Essere-per-gli-altri, "Rocca", LXIII, n. 8/2004; E il settimo giorno ando' alla guerra. Religioni tra scenari di guerra e orizzonti di pace, "Apulia", XXX, n. 4/2004; Capitini, la nonviolenza e il dialogo tra i popoli, "L'altrapagina", XXII, n. 5/2005; Maria Zambrano, violenza e creazione, "Rocca", LXIV, n. 12/2005; Simone Weil: dal mito al cuore dell'uomo, "Rocca", LXIV, nn. 16-17/2005. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta at sis.it Guido Calogero, figura illustre della cultura e della vita civile italiana del Novecento, nato a Roma nel 1904, filosofo, antifascista, organizzatore del movimento liberalsocialista e del Partito d'Azione, e' scomparso nel 1986. Tra le opere di Guido Calogero segnaliamo particolarmente La scuola dell'uomo, Sansoni, Firenze 1939; Lezioni di filosofia, Einaudi, Torino 1946-1948; Filosofia del dialogo, Comunita', Milano 1962, 1977; Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1968, poi Diabasis, Reggio Emilia 2001. Su Guido Calogero cfr. anche il n. 1329 di questo foglio e il supplemento "Voci e volti della nonviolenza" n. 26. Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909 ed e' deceduto nel 2004, antifascista, filosofo della politica e del diritto, autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace, e' stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani del XX secolo. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti presso l'editore Passigli, Firenze. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi, Torino. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi, Torino 1990. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna, varie riedizioni; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Milano 1990; Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000; AA. VV., Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; AA. VV., Norberto Bobbio maestro di democrazia e di liberta', Cittadella, Assisi 2005; AA. VV., Lezioni Bobbio, Einaudi, Torino 2006. Per la bibliografia di e su Norberto Bobbio uno strumento di lavoro utilissimo e' il sito del Centro studi Piero Gobetti (www.erasmo.it/gobetti). Walter Binni e' nato a Perugia nel 1913, ha studiato alla Normale di Pisa, antifascista, impegnato nella Resistenza, poi deputato alla Costituente; docente universitario, tra i massimi studiosi della letteratura italiana; e' scomparso sul finire del novembre 1997. Opere di Walter Binni: nella sua vastissima produzione, tutta di grande valore, segnaliamo particolarmente gli studi leopardiani: fondamentali La nuova poetica leopardiana, e La protesta di Leopardi, editi da Sansoni; ed il giustamente celebre saggio metodologico Poetica, critica e storia letteraria, edito da Laterza. Come e' noto sono classici i suoi studi sulla poetica del decadentismo, il preromanticismo italiano, Ariosto, Michelangelo scrittore, Metastasio, Parini, Goldoni, Alfieri, Monti, Foscolo, Carducci, De Sanctis] - "Una citta'": Quella di Aldo Capitini e' sicuramente una figura molto particolare. Mi pare infatti egli avesse tutti i crismi per essere considerato un vero e proprio intellettuale, appunto, ma senza mai vivere appieno questo suo ruolo, o almeno non nel senso tradizionale del termine. - Giuseppe Moscati: Concordo. La stretta aderenza dello stile di vita adottato al proprio pensiero, l'estrema coerenza di scelte e principi, azioni e valori, in breve la simbiosi di teoria e prassi, stanno a testimoniare la riluttanza di Capitini a sentirsi un intellettuale per cosi' dire "puro". Queste caratteristiche fanno di lui, semmai, un pensatore di grande umanita' che ha pagato duramente il suo coraggio nel difendere le proprie idee, un filosofo con un'eccezionale attenzione alla realta' socio-politica e un lucido lettore del suo tempo. Ma credo anche, profeticamente, del nostro. Ce ne fornisce una significativa conferma quanto ha voluto sottolineare di recente il sociologo Franco Ferrarotti scrivendo che "aprire il discorso