La nonviolenza e' in cammino. 1438



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1438 del 4 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Angela Dogliotti Marasso: Il femminismo, la nonviolenza
2. Silvia Ferbri: Un grande utopista contemporaneo
3. Una notizia biografica su Murray Bookchin
4. Leggere Bookchin
5. Riedizioni: Federico Garcia Lorca, Poesie
6. Riedizioni: Pablo Neruda, Poesie
7. Giobbe Santabarbara: Pour tout vous dire
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: IL FEMMINISMO, LA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Angela Dogliotti Marasso (per contatti: maradoglio at libero.it)
per averci messo a disposizione il testo del suo intervento alla tavola
rotonda su "La nonviolenza delle donne" svoltasi nell'ambito del convegno
tenutosi a Pisa dall'8 all'11 settembre 2006 nel centenario della nascita
del satyagraha, la proposta di lotta nonviolenta gandhiana. Angela Dogliotti
Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della
Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, svolge attivita' di ricerca e
formazione presso il Centro studi "Sereno Regis" di Torino e fa parte della
Commissione di educazione alla pace dell'International peace research
association; studiosa e testimone, educatrice e formatrice, e' una delle
figure piu' nitide della nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo
particolarmente Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il
saggio su Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria,
Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999; con Maria Chiara Tropea,
La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 2003; Con Elena Camino (a cura di), Il conflitto: rischio e
opportunita', Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004]

In un convegno come questo, che vuole fare memoria di un altro 11 settembre,
per rendere visibile il ricco patrimonio di nonviolenza presente nella
storia e aprire cosi' una diversa prospettiva per il presente e per il
futuro, mi sembra importante fare memoria anche delle riflessioni e delle
pratiche in cui il rapporto tra donne e nonviolenza e' venuto alla luce nel
corso degli ultimi decenni, a partire dalla mia personale ricerca di
nonviolenza e presenza all'interno dei movimenti. Un punto di vista
parzialissimo, dunque, e per nulla esaustivo, una testimonianza
esemplificativa, piu' che una ricostruzione storica di cio' che e' stata la
nonviolenza delle donne dagli anni Settanta ad oggi.
*
Una prima sistematica raccolta di testi su questo tema si trova sul numero
di "Azione nonviolenta" del luglio-agosto 1979, sotto forma di dossier dal
titolo "Femminismo. La nonviolenza: una via?", con contributi
prevalentemente stranieri comparsi nel corso degli anni Settanta.
Questo materiale costituisce il nucleo di partenza di un testo, Per un
futuro nonviolento, curato da Adriana Chemello e pubblicato dalla casa
editrice Satyagraha nel 1984 (1). L'approccio che l'autrice propone per
indagare il rapporto tra donne e nonviolenza e' evidenziato gia' dal titolo
del primo paragrafo dell'introduzione: "Mai piu' vittime e complici". Una
presa di distanza dal vittimismo e un mettere in primo piano la
responsabilita', la scelta, sia nelle relazioni di genere, sia in quelle
politico-sociali, per rifiutare ogni complicita' e attivare la forza e il
potere che e' nelle mani di ciascuna/o, in perfetta continuita' con la
concezione nonviolenta del potere.: "La forza di chi opprime sta tutta nella
paura e nella debolezza della vittima. Il potere sull'altro si avvale del
consenso o della delega" ( p. 12).
Piu' avanti nell'introduzione si parla della necessita' di recuperare per
tutti i "cosiddetti" (virgolettato nel testo) valori femminili: "l'empatia,
l'attenzione ai cicli biologici, il rispetto dei ritmi naturali... l'armonia
col cosmo, l'apertura e la disponibilita' verso gli altri" (p. 13) e di
ripensare la nonviolenza a partire da se', di "leggerla dal nostro punto di
vista per interpretarla e se possibile praticarla in sintonia con la nostra
femminilita'" (p. 17).
Ma anche il  rapporto tra donne e violenza e' indagato a fondo in uno dei
saggi proposti ("Tra cane e lupo", di Francoise Collin), mettendo in
discussione lo stereotipo della donna "naturalmente" nonviolenta ed
evidenziando le varie forme di violenza subita o agita, contro gli altri e
contro di se'.
*
Negli anni Ottanta, nell'ambito del piu' ampio movimento per il disarmo
nucleare, nascono diverse iniziative di donne, come la marcia organizzata da
gruppi di Donne per la pace del Nord Europa da Copenaghen a Parigi (21
giugno - 6 agosto 1981), subito caratterizzatasi come crocevia di incontri
tra donne di storiche associazioni come la Wilpf (la Lega internazionale
delle donne per la pace e la liberta', nata nel primo dopoguerra) e i nuovi
gruppi femministi-pacifisti, costituiti da donne che vogliono portare
avanti, anche nella lotta per la pace, la propria specificita' di genere.
Da qui si sviluppano esperienze come il Campo per la pace di Greenham
Common, in Inghilterra (settembre 1981) contro i missili Cruise, o il Campo
delle donne per la pace - La Ragnatela (1983) a Comiso, e la mobilitazione
dell'anno successivo, in occasione del processo di Ragusa, in cui sono
imputate dodici donne arrestate durante le azioni nonviolente a Comiso (tra
di loro vi e' Anna Luisa Leonardi L'Abate). Negli stessi anni, a partire dal
1981, un gruppo di donne nonviolente lancia una campagna nazionale contro il
servizio militare femminile (previsto nel disegno di legge dell'allora
ministro della difesa Lagorio), nel cui manifesto si legge: "lottiamo
insieme contro tutti gli eserciti, tutte le guerre... per una parita'
costruita sulla nostra storia, per la pace e la nonviolenza".
