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La nonviolenza e' in cammino. 1438
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1438
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 4 Oct 2006 00:29:51 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1438 del 4 ottobre 2006 Sommario di questo numero: 1. Angela Dogliotti Marasso: Il femminismo, la nonviolenza 2. Silvia Ferbri: Un grande utopista contemporaneo 3. Una notizia biografica su Murray Bookchin 4. Leggere Bookchin 5. Riedizioni: Federico Garcia Lorca, Poesie 6. Riedizioni: Pablo Neruda, Poesie 7. Giobbe Santabarbara: Pour tout vous dire 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: IL FEMMINISMO, LA NONVIOLENZA [Ringraziamo Angela Dogliotti Marasso (per contatti: maradoglio at libero.it) per averci messo a disposizione il testo del suo intervento alla tavola rotonda su "La nonviolenza delle donne" svoltasi nell'ambito del convegno tenutosi a Pisa dall'8 all'11 settembre 2006 nel centenario della nascita del satyagraha, la proposta di lotta nonviolenta gandhiana. Angela Dogliotti Marasso, rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, svolge attivita' di ricerca e formazione presso il Centro studi "Sereno Regis" di Torino e fa parte della Commissione di educazione alla pace dell'International peace research association; studiosa e testimone, educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della nonviolenza in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente Aggressivita' e violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; il saggio su Domenico Sereno Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999; con Maria Chiara Tropea, La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003; Con Elena Camino (a cura di), Il conflitto: rischio e opportunita', Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004] In un convegno come questo, che vuole fare memoria di un altro 11 settembre, per rendere visibile il ricco patrimonio di nonviolenza presente nella storia e aprire cosi' una diversa prospettiva per il presente e per il futuro, mi sembra importante fare memoria anche delle riflessioni e delle pratiche in cui il rapporto tra donne e nonviolenza e' venuto alla luce nel corso degli ultimi decenni, a partire dalla mia personale ricerca di nonviolenza e presenza all'interno dei movimenti. Un punto di vista parzialissimo, dunque, e per nulla esaustivo, una testimonianza esemplificativa, piu' che una ricostruzione storica di cio' che e' stata la nonviolenza delle donne dagli anni Settanta ad oggi. * Una prima sistematica raccolta di testi su questo tema si trova sul numero di "Azione nonviolenta" del luglio-agosto 1979, sotto forma di dossier dal titolo "Femminismo. La nonviolenza: una via?", con contributi prevalentemente stranieri comparsi nel corso degli anni Settanta. Questo materiale costituisce il nucleo di partenza di un testo, Per un futuro nonviolento, curato da Adriana Chemello e pubblicato dalla casa editrice Satyagraha nel 1984 (1). L'approccio che l'autrice propone per indagare il rapporto tra donne e nonviolenza e' evidenziato gia' dal titolo del primo paragrafo dell'introduzione: "Mai piu' vittime e complici". Una presa di distanza dal vittimismo e un mettere in primo piano la responsabilita', la scelta, sia nelle relazioni di genere, sia in quelle politico-sociali, per rifiutare ogni complicita' e attivare la forza e il potere che e' nelle mani di ciascuna/o, in perfetta continuita' con la concezione nonviolenta del potere.: "La forza di chi opprime sta tutta nella paura e nella debolezza della vittima. Il potere sull'altro si avvale del consenso o della delega" ( p. 12). Piu' avanti nell'introduzione si parla della necessita' di recuperare per tutti i "cosiddetti" (virgolettato nel testo) valori femminili: "l'empatia, l'attenzione ai cicli biologici, il rispetto dei ritmi naturali... l'armonia col cosmo, l'apertura e la disponibilita' verso gli altri" (p. 13) e di ripensare la nonviolenza a partire da se', di "leggerla dal nostro punto di vista per interpretarla e se possibile praticarla in sintonia con la nostra femminilita'" (p. 17). Ma anche il rapporto tra donne e violenza e' indagato a fondo in uno dei saggi proposti ("Tra cane e lupo", di Francoise Collin), mettendo in discussione lo stereotipo della donna "naturalmente" nonviolenta ed evidenziando le varie forme di violenza subita o agita, contro gli altri e contro di se'. * Negli anni Ottanta, nell'ambito del piu' ampio movimento per il disarmo nucleare, nascono diverse iniziative di donne, come la marcia organizzata da gruppi di Donne per la pace del Nord Europa da Copenaghen a Parigi (21 giugno - 6 agosto 1981), subito caratterizzatasi come crocevia di incontri tra donne di storiche associazioni come la Wilpf (la Lega internazionale delle donne per la pace e la liberta', nata nel primo dopoguerra) e i nuovi gruppi femministi-pacifisti, costituiti da donne che vogliono portare avanti, anche nella lotta per la pace, la propria specificita' di genere. Da qui si sviluppano esperienze come il Campo per la pace di Greenham Common, in Inghilterra (settembre 1981) contro i missili Cruise, o il Campo delle donne per la pace - La Ragnatela (1983) a Comiso, e la mobilitazione dell'anno successivo, in occasione del processo di Ragusa, in cui sono imputate dodici donne arrestate durante le azioni nonviolente a Comiso (tra di loro vi e' Anna Luisa Leonardi L'Abate). Negli stessi anni, a partire dal 1981, un gruppo di donne nonviolente lancia una campagna nazionale contro il servizio militare femminile (previsto nel disegno di legge dell'allora ministro della difesa Lagorio), nel cui manifesto si legge: "lottiamo insieme contro tutti gli eserciti, tutte