[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1432
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1432
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 28 Sep 2006 00:34:40 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1432 del 28 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Luciano Bonfrate: A coloro che hanno approvato la partecipazione italiana alla guerra afgana 2. Cecilia Strada: La guerra continua 3. Marina Forti: Donne nel mirino 4. Michelangelo Bovero: La liberta' e i diritti di liberta' (parte seconda) 5. "La politica della nonviolenza", un seminario promosso dal Movimento Nonviolento il 21-22 ottobre a Verona 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. CONTRORIME. LUCIANO BONFRATE: A COLORO CHE HANNO APPROVATO LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA AFGANA Non e' a noi vivi che dovete chiedere perdono per il vostro crimine ma alle persone che avete fatto morire. Ma esse sono morte, e perdonarvi non possono piu'. Nessuno puo' piu' perdonarvi. * Ma ora potete decidere se volete che continuino le stragi o se finalmente volete ad esse opporvi. Cessate di persistere nel crimine decidetevi ora a impegnarvi finalmente contro la guerra. * Anche gli assassini possono pentirsi e sebbene non possano piu' riparare al male fatto e nessuno possa assolverli da esso possono impegnarsi a non commetterne altro. Pur nell'inestinguibile vergogna e nell'inestinguibile dolore del male compiuto irreversibilmente possono adoperarsi anch'essi per il bene. Tutti siamo una sola umanita'. 2. AFGHANISTAN. CECILIA STRADA: LA GUERRA CONTINUA [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 26 settembre 2006. Cecilia Strada, figlia di Gino Strada, impegnata in Emergency, e' giornalista e documentarista] Sarebbero almeno 20, secondo fonti locali contattate da "PeaceReporter", le vittime dell'attentato kamikaze contro le truppe britanniche a Lashkargah, capoluogo della provincia di Helmand. Nella capitale Kabul, invece, un militare italiano e' morto e altri due sono rimasti feriti in modo grave nell'esplosione di un ordigno al passaggio del loro convoglio. *Kamikaze a Lashkargah Fonti locali hanno riferito a "PeaceReporter" che l'attentato, a differenza di quanto emerso dalle prime notizie di agenzia, non era indirizzato contro il palazzo del governatore della provincia di Helmand ma contro il Provincial reconstruction team, la struttura militare regionale della missione Isaf, gestito dalle forze militari britanniche. Il kamikaze si e' fatto esplodere sulla strada che porta al palazzo del governatore, bloccata con sbarre e muretti di cemento, mentre transitava una pattuglia di soldati inglesi. Si spiegherebbe cosi' la notizia, diffusa dal portavoce dei talebani, del coinvolgimento di sei stranieri nell'esplosione. Qari Muhammad Yousaf, in una telefonata all'agenzia di stampa "Afghan Islamic Press" ha infatti rivendicato la responsabilita' dell'attentato, che sarebbe stato condotto da un kamikaze di nome Saifullah, originario della provincia di Helmand e ha aggiunto che nell'attacco sarebbero stati uccisi 8 soldati afgani e 6 militari stranieri. La polizia locale ha smentito la morte dei soldati stranieri, confermando invece l'uccisione di 12 civili, tra cui una donna, e 6 poliziotti afgani. Secondo fonti locali contattate da "PeaceReporter", il bilancio dell'attentato, ancora provvisorio, e' di 20 morti e 17 feriti, ricoverati nel centro chirurgico della ong italiana Emergency a Lashkargah. Il sud dell'Afghanistan e' da mesi teatro dei piu' sanguinosi scontri fra talebani e forze della Coalizione. * Un militare italiano ucciso a Kabul La vittima e' il caporal maggiore Giorgio Langella, della 21esima compagnia del secondo reggimento alpini di Cuneo. Il veicolo su cui viaggiava, impegnato in un'operazione di pattugliamento, e' stato colpito da un ordigno esplosivo. Altri due commilitoni sono stati feriti in modo grave, e un bambino afgano ha perso la vita nell'esplosione. La morte di Giorgio Langella porta a 8 il numero dei militari italiani che hanno perso la vita in Afghanistan. Sono invece quasi 500 i soldati stranieri uccisi, in un'escalation che rivela come la guerra sia ben lungi dall'essere finita: se alla fine del 2005 si erano contate 130 vittime tra le forze della coalizione, a settembre del 2006 sono gia' 158. 3. AFGHANISTAN. MARINA FORTI: DONNE NEL MIRINO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 settembre 2006. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Le hanno sparato ieri mattina davanti a casa, a Kandahar in Afghanistan meridionale, mentre saliva su un'auto per andare al lavoro. Safia Hama Jan era il capo del Comitato provinciale del Ministero per gli affari femminili, responsabile dei programmi per rafforzare i diritti delle donne. A sparare sono stati uomini in motocicletta: "E' morta sul colpo", ha riferito il nipote. Un portavoce del governo provinciale a Kandahar, Daud Ahmadi, ha annunciato un'indagine sul delitto. Non e' difficile indovinare chi abbia ucciso la signora Hama Jan, e infatti nel pomeriggio e' arrivata la rivendicazione: un comandante Taleban, Mullah Hayat Khan, ha detto che la signora Hama Jan e' stata uccisa perche' lavorava per il governo. "Abbiamo detto piu' volte che chiunque lavori per il governo, incluse le donne, sara' ucciso", ha detto per telefono all'agenzia Reuter (i Taleban non hanno mai avuto difficolta' a contattare media locali e stranieri, sempre "da localita' sconosciuta"). L'uccisione della funzionaria di Kandahar