*
Se queste esperienze nascono prevalentemente a partire da donne impegnate
nei movimenti nonviolenti o, piu' in generale, in quello che si potrebbe
chiamare il campo della pace, anche nel piu' ampio movimento delle donne si
possono trovare esplicite riflessioni sulla nonviolenza, come testimonia, ad
esempio, un gruppo di lavoro al Seminario delle donne di S. Severa del 1984,
dal titolo "Conflittualita', conflitto, autodeterminazione, pacifismo
nell'era nucleare, femminismo, nonviolenza", da cui emerge una grande
attenzione alla nonviolenza, per l'importanza che essa attribuisce alla
soggettivita', alla scelta personale, alla responsabilita', mentre e' vista
in modo piu' problematico, ad esempio, l'accettazione della sofferenza come
parte del metodo di lotta e del pensiero nonviolenti.
I temi del nuovo modello di difesa, delle proposte di difesa popolare
nonviolenta emerse alla riflessione collettiva soprattutto nel corso della
Campagna di obiezione alle spese militari, sono dibattuti in un convegno del
1987 organizzato dal coordinamento donne del Pci della Regione Lazio, i cui
atti sono pubblicati, a cura di Lidia Menapace e Chiara Ingrao, in un testo
del 1988 che gia' nel titolo esprime  l'assunzione di una chiara
prospettiva: Ne' indifesa, ne' in divisa, (sottotitolo: "Pacifismo,
sicurezza, ambiente, nonviolenza, Forze Armate. Una discussione fra donne",
che da' conto dell'ampio respiro del convegno e di una ricerca che intreccia
diverse dimensioni e contributi).
Di particolare significato, oltre alla sezione dal titolo "In cerca di
alternative", con un'intervista a Gene Sharp, la parte su "Percorsi,
riflessioni, esperienze", in cui compare, tra gli altri, un capitolo,
"Visitare luoghi difficili: per un campo di pace delle donne in Libano", che
testimonia l'emergere delle prime proposte di intervento in situazioni di
conflitto: "E se... in Libano verranno inviati i contingenti 'di pace' di
vari eserciti... non ci sembra importante che le donne ci vadano invece
autonomamente e fuori dalle logiche di potenza, non accettando piu' che solo
le armi possano far tacere altre armi?" (Elisabetta Donini, "Il manifesto",
22 febbraio 1987). L'appello "Non ci basta dire basta", per un campo
internazionale di pace a Beirut, che segue all'articolo,  ha l'adesione di
diverse associazioni e coordinamenti di donne e diventa la strada maestra
per avviare contatti e intrecciare relazioni con donne libanesi,
palestinesi, israeliane e praticare, in questi luoghi di conflitto, una
presenza costantemente mantenuta fino ad oggi (2).
E' cosi' che, quando nel 1988 sono nate le Donne in nero israeliane, la rete
delle Donne in nero si e' rapidamente diffusa in Italia, soprattutto a
partire dall'opposizione alla prima guerra del Golfo, con le modalita' della
presenza silenziosa e che veste i colori del lutto, che tutti ormai
conoscono.
*
E proprio sull'esperienza  delle Women in black  vorrei soffermarmi, prima
di concludere, perche' essa rappresenta un modello emblematico di
attraversamento dei conflitti praticato da donne.
Con la loro presenza muta, a testimoniare sulle piazze di Israele il loro
dissenso verso la politica di occupazione, le donne in nero israeliane si
sono poste in modo conflittuale rispetto al loro contesto di appartenenza
nazionale, dichiarando apertamente la loro non complicita' e non
collaborazione con il proprio governo. In questo modo hanno svolto un ruolo
di "terza parte interna", molto importante per  rompere la rigidita' dei
blocchi contrapposti e per dare spazio e possibilita' al dialogo tra le
parti. Assumendosi la loro parte di responsabilita' esse hanno importato il
conflitto all'interno del proprio gruppo, anziche' proiettarlo all'esterno.
E questo, come ha lucidamente insegnato Franco Fornari, e' il primo passo
per mettere in discussione l'idea stessa di nemico, che e' rafforzata dai
processi di proiezione dei conflitti all'esterno dei gruppi, anziche' dalla
ricerca di strade costruttive per la loro gestione.
Ma una simile pratica presuppone molte cose: che si sappiano riconoscere, in
un conflitto, le relazioni tra le parti e le loro reciproche influenze; che
si sappia vedere la sofferenza dell'altro, insieme alla propria; e che, in
conseguenza di cio', si pongano al centro della trasformazione del conflitto
spazi di incontro e di ascolto, in una prospettiva relazionale concreta e
non individualistica e astratta (Carol Gilligan, Con voce di donna,
Feltrinelli, Milano 1987, e anche  l'articolo Gendering conflict resolution,
in "Peace and Change", ottobre 1994; Del Turco, Donne, conflitti e processi
di pace, 2005).
E' questa, dunque, una pratica di gestione del conflitto chiaramente segnata
da una specificita' di genere, una pratica che connette il dentro con il
fuori, la violenza dentro di se' con la violenza fuori di se', il privato e
il politico, un patrimonio prezioso sul quale le donne possono richiamare
l'attenzione anche nei movimenti nonviolenti specifici e su cui ritornera'
anche Luisa Del Turco.
*
Per concludere questo breve e sommario percorso, vorrei ancora ricordare che
si e' formalmente costituita nel 2001 una Convenzione permanente di donne
contro la guerra, che raccoglie adesioni individuali e di gruppi impegnati
in questo ambito, nel cui statuto e' sancita la pratica dell'azione
nonviolenta, considerata "metodo decisivo per allontanare dalla politica in
generale simboli, metafore, anticipazioni di guerra" (art. 3).
*
Note
1. Tra i testi pubblicati negli anni successivi: B. Brock-Utne, La pace e'
donna, Ega, Torino 1989, nato nell'ambito della peace research; Sara
Ruddick, Il pensiero materno, Red, 1993; Maria G. Di Rienzo, Monica
Lanfranco, Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003.
2. Significativo anche un piu' recente seminario della scuola di politica
del Forum donne del Prc (settembre 2004), di cui sono stati pubblicati gli
atti: La forza della nonviolenza, a cura di Imma Barbarossa, Edizioni Punto
Rosso.