le guerre... per una parita' costruita sulla nostra storia, per la pace e la nonviolenza". * Se queste esperienze nascono prevalentemente a partire da donne impegnate nei movimenti nonviolenti o, piu' in generale, in quello che si potrebbe chiamare il campo della pace, anche nel piu' ampio movimento delle donne si possono trovare esplicite riflessioni sulla nonviolenza, come testimonia, ad esempio, un gruppo di lavoro al Seminario delle donne di S. Severa del 1984, dal titolo "Conflittualita', conflitto, autodeterminazione, pacifismo nell'era nucleare, femminismo, nonviolenza", da cui emerge una grande attenzione alla nonviolenza, per l'importanza che essa attribuisce alla soggettivita', alla scelta personale, alla responsabilita', mentre e' vista in modo piu' problematico, ad esempio, l'accettazione della sofferenza come parte del metodo di lotta e del pensiero nonviolenti. I temi del nuovo modello di difesa, delle proposte di difesa popolare nonviolenta emerse alla riflessione collettiva soprattutto nel corso della Campagna di obiezione alle spese militari, sono dibattuti in un convegno del 1987 organizzato dal coordinamento donne del Pci della Regione Lazio, i cui atti sono pubblicati, a cura di Lidia Menapace e Chiara Ingrao, in un testo del 1988 che gia' nel titolo esprime l'assunzione di una chiara prospettiva: Ne' indifesa, ne' in divisa, (sottotitolo: "Pacifismo, sicurezza, ambiente, nonviolenza, Forze Armate. Una discussione fra donne", che da' conto dell'ampio respiro del convegno e di una ricerca che intreccia diverse dimensioni e contributi). Di particolare significato, oltre alla sezione dal titolo "In cerca di alternative", con un'intervista a Gene Sharp, la parte su "Percorsi, riflessioni, esperienze", in cui compare, tra gli altri, un capitolo, "Visitare luoghi difficili: per un campo di pace delle donne in Libano", che testimonia l'emergere delle prime proposte di intervento in situazioni di conflitto: "E se... in Libano verranno inviati i contingenti 'di pace' di vari eserciti... non ci sembra importante che le donne ci vadano invece autonomamente e fuori dalle logiche di potenza, non accettando piu' che solo le armi possano far tacere altre armi?" (Elisabetta Donini, "Il manifesto", 22 febbraio 1987). L'appello "Non ci basta dire basta", per un campo internazionale di pace a Beirut, che segue all'articolo, ha l'adesione di diverse associazioni e coordinamenti di donne e diventa la strada maestra per avviare contatti e intrecciare relazioni con donne libanesi, palestinesi, israeliane e praticare, in questi luoghi di conflitto, una presenza costantemente mantenuta fino ad oggi (2). E' cosi' che, quando nel 1988 sono nate le Donne in nero israeliane, la rete delle Donne in nero si e' rapidamente diffusa in Italia, soprattutto a partire dall'opposizione alla prima guerra del Golfo, con le modalita' della presenza silenziosa e che veste i colori del lutto, che tutti ormai conoscono. * E proprio sull'esperienza delle Women in black vorrei soffermarmi, prima di concludere, perche' essa rappresenta un modello emblematico di attraversamento dei conflitti praticato da donne. Con la loro presenza muta, a testimoniare sulle piazze di Israele il loro dissenso verso la politica di occupazione, le donne in nero israeliane si sono poste in modo conflittuale rispetto al loro contesto di appartenenza nazionale, dichiarando apertamente la loro non complicita' e non collaborazione con il proprio governo. In questo modo hanno svolto un ruolo di "terza parte interna", molto importante per rompere la rigidita' dei blocchi contrapposti e per dare spazio e possibilita' al dialogo tra le parti. Assumendosi la loro parte di responsabilita' esse hanno importato il conflitto all'interno del proprio gruppo, anziche' proiettarlo all'esterno. E questo, come ha lucidamente insegnato Franco Fornari, e' il primo passo per mettere in discussione l'idea stessa di nemico, che e' rafforzata dai processi di proiezione dei conflitti all'esterno dei gruppi, anziche' dalla ricerca di strade costruttive per la loro gestione. Ma una simile pratica presuppone molte cose: che si sappiano riconoscere, in un conflitto, le relazioni tra le parti e le loro reciproche influenze; che si sappia vedere la sofferenza dell'altro, insieme alla propria; e che, in conseguenza di cio', si pongano al centro della trasformazione del conflitto spazi di incontro e di ascolto, in una prospettiva relazionale concreta e non individualistica e astratta (Carol Gilligan, Con voce di donna, Feltrinelli, Milano 1987, e anche l'articolo Gendering conflict resolution, in "Peace and Change", ottobre 1994; Del Turco, Donne, conflitti e processi di pace, 2005). E' questa, dunque, una pratica di gestione del conflitto chiaramente segnata da una specificita' di genere, una pratica che connette il dentro con il fuori, la violenza dentro di se' con la violenza fuori di se', il privato e il politico, un patrimonio prezioso sul quale le donne possono richiamare l'attenzione anche nei movimenti nonviolenti specifici e su cui ritornera' anche Luisa Del Turco. * Per concludere questo breve e sommario percorso, vorrei ancora ricordare che si e' formalmente costituita nel 2001 una Convenzione permanente di donne contro la guerra, che raccoglie adesioni individuali e di gruppi impegnati in questo ambito, nel cui statuto e' sancita la pratica dell'azione nonviolenta, considerata "metodo decisivo per allontanare dalla politica in generale simboli, metafore, anticipazioni di guerra" (art. 3). * Note 1. Tra i testi pubblicati negli anni successivi: B. Brock-Utne, La pace e' donna, Ega, Torino 1989, nato nell'ambito della peace research; Sara Ruddick, Il pensiero materno, Red, 1993; Maria G. Di Rienzo, Monica Lanfranco, Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003. 2. Significativo anche un piu' recente seminario della scuola di politica del Forum donne del Prc (settembre 2004), di cui sono stati pubblicati gli atti: La forza della nonviolenza, a cura di Imma Barbarossa, Edizioni Punto Rosso. 2. RIFLESSIONE. SILVIA FERBRI: UN GRANDE UTOPISTA CONTEMPORANEO [Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 320, ottobre 2006 (disponibile anche nel sito www.arivista.org), riprendiamo il seguente testo, parte di un ampio dossier a Bookchin dedicato dalla rivista, aperto dalla seguente breve presentazione redazionale: "Con la morte di Murray Bookchin, avvenuta a fine luglio nel 'suo' Vermont, e' scomparso uno degli intellettuali che maggiormente hanno contribuito al rinnovamento del pensiero anarchico su scala internazionale. La nostra rivista, che per prima ne ha fatto conoscere in Italia le riflessioni su tecnologia, ecologia, ecc., ha ospitato un vivace dibattito sul suo pensiero. In questo dossier ripercorriamo le tappe di una vita nella quale l'impegno intellettuale non e' mai stato disgiunto da quello militante". Murray Bookchin, pensatore e militante libertario americano, e' stato tra i principali punti di riferimento della "ecologia sociale"; nato a New York nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una rivoluzionaria populista), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo scrittore, il docente universitario; e' deceduto sul finire di luglio 2006. Tra le opere di Murray Bookchin: I limiti della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988 (terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989; Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993] La mattina dello scorso 30 luglio, nella sua casa a Burlington nel Vermont, e' morto per una malattia cardiaca Murray Bookchin, uno dei pionieri del movimento ecologico, tra i fondatori dell'Istituto per l'ecologia sociale del Vermont, una delle voci piu' ascoltate della controcultura americana e della New Left, pensatore anarchico e utopico, forse l'ultimo grande utopista dei nostri giorni. Ma per l'originalita', la vastita' e la liberta' del suo pensiero, una qualsiasi definizione o collocazione appare limitata o fuorviante. Recentemente si e' sentito parlare ben poco di lui e delle sue idee, cosi' come si e' letto, e quindi scritto, ancora meno. Eppure l'ampiezza del suo corpus teorico, la lucidita' e la coerenza della sua analisi, la forza delle sue proposte non solo avrebbero meritato e meritano ben altra considerazione, ma esprimono a tutt'oggi un'attualita', una tensione verso il futuro che andrebbero tutt'altro che trascurate o considerate fuori moda. Soprattutto da chi si definisce anarchico o libertario. La sua e' una proposta di radicale alternativa sociale, economica, politica, volta alla costruzione di una nuova societa' autenticamente libertaria. La sua analisi parte da lontano, dalle radici della gerarchia e del dominio che ancora ci portiamo dentro, ed esplora i percorsi dell'umanita', spaziando dall'antropologia alla storia delle religioni, dalla filosofia al pensiero politico, dalla biologia all'economia, attraverso il retaggio del dominio e il retaggio della liberta', gli errori e gli inganni delle ideologie, la periodica comparsa di utopisti che hanno cercato di svegliare le coscienze e di opporsi al corso delle cose, per arrivare ai nostri giorni e lanciare il suo grido di allarme, per mostrarci la necessita' e l'urgenza di cambiare rotta. Radicalmente. La sua e' una proposta radicale, ma non irrealizzabile. Le soluzioni parziali non sono piu' sufficienti, ha sempre insistito Bookchin, come del resto mai sono state; ma affinche' una soluzione non sia parziale, non agisca sugli effetti anziche' sulle cause, non continui a perpetuare gli stessi errori in un modo e in un contesto solo apparentemente e ingannevolmente diversi, occorre una visione completa e non frammentata, al di la' delle costrizioni ideologiche e politiche, una visione non miope della storia, dei rapporti umani, del rapporto tra l'uomo e la natura. Occorre la conoscenza approfondita della nostra storia, di che cosa sono realmente e di quando e come si sono formati dominio e gerarchia, e la comprensione e la convinzione che e' da li' che dobbiamo partire, dalla dissoluzione di ogni forma di dominio, di coercizione e subordinazione, per poter costruire una societa' autenticamente libertaria. Nessuno di noi e' del tutto immune da quella mentalita' gerarchica che si e' inserita profondamente in ogni aspetto della vita sociale e personale, nella nostra sensibilita' piu' profonda, al punto che ci e' quasi impossibile vederla; e quando l'abbiamo riconosciuta nelle istituzioni sociali, politiche, economiche, non siamo stati in grado di combatterla perche' la nostra lotta era incompleta e inconsapevole, perche' la nostra visione era limitata, perche' la direzione era distorta. Periodicamente qualcuno si e' avvicinato molto. Gli esempi non mancano. E questo significa che non tutto e' perduto... * Contro la gerarchia e l'oppressione In cosa consiste la sua teoria sull'ecologia sociale, quali sono le sue proposte per la realizzazione di una societa' ecologica e autenticamente libertaria? Difficile riassumere il suo pensiero in cosi' poco spazio, ma quello che ci preme ricordare e' l'importanza della sua analisi e delle sue riflessioni sull'emergere della gerarchia e del dominio, le cause prime di tutte le forme di oppressione. Il dominio dell'uomo sull'uomo nasce prima del dominio dell'uomo sulla natura, che ne e' la conseguenza. La gerarchia e l'oppressione nascono prima delle classi e dello stato, e non sono inevitabilmente connesse allo sfruttamento economico o alla dominazione politica. Le strategie di comando e obbedienza (dell'uomo sulla donna, dell'anziano sul giovane, di un gruppo etnico su un altro, dei capi di stato e dei burocrati sui loro sudditi), con il passare del tempo si sono sempre piu' professionalizzate e organizzate, fino all'affermarsi degli stati nazionali, del capitalismo, alla definitiva scomparsa degli antichi legami comunitari, della politica attiva e della cittadinanza, per arrivare all'inganno delle democrazie rappresentative, all'alienazione e all'isolamento degli attuali agglomerati urbani, al disastro ambientale ed ecologico. Qualunque cambiamento, secondo il suo pensiero, passa dall'abolizione di ogni forma di dominio. Ma per poter ottenere cio', occorre che ciascuno di noi esplori e comprenda la storia del dominio, come si e' inserito in ogni aspetto della vita umana, come si e' subdolamente insinuato nelle ideologie, nei movimenti, nei partiti politici, cosi' come e' fondamentale non dimenticare tutti coloro che, nei vari tempi, hanno cercato di opporsi e di risvegliare le coscienze; tutti coloro che hanno provato ad esercitare la liberta', senza farci sviare dal loro fallimento. Cio' che caso mai deve sorprenderci, e incoraggiarci, e' il periodico riproporsi di questi coraggiosi tentativi: la conclusione di Bookchin e' che dentro gli esseri umani esiste concretamente la possibilita' di vivere una vita autenticamente libera. Le cose sono andate in questo modo, ma potevano andare altrimenti, cio' che esiste attualmente non e' sempre esistito e una svolta e' sempre e ancora possibile. Non per tornare indietro, ma per ripartire da oggi con la consapevolezza che ancora ci manca. * Lavorare su noi stessi Gli stati, massima espressione e professionalizzazione del potere, dell'oppressione, del monopolio della violenza e dell'espropriazione degli individui, dei loro valori, delle loro aspirazioni, del loro sentire, dei loro legami comunitari, del loro diritto a partecipare in prima persona alle scelte che riguardano la loro vita e l'ambiente che li circonda, sono un fatto relativamente recente nella storia. C'e' sempre stata una resistenza, a volte molto forte, al loro imporsi. E ancora esiste nel piu' profondo del nostro essere. Non abbiamo perso definitivamente la capacita' di prendere in mano le nostre vite, di autogestire i diversi aspetti del vivere comune, nel dialogo, nel rispetto e nell'accrescimento reciproco. Ci sono esempi molto recenti e significativi di esperienze in questo senso, basti pensare al comunismo libertario e al sindacalismo anarchico durante la guerra di Spagna. L'invito di Bookchin e' a proseguire su questa strada, partendo dalla situazione attuale, continuando a sperimentare in prima persona la liberta', facendo tesoro delle esperienze passate e continuando a ricordare, a studiare, a dialogare e confrontarci. Lavorando su noi stessi e insieme agli altri, per eliminare via via ogni residuo di sensibilita' gerarchica e autoritaria in tutti gli aspetti delle nostre vite. Senza farci ingannare da chi maschera abilmente il suo desiderio di potere (o di asservimento) dietro un falso tentativo di cambiare le cose restando dentro il sistema, le istituzioni e le logiche che invece vanno definitivamente aboliti. Bookchin ci parla di democrazia e azione diretta (che non devono essere solo strategie o tattiche limitate a una situazione contingente, ma una vera sensibilita', un modo di vivere), di municipalismo libertario, di economia municipale, di confederalismo. Di disintegrazione dello stato e di ogni forma di potere e di controllo, dal basso, senza aspettare illusori crolli del sistema capitalista o senza affidare questo compito a una qualche classe economica. E dei veri significati delle parole "ragione", "giustizia", "liberta'", "uguaglianza", della distinzione tra felicita' (soddisfacimento dei bisogni) e piacere (realizzazione dei desideri). Dell'importanza della soggettivita' e del valore delle differenze, per realizzare un'autentica "unita' nella diversita'". Il suo pensiero ci rimanda ai fondamenti dell'eco-anarchismo di Kropotkin e ai grandi ideali illuministici di ragione, liberta', forza emancipatrice dell'istruzione di Malatesta e Berneri. Proviamo a rileggerlo, a riflettere e confrontarci su quanto ha detto e scritto. E non solo per commemorarne la scomparsa. 3. MATERIALI. UNA NOTIZIA BIOGRAFICA SU MURRAY BOOKCHIN [Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 320, ottobre 2006 (disponibile anche nel sito www.arivista.org), riprendiamo il seguente testo ripreso dal sito dell'Institute for Social Ecology (www.social-ecology.org) e tradotto dall'inglese da Guido Lagomarsino] Murray Bookchin era nato a New York City il 14 gennaio 1921. I genitori vi erano immigrati dalla Russia, dove avevano preso parte ai movimenti rivoluzionari dell'epoca zarista. Negli anni Trenta, ancora giovanissimo, aveva aderito al movimento giovanile comunista, prima nei Giovani pionieri, poi nella Lega dei giovani comunisti, ma gia' verso la fine del decennio era rimasto deluso per il carattere autoritario del movimento. Si era impegnato a fondo nell'organizzazione di attivita' antifasciste durante la guerra civile spagnola. Nel 1937 si stacco' dai comunisti, a causa del loro ruolo controrivoluzionario in Spagna e nei processi di Mosca. Dopo il patto tra Stalin e Hitler, nel settembre 1939, fu ufficialmente espulso dalla Lega, per "deviazionismo trotzkista-anarchico". Da giovane lavoro' in fonderia e si impegno' sindacalmente nel sindacato Cio (Congress of Industrial Organizations), nel distretto settentrionale del New Jersey (un'area di forte industrializzazione all'epoca). Simpatizzo' con i trotzkisti americani e collaboro' con loro, ma molti anni dopo la morte di Trotzky (1940) anche loro lo delusero, perche' erano rimasti attaccati alla tradizione autoritaria del bolscevismo. Nella seconda guerra mondiale presto' servizio nell'esercito americano. Una volta congedato lavoro' come operaio nell'industria automobilistica, aderendo a un sindacato di categoria, l'United Auto Workers (Uaw). Nel 1946 partecipo' al grande sciopero della General Motors, ma quando l'esito fece presagire che quel movimento sindacale, un tempo su posizioni radicali, si sarebbe adattato all'ordine sociale, comincio' a mettere in discussione gran parte dei concetti marxisti che aveva fatto suoi, riguardo al ruolo "egemonico" del proletariato industriale. Tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, abitando a New York, collaboro' da vicino con un gruppo di trotzkisti tedeschi in esilio, che si stava orientando verso una prospettiva libertaria (International Kommunisten Deutschlands - Ikd). La componente americana del gruppo, impegnata in un lavoro sia teorico sia pratico, costituiva uno tra i piu' consistenti gruppi organizzati della sinistra newyorkese negli anni del maccartismo (1950-'52). In quell'ambiente Bookchin redigeva testi di agitazione non solo contro le armi nucleari ma anche contro "l'uso pacifico dell'atomo", a causa del fallout radioattivo, e nel 1956 ne scrisse anche altri che reclamavano l'intervento degli Stati Uniti a favore della rivolta operaia in Ungheria contro l'Unione Sovietica. Il gruppo dell'Ikd collaborava anche alla pubblicazione di un periodico intitolato "Contemporary Issues" (che usciva anche in tedesco col titolo "Dinge der Zeit"). Molti articoli di Bookchin dei primi anni Cinquanta furono pubblicati su questa rivista, con vari pseudonimi: M. S. Shiloh, Lewis Herber, Robert Keller, e Harry Ludd. Sempre su "Contemporary Issues" uscirono i suoi primi articoli su temi di ecologia, inquadrati in un'ottica libertaria di sinistra. Un suo lungo articolo, The Problem of Chemicals in Food (con lo pseudonimo di Lewis Herber) (1952) usci' in forma di libro in tedesco nel 1955. Il suo primo libro in inglese, Our Synthetic Environment (con lo pseudonimo di Lewis Herber) fu pubblicato dalla casa editrice Alfred A. Knopf nel 1962. Precedendo il saggio di Rachel Carson, Silent Spring, di quasi sei mesi, quel libro affrontava un ampio ventaglio di questioni ambientali, indicando l'esigenza di una societa' decentrata e dell'impiego di fonti energetiche alternative come elementi di una soluzione ecologica. * L'interesse per l'ecologia I suoi saggi pionieristici sull'anarchia e l'ecologia, esplicitamente rivolti alla sinistra, furono pubblicati sui periodici "Comment" e "Anarchy". Ecology and Revolutionary Thought (1964) sosteneva la necessita' di un connubio politico tra movimento anarchico e movimento ecologico, sulla base delle analoghe tematiche e dell'esigenza per entrambi di una societa' socialmente libera ed ecologica. Towards a Liberatory Technology (1965) affermava che le tecnologie alternative avrebbero svolto un ruolo fondamentale in una societa' di quel genere. In questi scritti un tema importante e' quello della "postscarsita'", una tesi secondo la quale i progressi tecnologici, per esempio nei campi dell'automazione e della miniaturizzazione, rendono possibile l'accorciamento della giornata di lavoro, offrendo cosi' il tempo libero necessario a impegnarsi nelle attivita' di autogestione civile e politica in organismi democratici. Questi articoli costituiscono la base teorica di quella che Bookchin ha chiamato ecologia sociale, adottando questo termine in un momento in cui era praticamente caduto in disuso. Sempre questo periodo degli anni Sessanta vide Bookchin impegnarsi a fondo nella controcultura della New Left, lavorando per fondere i due movimenti in uno solo, populista e radicale di sinistra, che sapesse rivolgersi ad ampi strati di comuni cittadini americani. Quando ci fu il rischio che i gruppi marxisti aderissero al movimento Students for a democratic society (Sds), inquinandone le potenzialita' popolari, Bookchin scrisse Listen, Marxist! (1969) per mettere in guardia contro la loro influenza. Il suo saggio The Forms of Freedom esamina le strutture organizzative destinate a istituzionalizzare la liberta' nei movimenti rivoluzionari. I suoi saggi degli anni Sessanta sono raccolti nell'antologia Post-Scarcity Anarchism (Ramparts Books, 1971; Black Rose Books, 1977). I suoi scritti sull'anarchia culminano con il saggio The Spanish Anarchists (Harper & Row, 1977; A. K. Press, 1997), una storia dell'evoluzione del movimento anarchico nella Spagna degli anni che precedono lo scoppio della guerra civile. Bookchin non limito' le proprie attivita' alla sola scrittura, ma partecipo' anche con dedizione al lavoro di gruppi militanti. Dopo l'impegno antinucleare e per l'Ungheria con l'Ikd, aderi' al movimento per i diritti civili e fece parte del Core. Contribui' alla fondazione della Bowery Poets' Cooperative e collaboro' a fondo con due gruppi anarchici, quello degli East Side Anarchists e l'Anarchos Group. In un'epoca in cui il termine "ecologia" era quasi sconosciuto alla maggioranza, tenne frequenti conferenze a gruppi della controcultura in tutto il paese, sottolineando l'importanza della costruzione di un movimento libertario di sinistra. * Radicalita' del suo approccio L'impegno di Bookchin trovo' spazio anche in campo educativo. Alla fine degli anni Sessanta insegno' all'Alternative University di New York, una delle principali "free universities" degli Stati Uniti, e successivamente alla City University of New York, a Staten Island. Nel 1974 fu tra i fondatori dell'Institute for Social Ecology di Plainfield, nel Vermont, e ne divenne il direttore. Questo