e' "un delitto senza senso di una donna che stava semplicemente lavorando per garantire che le donne afghane abbiano un ruolo pieno e paritario nel futuro dell'Afghanistan", ha commentato nella capitale Kabul il portavoce di Unama, la Missione dell'Onu in Afghanistan. Anche il portavoce del governo di Kandahar, la citta' dove i Taleban erano emersi oltre un decennio fa, ha condannato l'uccisione: "E' un gesto dei nemici della pace, della democrazia e dello sviluppo nel paese". Ha sorvolato pero' su un dettaglio: Safia Hama Jan, capo del dipartimento per le donne fin dal 2001, aveva chiesto piu' volte che le fosse assegnata una scorta di sicurezza. Invano: quando e' stata uccisa ieri mattina stava salendo su un normalissimo taxi pubblico. Eppure, che una donna a capo di un dipartimento per le donne fosse particolarmente esposta era risaputo. Era noto che i Taliban avevano preso di mira il governo locale e i suoi funzionari: fin dalla fine del 2002 volantini firmati dai Taleban avevano minacciato coloro che lavoreranno con il governo "alleato degli infedeli". Ma non solo loro. Le poche testimonianze che arrivano dalle province meridionali dell'Afghanistan raccontano di quotidiane intimidazioni verso infermiere e insegnanti e in genere le donne che lavorano, e di minacce e attentati contro le scuole femminili: succede in una citta' come Kandahar e in tutte le province meridionali e orientali (ma anche altrove). La morte della signora Hama Jan "avra' un forte impatto sulle attivita' delle donne nel sud, dove le donne gia' soffrono di vari problemi sia per il deterioramento della sicurezza che per le tradizioni conservatrici", ha commentato ieri Abdul Qadar Noorzai, capo della sezione di Kandahar della Commissione afghana indipendente per i diritti umani (Aihrc). Ne' il peso di tradizioni conservatrici e' limitato alle province meridionali: proprio la Commissione indipendente per i diritti umani aveva denunciato, dieci giorni fa a Kabul, che in tutto il paese sono in forte aumento i cosiddetti "delitti d'onore" (ragazze o donne sono uccise per aver "macchiato l'onore" di famiglia: se non accettano un matrimonio forzato, abbandonano un marito che le picchia o hanno relazioni non approvate dalla famiglia). Circa 185 donne uccise dall'inizio del 2006, dice la Aihrc, oltre a 704 casi di violenza contro le donne (di cui 89 matrimoni forzati e 50 "auto-immolazioni"): ma il conto e' per difetto dato che molti casi non saranno mai segnalati alle autorita'. La violenza sulle donne aumenta, dice la Aihrc, perche' il sistema giudiziario e' debole e la polizia non arresta i responsabili di delitti d'onore, e non li considera come omicidi. Una cosa e' certa: le donne che lavorano, compiono attivita' pubbliche, ad esempio lavorano con le organizzazioni non governative (afghane o, peggio, straniere) sono nel mirino degli ultraconservatori Taleban. Il ritorno dei Taleban pero' e' arrivato sui media quasi solo per il suo aspetto militare. Non trascurabile, in effetti: si stima che il loro comandante nella regione meridionale (le province di Kandahar e di Helmand), Mullah Dadullah, abbia oltre 12.000 uomini armati. La scorsa primavera notizie provenienti dal confinante Pakistan dicevano che l'arruolamento tra i combattenti Taleban era aumentato. Cosi' le cronache degli ultimi mesi sono un susseguirsi di operazioni militari: di fronte all'offensiva di primavera dei Taliban, in maggio gli Usa hanno lanciato la "Mountain Thrust" (con britannici, canadesi e afghani). Il primo agosto il comando nelle province del sud e' passato dagli Usa ("Enduring Freedom") alle forze Nato-Isaf, e sono queste che a fine agosto hanno lanciato l'operazione "Medusa". Le operazioni militari estive nel sud afghano hanno fatto oltre 1.100 morti tra i combattenti Taleban, dicono i comandi Usa - ma una buona parte sono in realta' civili, si capisce dagli ospedali della zona. E hanno fatto un'ondata di profughi: circa 85.000 persone accampate attorno a Kandahar e a Lashkar Gah (capoluogo del Helmand). Proprio la settimana scorsa il comando Isaf aveva dichiarato conclusa l'operazione, dicendo che "e' stata un successo" e ha riportato la sicurezza nella seconda citta' del paese, Kandahar. Bisognerebbe dirlo alla famiglia di Safia Hama Jan. 4. RIFLESSIONE. MICHELANGELO BOVERO: LA LIBERTA' E I DIRITTI DI LIBERTA' (PARTE SECONDA) [Dal sito della Societa' italiana di filosofia politica (www.sifp.it) riprendiamo il seguente saggio di Michelangelo Bovero. Michelangelo Bovero insegna filosofia della politica all'Universita' di Torino ed e' uno degli studiosi piu' acuti della tradizione del pensiero liberalsocialista e dell'antifascismo piu' nitido ed intransigente; discepolo, collaboratore e studioso di Norberto Bobbio, ne prosegue la lezione di rigore intellettuale ed impegno civile. Tra le opere recenti di Michelangelo Bovero: Contro il governo dei peggiori. Una grammatica della democrazia, Laterza, Roma-Bari 2000; Quale liberta'. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Roma-Bari 2004; (a cura di, con Ermanno Vitale), Gli squilibri del terrore. Pace, democrazia e diritti alla prova del XXI secolo, Rosenberg & Sellier, Torino 2006] 3. Liberta' negativa e liberta' positiva Spesso, queste varie dimensioni soggettive di "potere" - quelle cioe' in cui un qualche "potere" compare come qualita' o proprieta' o possesso o attribuzione di un certo soggetto (15) - vengono designate col nome di "liberta' positiva" o "liberta' di" (freedom to), e in tal modo distinte dalla (nozione di) "liberta' negativa" o "liberta' da" (freedom from); onde un soggetto si dice "libero da", o negativamente, se e in quanto esente da obblighi (positivi e negativi, comandi o divieti) riguardo a una certa scelta o azione, e "libero di", o positivamente, se e in quanto e' capace di e/o ha i mezzi per e/o il titolo a compiere quella certa scelta o azione. Nel parlare corrente, tutte queste dimensioni vengono fuse e confuse in una indistinta nozione di liberta'. Tra coloro che sottolineano l'importanza di una distinzione analitica tra il versante negativo e quello positivo di tale nozione, vi e' chi sostiene l'indisgiungibilita' di fatto dei due aspetti (16), e chi sostiene invece la loro indipendenza. Non e' questo il luogo di approfondire una simile intricata questione. Qui mi limito a suggerire che, per sbrogliare la matassa o non rimanerne irretiti, sarebbe opportuno riservare il nome di liberta' a quella (nozione) che viene usualmente chiamata "liberta' negativa", risolvibile nella negazione (dell'esercizio) di potere altrui - nel senso di potere che ho designato relazionale ("potere su") -, e non dilatarne l'uso fino a comprendere le (svariate) dimensioni di quella che da molti viene chiamata "liberta' positiva", consistente nel possesso o esercizio di un qualche potere proprio - in uno dei sensi non-relazionali di potere ("potere di"). Se si accoglie questo suggerimento, la nozione di liberta': a) risulta compiutamente definita dall'assenza di impedimenti o costrizioni, obblighi o divieti; b) viene a coincidere con la possibilita'-liceita', o possibilita' deontica, di scegliere o agire in un determinato modo; e c) implica o richiede l'opportunita', o possibilita' oggettiva, di scegliere o agire in un altro modo; ma d) non comprende (le varie specie di) quella che ho chiamato possibilita' soggettiva. In tal modo si riuscirebbe a evitare una confusione ricorrente: essere liberi di agire in un certo modo o di scegliere una certa alternativa non implica di per se', ne' presuppone, possedere la capacita' o i mezzi o la competenza per effettuare la scelta o l'azione corrispondente. Si noti che eliminare questa confusione, cioe' ripristinare una chiara distinzione concettuale tra liberta' e potere, non porta affatto a eludere il problema della loro connessione, anzi aiuta a vedere meglio che la liberta' (liceita') senza un qualche potere (soggettivo) e' vuota (mi sarebbe lecito, ma non posso, perche' non ne sono capace), il potere senza liberta' e' cieco e inutile (sarei in grado, perche' ne avrei i mezzi, ma non mi e' permesso). Dunque, considerando le ambiguita' cui va soggetta anche nel linguaggio filosofico, si potrebbe sostenere che la dicotomia tra "liberta' negativa" e "liberta' positiva" e' insoddisfacente come strumento teorico. Per due ragioni: a) ogni uso plausibile di "liberta'" indica esplicitamente o implicitamente una assenza o una mancanza (di impedimenti e costrizioni), il che significa che ogni liberta' in quanto tale e' "liberta' da", e che qualsiasi "liberta' di" non solo presuppone una "liberta' da", ma e' sensatamente designabile come liberta' solo in relazione a una negazione (di obblighi e divieti derivanti dall'esercizio di potere altrui); b) la locuzione "liberta' positiva" in gran parte degli usi nasconde e confonde una pluralita' di determinazioni, ovvero indica una molteplicita' di "poteri" o "possibilita'" in varie accezioni, alcune delle quali non riconducibili al nucleo semantico di "liberta'". Semplificando drasticamente: qualsiasi liberta' e' negativa; la cosiddetta liberta' positiva non e' (propriamente designabile come) liberta'. Senonche', lo schema concettuale che oppone "liberta' negativa" e "liberta' positiva" - al di la' delle ambiguita' derivanti dalla presenza del medesimo termine "liberta'" in entrambi i suoi elementi, e in una pluralita' di accezioni nel secondo - ha assolto una funzione rilevante, almeno a partire dalle riflessioni di Bobbio e di Berlin risalenti alla meta' del secolo scorso (17), essendo stato ricorrentemente impiegato per esprimere e tematizzare un aspetto decisivo della distinzione, e della tensione, tra liberalismo e democrazia. Questo uso teorico fecondo della dicotomia mi pare debba essere riscattato, depurandolo dalle confusioni con altri usi. A questo scopo, puo' essere utile riconsiderare una fonte classica a cui sia Bobbio sia Berlin si sono esplicitamente richiamati: il discorso di Benjamin Constant Della liberta' degli antichi, paragonata a quella dei moderni (1819) (18). Per "liberta' degli antichi" Constant intendeva la partecipazione di ciascun individuo come cittadino all'autodeterminazione collettiva politica; per "liberta' dei moderni", uno spazio di scelte e azioni individuali private, protetto da interferenze della volonta' collettiva. Come ha chiarito Bobbio, il giudizio storico che le formule constantiane contengono e' limitativo e fuorviante (19). Ma cio' che importa e' recuperare la distinzione analitica tra i significati di "liberta'" che compaiono in quelle formule: i quali corrispondono rispettivamente, il primo, a "quello adoperato dalla dottrina democratica", il secondo, a "quello che ricorre nella dottrina liberale classica". Spiega Bobbio: "Si dice infatti 'liberale' colui che persegue il fine di allargare sempre piu' la sfera delle azioni non impedite, mentre si dice 'democratico' colui che tende ad accrescere il numero delle azioni regolate mediante processi di autoregolamentazione. Onde 'stato liberale' e' quello in cui l'ingerenza