2. RIFLESSIONE. SILVIA FERBRI: UN GRANDE UTOPISTA CONTEMPORANEO
[Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 320, ottobre 2006 (disponibile anche
nel sito www.arivista.org), riprendiamo il seguente testo, parte di un ampio
dossier a Bookchin dedicato dalla rivista, aperto dalla seguente breve
presentazione redazionale: "Con la morte di Murray Bookchin, avvenuta a fine
luglio nel 'suo' Vermont, e' scomparso uno degli intellettuali che
maggiormente hanno contribuito al rinnovamento del pensiero anarchico su
scala internazionale. La nostra rivista, che per prima ne ha fatto conoscere
in Italia le riflessioni su tecnologia, ecologia, ecc., ha ospitato un
vivace dibattito sul suo pensiero. In questo dossier ripercorriamo le tappe
di una vita nella quale l'impegno intellettuale non e' mai stato disgiunto
da quello militante". Murray Bookchin, pensatore e militante libertario
americano, e' stato tra i principali punti di riferimento della "ecologia
sociale"; nato a New York nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna
materna era una rivoluzionaria populista), ha fatto l'operaio
metalmeccanico, il sindacalista, lo scrittore, il docente universitario; e'
deceduto sul finire di luglio 2006. Tra le opere di Murray Bookchin: I
limiti della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La
Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988
(terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989;
Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia
diretta, Eleuthera, Milano 1993]

La mattina dello scorso 30 luglio, nella sua casa a Burlington nel Vermont,
e' morto per una malattia cardiaca Murray Bookchin, uno dei pionieri del
movimento ecologico, tra i fondatori dell'Istituto per l'ecologia sociale
del Vermont, una delle voci piu' ascoltate della controcultura americana e
della New Left, pensatore anarchico e utopico, forse l'ultimo grande
utopista dei nostri giorni. Ma per l'originalita', la vastita' e la liberta'
del suo pensiero, una qualsiasi definizione o collocazione appare limitata o
fuorviante.
Recentemente si e' sentito parlare ben poco di lui e delle sue idee, cosi'
come si e' letto, e quindi scritto, ancora meno. Eppure l'ampiezza del suo
corpus teorico, la lucidita' e la coerenza della sua analisi, la forza delle
sue proposte non solo avrebbero meritato e meritano ben altra
considerazione, ma esprimono a tutt'oggi un'attualita', una tensione verso
il futuro che andrebbero tutt'altro che trascurate o considerate fuori moda.
Soprattutto da chi si definisce anarchico o libertario. La sua e' una
proposta di radicale alternativa sociale, economica, politica, volta alla
costruzione di una nuova societa' autenticamente libertaria. La sua analisi
parte da lontano, dalle radici della gerarchia e del dominio che ancora ci
portiamo dentro, ed esplora i percorsi dell'umanita', spaziando
dall'antropologia alla storia delle religioni, dalla filosofia al pensiero
politico, dalla biologia all'economia, attraverso il retaggio del dominio e
il retaggio della liberta', gli errori e gli inganni delle ideologie, la
periodica comparsa di utopisti che hanno cercato di svegliare le coscienze e
di opporsi al corso delle cose, per arrivare ai nostri giorni e lanciare il
suo grido di allarme, per mostrarci la necessita' e l'urgenza di cambiare
rotta. Radicalmente.
La sua e' una proposta radicale, ma non irrealizzabile. Le soluzioni
parziali non sono piu' sufficienti, ha sempre insistito Bookchin, come del
resto mai sono state; ma affinche' una soluzione non sia parziale, non
agisca sugli effetti anziche' sulle cause, non continui a perpetuare gli
stessi errori in un modo e in un contesto solo apparentemente e
ingannevolmente diversi, occorre una visione completa e non frammentata, al
di la' delle costrizioni ideologiche e politiche, una visione non miope
della storia, dei rapporti umani, del rapporto tra l'uomo e la natura.
Occorre la conoscenza approfondita della nostra storia, di che cosa sono
realmente e di quando e come si sono formati dominio e gerarchia, e la
comprensione e la convinzione che e' da li' che dobbiamo partire, dalla
dissoluzione di ogni forma di dominio, di coercizione e subordinazione, per
poter costruire una societa' autenticamente libertaria. Nessuno di noi e'
del tutto immune da quella mentalita' gerarchica che si e' inserita
profondamente in ogni aspetto della vita sociale e personale, nella nostra
sensibilita' piu' profonda, al punto che ci e' quasi impossibile vederla; e
quando l'abbiamo riconosciuta nelle istituzioni sociali, politiche,
economiche, non siamo stati in grado di combatterla perche' la nostra lotta
era incompleta e inconsapevole, perche' la nostra visione era limitata,
perche' la direzione era distorta. Periodicamente qualcuno si e' avvicinato
molto. Gli esempi non mancano. E questo significa che non tutto e'
perduto...
*
Contro la gerarchia e l'oppressione
In cosa consiste la sua teoria sull'ecologia sociale, quali sono le sue
proposte per la realizzazione di una societa' ecologica e autenticamente
libertaria? Difficile riassumere il suo pensiero in cosi' poco spazio, ma
quello che ci preme ricordare e' l'importanza della sua analisi e delle sue
riflessioni sull'emergere della gerarchia e del dominio, le cause prime di
tutte le forme di oppressione. Il dominio dell'uomo sull'uomo nasce prima
del dominio dell'uomo sulla natura, che ne e' la conseguenza. La gerarchia e
l'oppressione nascono prima delle classi e dello stato, e non sono
inevitabilmente connesse allo sfruttamento economico o alla dominazione
politica. Le strategie di comando e obbedienza (dell'uomo sulla donna,
dell'anziano sul giovane, di un gruppo etnico su un altro, dei capi di stato
e dei burocrati sui loro sudditi), con il passare del tempo si sono sempre
piu' professionalizzate e organizzate, fino all'affermarsi degli stati
nazionali, del capitalismo, alla definitiva scomparsa degli antichi legami
comunitari, della politica attiva e della cittadinanza, per arrivare
all'inganno delle democrazie rappresentative, all'alienazione e
all'isolamento degli attuali agglomerati urbani, al disastro ambientale ed
ecologico.