istituto arrivo' ad acquisire fama internazionale per i suoi corsi di ecofilosofia, di teoria sociale e sulle tecnologie alternative, corsi che si tengono tuttora ogni estate. Nel 1974 Bookchin comincio' il suo insegnamento al Ramapo College del New Jersey, dove alla fine ebbe la cattedra di docente ordinario e ando' in pensione nel 1981 come professor emeritus. Negli anni Settanta crebbe la sua influenza nel movimento ambientalista in pieno slancio, che assunse la massima importanza dopo l'originale Giornata della Terra. I suoi scritti di questo periodo hanno un taglio sempre piu' profetico e utopistico e puntano sulla costruzione di un'etica ecologica. Toward an Ecological Society (Black Rose Books, 1981) e' una raccolta dei saggi di questo periodo. The Ecology of Freedom (Cheshire Books, 1982; ripubblicato da Black Rose Books nel 1991) e' un saggio che affronta con taglio filosofico, antropologico e storico l'emergere e la dissoluzione delle gerarchie, ed e' ormai considerato un classico della letteratura anarchica. Come ha messo bene in luce una recente storia del pensiero anarchico (Peter Marshall, Demanding the Impossible, Harper Collins, London 1992), il principale contributo di Bookchin e' consistito nel tentativo di integrare la tradizione del decentramento, quella contro la gerarchia e quella populista, con l'ecologia, da un punto di vista filosofico ed etico libertario e di sinistra. Le sue posizioni erano del tutto originali negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, ma oramai sono entrate nella coscienza generale della nostra epoca. La radicalita' del suo approccio si fonda sull'analisi dell'emergere storico del concetto di dominio sulla natura dal dominio dell'uomo sull'uomo, in particolare nelle gerontocrazie, nelle patriarchie e in altri livelli di oppressione. Bookchin si e' anche approfonditamente occupato di problemi urbani, del ruolo della citta' nella tradizione dell'Occidente e del conflitto tra citta' e campagna. Uno dei suoi primi libri, Crisis in Our Cities (Prentice Hall, 1965) e' un resoconto di taglio giornalistico di specifici problemi urbani. The Limits of the City (Harper and Row, 1974) e' un'analisi storica dell'evoluzione delle citta'. I suoi studi sulla citta' culminano con The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship (Sierra Club Books, 1986; ripubblicato dalla Cassell col titolo From Urbanization to Cities [1995] e in Canada col titolo Urbanization Without Cities [Black Rose Books, 1992]), che e' un'indagine storica dell'autogestione civica e del confederalismo. Questo libro, inoltre, presenta un quadro complessivo del programma di Bookchin per una politica di democrazia diretta e confederale, che egli definisce "municipalismo libertario". Il municipalismo libertario e' una politica basata sulla rivalutazione o la formazione di assemblee popolari, di democrazia diretta, a livello municipale, di quartiere e di citta'. La vita economica sarebbe soggetta al controllo democratico dei cittadini nelle comunita', in quella che egli definisce "municipalizzazione dell'economia". Le municipalita' democratizzate si confedererebbero per gestire le questioni a livello regionale e formare un contropotere opposto al centralismo dello stato-nazione. * Contro il primitivismo A partire dagli ultimi anni Settanta queste idee sono state uno stimolo importante per lo sviluppo dei movimenti dei Verdi in tutto il mondo, e Bookchin ha scritto molto riguardo alla politica dei Verdi. Il suo impegno attivo e' continuato per tutti gli anni Ottanta con il sorgere dei movimenti politici dei Verdi, in Germania come negli Stati Uniti. Dopo essersi trasferito nel Vermont, nel 1971, ha collaborato con vari gruppi, come quelli dei Northern Vermont Greens, del Vermont Council for Democracy, e dei Burlington Greens. La sua attivita' politica ha preso anche la forma del dibattito teorico all'interno del movimento ecologista e di quello anarchico. Nel 1987, per esempio, quando certe tendenze del movimento ecologista cominciavano a presentare un orientamento antiumanista e addirittura misantropico, approvando le condizioni di miseria del Terzo Mondo in quanto "la natura deve seguire il suo corso" e proponendo una filosofia che metteva sullo stesso piano il valore morale degli esseri umani e quello di tutte le altre forme di vita, Bookchin non esito' a criticare quella deriva reazionaria (in Social Ecology vs. "Deep Ecology", pubblicato in "Green Perspectives"). Alla meta' degli anni Novanta, quando si rese conto che molte tendenze del movimento anarchico mettevano da parte la tradizione di sinistra e socialista dell'anarchia a favore di tendenze individualistiche, mistiche, di autoespressione, tecnofobe, e neo-primitiviste, ancora una volta stimolo' la discussione con un saggio critico, Social Anarchism or Lifestyle Anarchism (pubblicato come libro con lo stesso titolo da A. K. Press nel 1995). Re-Enchanting Humanity (Cassell, London 1996) e' una sintesi delle critiche di Bookchin alle tendenze misantropiche e antiumaniste di specifici movimenti e della cultura popolare contemporanea. Rivalutare le teorie politiche ed etiche di Bookchin oggi significa rielaborare il pensiero dialettico, che mette un metodo neohegeliano al servizio del pensiero ecologico, per "naturalizzare" la tradizione dialettica. Il "naturalismo dialettico" di Bookchin si differenzia dall'idealismo dialettico di Hegel e dal materialismo dialettico relativamente meccanicistico di Engels. Queste sue tesi sono illustrate in mondo particolareggiato in The Philosophy of Social Ecology: Essays on Dialectical Naturalism (Black Rose Books, 1990, poi rivisto e ampliato nel 1994). Le teorie di Bookchin sulla politica, la filosofia, la storia, e l'antropologia sono sintetizzate nel testo Remaking Society (Black Rose Books e South End Press, 1989). Un'illustrazione aggiornata della sua visione si trova nella raccolta antologica The Murray Bookchin Reader (Cassell, 1997). Negli ultimi anni Bookchin e' vissuto in parziale ritiro a Burlington, nel Vermont, con la sua collaboratrice e compagna Janet Biehl. I problemi di salute ne avevano limitato la possibilita' di spostarsi e di tenere conferenze, ma continuo' a fare lezione ogni estate all'Institute for Social Ecology (di Plainfield, Vermont). Con Janet Biehl curava la pubblicazione della newsletter teorica "Left Green Perspectives" (in precedenza "Green Perspectives"), e si era occupato della stesura dei tre volumi di una storia dei movimenti popolari nelle rivoluzioni classiche, intitolati The Third Revolution. Murray Bookchin era passato negli anni Trenta da una posizione marxista tradizionale a una libertaria di sinistra. Nel contempo la sua vita e la sua attivita' hanno attraversato due epoche storiche: quella del socialismo e dell'anarchismo proletario tradizionale, con le lotte operaie contro il capitalismo e il fascismo, e quella postbellica di crescente consolidamento del capitalismo, di sviluppo tecnologico, di degrado ambientale e di politica statalista. Nei suoi scritti ha cercato di costruire una visione coerente per collegare un vitale passato rivoluzionario a un futuro di liberazione. 4. MATERIALI. LEGGERE BOOKCHIN [Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 320, ottobre 2006 (disponibile anche nel sito www.arivista.org), riprendiamo la seguente bibliografia] Questa bibliografia (in ordine cronologico) degli scritti di Bookchin pubblicati in italiano si basa su quella presente nel sito raforum.apinc.org, a cura di Janet Biehl (compagna e collaboratrice di Murray Bookchin), con piccole nostre aggiunte. - Tecnologia e rivoluzione libertaria, in "A. rivista anarchica" 31 (1974). - Tecnologia e rivoluzione libertaria, in "Volonta'" 2 (1974). - I limiti della citta', Milano, Feltrinelli, 1975. - Comment, in "A. rivista anarchica" 75 (1975). - Potere di distruggere, potere di creare, Centro documentazione anarchica 14, 1976. - Spontaneita' e organizzazione, Carrara-Torino, Edizioni del Centro documentazione anarchica, 1977. - Post Scarcity Anarchism, Milano, La Salamandra, 1979. - Oltre i limiti del marxismo, Anarchos, 1979. - Il marxismo come ideologia borghese, in "A. rivista anarchica" 81 (1980). - Cara ecologia, in "A. rivista anarchica" 85 (1980). - Il futuro del movimento antinucleare, "Volonta'" 3 (1980). - Reagan: la rabbia del ceto medio, in "Volonta'" 1 (1981). - Utopismo e futurismo, in "Volonta'" 3 (1981). - Io sono nato..., in "A. rivista anarchica" 93 (1981). - Fabbrica, scuola di potere, in "A. rivista anarchica" 97 (1981-1982). - Sociobiologia o ecologia sociale? - 1, in "Volonta'" 1 (1982). - Sociobiologia o ecologia sociale? - 2, in "Volonta'" 3 (1982). - Una conferenza, Carrara, Circolo culturale anarchico, 1984. - 1984 e il ruolo della memoria, in "A. rivista anarchica" 120 (1984). - L'armonia perduta, in "A. rivista anarchica" 121 (1984). - L'anarchismo: 1984 ed oltre, in "Volonta'" 3 (1984). - Agricoltura, mercato, morale, in "A. rivista anarchica" 132 (1985). - Tesi sul municipalismo libertario, in "Volonta'" 4 (1985). - Noi verdi, noi anarchici, in "A. rivista anarchica" 14 (1986). - L'ecologia della liberta'. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Milano, Eleuthera, 1986, V edizione 1998. - La guerra civile spagnola cinquant'anni dopo, in "Volonta'" 4 (1986). - Ecologia sociale e pacifismo, in "A. rivista anarchica" 144 (1987). - Liberta' e necessita' nel mondo naturale, in "Volonta'" 2-3 (1987). - Non sottovalutiamo la specie umana, in "Volonta'" 2-3 (1987). - The modern crisis/La crisi della modernita', Bologna, Agalev Edizioni, 1988. - Sociale, non profonda, in "A. rivista anarchica" 153 (1988). - Ecologia sociale perche', in "A. rivista anarchica" 159 (1988). - Per una societa' ecologica, Milano, Eleuthera, 1989. - Per una societa' ecologica, in "A. rivista anarchica" 166 (1989). - Societa', politica, stato, in "Volonta'" 4 (1989). - La politica radicale nell'eta' del capitalismo avanzato, Quaderni della societa' civile, Palermo, febbraio 1991. - La proposta federativa, in "Volonta'" 2-3 (1991). - Occhio al bioregionalismo, in "A. rivista anarchica" 185 (1991). - La mia proposta, in "A. rivista anarchica" 187 (1991-1992). - Una politica municipalista, in "Volonta'" 4-1 (1991-1992). - Democrazia diretta, Milano, Eleuthera, 1993, IV edizione 2005. - Democrazia diretta, come, in "A. rivista anarchica" 202 (1993). - L'unico e l'umano, in "Volonta'" 2-3 (1994). - La via del comunitarismo, in "Volonta'" 4 (1994). - Comunalismo perche', in "A. rivista anarchica" 215 (1995). - Il capitalismo e la crisi ambientale, in www.univ.trieste.it e in www.nonluoghi.it 5. RIEDIZIONI. FEDERICO GARCIA LORCA: POESIE Federico Garcia Lorca, Poesie, Garzanti, Milano 2001, Gruppo editoriale L'espresso, Roma 2006, pp. XVI + 240, s.i.p. (ma euro 6,90 in supplemento al settimanale "L'espresso"). Un'antologia dell'opera poetica di Lorca nella classica traduzione di Carlo Bo (quella di Tutte le poesie per Garzanti). Ci fu un tempo in cui il successo di massa della poesia di Lorca, la sua "facilita'" che portava l'avanguardia alla fruizione finanche consumistica delle spiagge e delle scampagnate, rendeva poco elegante ammettere la fulgida bellezza di quella poesia. Ed invece c'e' una poesia prima di Lorca e una poesia dopo Lorca - come, mutatis mutandis, c'e' una poesia prima di Saba e una dopo. Forse non e' il nostro poeta (e' Eschilo il nostro poeta, e Sofocle, ed Euripide - e Leopardi il nostro filosofo), ma i suoi versi ci incantano ancora. 6. RIEDIZIONI. PABLO NERUDA: POESIE Pablo Neruda, Poesie, Guanda, Parma 2001, Gruppo editoriale L'espresso, Roma 2006, pp. XVV + 240, s.i.p. (ma euro 6,90 in supplemento al settimanale "L'espresso"). Antologizzare una poesia fluente, proliferante, e talora fin debordante ed eccessiva come quella di Neruda e' allo stesso tempo indispensabile ed impossibile: cosi' ogni raccolta che voglia essere di essa rappresentativa lascia di necessita' insoddisfatti; ma insieme un'opera totale come quella di Neruda reca anche molto gesto e molta macchina che zavorrano il suo volo ed impacciano talora l'ascolto e l'incontro. La cosa migliore a me sembra sarebbe scegliere un libro della vasta sua produzione, e seguirne il periplo, fino al dileguarsi del canto in pura luce, fino al fermo ristare suo come intima verita' morale. E questo libro sublime e terribile e' per me il Canto general (che pure contiene l'immedicabile lebbra di quelle tragiche, imperdonabili lasse staliniste che maculano Que despierte el lenador. E' un libro del 1950, quei pochi versi sono un dolore che non si estingue, il poema nel suo insieme un monumento meraviglioso). 7. LE ULTIME COSE. GIOBBE SANTABARBARA: POUR TOUT VOUS DIRE Tutta la questione del voto parlamentare di questa estate sulla prosecuzione della illegale e criminale partecipazione militare italiana alla illegale e criminale guerra afgana si riduceva infine a questo: dire si' o dire no alla guerra e alle stragi. E quindi anche: dire si' o dire no alla flagrante violazione della legalita' costituzionale che quel crimine di necessita' implicava. Ovvero ancora: dire si' o dire no alla ennesima conferma di una politica internazionale del nostro paese semplicemente golpista e assassina: la politica internazionale che tra i suoi fasti annovera i campi di concentramento per i migranti (governo Prodi, 1998); i massacri della guerra della Nato in Jugoslavia (governo D'Alema, 1999); la partecipazione alla guerra afgana e alla guerra irachena, la legge che consente a chiunque di assassinare una persona in casa propria, e cosi' tante altre nequizie che non c'e' lo spazio per elencarle qui (governo Berlusconi, lungo tutto il quinquennio 2001-2006). * Dell'intero parlamento solo quattro deputati questa estate hanno detto no alla guerra e alle stragi. Tutti gli altri hanno ceduto alla guerra e alle stragi. Tutti. E non ci e' stato risparmiato neanche il ripugnante teatrino ad uso dei gonzi delle dimissioni (ovviamente respinte): teatrino che ha costituito una delle cose piu' squallide di quella vicenda di irresponsabilita' ed imbrogli ed infamie - poiche' il senso di esso era sostenere la folle tesi che nel parlamento italiano non si potesse votare secondo coscienza e secondo Costituzione contro la guerra: e se non e' cedimento al fascismo questo, ebbene, non so cosa cedimento sia. Ne' ci e' stato risparmiato - dopo l'ignobile plebiscito della camera - il bieco trucco del voto di fiducia in senato: quel medesimo voto di fiducia utilizzato ad ogni pie' sospinto dal governo Berlusconi per far approvare dalla sua masnada le piu' illegali legiferazioni sue, e riutilizzato dal governo Prodi in pro della guerra e delle stragi. * Ma non e' bastata l'infamia di un parlamento asservito alla guerra e alle stragi. C'e' stata anche l'infamia del silenzio complice dei mille burocrati e professorini del pacifismo parastatale e finanziariamente assistito, foraggiato e vezzeggiato da pingui patroni appartenenti ai poteri dominanti. Va da se', foraggiato e vezzeggiato a condizione che si limiti a gestire un po' di beneficienza in appalto (beninteso: dopo aver messo da parte gli stipendi, i fondi pensione ed i comfort per se' e per la consorteria - bisogna pur pensare al futuro), all'incessante turismo convegnistico, agli spettacolini (talora fin collusi con lo squadrismo) ad uso televisivo, alle ben retribuite ciance e alla ben patinata colluvie di carte a spese del pubblico erario, e per il resto non disturbi il manovratore, e lasci cioe' la "grande politica" ad essi pingui patroni, e ai loro bombardieri. Dopo anni di proclami fin deliranti nel loro rivoluzionarismo da operetta, giunti alla prova tanti movimenti e tante organizzazioni dalle roboanti ragioni sociali si sono allineati ed asserviti anch'essi alla guerra e alle stragi. Sic transit eccetera. * E c'e' stata un'infamia peggiore: di quelli che pur non avendo alcun bisogno di prostituirsi ai dispensatori di prebende e di carriere, si sono prestati anch'essi a farsi sostenitori e propagandisti del voto a favore della guerra e delle stragi, nel pensier loro fingendosi che si potesse appoggiare la guerra proclamando la pace, anzi, addirittura dicendosi - bonta' loro - "nonviolenti" mentre si accodavano al partito della guerra e delle stragi (neppure "amici della nonviolenza", "nonviolenti" tout court, quale presunzione: e' proprio vero che gli dei accecano coloro che vogliono perdere). C'e' un luogo di un antico libro in cui il nemico di tutti - la violenza - dice all'uomo nel deserto: "se tu mi adori io ti daro' il potere su tutto". E l'uomo nel deserto sa che deve rispondere no. Non c'e' bisogno di aver letto Hannah Arendt per saperlo. * Nella "carta ideologico-programmatica" del movimento nonviolento dettata da Aldo Capitini - che questo foglio ogni giorno riproduce, e non per vezzo - e' lapidariamente scritto che la prima delle fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento e' "l'opposizione integrale alla guerra". E' anche la nostra persuasione. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1438 del 4 ottobre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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