del potere pubblico e' quanto piu' possibile ristretta; 'democratico' quello in cui sono piu' numerosi gli organi di autogoverno" (20). E' appunto questa distinzione, certamente rilevante e ben costruita, che si riflette in uno degli usi della dicotomia tra "liberta' negativa" e "liberta' positiva" ricorrenti nella riflessione degli ultimi decenni. In altre occasioni ho sostenuto che sarebbe opportuno non solo chiamare semplicemente "liberta'", tout court, quella che Bobbio invita a riconoscere come liberta' liberale, ossia la liberta' "negativa" o, per Constant, "dei moderni"; ma al tempo stesso designare quella che per Constant era la liberta' "degli antichi", e che Bobbio rintraccia nel lessico della dottrina democratica, non gia' come "liberta' positiva" - espressione, si e' visto, carica di ambiguita' -, bensi' come "autonomia": termine che indica letteralmente la condizione di chi da' leggi a se stesso. In questo senso intesa, l'autonomia e' una forma di potere. Potremmo caratterizzarla come quella specie particolare di potere relazionale che un soggetto esercita su di se', ovvero il potere (la capacita') di imporre obblighi (negativi e positivi) a se stesso. Cosi' ricostruita, la condizione di autonomia non coincide con, ne' si risolve in, una condizione di liberta' (cioe' di assenza di vincoli, se si accolgono i miei suggerimenti); e tuttavia la presuppone: un soggetto autonomo puo' certamente dirsi libero, ma non in quanto autonomo - in quanto da' norme a se stesso, ovvero, piu' semplicemente, determina da se' le proprie scelte e azioni -, bensi' in quanto le sue scelte e azioni non sono determinate da altri, ossia in quanto e' indipendente da un potere altrui. La liberta' di un individuo autonomo non consiste nell'autonomia stessa, cioe' nel potere di autoregolarsi, ma nell'indipendenza, cioe' nell'assenza di eteronomia, di imposizioni di un potere altrui. Per quanto possa parere superfluo, invito a tenere distinti i due aspetti: l'indipendenza, la non subordinazione a un potere altrui, e' la condizione negativa (di liberta' negativa) che rende possibile l'autonomia come autodeterminazione (21). Vero e' che la stessa nozione di autonomia come "potere su di se'" e' alquanto problematica; anzi, proprio l'impiego di questa nozione per indicare il potere del cittadino democratico (la sua "liberta' positiva", nel significato politico attribuito a questa formula da Bobbio e Berlin) puo' suscitare particolari perplessita'. Ancora una volta, sarebbe impossibile affrontare dettagliatamente tali problemi in questa sede; tuttavia, alcune brevi osservazioni in proposito possono essere utili. Suggerisco di considerare l'autonomia come una delle due figure possibili del rapporto tra il produttore e il destinatario di norme: si ha autonomia nel caso in cui il soggetto attivo del rapporto, ossia colui che produce le norme, e il soggetto passivo, ossia colui al quale le norme sono rivolte, si identificano (sono cioe' la stessa persona); si ha eteronomia nel caso in cui si tratti di due soggetti distinti. Mi pare evidente che propriamente autonomo - in questo senso - e' il soggetto individuale che decide non solo per se', ma anche soltanto da se': come il soggetto morale che determina in coscienza (come si suol dire, "solo con la sua coscienza") qual e' il proprio dovere, o il soggetto economico che stabilisce qual e' il proprio interesse per agire sul mercato in vista di esso. Non altrettanto autonomo, a rigore, puo' dirsi proprio l'individuo come cittadino di una democrazia - e cio' rende debole il mio suggerimento di sostituire, nella dicotomia di Bobbio e Berlin, l'espressione "liberta' positiva" con "autonomia (politica)". Fonte delle leggi emanate in un regime democratico e' la volonta' collettiva - riconoscibile come tale in base a certe regole di procedura, per esempio la regola di maggioranza -, la quale non coincide necessariamente, anzi, praticamente mai, con la volonta' di ogni e ciascun singolo. Le decisioni politiche in generale sono per definizione decisioni della collettivita' (degli organi autorizzati ad assumerle in nome della collettivita') rivolte agli individui che ne sono membri: l'individuo non stabilisce da se' le norme cui sara' sottoposto, dunque non e' pienamente autonomo, anche se e' cittadino di una democrazia. Tant'e' vero che potra' trovarsi spesso in disaccordo con le leggi decise dalla maggioranza; ma sara' comunque tenuto a rispettarle (22). Cio' nonostante, non e' insensato considerare la partecipazione, diretta o indiretta, dell'individuo in quanto cittadino democratico alla formazione delle decisioni collettive politiche, cui egli stesso sara' sottoposto in quanto individuo privato, come una sorta di "autonomia frazionaria": in virtu' delle regole del gioco democratico, ciascun cittadino e' titolare di una frazione (equipollente a quella di ogni altro) del potere di imporre leggi a se stesso (come a ogni altro). Per questo, Kelsen ha visto nel diritto-potere che una Costituzione democratica conferisce a ciascun singolo di contribuire alla creazione delle norme collettive la risposta al problema rousseauiano "come sia possibile essere sottoposti a un ordinamento sociale ed essere ancora liberi" (23). Nell'uso di Rousseau, accolto e ripreso da Kelsen, "essere liberi" significa obbedire a se stessi, o alla "volonta' generale", o alla legge da essa stabilita. Ricordo soltanto la definizione piu' famosa: "l'obbedienza alla legge che ci siamo prescritta e' liberta'" (24). Questo significato di "liberta'", frequente nel lessico della dottrina democratica, come ha ricordato Bobbio, rinvia in tutta evidenza alla nozione di autonomia come prescrizione di leggi a se'. Ma le stesse formulazioni rousseauiane, che mettono in primo piano non gia' l'atto di prescrivere bensi' quello di obbedire, rivelano come suoni implausibile identificare senz'altro con una (specie di) liberta' l'autonomia politica dell'individuo - nozione gia' di per se' problematica -, e dunque come sia inopportuno l'uso dell'espressione "liberta' positiva" per indicare tale nozione. Infatti, chi obbedisce alla legge e' il soggetto individuale nella veste di cittadino passivo o, come dice Rousseau, di "suddito": e il suddito, nei confronti degli obblighi (positivi e negativi) imposti dalla legge, qualunque ne sia la fonte (la volonta' di un autocrate o quella di un'assemblea democratica), per definizione non e' libero. La liberta' per un suddito puo' consistere soltanto in cio' che la legge, tacitamente o dichiaratamente, permette. L'individuo puo' dirsi non propriamente libero, ma (con qualche cautela) autonomo nella veste di cittadino attivo di una democrazia, ovvero nel caso in cui la Costituzione gli conferisca il diritto-potere di concorrere (al pari di ogni altro) alla formazione delle decisioni collettive che egli stesso (come gli altri) sara' tenuto a osservare. Certamente, in quanto titolare di (una frazione del) potere politico, il medesimo individuo puo' bensi' definirsi indipendente da imposizioni politiche estranee, e in questo senso (negativo, non positivo) anche libero, cioe' esente da obblighi e vincoli nelle sue scelte e azioni politiche; ma la sua autonomia (impropriamente indicata con l'espressione "liberta' positiva") non si risolve semplicemente nella facolta' di scegliere liberamente il proprio comportamento politico, ossia di esprimere le proprie preferenze, di aderire a questo o a quel partito o movimento ecc., bensi' consiste propriamente nel potere (nella capacita' giuridica) di concorrere alla determinazione delle decisioni collettive, vincolanti per se' come per gli altri. * 4. Liberta' di fatto e liberta' di diritto Per riordinare le idee e per semplificare, mirando al nucleo dei problemi politici e giuridici connessi agli usi del termine "liberta'" e cercando fin dove possibile di depurare questi usi dalle ambiguita' del linguaggio ordinario (ma anche di quello filosofico), suggerisco di riconsiderare in un quadro sinottico i vari aspetti del rapporto tra il soggetto individuale e le norme che ne vincolano o ne indirizzano scelte e azioni, anzitutto quelle norme che vengono imposte dalle decisioni politiche della collettivita' di cui l'individuo fa parte. In tale rapporto, ciascun singolo individuo compare, da un lato, come soggetto attivo, in quanto contribuisce direttamente o indirettamente - se la Costituzione della collettivita' e' democratica - a produrre le norme vincolanti per tutti; dall'altro lato, lo stesso individuo compare - in ogni caso, cioe' anche se la Costituzione non e' democratica - come soggetto passivo, in quanto e' destinatario di quelle medesime norme. Nel ruolo di soggetto attivo, potremo dire che l'individuo (in democrazia) e' "autonomo" - entro i limiti in cui la nozione di autonomia politica e' applicabile alla figura del cittadino democratico - nel senso che e' titolare (di una frazione) del potere di partecipare al processo decisionale politico, cioe' al processo che culmina con l'emanazione delle norme collettive a lui stesso (come agli altri individui) destinate. Nel ruolo di soggetto passivo, cioe' come destinatario delle norme collettive, l'individuo e' per definizione non-libero per quanto concerne le materie regolate da quelle norme mediante obblighi e divieti. Ma in nessun tipo di collettivita' - neppure, di fatto, in uno Stato totalitario - gli obblighi e i divieti contenuti nelle norme si estendono a ogni e qualsiasi sfera del comportamento individuale: potremo dunque dire, anzitutto, che gli individui sono piu' o meno liberi a seconda che sia piu' o meno ampia la sfera dei comportamenti non regolati, ossia non vietati ne' resi obbligatori dalle norme collettive, e per cio' stesso permessi. In questo primo aspetto, la libertas si risolve nel silentium legis, come diceva Hobbes: "La liberta' dei sudditi si trova (...) solo in quelle cose che il sovrano, nel regolare le loro azioni, non ha menzionato" (25). Il silenzio della legge crea di per se', o semplicemente lascia sussistere, spazi di liceita', in cui l'individuo e' di fatto libero di scegliere come comportarsi (26). Ma naturalmente, la legge puo' in qualsiasi momento intervenire in questi spazi "mettendosi a parlare", ovvero, fuor di metafora, il legislatore puo' sempre decidere di regolare materie precedentemente non regolate, restringendo o al limite annullando sfere di liberta' (27). Tuttavia, negli Stati costituzionali di diritto certi spazi di liberta' - di assenza di vincoli alle scelte e azioni individuali - sono non gia' soltanto conseguenti da un silentium legis, bensi' espressamente istituiti da un verbum legis, o meglio da una particolare classe di norme, superiori a quelle che scaturiscono dal (normale) processo politico e quindi vincolanti per lo stesso potere (ordinario) di decisione collettiva (28), le quali conferiscono a tutti (in quanto persone o cittadini) alcuni determinati diritti di liberta' - facolta' di scegliere e agire - come permessi in senso forte (29). Che una norma costituzionale riconosca e protegga una (sfera di) liberta' individuale significa che tale norma: a) istituisce non una semplice liberta' di fatto, sempre limitabile o addirittura annullabile dalla legge (ordinaria), ma una liberta' di diritto, o meglio un diritto fondamentale di liberta'; b) rende questo diritto individuale inviolabile dalle decisioni politiche (almeno ordinarie) della comunita'. Non solo: il potere politico (intendo, il complesso dei pubblici poteri ordinari) e' per un verso limitato dai diritti di liberta' - come da tutte le altre specie di diritti costituzionali - nel senso che "non ha il potere" di imporre obblighi e divieti in contrasto con le norme costituzionali attributive di diritti; per l'altro verso, e' obbligato a garantire i medesimi diritti, ovvero ad assicurare, anzitutto con l'adozione di norme attuative della Costituzione, il godimento e/o l'esercizio di essi ai loro titolari, proteggendoli nei confronti di chiunque. In altre parole, la Costituzione vieta agli organi del potere collettivo di vietare certi comportamenti, o meglio vieta di interferire con comandi o divieti in determinati spazi di liberta' individuale; e al tempo stesso impone ai medesimi poteri di impedire a chiunque di impedire la liberta' di ciascuno, ovvero impone di difendere le sfere di liberta' attribuite a ciascuno contro le interferenze arbitrarie di qualunque altro soggetto. Nella generalita' degli Stati costituzionali contemporanei il sistema delle liberta' fondamentali, o meglio dei diritti fondamentali di liberta', poggia sui pilastri di quelle che Bobbio ha chiamato "le quattro grandi liberta' dei moderni": la liberta' personale, la liberta' di pensiero, la liberta' di riunione e la liberta' di associazione (30). La liberta' personale e' da considerarsi la prima (31) non soltanto da un punto di vista storico, giacche' si ritiene comunemente che fosse gia' contenuta in nuce nel principio dell'habeas corpus proclamato dalla Magna Charta nel 1215, ma anche da un punto di vista logico, poiche' tale principio, vietando le restrizioni arbitrarie della facolta' individuale di disporre della propria persona (anzitutto fisica, cioe' del proprio corpo), e' esplicitamente rivolto in primo luogo contro ogni abuso della coazione da parte dei pubblici poteri, che potrebbe soffocare alla radice qualunque spazio di liceita', e dunque ogni ulteriore specifico diritto di liberta'. E' definibile come abuso di coazione qualunque provvedimento restrittivo della liberta' personale che non rientri nei casi, nei modi e nei limiti tassativamente stabiliti dalla legge. Il diritto di liberta' personale rappresenta, si puo' dire, la traduzione in positivo del principio normativo generale nullum crimen, nulla poena sine lege; ma anche, in certo senso, del principio teorico per cui tutto cio' che non e' vietato e' permesso - e a maggior ragione, aggiungerei, tutto cio' che e' esplicitamente permesso non e' (e non puo' essere) vietato: appunto le facolta' riconosciute dalla Costituzione agli individui come diritti fondamentali di liberta'. Evidentemente connessa con la liberta' personale, in quanto riguarda la possibilita' fisica di movimento degli individui, e' la liberta' di circolazione, che peraltro la Costituzione italiana non attribuisce alle persone come tali, bensi' riserva ai soli cittadini (32). E' opportuno distinguere la liberta' personale, nella sua accezione originaria, dagli altri diritti di liberta': "la prima e' il fondamento dello stato di diritto, fondato sul principio della rule of law, i secondi sono il presupposto dello stato liberale, ovvero dello stato limitato" (33). Legata alla genesi propriamente liberale del processo di costituzionalizzazione e' la liberta' di pensiero, articolabile in due versanti, quello "interno" della liberta' di coscienza e quello "esterno" della liberta' di espressione (34), e distinguibile in una varieta' di specificazioni - tali sono le liberta' di religione, di insegnamento, di informazione, ecc. -, a ciascuna delle quali corrisponde, nella gran parte delle Costituzioni moderne, un peculiare diritto (35). La liberta' di riunione, in alcuni casi rilevanti, appare strumentale rispetto alla liberta' di manifestazione del pensiero: basta pensare a quelle che comunemente si chiamano "manifestazioni" politiche o sindacali, e che consistono in riunioni (spesso "in movimento"), ovvero nell'adunarsi di una molteplicita' di individui in un luogo determinato (e nello sfilare lungo un certo percorso) per esprimere una medesima opinione, di solito una protesta collettiva. Ma il riconoscimento e la protezione costituzionale del diritto di riunione non sono vincolati a un particolare tipo di scopi: ogni finalita' e' in via di principio ammessa, purche' le riunioni si svolgano "pacificamente e senz'armi". Tuttavia l'inclusione tardiva, nella storia del costituzionalismo moderno, della liberta' di riunione tra i diritti fondamentali e' senz'altro dovuta al suo potenziale esercizio come mezzo di opposizione civile e politica. Il pieno riconoscimento del diritto di riunione e' dunque da considerarsi propriamente una conquista democratica. Altrettanto si deve dire per la liberta' di associazione, ancor piu' tardiva, anzi "ultima ad essere conquistata" (36). Anche in questo caso, la protezione costituzionale prescinde dai fini specifici dell'associazione, escludendo soltanto quelli normalmente vietati ai singoli dalla legislazione penale. Ma e' evidente la particolare rilevanza del diritto di associarsi in liberi sindacati e in liberi partiti, a lungo