Qualunque cambiamento, secondo il suo pensiero, passa dall'abolizione di
ogni forma di dominio. Ma per poter ottenere cio', occorre che ciascuno di
noi esplori e comprenda la storia del dominio, come si e' inserito in ogni
aspetto della vita umana, come si e' subdolamente insinuato nelle ideologie,
nei movimenti, nei partiti politici, cosi' come e' fondamentale non
dimenticare tutti coloro che, nei vari tempi, hanno cercato di opporsi e di
risvegliare le coscienze; tutti coloro che hanno provato ad esercitare la
liberta', senza farci sviare dal loro fallimento. Cio' che caso mai deve
sorprenderci, e incoraggiarci, e' il periodico riproporsi di questi
coraggiosi tentativi: la conclusione di Bookchin e' che dentro gli esseri
umani esiste concretamente la possibilita' di vivere una vita autenticamente
libera.
Le cose sono andate in questo modo, ma potevano andare altrimenti, cio' che
esiste attualmente non e' sempre esistito e una svolta e' sempre e ancora
possibile. Non per tornare indietro, ma per ripartire da oggi con la
consapevolezza che ancora ci manca.
*
Lavorare su noi stessi
Gli stati, massima espressione e professionalizzazione del potere,
dell'oppressione, del monopolio della violenza e dell'espropriazione degli
individui, dei loro valori, delle loro aspirazioni, del loro sentire, dei
loro legami comunitari, del loro diritto a partecipare in prima persona alle
scelte che riguardano la loro vita e l'ambiente che li circonda, sono un
fatto relativamente recente nella storia. C'e' sempre stata una resistenza,
a volte molto forte, al loro imporsi. E ancora esiste nel piu' profondo del
nostro essere. Non abbiamo perso definitivamente la capacita' di prendere in
mano le nostre vite, di autogestire i diversi aspetti del vivere comune, nel
dialogo, nel rispetto e nell'accrescimento reciproco. Ci sono esempi molto
recenti e significativi di esperienze in questo senso, basti pensare al
comunismo libertario e al sindacalismo anarchico durante la guerra di
Spagna. L'invito di Bookchin e' a proseguire su questa strada, partendo
dalla situazione attuale, continuando a sperimentare in prima persona la
liberta', facendo tesoro delle esperienze passate e continuando a ricordare,
a studiare, a dialogare e confrontarci.
Lavorando su noi stessi e insieme agli altri, per eliminare via via ogni
residuo di sensibilita' gerarchica e autoritaria in tutti gli aspetti delle
nostre vite. Senza farci ingannare da chi maschera abilmente il suo
desiderio di potere (o di asservimento) dietro un falso tentativo di
cambiare le cose restando dentro il sistema, le istituzioni e le logiche che
invece vanno definitivamente aboliti. Bookchin ci parla di democrazia e
azione diretta (che non devono essere solo strategie o tattiche limitate a
una situazione contingente, ma una vera sensibilita', un modo di vivere), di
municipalismo libertario, di economia municipale, di confederalismo. Di
disintegrazione dello stato e di ogni forma di potere e di controllo, dal
basso, senza aspettare illusori crolli del sistema capitalista o senza
affidare questo compito a una qualche classe economica. E dei veri
significati delle parole "ragione", "giustizia", "liberta'", "uguaglianza",
della distinzione tra felicita' (soddisfacimento dei bisogni) e piacere
(realizzazione dei desideri). Dell'importanza della soggettivita' e del
valore delle differenze, per realizzare un'autentica "unita' nella
diversita'".
Il suo pensiero ci rimanda ai fondamenti dell'eco-anarchismo di Kropotkin e
ai grandi ideali illuministici di ragione, liberta', forza emancipatrice
dell'istruzione di Malatesta e Berneri.
Proviamo a rileggerlo, a riflettere e confrontarci su quanto ha detto e
scritto. E non solo per commemorarne la scomparsa.

3. MATERIALI. UNA NOTIZIA BIOGRAFICA SU MURRAY BOOKCHIN
[Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 320, ottobre 2006 (disponibile anche
nel sito www.arivista.org), riprendiamo il seguente testo ripreso dal sito
dell'Institute for Social Ecology (www.social-ecology.org) e tradotto
dall'inglese da Guido Lagomarsino]

Murray Bookchin era nato a New York City il 14 gennaio 1921. I genitori vi
erano immigrati dalla Russia, dove avevano preso parte ai movimenti
rivoluzionari dell'epoca zarista.
Negli anni Trenta, ancora giovanissimo, aveva aderito al movimento giovanile
comunista, prima nei Giovani pionieri, poi nella Lega dei giovani comunisti,
ma gia' verso la fine del decennio era rimasto deluso per il carattere
autoritario del movimento. Si era impegnato a fondo nell'organizzazione di
attivita' antifasciste durante la guerra civile spagnola. Nel 1937 si
stacco' dai comunisti, a causa del loro ruolo controrivoluzionario in Spagna
e nei processi di Mosca. Dopo il patto tra Stalin e Hitler, nel settembre
1939, fu ufficialmente espulso dalla Lega, per "deviazionismo
trotzkista-anarchico".
Da giovane lavoro' in fonderia e si impegno' sindacalmente nel sindacato Cio
(Congress of Industrial Organizations), nel distretto settentrionale del New
Jersey (un'area di forte industrializzazione all'epoca). Simpatizzo' con i
trotzkisti americani e collaboro' con loro, ma molti anni dopo la morte di
Trotzky (1940) anche loro lo delusero, perche' erano rimasti attaccati alla
tradizione autoritaria del bolscevismo.
Nella seconda guerra mondiale presto' servizio nell'esercito americano. Una
volta congedato lavoro' come operaio nell'industria automobilistica,
aderendo a un sindacato di categoria, l'United Auto Workers (Uaw). Nel 1946
partecipo' al grande sciopero della General Motors, ma quando l'esito fece
presagire che quel movimento sindacale, un tempo su posizioni radicali, si
sarebbe adattato all'ordine sociale, comincio' a mettere in discussione gran
parte dei concetti marxisti che aveva fatto suoi, riguardo al ruolo
"egemonico" del proletariato industriale.
Tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, abitando a New
York, collaboro' da vicino con un gruppo di trotzkisti tedeschi in esilio,
che si stava orientando verso una prospettiva libertaria (International
Kommunisten Deutschlands - Ikd). La componente americana del gruppo,
impegnata in un lavoro sia teorico sia pratico, costituiva uno tra i piu'
consistenti gruppi organizzati della sinistra newyorkese negli anni del
maccartismo (1950-'52). In quell'ambiente Bookchin redigeva testi di
agitazione non solo contro le armi nucleari ma anche contro "l'uso pacifico
dell'atomo", a causa del fallout radioattivo, e nel 1956 ne scrisse anche
altri che reclamavano l'intervento degli Stati Uniti a favore della rivolta
operaia in Ungheria contro l'Unione Sovietica.
Il gruppo dell'Ikd collaborava anche alla pubblicazione di un periodico
intitolato "Contemporary Issues" (che usciva anche in tedesco col titolo
"Dinge der Zeit"). Molti articoli di Bookchin dei primi anni Cinquanta
furono pubblicati su questa rivista, con vari pseudonimi: M. S. Shiloh,
Lewis Herber, Robert Keller, e Harry Ludd. Sempre su "Contemporary Issues"
uscirono i suoi primi articoli su temi di ecologia, inquadrati in un'ottica
libertaria di sinistra. Un suo lungo articolo, The Problem of Chemicals in
Food (con lo pseudonimo di Lewis Herber) (1952) usci' in forma di libro in
tedesco nel 1955. Il suo primo libro in inglese, Our Synthetic Environment
(con lo pseudonimo di Lewis Herber) fu pubblicato dalla casa editrice Alfred
A. Knopf nel 1962. Precedendo il saggio di Rachel Carson, Silent Spring, di
quasi sei mesi, quel libro affrontava un ampio ventaglio di questioni
ambientali, indicando l'esigenza di una societa' decentrata e dell'impiego
di fonti energetiche alternative come elementi di una soluzione ecologica.
*
L'interesse per l'ecologia
I suoi saggi pionieristici sull'anarchia e l'ecologia, esplicitamente
rivolti alla sinistra, furono pubblicati sui periodici "Comment" e
"Anarchy". Ecology and Revolutionary Thought (1964) sosteneva la necessita'
di un connubio politico tra movimento anarchico e movimento ecologico, sulla
base delle analoghe tematiche e dell'esigenza per entrambi di una societa'
socialmente libera ed ecologica. Towards a Liberatory Technology (1965)
affermava che le tecnologie alternative avrebbero svolto un ruolo
fondamentale in una societa' di quel genere. In questi scritti un tema
importante e' quello della "postscarsita'", una tesi secondo la quale i
progressi tecnologici, per esempio nei campi dell'automazione e della
miniaturizzazione, rendono possibile l'accorciamento della giornata di
lavoro, offrendo cosi' il tempo libero necessario a impegnarsi nelle
attivita' di autogestione civile e politica in organismi democratici. Questi
articoli costituiscono la base teorica di quella che Bookchin ha chiamato
ecologia sociale, adottando questo termine in un momento in cui era
praticamente caduto in disuso.
Sempre questo periodo degli anni Sessanta vide Bookchin impegnarsi a fondo
nella controcultura della New Left, lavorando per fondere i due movimenti in
uno solo, populista e radicale di sinistra, che sapesse rivolgersi ad ampi
strati di comuni cittadini americani. Quando ci fu il rischio che i gruppi
marxisti aderissero al movimento Students for a democratic society (Sds),
inquinandone le potenzialita' popolari, Bookchin scrisse Listen, Marxist!
(1969) per mettere in guardia contro la loro influenza. Il suo saggio The
Forms of Freedom esamina le strutture organizzative destinate a
istituzionalizzare la liberta' nei movimenti rivoluzionari. I suoi saggi
degli anni Sessanta sono raccolti nell'antologia Post-Scarcity Anarchism
(Ramparts Books, 1971; Black Rose Books, 1977). I suoi scritti sull'anarchia
culminano con il saggio The Spanish Anarchists (Harper & Row, 1977; A. K.
Press, 1997), una storia dell'evoluzione del movimento anarchico nella
Spagna degli anni che precedono lo scoppio della guerra civile.
Bookchin non limito' le proprie attivita' alla sola scrittura, ma partecipo'
anche con dedizione al lavoro di gruppi militanti. Dopo l'impegno
antinucleare e per l'Ungheria con l'Ikd, aderi' al movimento per i diritti
civili e fece parte del Core. Contribui' alla fondazione della Bowery Poets'
Cooperative e collaboro' a fondo con due gruppi anarchici, quello degli East
Side Anarchists e l'Anarchos Group. In un'epoca in cui il termine "ecologia"
era quasi sconosciuto alla maggioranza, tenne frequenti conferenze a gruppi
della controcultura in tutto il paese, sottolineando l'importanza della
costruzione di un movimento libertario di sinistra.
*
Radicalita' del suo approccio
L'impegno di Bookchin trovo' spazio anche in campo educativo. Alla fine
degli anni Sessanta insegno' all'Alternative University di New York, una
delle principali "free universities" degli Stati Uniti, e successivamente
alla City University of New York, a Staten Island. Nel 1974 fu tra i
fondatori dell'Institute for Social Ecology di Plainfield, nel Vermont, e ne
divenne il direttore. Questo istituto arrivo' ad acquisire fama
internazionale per i suoi corsi di ecofilosofia, di teoria sociale e sulle
tecnologie alternative, corsi che si tengono tuttora ogni estate. Nel 1974
Bookchin comincio' il suo insegnamento al Ramapo College del New Jersey,
dove alla fine ebbe la cattedra di docente ordinario e ando' in pensione nel
1981 come professor emeritus.
Negli anni Settanta crebbe la sua influenza nel movimento ambientalista in
pieno slancio, che assunse la massima importanza dopo l'originale Giornata
della Terra. I suoi scritti di questo periodo hanno un taglio sempre piu'
profetico e utopistico e puntano sulla costruzione di un'etica ecologica.