sulla complessa figura di Aldo Capitini comporta, in via preliminare, la considerazione di un paradosso: quanto piu' un pensiero appare ai contemporanei come 'sfasato' e inattuale, tanto piu' questo stesso pensiero si pone in realta' come significativo e pieno d'avvenire" (Stato laico e religione civile: l'esempio di Aldo Capitini, in "Lettera internazionale", n. 86, 2005, p. 51). Capitini parte da studi letterari per poi approdare alla filosofia, che vede subito sostanzialmente come un soccorso del pensiero all'azione di opposizione al sistema totalitario prodotto dal regime fascista. Ma la filosofia cui egli guarda non puo' essere naturalmente quella dell'idealismo, cui reagisce con forza poiche' trova che sia un pensiero chiuso; ne' puo' dirsi soddisfatto dall'esistenzialismo, cui pure si riferisce sotto alcuni punti di vista, rielaborando quella peculiare forma di esistenzialismo che e' stato il pensiero tragico di Carlo Michelstaedter. Esistenzialismo, comunque, che Capitini non puo' non avvertire come insufficiente soprattutto per via di una certa forma - diciamo cosi' - di "esilio volontario dal mondo" che l'esistenzialista finisce, pessimisticamente, per scegliere con la sua rinuncia di fondo alle grandi potenzialita' insite nell'azione trasformatrice della politica. Allo stesso tempo Capitini, pur non ripudiandola in toto, intende oltrepassare la visione dello storicista, che fa bene a concepire l'uomo come soggetto reale, concreto, e Dio come immanente all'umano e pero' sbaglia nell'accogliere in maniera inerte il mondo "cosi' come viene" con la certezza giustificatoria che anche il male e' strumentale al "bene che verra'". La via ricercata da Capitini, in questa direzione, e' invece quella di una sorta di riforma-aggiunta religiosa, ma di una religione aperta - come amava ripetere - e libera o meglio liberata, ovvero finalmente liberata dai vincoli asfissianti del dogma, da una parte, e della gerarchia ecclesiastica, dall'altra, a favore di una trascendenza rivoluzionariamente orizzontale. * - "Una citta'": A partire da questa tensione e volendo seguire da vicino il percorso che porta Capitini a indagare quelle che sono le dinamiche relazionali fondamentali proprie dell'agire sociale, e' possibile rinvenire un filo conduttore della sua elaborazione teorica e della sua azione pratica? - Giuseppe Moscati: C'e' sicuramente un filo rosso tra le opere capitiniane, da Elementi di un'esperienza religiosa del 1937 a Vita religiosa del '42, da Atti della presenza aperta del '43 a La realta' di tutti scritto nel '44 e pubblicato solo quattro anni piu' tardi, fino al Saggio sul soggetto della storia, a Religione aperta e a La compresenza dei morti e dei viventi, rispettivamente del '47, del '55 e del '66 (solo per citare le principali). E' il filo che lega la religione alla politica, la religione intesa come prassi, sentimento ed esperienza religiosi, e la politica vista come vita sociale e come insieme di quelle relazioni interpersonali di cui si nutre una comunita'. Quest'ultima, secondo la visione di Capitini, non puo' che essere una comunita' allargata nei propri orizzonti e aperta a tutti, persino ai morti, che cooperano con i vivi alla comune costruzione dei valori e alla trasformazione della realta' ingiusta e violenta. Riscoprire il senso autentico della religione come terreno di comunione tra individui a partire dalla personale esperienza di ciascuno equivale a riconsegnare la politica a tutti i soggetti, nessuno escluso, i quali sono cosi' chiamati a partecipare facendosi responsabili di una realta' appunto comune, di tutti e che tutti include. L'essenza della religione di Capitini, secondo una sua felice definizione, corrisponde ad una "coscienza appassionata della finitezza", con tutto cio' che essa comporta. Il filosofo perugino, quindi, non solo non nega la finitezza dell'uomo, ma ne fa una vera e propria risorsa a disposizione di tutti: siamo finiti e percio' non bastanti a noi stessi, non possiamo che tendere alla leopardiana confederazione, ma con diverse aggiunte sostanziali. Non a caso, d'altra parte, Capitini si vedeva come "un kantiano-leopardiano, umanitario e socialisticheggiante". L'aggiunta religiosa e' appunto quel di piu' che va aggiunto alla religione cosi' come e' stata interpretata e vissuta in senso tradizionale per farla finalmente diventare costante stimolo a superare i limiti - violenti - imposti dalla natura oppure dettati da questa o quella autorita' illegittima che pretende di ridurre tutto e tutti a unita', a totalita'. Contro questa reductio ad unum, Capitini oppone il senso corale dell'esistere (non l'Uno, ma l'Uno-tutti) e quindi l'elemento positivo della collaborazione di ognuno al valore "sempre crescente" della compresenza. Ma al contempo aggiunta e' allora anche aggiunta etica, politica e sociale, la' dove l'individuo ha bisogno di integrazione e di condivisione, dove la cosa pubblica e' il terreno in cui incontrarsi per dialogare con spirito critico, con informazione libera, con possibilita' di comunicare contenuti, opinioni, esperienze, vissuti. In questa tensione verso l'altro, in questo dare del tu ai tutti, risiede forse il principale dei segreti, se ce ne sono, di tutta l'opera capitiniana. La stessa nonviolenza, infatti, e' la strategia e insieme la radicale scelta di vita per la quale l'io, mettendo da parte pericolosi pregiudizi e mediocri abitudini mentali e d'atteggiamento, va verso il tu, si incammina verso l'alterita' proprio partendo dall'esperire l'altro in tutta la sua diversita' e autonomia di vita e di pensiero. * - "Una citta'": Quello della "compresenza" e' certamente un aspetto emblematico, e credo assai originale, del pensiero di Capitini. Mi sembra interessante, allo stesso tempo, approfondire le implicazioni concrete della compresenza nell'atteggiamento verso la vita e verso gli altri come pure risalire alle premesse ideali che troviamo a monte del concetto stesso di compresenza. - Giuseppe Moscati: L'esperienza dell'altro diventa testimonianza quando l'incontro segna l'atto di nascita della compresenza, che Capitini estende originalmente all'orizzonte allargato dei vivi e dei morti, dei fiaccati e degli stanchi, dei deboli e degli ultimi, dei meno fortunati e dei senza voce (chi ha "appena il fiato per respirare"), dei feriti e degli offesi, degli stroncati e degli umiliati, dei vinti e dei torturati, dei condannati... Scompare cosi' la linea di demarcazione tra due mondi che non possono essere separati, che non possiamo accettare di mantenere separati e distanti; viene meno, insomma, la logica di esclusione richiamata prima, e la compresenza puo' infine affermare, secondo l'espressione capitiniana, la "realta' liberata" e "di tutti". Non solo: la compresenza puo' cosi' anche realizzare la trasformazione del potere da "esercizio del potere sull'altro" (potere inautentico, dominio) a "poter co-ideare e poter fare con l'altro" (potere autentico, liberta' per): ecco dunque la prospettiva liberante e arricchente del liberalsocialismo, di cui Capitini ragionava soprattutto con Guido Calogero e che si pone come possibilita' di integrazione tra il massimo della liberta' e il massimo della socialita'. E "il massimo di" in questo caso significa in definitiva il massimo possibile senza che la mia liberta' individuale possa ledere o in qualche misura decurtare quella altrui, da un lato, e senza che la socialita' possa soffocare le autonomie dei singoli, ognuno a suo modo recante una irripetibilmente ricca identita', dall'altro. La denuncia di Capitini investe le varie forme di violenza, da quella brutalmente fisica a quella psicologica, da quella che chiamiamo violenza strutturale a quella che si accompagna alla retorica, all'inganno, alla disinformazione o alla parziale informazione. Da qui tutto un lavoro di anni e anni dedicato alla discussione, al confronto pubblico, alla circolazione di una parola che nel comunicare liberi e nell'informare renda tutti consapevoli e responsabili, nella convinzione che si debba sempre ri-partire dal basso. Per questo il rapporto che possiamo e dobbiamo avere con la sua opera, letta alla luce della testimonianza di vita che rappresenta la figura di Aldo Capitini, non puo' che assumere la forma del colloquio ispirato alla compresenza del suo esempio paradigmatico e della nostra realta' effettuale. Qui, allora, scopriamo la compresenza davvero come un orizzonte che apre l'Uno-Tutti della storia e fa di questa apertura un'aggiunta fondamentale e anzi imprescindibile dell'umanita': all'origine dell'idea di compresenza, ovvero ancor prima della persuasione della compresenza, insomma, rintracciamo la ferma volonta' di una netta opposizione di Capitini a quel pensiero unico che pretende, in un modo o nell'altro, di "giustificare il mondo". Di giustificarlo cosi' come esso e' e cosi' come fa comodo che rimanga. * - "Una citta'": Questa prassi del dialogo, che avvicina certamente Capitini, come tu stessi indicavi, a Calogero, come si manifesta sul piano piu' propriamente politico o, in altri termini, dell'azione politica? - Giuseppe Moscati: Dicevamo che tutta la filosofia capitiniana e' investita da questa rivoluzionaria apertura dell'io al tu. Anche la stessa "persuasione religiosa" di cui parlano tante pagine dell'opera di Capitini nasce dall'intento di oltrepassare, qui e ora, le barriere che separano tra loro gli individui come pure i popoli. La famosa Marcia della pace, tra l'altro, e' stata da lui concepita come "Marcia per la pace e la fratellanza tra i popoli", simbolo messo fisicamente in atto proprio per promuovere un maturo e adulto dialogo interreligioso e interculturale che potesse andare al di la', varcare la soglia delle divisioni, dei fanatismi, delle chiusure della peggiore ideologia religiosa e/o politica e (pseudo)culturale. In questo senso possiamo comprendere appieno l'escatologia capitiniana: la salvezza degli uomini e delle donne e' nel presente, non puo' essere rimandata o, peggio, attesa passivamente, il che verrebbe a significare, in ultima analisi, accomodamento e adattamento alla sufficienza di quanto ci e' dato, cioe' rinuncia al cambiamento. * - "Una citta'": Sono dunque queste le coordinate per entrare nel complesso universo capitiniano? Mi pare che in esso il "senso del luogo", delle radici (Perugia), si coniughi mirabilmente con un'apertura al mondo di formidabile rilevanza. Forse e' proprio qui che possiamo rilevare una delle capacita' di maggiore penetrazione del pensiero di Capitini, il quale ci stupisce per una sensibilita' cosi' vicina al nostro sentire contemporaneo come se non fossero quasi quaranta gli anni trascorsi dalla sua scomparsa. Credi sarebbe efficace interpretare il mondo d'oggi attraverso le categorie capitiniane? - Giuseppe Moscati: E' importante a questo riguardo richiamare la testimonianza che, con diversi accenti, hanno dato del rapporto con Capitini due suoi grandi amici: uno e' Norberto Bobbio e l'altro Walter Binni. Il primo ha chiarito che non e' sufficiente, per capire veramente la visione del mondo capitiniana, risalire alle sue fonti filosofiche o rileggere i suoi autori di riferimento: bisogna piuttosto "entrare dentro la sua esperienza, cogliere le fonti vitali, non libresche, del suo pensiero" (Maestri e compagni, Passigli, Firenze 1994, p. 260). Binni, poi, con l'eccezionale efficacia letteraria di cui e' capace, alla morte di Capitini il 21 ottobre del 1968 ha costruito una memorabile descrizione psico-fisica dell'amico, che aveva conosciuto nel 1931: "Quel volto scavato, energico, supremamente cordiale, quella fronte alta e augusta, quelle mani pronte alla stretta leale e confortatrice, quegli occhi profondi, severi, capaci di sondare fulminei l'intimo dei nostri cuori e di intuire le nostre pene e le nostre inquietudini, quel sorriso fraterno e luminoso, quel gestire sobrio e composto, ma cosi' carico di intima forza di persuasione, quella voce dal timbro chiaro e denso, scandito e posseduto fino alle sue minime vibrazioni. Tutto cio' che era suo, inconfondibilmente e sensibilmente suo, ora ci attrae e ci turba quanto piu' sappiamo che e' per sempre scomparso con il suo corpo morto ed inanime, che non si offrira' mai piu' ai nostri incontri, al nostro affetto, nella sua casa, o in questi luoghi da lui e da noi tanto amati, su questi colli perugini, malinconici e sereni in cui infinite volte lo incontrammo e che ora ci sembrano improvvisamente privati della loro bellezza intensa se da loro e' cancellata per sempre la luce umana della sua figura e della sua parola" ("Un vero rivoluzionario", in Il messaggio di Aldo Capitini, antologia degli scritti a cura di G. Cacioppo, Lacaita, Manduria 1977, p. 497). Tuttavia, la forza delle pagine capitiniane, testimonianza viva di un pensiero combattente, assieme all'esempio paradigmatico della sua vita, esperienza intima propria di quel pensiero mai domo o accomodante, credo continuino a offrirci ancora oggi preziose e pulsanti provocazioni per il nostro presente. Quanto alla straordinaria apertura al mondo cui facevi riferimento, forse non senza una qualche eco arendtiana, possiamo dire che di essa si nutre proprio il nucleo fondamentale del convincimento nonviolento del filosofo umbro. In altre parole e' da quell'apertura costitutiva, da quell'essere aperti e dialoganti con i confini allargati del mondo, che prende le mosse l'argomentazione capitiniana che si propone di definire l'atteggiamento nonviolento da assumere verso tutto cio' che ci circonda e, insieme, verso il nostro stesso intimo. Ne leggiamo un passaggio significativo in uno degli scritti raccolti dall'antologia curata di recente da Mario Martini: "a proposito dell'attuale mondialismo - nota Capitini - la nonviolenza da' un'ottima guida anche perche' c'e' sempre qualche cosa di educativo in questo dirsi 'cittadini del mondo'" (A. Capitini, "Argomenti e ragioni della nonviolenza", in Id., Le ragioni della nonviolenza, a cura di M. Martini, Ets, Pisa 2004, p. 81). Ecco, credo che sia l'elemento educativo a rappresentare, ancora una volta, il legame profondo tra gli uomini e le donne, tra i gruppi sociali, tra i popoli nel mondo, fino a far scomparire progressivamente i "ruoli" dell'individuo, della razza, della nazione... * - "Una citta'": Su quali versanti pensi possano agire queste "provocazioni"? Vorresti approfondire questa possibile attualita' del pensiero di Capitini, tenendo presente proprio la stretta aderenza tra teoria e prassi di cui ci hai parlato? - Giuseppe Moscati: Mi pare di non esagerare nel dire che sono diverse le coniugazioni attualizzanti del pensiero e della testimonianza della prassi di Aldo Capitini. E credo, in ultima analisi, che di questa attualita' plurima il nostro agire socio-politico abbia un estremo bisogno. Non e' superfluo insistere di nuovo, del resto, sul pessimo stato di salute della partecipazione politica in senso autentico. Una delle componenti piu' vive dell'opera capitiniana l'ha colta Andrea Tortoreto (cfr. La filosofia di Aldo Capitini. Dalla compresenza alla societa' aperta, Clinamen, Firenze 2005) trattando del pensiero sociale del filosofo perugino ed evidenziando la cifra dell'apertura interna che deve caratterizzare la socialita'. Una socialita' "tesa alla persona, imbevuta di tu, di attenzione all'altro, di religiosa comunanza e vicinanza con i limitati" (p. 141), ovvero con quei soggetti che il diritto deve tutelare e cui le politiche sociali devono prestare sollecita, inesausta attenzione. In questo senso ha fatto bene Pietro Polito, raccogliendo tra l'altro la lezione bobbiana piu' genuina e declinando l'omnicrazia di Capitini nei termini dell'oggi, a parlare della democrazia come di un "ideale-limite" che poggia necessariamente su un "approfondimento etico" (cfr. P. Polito, La democrazia alla prova. Una critica etica alla democrazia, in "Nuova Antologia", n. 2236, 2005, p. 116). L'intento che troviamo alla radice della socialita' di cui ci parla Capitini, allora, e' un dire no al pensiero unico, che con Tortoreto possiamo chiamare totalitarismo, chiusura egoistica, esasperato individualismo, quindi anche ostacolo alla tensione al valore e soppressione della stessa creativita' di ognuno. La politica esige oggi piu' che mai la fiducia dei cittadini, che hanno possibilita' ancora maggiori rispetto al passato di dirsi e soprattutto di farsi cittadini del mondo; ma allo stesso tempo, secondo un rapporto essenzialmente biunivoco, i cittadini hanno bisogno di potersi fidare della politica. La globalizzazione, insomma, deve attraversare integralmente il passaggio cruciale da fenomeno meramente tecnologico-materiale a fenomeno profondamente umano, o meglio interumano, in breve deve trasformarsi da rete di contatti a rete di relazioni. Capitini non ha conosciuto questo mondo, ma questo mondo sono persuaso ci possa appartenere molto di piu' grazie al suo pensiero. 6. LETTURE. DARIO PACCINO: I SENZAPATRIA. RESISTENZA IERI E OGGI Dario Paccino, I senzapatria. Resistenza ieri e oggi, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2006, pp. 136, euro 13 (per richiedere il libro alla casa editrice: Biblioteca Franco Serantini, via I. Bargagna 60, 56124 Pisa, tel. e fax: 0509711432, e-mail: acquisti at bfs-edizioni.it, sito: www.bfs-edizioni.it). In quest'opera postuma di Dario Paccino (curata dall'Assemblea spazi autogestiti di Lucca, con contributi di Giorgio Ferrari e Sirio Paccino, e una presentazione di Vauro Senesi) senti ancora la sua voce, il suo rovello, la sua energia, l'impegno suo di militante e di intellettuale. L'ho letto d'un fiato questo libro appena l'ho avuto tra le mani (grazie a Gian Marco Martignoni, compagno prezioso di tante riflessioni e di tante esperienze), e d'un fiato avrei voluto scriverne per segnalarlo alle persone amiche. Poi ho sempre rinviato, sentendo troppo inadeguate le poche righe che buttavo giu' e cancellavo, buttavo giu' e cancellavo. Sono mesi e mesi che mi dico che vorrei scrivere un degno ricordo di Dario Paccino, e sincero un omaggio, e franca una rievocazione, un'esposizione e una disamina critica della sua azione, delle sue ricerche, delle sue riflessioni e proposte teoriche e pratiche; ma sempre rinvio, come accade di fare con le scritture che senti piu' necessarie e quindi impegnative, piu' urgenti e quindi sofferte, in cui si fondono e colluttano e fanno nodo la critica e la nostalgia, il dibattito senza reticenze e la gratitudine, il fuoco della controversia e l'amista'. E sono anni che vorrei cercar di ritrovare le sue lettere che spero di non aver perso nei successivi traslochi della mia vita. Veniva dalla Resistenza, e per tutta la vita aveva continuato a resistere. Fu tra i primi a farci conoscere le nuove lotte degli indiani d'America, fu netto nello smascherare quanto di totalitario vi era in esperienze postrivoluzionarie in tempi in cui erano assai celebrate da giovani allora tanto generosi quanto ingenui e ambigui e presto traviati; fu tra i primi a svolgere un discorso ecologico non ingenuo e non subalterno, fu tra coloro che sulla scienza e le tecnologie seppero dire cose vere e decisive. Nella lotta antinucleare fu un compagno prezioso e generoso; e nell'opposizione alla guerra, ai suoi strumenti, ai suoi apparati, alle logiche e ideologie sue. I giovani di oggi ubriacati dalle ciance - che io trovo superficiali, ambigu e ed infine stupide e complici - di certi sciatti e presuntuosissimi cosiddetti ed autoproclamati "guru no global", non immaginano neppure la ricchezza, la complessita' e la profondita' di analisi del marxismo critico, quel marxismo di sinistra antitotalitario che in Italia fu dei Fortini e dei Timpanaro, dei Panzieri e dei Maccacaro - e di molte e molti altri -, e che s'intrecciava con tutte le piu' feconde tradizioni di pensiero e di azione della cultura contemporanea, e con le piu' vive esperienze di lotta di liberazione (anche quelle che si opponevano ai regimi totalitari e fin genocidi che marxisti si proclamavano). E quanto ci sarebbe bisogno invece che conoscessero e riconoscessero quella tradizione di pensiero: una tradizione di pensiero che io credo pensata profondamente (nelle sue verita' e nelle sue aperture, ma anche nei suoi limiti e nei suoi errori) porti - come altre tradizioni del resto, massime il femminismo - a questa scelta e proposta e prassi che da anni chiamo nonviolenza in cammino e che per quanto mi concerne non e' altra cosa da quel comunismo in cammino di cui Fortini scrisse una volta - se non forse in quanto piu' chiara e profonda, piu' nitida e piu' intransigente nel ripudio di ogni menzogna e di ogni oppressione, nella rigorizzazione del rapporto tra teoria e prassi, tra mezzi e fini, nel riconoscimento (nel rispetto che ascolta, nella cura che accoglie e protegge ed invera, nella schiudente, dialogante sollecitudine) dell'umanita' di ogni altra persona, nel piu' nitido rivendicare e difendere la dignita' umana e gli umani diritti di tutti gli esseri umani. Nel vivo del conflitto, nel fuoco della contraddizione, nel crogiuolo di un mondo di relazioni da mutare e salvare ad un tempo. Non era un compagno facile, Dario Paccino; ruvido nelle polemiche fino all'unilateralita' piu' accesa, quante volte leggendone gli scritti mi dicevo: ecco che l'indignazione lo porta ad espressioni non sufficientemente meditate, ecco che la rivendicazione orgogliosa delle nostre ragioni gli occlude l'accesso all'intellezione piena e al riconoscimento franco delle ragioni altrui, ed ecco che qui un suo limite - di volontarismo, di difesa a oltranza di un punto di vista, di lealta' con le persone sentite piu' vicine, di schieramento comunque con una visione del mondo (quella visione del mondo che insegna a diffidare di tutte le visioni del mondo ed a riconoscere che ogni ideologia e' sempre anche falsa coscienza: ma che pure era stata ossificata e trasmutata finanche nel suo ignobile e feroce contrario) - gli impedisce di cogliere un nodo, una complessita', la necessita' di una lettura con altri, ulteriori occhiali, con diverso sguardo. Ma sono cosi' queste nature di combattenti, che per nulla concedere a cio' che avvertono come intollerabile, talora - o sovente - neppure ascoltano cio' che invece ascoltato ed inteso andrebbe. E talune sue posizioni ho duramente avversato laddove mi pareva fossero corrive ad errori e subalternita' inaccettabili: cosi' con i nostri maestri e compagni dobbiamo condurci, io credo: valorizzando tutto e tutto criticando, e confliggendo e contrastando senza esitare ove cattiva retorica o malintese solidarieta' recavano a posizioni non vere e non giuste. Talvolta io stesso da Dario sono stato forse non lievemente frainteso (ma mi capita spesso, ed essendo ormai un vecchio militante dalla lunga barbaccia bianca e la zucca che va facendosi pelata non mi duole piu' granche': ne ho viste tante, sono ancora vivo); ma ho sempre saputo che nell'ora delle scelte e del bisogno, nell'ora del pericolo e della resistenza - quell'ora che arriva come ladro di notte, quell'ora che non cessa mai - Dario sarebbe stato il primo ad accorrere in aiuto, senza esitazioni. Era fatto cosi'. Valevano davvero per lui le parole che Brecht scrisse in quella cantata in cui il soldatino rosso s'accosta al cadavere di un gia' mitizzato capo rivoluzionario e gli grida all'orecchio "arrivano gli sfruttatori!", e avendo constatato l'immobilita' della salma conclude che solo ora e' certo che sia morto, poiche' non fosse morto si sarebbe levato alla lotta, perche' "tutta la sua vita aveva lottato / contro gli sfruttatori". 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1445 dell'11 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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