osteggiato e precluso, la cui garanzia soltanto consente la formazione e il consolidamento della societa' pluralistica in senso moderno, e con questa la possibilita' stessa del gioco democratico (37). Del resto, se e' vero che la protezione dei diritti di liberta' in quanto tali rappresenta il baluardo dell'"individuo contro lo stato" (per ricordare il titolo di un celebre libro di Spencer, manifesto del radicalismo liberale) (38), e' anche vero che nessuno di tali diritti puo' considerarsi circoscritto e confinato nella sfera privata: al contrario, non e' difficile rintracciare per ciascuna delle liberta' dei moderni una proiezione politica, piu' o meno diretta, tanto che nel loro insieme esse valgono come precondizioni indispensabili della democrazia (39). * Note 15. Benche' sia piu' consueto, e appaia in certo senso piu' appropriato, chiamare "soggettivo" il potere che consiste nella capacita' di un soggetto di ottenere certi effetti, e invece "oggettivo" il potere che consiste nei mezzi utili a raggiungere uno scopo, qui preferisco raggruppare nella medesima categoria di "potere soggettivo" sia la capacita', sia i mezzi: questi ultimi sono "potere" non in quanto tali, ma in quanto posseduti o controllati da un soggetto. 16. Cfr. S. Landucci, Sul significato descrittivo della nozione di libero arbitrio, in AA. VV., Filosofia e politica. Scritti dedicati a Cesare Luporini, La Nuova Italia, Firenze 1981: "C'e' infatti una innegabile stranezza logica, come si dice, in una frase del tipo: 'un drogato e' libero di non drogarsi', anche se sia vero che nessuno lo stia costringendo a drogarsi. Ancorche' essa non sia affatto contraddittoria, una volta definito opportunamente cosa s'intenda quando si dice che qualcuno e' libero di fare o non fare qualcosa, tuttavia logicamente strana e', una volta ammesso che della definizione di 'drogato' faccia parte l'incapacita' di astenersi. E questa stranezza denuncia come, anche se si decide che esser libero significhi solo non essere costretto, tuttavia la nozione di liberta' implichi pure il riferimento ad un 'potere', in mancanza del quale essa non avrebbe piu' un uso normale. (...) Insomma, una connessione intrinseca fra una nozione ed un'altra non e' di certo una buona ragione per confonderle; pero' neppure l'esigenza di tenerle distinte, concedendo che sia senz'altro giustificata, dovra' andare a scapito del riconoscimento della loro connessione, quando questa sia altrettanto essenziale, se non anche di piu'". 17. La riflessione analitica sulle "due liberta'" e' stata avviata da Norberto Bobbio con il saggio Della liberta' dei moderni comparata a quella dei posteri, uscito su "Nuovi Argomenti", 11, 1954, poi ripubblicato in Id., Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, e da ultimo compreso in Id., Teoria generale della politica cit. Qualche anno dopo, Isaiah Berlin ha dedicato allo stesso tema la sua prolusione di Oxford, Two Concepts of Liberty (Inaugural Lecture, Clarendon Press, Oxford 1958). In seguito, sia Bobbio sia Berlin sono tornati sul tema in numerose occasioni, perfezionando il proprio pensiero. Di Bobbio, mi limito a ricordare il saggio Due concetti di liberta' nel pensiero politico di Kant, comparso in un volume collettaneo del 1960, poi ripubblicato col titolo Kant e le due liberta' in Norberto Bobbio, Da Hobbes a Marx, Morano, Napoli 1965, ora ricompreso anch'esso nella Teoria generale della politica; e la voce Liberta' scritta originariamente per l'Enciclopedia del Novecento (Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1979, vol. III), quindi ripubblicata con alcune correzioni in Id., Eguaglianza e liberta' cit. Di Berlin, e' da segnalare soprattutto la seconda edizione riveduta della prolusione oxoniense, pubblicata nel volume Quattro saggi sulla liberta', trad. it., Feltrinelli, Milano 1989: da questo scritto, del 1969, ha preso le mosse un intenso e articolato dibattito sul concetto di liberta' nell'ambito della filosofia analitica anglosassone. Alcuni tra i contributi piu' rilevanti a questo dibattito sono stati raccolti nel volume a cura di I. Carter e M. Ricciardi, L'idea di liberta', Feltrinelli, Milano 1996, corredato di un'ampia bibliografia. 18. Del discorso di Constant e' uscita recentemente una bella edizione italiana a cura di G. Paoletti, in un volume corredato da un Profilo del liberalismo di P. P. Portinaro (Einaudi, Torino 2001). Sull'idea constantiana di liberta' si vedano almeno le puntualizzazioni di Mauro Barberis nel volumetto Liberta', Il Mulino, Bologna 1999, pp. 97 ss. (ma piu' ampiamente cfr. M. Barberis, Benjamin Constant. Rivoluzione, costituzione, progresso, Il Mulino, Bologna 1988). 19. Cfr. Bobbio, Eguaglianza e liberta' cit., pp. 60-62. 20. Bobbio, Teoria generale della politica cit., p. 40. 21. La negazione (in senso logico) dell'eteronomia non implica immediatamente l'autonomia, potendosi risolvere in una condizione di a-nomia, cioe' di assenza di regole. 22. Cio' suggerisce che, a rigore, l'espressione "autonomia politica" dovrebbe essere considerata priva di significato. A meno di intendere con essa l'autodeterminazione della collettivita', concepita per analogia come un individuo artificiale, hobbesianamente composto dalle persone naturali. Ma in ogni caso l'autonomia politica di una collettivita' "indipendente" e "sovrana", che determina da se' le proprie leggi, non si risolve in una (vera e propria) autonomia politica di ciascuno dei suoi membri, neppure se la Costituzione di tale collettivita' e' democratica. 