Toward an Ecological Society (Black Rose Books, 1981) e' una raccolta dei
saggi di questo periodo. The Ecology of Freedom (Cheshire Books, 1982;
ripubblicato da Black Rose Books nel 1991) e' un saggio che affronta con
taglio filosofico, antropologico e storico l'emergere e la dissoluzione
delle gerarchie, ed e' ormai considerato un classico della letteratura
anarchica.
Come ha messo bene in luce una recente storia del pensiero anarchico (Peter
Marshall, Demanding the Impossible, Harper Collins, London 1992), il
principale contributo di Bookchin e' consistito nel tentativo di integrare
la tradizione del decentramento, quella contro la gerarchia e quella
populista, con l'ecologia, da un punto di vista filosofico ed etico
libertario e di sinistra. Le sue posizioni erano del tutto originali negli
anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, ma oramai sono entrate nella
coscienza generale della nostra epoca. La radicalita' del suo approccio si
fonda sull'analisi dell'emergere storico del concetto di dominio sulla
natura dal dominio dell'uomo sull'uomo, in particolare nelle gerontocrazie,
nelle patriarchie e in altri livelli di oppressione.
Bookchin si e' anche approfonditamente occupato di problemi urbani, del
ruolo della citta' nella tradizione dell'Occidente e del conflitto tra
citta' e campagna. Uno dei suoi primi libri, Crisis in Our Cities (Prentice
Hall, 1965) e' un resoconto di taglio giornalistico di specifici problemi
urbani. The Limits of the City (Harper and Row, 1974) e' un'analisi storica
dell'evoluzione delle citta'. I suoi studi sulla citta' culminano con The
Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship (Sierra Club Books,
1986; ripubblicato dalla Cassell col titolo From Urbanization to Cities
[1995] e in Canada col titolo Urbanization Without Cities [Black Rose Books,
1992]), che e' un'indagine storica dell'autogestione civica e del
confederalismo. Questo libro, inoltre, presenta un quadro complessivo del
programma di Bookchin per una politica di democrazia diretta e confederale,
che egli definisce "municipalismo libertario".
Il municipalismo libertario e' una politica basata sulla rivalutazione o la
formazione di assemblee popolari, di democrazia diretta, a livello
municipale, di quartiere e di citta'. La vita economica sarebbe soggetta al
controllo democratico dei cittadini nelle comunita', in quella che egli
definisce "municipalizzazione dell'economia". Le municipalita'
democratizzate si confedererebbero per gestire le questioni a livello
regionale e formare un contropotere opposto al centralismo dello
stato-nazione.
*
Contro il primitivismo
A partire dagli ultimi anni Settanta queste idee sono state uno stimolo
importante per lo sviluppo dei movimenti dei Verdi in tutto il mondo, e
Bookchin ha scritto molto riguardo alla politica dei Verdi. Il suo impegno
attivo e' continuato per tutti gli anni Ottanta con il sorgere dei movimenti
politici dei Verdi, in Germania come negli Stati Uniti. Dopo essersi
trasferito nel Vermont, nel 1971, ha collaborato con vari gruppi, come
quelli dei Northern Vermont Greens, del Vermont Council for Democracy, e dei
Burlington Greens.
La sua attivita' politica ha preso anche la forma del dibattito teorico
all'interno del movimento ecologista e di quello anarchico. Nel 1987, per
esempio, quando certe tendenze del movimento ecologista cominciavano a
presentare un orientamento antiumanista e addirittura misantropico,
approvando le condizioni di miseria del Terzo Mondo in quanto "la natura
deve seguire il suo corso" e proponendo una filosofia che metteva sullo
stesso piano il valore morale degli esseri umani e quello di tutte le altre
forme di vita, Bookchin non esito' a criticare quella deriva reazionaria (in
Social Ecology vs. "Deep Ecology", pubblicato in "Green Perspectives").
Alla meta' degli anni Novanta, quando si rese conto che molte tendenze del
movimento anarchico mettevano da parte la tradizione di sinistra e
socialista dell'anarchia a favore di tendenze individualistiche, mistiche,
di autoespressione, tecnofobe, e neo-primitiviste, ancora una volta stimolo'
la discussione con un saggio critico, Social Anarchism or Lifestyle
Anarchism (pubblicato come libro con lo stesso titolo da A. K. Press nel
1995). Re-Enchanting Humanity (Cassell, London 1996) e' una sintesi delle
critiche di Bookchin alle tendenze misantropiche e antiumaniste di specifici
movimenti e della cultura popolare contemporanea.
Rivalutare le teorie politiche ed etiche di Bookchin oggi significa
rielaborare il pensiero dialettico, che mette un metodo neohegeliano al
servizio del pensiero ecologico, per "naturalizzare" la tradizione
dialettica. Il "naturalismo dialettico" di Bookchin si differenzia
dall'idealismo dialettico di Hegel e dal materialismo dialettico
relativamente meccanicistico di Engels. Queste sue tesi sono illustrate in
mondo particolareggiato in The Philosophy of Social Ecology: Essays on
Dialectical Naturalism (Black Rose Books, 1990, poi rivisto e ampliato nel
1994).
Le teorie di Bookchin sulla politica, la filosofia, la storia, e
l'antropologia sono sintetizzate nel testo Remaking Society (Black Rose
Books e South End Press, 1989). Un'illustrazione aggiornata della sua
visione si trova nella raccolta antologica The Murray Bookchin Reader
(Cassell, 1997).
Negli ultimi anni Bookchin e' vissuto in parziale ritiro a Burlington, nel
Vermont, con la sua collaboratrice e compagna Janet Biehl. I problemi di
salute ne avevano limitato la possibilita' di spostarsi e di tenere
conferenze, ma continuo' a fare lezione ogni estate all'Institute for Social
Ecology (di Plainfield, Vermont). Con Janet Biehl curava la pubblicazione
della newsletter teorica "Left Green Perspectives" (in precedenza "Green
Perspectives"), e si era occupato della stesura dei tre volumi di una storia
dei movimenti popolari nelle rivoluzioni classiche, intitolati The Third
Revolution.
Murray Bookchin era passato negli anni Trenta da una posizione marxista
tradizionale a una libertaria di sinistra. Nel contempo la sua vita e la sua
attivita' hanno attraversato due epoche storiche: quella del socialismo e
dell'anarchismo proletario tradizionale, con le lotte operaie contro il
capitalismo e il fascismo, e quella postbellica di crescente consolidamento
del capitalismo, di sviluppo tecnologico, di degrado ambientale e di
politica statalista. Nei suoi scritti ha cercato di costruire una visione
coerente per collegare un vitale passato rivoluzionario a un futuro di
liberazione.

4. MATERIALI. LEGGERE BOOKCHIN
[Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 320, ottobre 2006 (disponibile anche
nel sito www.arivista.org), riprendiamo la seguente bibliografia]

Questa bibliografia (in ordine cronologico) degli scritti di Bookchin
pubblicati in italiano si basa su quella presente nel sito
raforum.apinc.org, a cura di Janet Biehl (compagna e collaboratrice di
Murray Bookchin), con piccole nostre aggiunte.
- Tecnologia e rivoluzione libertaria, in "A. rivista anarchica" 31 (1974).
- Tecnologia e rivoluzione libertaria, in "Volonta'" 2 (1974).
- I limiti della citta', Milano, Feltrinelli, 1975.
- Comment, in "A. rivista anarchica" 75 (1975).
- Potere di distruggere, potere di creare, Centro documentazione anarchica
14, 1976.
- Spontaneita' e organizzazione, Carrara-Torino, Edizioni del Centro
documentazione anarchica, 1977.
- Post Scarcity Anarchism, Milano, La Salamandra, 1979.
- Oltre i limiti del marxismo, Anarchos, 1979.
- Il marxismo come ideologia borghese, in "A. rivista anarchica" 81 (1980).
- Cara ecologia, in "A. rivista anarchica" 85 (1980).
- Il futuro del movimento antinucleare, "Volonta'" 3 (1980).
- Reagan: la rabbia del ceto medio, in "Volonta'" 1 (1981).
- Utopismo e futurismo, in "Volonta'" 3 (1981).
- Io sono nato..., in "A. rivista anarchica" 93 (1981).
- Fabbrica, scuola di potere, in "A. rivista anarchica" 97 (1981-1982).
- Sociobiologia o ecologia sociale? - 1, in "Volonta'" 1 (1982).
- Sociobiologia o ecologia sociale? - 2, in "Volonta'" 3 (1982).
- Una conferenza, Carrara, Circolo culturale anarchico, 1984.
- 1984 e il ruolo della memoria, in "A. rivista anarchica" 120 (1984).
- L'armonia perduta, in "A. rivista anarchica" 121 (1984).
- L'anarchismo: 1984 ed oltre, in "Volonta'" 3 (1984).
- Agricoltura, mercato, morale, in "A. rivista anarchica" 132 (1985).
- Tesi sul municipalismo libertario, in "Volonta'" 4 (1985).
- Noi verdi, noi anarchici, in "A. rivista anarchica" 14 (1986).
- L'ecologia della liberta'. Emergenza e dissoluzione della gerarchia,
Milano, Eleuthera, 1986, V edizione 1998.
- La guerra civile spagnola cinquant'anni dopo, in "Volonta'" 4 (1986).
- Ecologia sociale e pacifismo, in "A. rivista anarchica" 144 (1987).
- Liberta' e necessita' nel mondo naturale, in "Volonta'" 2-3 (1987).
- Non sottovalutiamo la specie umana, in "Volonta'" 2-3 (1987).
- The modern crisis/La crisi della modernita', Bologna, Agalev Edizioni,
1988.
- Sociale, non profonda, in "A. rivista anarchica" 153 (1988).
- Ecologia sociale perche', in "A. rivista anarchica" 159 (1988).
- Per una societa' ecologica, Milano, Eleuthera, 1989.
- Per una societa' ecologica, in "A. rivista anarchica" 166 (1989).
- Societa', politica, stato, in "Volonta'" 4 (1989).
- La politica radicale nell'eta' del capitalismo avanzato, Quaderni della
societa' civile, Palermo, febbraio 1991.
- La proposta federativa, in "Volonta'" 2-3 (1991).
- Occhio al bioregionalismo, in "A. rivista anarchica" 185 (1991).
- La mia proposta, in "A. rivista anarchica" 187 (1991-1992).
- Una politica municipalista, in "Volonta'" 4-1 (1991-1992).
- Democrazia diretta, Milano, Eleuthera, 1993, IV edizione 2005.
- Democrazia diretta, come, in "A. rivista anarchica" 202 (1993).
- L'unico e l'umano, in "Volonta'" 2-3 (1994).
- La via del comunitarismo, in "Volonta'" 4 (1994).
- Comunalismo perche', in "A. rivista anarchica" 215 (1995).
- Il capitalismo e la crisi ambientale, in www.univ.trieste.it e in
www.nonluoghi.it

5. RIEDIZIONI. FEDERICO GARCIA LORCA: POESIE
Federico Garcia Lorca, Poesie, Garzanti, Milano 2001, Gruppo editoriale
L'espresso, Roma 2006, pp. XVI + 240, s.i.p. (ma euro 6,90 in supplemento al
settimanale "L'espresso"). Un'antologia dell'opera poetica di Lorca nella
classica traduzione di Carlo Bo (quella di Tutte le poesie per Garzanti). Ci
fu un tempo in cui il successo di massa della poesia di Lorca, la sua
"facilita'" che portava l'avanguardia alla fruizione finanche consumistica
delle spiagge e delle scampagnate, rendeva poco elegante ammettere la
fulgida bellezza di quella poesia. Ed invece c'e' una poesia prima di Lorca
e una poesia dopo Lorca - come, mutatis mutandis, c'e' una poesia prima di
Saba e una dopo. Forse non e' il nostro poeta (e' Eschilo il nostro poeta, e
Sofocle, ed Euripide - e Leopardi il nostro filosofo), ma i suoi versi ci
incantano ancora.

6. RIEDIZIONI. PABLO NERUDA: POESIE
Pablo Neruda, Poesie, Guanda, Parma 2001, Gruppo editoriale L'espresso, Roma
2006, pp. XVV + 240, s.i.p. (ma euro 6,90 in supplemento al settimanale
"L'espresso"). Antologizzare una poesia fluente, proliferante, e talora fin
debordante ed eccessiva come quella di Neruda e' allo stesso tempo
indispensabile ed impossibile: cosi' ogni raccolta che voglia essere di essa
rappresentativa lascia di necessita' insoddisfatti; ma insieme un'opera
totale come quella di Neruda reca anche molto gesto e molta macchina che
zavorrano il suo volo ed impacciano talora l'ascolto e l'incontro. La cosa
migliore a me sembra sarebbe scegliere un libro della vasta sua produzione,
e seguirne il periplo, fino al dileguarsi del canto in pura luce, fino al
fermo ristare suo come intima verita' morale. E questo libro sublime e
terribile  e' per me il Canto general (che pure contiene l'immedicabile
lebbra di quelle tragiche, imperdonabili lasse staliniste che maculano Que
despierte el lenador. E' un libro del 1950, quei pochi versi sono un dolore
che non si estingue, il poema nel suo insieme un monumento meraviglioso).

7. LE ULTIME COSE. GIOBBE SANTABARBARA: POUR TOUT VOUS DIRE

Tutta la questione del voto parlamentare di questa estate sulla prosecuzione
della illegale e criminale partecipazione militare italiana alla illegale e
criminale guerra afgana si riduceva infine a questo: dire si' o dire no alla
guerra e alle stragi.
E quindi anche: dire si' o dire no alla flagrante violazione della legalita'
costituzionale che quel crimine di necessita' implicava.
Ovvero ancora: dire si' o dire no alla ennesima conferma di una politica
internazionale del nostro paese semplicemente golpista e assassina: la
politica internazionale che tra i suoi fasti annovera i campi di
concentramento per i migranti (governo Prodi, 1998); i massacri della guerra
della Nato in Jugoslavia (governo D'Alema, 1999); la partecipazione alla
guerra afgana e alla guerra irachena, la legge che consente a chiunque di
assassinare una persona in casa propria, e cosi' tante altre nequizie che
non c'e' lo spazio per elencarle qui (governo Berlusconi, lungo tutto il
quinquennio 2001-2006).
*
Dell'intero parlamento solo quattro deputati questa estate hanno detto no
alla guerra e alle stragi.
Tutti gli altri hanno ceduto alla guerra e alle stragi. Tutti.
E non ci e' stato risparmiato neanche il ripugnante teatrino ad uso dei
gonzi delle dimissioni (ovviamente respinte): teatrino che ha costituito una
delle cose piu' squallide di quella vicenda di irresponsabilita' ed imbrogli
ed infamie - poiche' il senso di esso era sostenere la folle tesi che nel
parlamento italiano non si potesse votare secondo coscienza e secondo
Costituzione contro la guerra: e se non e' cedimento al fascismo questo,
ebbene, non so cosa cedimento sia.
Ne' ci e' stato risparmiato - dopo l'ignobile plebiscito della camera - il
bieco trucco del voto di fiducia in senato: quel medesimo voto di fiducia
utilizzato ad ogni pie' sospinto dal governo Berlusconi per far approvare
dalla sua masnada le piu' illegali legiferazioni sue, e riutilizzato dal
governo Prodi in pro della guerra e delle stragi.
*
Ma non e' bastata l'infamia di un parlamento asservito alla guerra e alle
stragi.
C'e' stata anche l'infamia del silenzio complice dei mille burocrati e
professorini del pacifismo parastatale e finanziariamente assistito,
foraggiato e vezzeggiato da pingui patroni appartenenti ai poteri dominanti.
Va da se', foraggiato e vezzeggiato a condizione che si limiti a gestire un
po' di beneficienza in appalto (beninteso: dopo aver messo da parte gli
stipendi, i fondi pensione ed i comfort per se' e per la consorteria -
bisogna pur pensare al futuro), all'incessante turismo convegnistico, agli
spettacolini (talora fin collusi con lo squadrismo) ad uso televisivo, alle
ben retribuite ciance e alla ben patinata colluvie di carte a spese del
pubblico erario, e per il resto non disturbi il manovratore, e lasci cioe'
la "grande politica" ad essi pingui patroni, e ai loro bombardieri.
Dopo anni di proclami fin deliranti nel loro rivoluzionarismo da operetta,
giunti alla prova tanti movimenti e tante organizzazioni dalle roboanti
ragioni sociali si sono allineati ed asserviti anch'essi alla guerra e alle
stragi. Sic transit eccetera.
*
E c'e' stata un'infamia peggiore: di quelli che pur non avendo alcun bisogno
di prostituirsi ai dispensatori di prebende e di carriere, si sono prestati
anch'essi a farsi sostenitori e propagandisti del voto a favore della guerra
e delle stragi, nel pensier loro fingendosi che si potesse appoggiare la
guerra proclamando la pace, anzi, addirittura dicendosi - bonta' loro -
"nonviolenti" mentre si accodavano al partito della guerra e delle stragi
(neppure "amici della nonviolenza", "nonviolenti" tout court, quale
presunzione: e' proprio vero che gli dei accecano coloro che vogliono
perdere).
C'e' un luogo di un antico libro in cui il nemico di tutti - la violenza -
dice all'uomo nel deserto: "se tu mi adori io ti daro' il potere su tutto".
E l'uomo nel deserto sa che deve rispondere no. Non c'e' bisogno di aver
letto Hannah Arendt per saperlo.
*
Nella "carta ideologico-programmatica" del movimento nonviolento dettata da
Aldo Capitini - che questo foglio ogni giorno riproduce, e non per vezzo -
e' lapidariamente scritto che la prima delle fondamentali direttrici
d'azione del movimento nonviolento e' "l'opposizione integrale alla guerra".
E' anche la nostra persuasione.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1438 del 4 ottobre 2006

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