23. H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, trad. it., Etas Kompass, Milano 1966, p. 290. 24. J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, trad. it., Einaudi, Torino 1966, p. 30. Anche la celebre affermazione sulla "costrizione ad essere liberi" (ivi, p. 28) si regge sull'equivalenza tra liberta' e obbedienza alla volonta' generale. 25. T. Hobbes, Leviatano, trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1976, p. 208. 26. Cio' non significa, pero', che sia in grado di farlo: come si e' visto sopra, a un soggetto libero possono difettare la capacita', i mezzi, la competenza per effettuare concretamente le scelte e le azioni che e' libero di compiere. 27. Cosi' come, all'opposto, puo' ampliarle o crearne di nuove, abolendo o indebolendo precedenti vincoli normativi. La sparizione di ogni e qualsiasi vincolo coinciderebbe con l'estinzione dello Stato. Ma l'ideale anarchico presuppone un'antropologia ottimistica che non mi sento di condividere. Del resto, molte tendenze della societa' contemporanea confermano che la regressione verso lo stato di natura prepara semplicemente il trionfo del diritto del piu' forte: il programma di de-regulation sostenuto con successo negli ultimi decenni dagli orientamenti neo-(ultra-)liberisti ha riconquistato ampi spazi per la "liberta' del lupo". 28. Dal potere ordinario di decisione collettiva deve essere ovviamente distinto il potere, per cosi' dire extra-ordinario o sovra-ordinato, di revisione costituzionale, mediante l'esercizio del quale possono essere modificate le norme della Costituzione. Peraltro, vi e' ampio consenso tra gli studiosi nel sostenere la tesi che i diritti di liberta', dichiarati "inviolabili" nel testo costituzionale, sono sottratti allo stesso potere di revisione. 29. V. supra, nota 12. 30. Cfr. Bobbio, Teoria generale della politica cit., p. 304. 31. Cfr. infra il contributo di S. Rodota'. 32. Interpretazioni restrittive e punitive di questa limitazione debbono essere considerate ingiustificabili, in tempi di migrazioni di massa; migrazioni che non potranno comunque essere arginate da sole barriere di divieti e provvedimenti di polizia. L'unico risultato sicuro che otterranno le recenti disposizioni di legge in materia di accesso al territorio dello Stato italiano e' quello di pregiudicare gravemente la dignita' personale e la sopravvivenza stessa di un numero crescente di individui. Cfr. infra il contributo di L. Ferrajoli. 33. N. Bobbio, L'eta' dei diritti, Einaudi, Torino 1990, III ed. 1997 (da cui cito). Bobbio prosegue: "Il bersaglio della prima e' il potere arbitrario, dei secondi e' il potere assoluto. Che il potere tenda a essere arbitrario quanto e' piu' assoluto non vuol dire che l'uno e l'altro rispetto ai mezzi per combatterli sollevino lo stesso problema". 34. Cfr. infra il contributo di A. Pizzorusso. 35. Cfr. infra i contributi di E. Vitale, M. Vigli, A. Di Giovine. 36. Bobbio, L'eta' dei diritti cit., p. 132. 37. Sul significato democratico dei diritti alla liberta' di riunione e alla liberta' di associazione v. infra il contributo di V. Paze'. 38. H. Spencer, L'individuo contro lo Stato, trad. it., Bariletti Editori, Roma 1989. 39. Mi permetto di rinviare ancora al mio Contro il governo dei peggiori cit., pp. 39-40, 82-83. (Parte seconda - Segue) 5. INCONTRI. "LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA", UN SEMINARIO PROMOSSO DAL MOVIMENTO NONVIOLENTO IL 21-22 OTTOBRE A VERONA Si svolgera' a Verona il 21 e 22 ottobre il seminario sul tema "La politica della nonviolenza (alla prova della guerra)" promosso dal Movimento Nonviolento. * Programma: - Sabato 21 ottobre, ore 10: relazione introduttiva. Prima sessione "La teoria della nonviolenza, sulla guerra" (mattina, ore 10-13). Seconda sessione "La pratica della nonviolenza, nella politica" (pomeriggio, ore 15-19). Serata libera, con due proposte: a) visita guidata alla mostra "Mantegna a Verona", b) laboratorio del "Teatro dell'oppresso" sui temi discussi. - Domenica 22 ottobre, ore 9. Terza sessione "La strategia della nonviolenza, le iniziative" (mattina, ore 9-11). Conclusioni (ore 11-13). Ogni sessione verra' sollecitata da una griglia di domande. Il Seminario si svolgera' presso la Sala "Comboni" dei padri comboniani, in vicolo Pozzo 1, Verona. * Informazioni logistiche Il seminario si svolgera' presso la sala "Comboni" dei Padri Comboniani, in vicolo Pozzo 1 (rione di San Giovanni in Valle, quartiere di Veronetta, nel centro storico, vicino a Piazza Isolo) a Verona. Il pernottamento e' previsto presso l'Ostello della gioventu' (15 euro, con prima colazione), ma e' necessario prenotarsi per tempo, entro il 15 ottobre. L'ostello (in via Fontana del Ferro) si trova a cento metri dalla sede del seminario. Nelle vicinanza vi sono vari locali a prezzi contenuti per il pranzo e la cena (cena presso l'ostello, solo per gli ospiti, a 7 euro). La Sala Comboni e l'Ostello sono situati sulla collina, immersi nel verde. Ampia possibilita' di parcheggio. Collegamento diretto dalla atazione con l'autobus n. 73 (frequenza ogni 30 minuti, tempo di percorrenza 20 minuti, scendere al capolinea di via Ponte Pignolo). * Per informazioni e prenotazioni Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1432 del 28 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1431
- Next by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 83
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1431
- Next by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 83
- Indice: