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La domenica della nonviolenza. 92
- Subject: La domenica della nonviolenza. 92
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 24 Sep 2006 11:49:09 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 92 del 24 settembre 2006 In questo numero: 1. Sven Nykvist 2. Valeria Ando': Nonviolenza e pensiero femminile. Un dialogo da iniziare 3. Irene Comins Mingol: Etica della cura 4. Giobbe Santabarbara: Brevi tre note 1. LUTTI. SVEN NYKVIST E' deceduto a Stoccolma Sven Nykvist. Era stato direttore della fotografia - pressoche' eponimo - di innumerevoli capolavori di Ingmar Bergman che sono un brano della nostra stessa carne, un tratto della nostra vita piu' autenticamente vissuta; ma anche di film di Andrej Tarkovskij, Louis Malle, Roman Polanski, Woody Allen. E' anche col suo occhio che abbiamo visto per la prima volta il mondo, i suoi colori e il suo silenzio, la sua grana e il suo spegnersi, i suoi vuoti e i suoi baluginanti varchi, la sua infinita disperazione, la stoffa di luce e di ombra e di tempo e di strazio di cui consistiamo nel ratto nostro apparire, svanire. 2. RIFLESSIONE. VALERIA ANDO': NONVIOLENZA E PENSIERO FEMMINILE. UN DIALOGO DA INIZIARE [Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) per averci messo a disposizione il seguente saggio apparso nell'ultimo volume dei "Quaderni satyagraha" monografico sul tema "La nonviolenza delle donne" curato da Giovanna Providenti. RIngraziamo altresi' i "Quaderni satyagraha" per il consenso a riproporlo qui. Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di Palermo, e' tra le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo di riflessione e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap (Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne), tutor del laboratorio su "Pensiero femminile e nonviolenza di genere", autrice di molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica, Carocci, Roma 2005. I "Quaderni satyagraha" sono una prestigiosa rivista italiana di studi sulla nonviolenza diretta da Rocco Altieri e Martina Pignatti Morano, l'abbonamento annuo e' di 30 euro con versamento sul conto corrente postale n. 000019254531 intestato a "Centro Gandhi associazione per la nonviolenza onlus", via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa] Premessa Un dialogo da iniziare, quello tra nonviolenza e pensiero femminile: due forme di riflessione e di elaborazione filosofica che, lontane entrambe da esigenze meramente speculative e teoretiche, trovano espressione nella loro assunzione nella dimensione etica. Come il pensiero femminile si traduce infatti, direi immediatamente, in trasformazione profonda di se', in pratica di vita e azione politica, allo stesso modo la nonviolenza e' una forma di pensiero che puo' esprimersi solo attraverso la sua incorporazione, in quanto percorso spirituale in grado di tradurre la ricca elaborazione teorica in stile di vita e in forme di lotta. Pensieri incarnati dunque, e per cio' stesso resi manifesti immediatamente in pratiche. Pensieri che, nonostante questa forte base comune, si sono finora reciprocamente ignorati, ma il cui intreccio puo' essere portatore di grande ricchezza per entrambi. Di questo intreccio e di questo dialogo sento con sempre maggiore urgenza la necessita', mossa da un disagio che avverto con nettezza. Nel mio percorso ho incontrato dapprima il pensiero femminile, cioe' la riflessione condotta da filosofe che, a partire dagli anni Ottanta, hanno dato spessore speculativo ai fermenti intellettuali e politici del neofemminismo degli anni Settanta, il movimento che, superata la fase emancipazionista e rivendicativa, sottolineava la irriducibilita' della differenza contro il rischio dell'omologazione al maschile sotteso all'ottica dell'uguaglianza che aveva caratterizzato il primo femminismo (1). Alla matrice politica si e' accompagnata, specie in Italia, la ripresa dei temi di riflessione di maestre come Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano. Da questo pensiero mi sono lasciata attraversare interamente, con la radicalita' che il femminismo comporta direi strutturalmente. L'assunzione di consapevolezza della mia differenza femminile ha determinato una scelta irreversibile di cambiamento, nella mia visione del mondo, nel mio modo di vivere le relazioni, nella mia volonta' di impegno nella sfera pubblica. Ho sperimentato la pratica delle relazioni tra donne in quanto struttura portante dell'agire politico, ho ridato senso al mio insegnamento universitario, ho scoperto valori nuovi nella mia maternita', ho sentito la gioia di un pensiero liberato. In seguito, a meta' degli anni Novanta mi sono imbattuta nel pensiero della nonviolenza, sentendone tutta la carica rivoluzionaria, la portata spirituale e al contempo di strategia di lotta, ma soprattutto il carattere di svolta necessaria in questo momento della storia. Mi si e' imposta dunque un'altra scelta radicale e irreversibile, fatta la quale non si puo' piu' tornare indietro. Eppure, nel corso degli anni, ho cominciato ad avvertire che nei testi di riferimento del pensiero della nonviolenza sembra mancare una considerazione della differenza di genere, nonostante la nonviolenza sia sapere incarnato e per cio' stesso imprescindibile dai corpi sessuati. Le donne vengono infatti menzionate per sottolinearne la quasi totale estraneita' ad atti di violenza, o per evidenziarne l'impegno, in diversi momenti della storia, in azioni politiche contro la guerra o altre forme di ingiustizia sociale, condotte con metodologia nonviolenta: sullo sfondo di questo approccio mi pare affiorare una visione del femminile portatore di istanze di pace, per la sua prossimita' antropologica alla riproduzione della vita e per la pratica del lavoro di cura (2). Per quanto importante sia il riconoscimento delle azioni delle donne per la costruzione di una cultura di pace, tuttavia non solo le pratiche a mio avviso vanno considerate, ma occorre volgersi alla riflessione teorica, avviando uno scambio dialogico e una circolarita' tra la nonviolenza e la filosofia femminile, per trarne motivo di crescita e approfondimento reciproci. L'indagine che propongo, naturalmente a lungo termine e che non puo' esaurirsi in poche pagine, si articola su un duplice livello. Da un lato la rilettura dei testi della nonviolenza col taglio del pensiero della differenza sessuale e dalla prospettiva di genere, per metterne in rilievo, accanto allo straordinario contributo speculativo, anche la non neutralita' del punto di vista: la consapevolezza della differenza di genere, primaria in quanto ci attraversa tutti e tutte, limita infatti l'universalita' del soggetto, esclude la totalita', impone il riconoscimento reciproco, e apre al rispetto delle altre molteplici differenze (3). Ampliando l'ottica e la prospettiva, potranno emergere nuovi spazi di riflessione, vasti ed inclusivi, in cui la specificita' femminile possa trovare modi di espressione e forme di significazione. Dall'altro lato, si tratta di portare alla luce i moltissimi elementi presenti nel pensiero femminile, che contiene, gia' nell'atto sorgivo del suo originarsi, nodi concettuali, spunti teorici e pratiche di relazione che mi appaiono autenticamente e direi strutturalmente nonviolenti. Da questo scambio potranno derivarne effetti fecondi. Le donne potranno fare della nonviolenza un significativo approdo del loro percorso di riflessione e di pratiche, attorno al quale costruire, in forma esplicita, una nuova progettualita' politica, nominando la nonviolenza finora taciuta, mettendola a tema, inserendola in modo organico e consapevole nel loro orizzonte. Gli uomini potranno a loro volta, attingendo al patrimonio di pensiero e di pratiche femminili, aprirsi alle prospettive che tale patrimonio puo' offrire al pensiero e alla pratica della nonviolenza. Se questo e' lo schema complessivo della mia proposta, in queste pagine vorrei tratteggiare una sorta di saggio di indagine, soffermandomi soprattutto su alcuni dei principali elementi che potrebbero contribuire alla ricchezza dello scambio. * Il materno come metafora nel pensiero della nonviolenza Il problema della violenza, in quanto fenomeno che si oppone strutturalmente alla razionalita' del logos, ha sollecitato la riflessione filosofica. Soprattutto nel Novecento, con gli orrori della seconda guerra mondiale e dell'Olocausto, la filosofia ha tentato delle risposte, analizzando la funzione del pensiero come unico limite all'esplosione della violenza irrazionale (4), oppure, al contrario, individuando proprio nel logos di cui e' portatore il Soggetto uno strumento intrinsecamente violento in quanto per sua natura limitante l'espressione dell'Altro. Se luogo fondativo della violenza e' dunque la soglia tra Se' e l'Altro, le risposte fornite su questo tema variano al variare delle concezioni dei diversi filosofi circa il problema di costituzione dell'identita' e dell'alterita' (5). E' da questo specifico nodo teorico che mi pare che lo scambio che propongo possa avviarsi. Nell'ambito della filosofia della nonviolenza, vorrei soffermarmi, per il suo carattere paradigmatico, sulla posizione di Aldo Capitini, perche' mi pare esprima in forma estrema una concezione che fonda sull'alterita' l'essenza del Se', e per il confronto che offre col pensiero femminile. Nel pensatore umbro infatti l'apertura al tu come veicolo costitutivo del proprio essere si moltiplica fino ad abbracciare la totalita' degli esseri viventi e persino di quelli scomparsi: la compresenza e' la tensione di tipo religioso che lega ogni essere ad ogni altro essere a partire dall'atto originario comune della loro esistenza. Il riconoscimento del legame con l'origine consente l'apertura di tipo ontologico dell'essere, che e' anche apertura di tipo religioso in quanto immette nella realta' liberata e riscattata dai limiti imposti dalla contingenza. A fondamento e al contempo conseguenza di questa concezione capitiniana della compresenza originaria si pone la nonviolenza, che e' pertanto coessenziale alla costituzione dell'essere e della realta': l'etica, la prassi sociale e politica sono strutturalmente nonviolente proprio perche' modellate su una visione del reale che e' essenzialmente unita' d'amore (6). "Con la nonviolenza, dunque, s'impara concretamente che i modi di manifestarsi attuali della realta' (tra cui la separazione, il dolore, la morte) non sono permanenti, ma possono trasformarsi verso il meglio; e percio' la nonviolenza e' appello al mondo per una grande mobilitazione dell'unita' amore, con l'apertura alla trasformazione della realta' stessa" (7). L'intuizione capitiniana di porre l'apertura alla compresenza nel momento originario di ingresso nella vita consente di radicare nella nascita, pur se non esplicitamente tematizzata, la possibilita' di compartecipazione all'unita' d'amore di tutti gli esseri e dell'intera realta'. Leggiamo ancora: "Troppe nefandezze sono oggi compiute 'a fin di bene'; gli uomini sono considerati come cose; ucciderli e' un rumore, un oggetto caduto. E bisogna rifarsi dal fondamento originario (che non esclude tutto il resto), dall'inizio, dal basso, dall'esistenza dei singoli proprio come esistenti, ed amarli proprio come tali, come fa la madre" (8). Nella riflessione capitiniana la qualita' materna dell'amore e' ricondotta alla concezione dell'amore di Dio, datore di vita e di liberazione dalle catene della finitezza e del male contingente. Come materno e' l'amore divino, allo stesso modo l'atteggiamento di apertura all'altro deve avere la stessa qualita': "Basta che io pensi che colui che incontro potrebbe essere mio figlio. (...) io penso che sempre nei riguardi di un essere umano debbo richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui. (...) La nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalita' altrui, e' anche un potenziamento del tu, e dell'interesse che l'altro viva, si svolga, e come un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perche' l'altro esiste, un appassionamento alla radice" (9). In questa concezione, a mio avviso, il materno viene richiamato in senso metaforico, nel senso che l'amore verso l'altro, consentendo di scendere nell'essenza piu' intima della vita stessa, riattualizza in tale intimita' e vicinanza tra se' e tutti i viventi l'amore di Dio-madre. * Saper amare la madre nel pensiero femminile Proprio sul tema del materno il pensiero femminile offre un contributo insostituibile. La grande ed essenziale rivoluzione simbolica operata dalle filosofe, segnatamente in Italia, e' consistita infatti nella costruzione di un nuovo ordine in cui proprio la nascita, e da un corpo di donna, viene valorizzata in quanto momento incipitario nel quale ciascun essere si costituisce originariamente come essere parte. Riconoscere nella madre, intesa non metaforicamente, colei alla quale dobbiamo il dono della vita e' il primo passo perche' possa scaturire la capacita' di amore consapevole e di riconoscenza. Il saper amare la madre puo' divenire gesto inaugurale della filosofia in quanto, riscattando il pensiero dal matricidio operato dalla cultura occidentale (10), fonda un nuovo ordine simbolico in grado di restituire l'autentico senso dell'essere. L'esperienza sulla quale occorre ritornare a riflettere e' appunto quella che ci consente di risalire alle origini stesse della vita, alla relazione che fonda l'esistenza di tutti e tutte. Scrive Luisa Muraro: "E' l'esperienza di un soggetto in relazione con la matrice della vita, soggetto distinguibile dalla matrice ma non dalla sua relazione con essa. Non si tratta dunque, propriamente, di una relazione tra due. E' una relazione dell'essere con l'essere (...) che mi pare di poter correttamente concepire secondo la relazione dell'esser parte" (11). Che la relazione preceda e fondi l'essere non e' qui basato su un argomento di natura religiosa, ne' su speculazioni di ontologia metafisica, ma sul dato di realta' della nascita da donna che solo se assunto nella sua concretezza puo' tradursi in ordine simbolico. E' la madre reale, non metaforica, a dare vita all'essere in quanto essere in relazione, con un gesto gratuito di amore cui rispondere con amore cosciente. Saper amare la madre, che ci ha fatto dono assieme alla vita anche della parola, e basare su questa sapienza d'amore il fondamento ontologico del nostro essere, ci radica in un nuovo simbolico, immettendoci in una genealogia che ci fa risalire fino alle scaturigini della vita. Questo gesto semplicissimo, accessibile a tutti e a tutte, consente di riconoscerci come esseri costitutivamente in relazione, per di piu' originariamente in una relazione sostanziata e strutturata nell'amore, in grado dunque di orientare il soggetto verso una necessaria apertura all'alterita'. La coscienza del distacco, della separazione dalla matrice della vita ci segna infatti come esseri carenti, segnati da una ferita che l'altro puo' colmare. Una riflessione sull'amore materno consente inoltre di valutare la portata paradigmatica di tale propensione nei confronti dell'Altro. Divenire madri non e' narcisistico e onnipotente ripiegamento su di se', ma, al contrario, tensione, apertura all'Altro, disposizione a decentrare il proprio se' in un altro essere. "Nascere donna vuol dire nascere predisposta allo sbilanciamento del centro di gravita' che si sposta in altro, fuori di se'" (12). Questo strutturale decentramento del proprio essere, la relazionalita' intrinseca alla maternita' si sostanziano appunto del sentimento d'amore. "C'e' qualcosa perche' c'e' mancanza che chiama senza disperarsi, c'e' essere perche' l'amore fa del niente un passaggio al suo avvenimento" (13). L'amore materno cioe' si attualizza in una forma di contenimento, sospeso tra se' e l'Altro, che non impone vincoli o catene, ma anzi, perche' l'Altro esista occorre che l'amore rinunci al possesso, facendolo esistere altro da se', e in questo trovare una nuova misura del proprio stesso essere. In tal modo la soggettivita' materna si costruisce come costitutiva tensione verso l'alterita', come ricerca di relazioni reciproche in cui l'offerta di se' rivela al contempo il proprio bisogno: in quanto essere umano strutturalmente carente, divengo soggetto che da' cura ma anche oggetto di cura, definita da Elena Pulcini come "la risposta psichica ed emotiva di un soggetto 'contaminato': di un soggetto cioe' cosciente della propria 'ferita' e della propria insufficienza, che lo espone permanentemente all'alterita' e alla ricerca desiderante dell'altro. (...) La ferita dell'incompletezza apre il soggetto all'altro che diventa cosi', in maniera indisgiungibile, esso stesso soggetto/oggetto sia di desiderio sia di cura, in una dinamica circolare e reciproca. (...) reciprocita' tra soggetti egualmente aperti alla contaminazione ed egualmente bisognosi di cura" (14). In tal modo il materno viene sottratto alla presunta oblativita' naturale attribuita dalla retorica del maternage, per diventare invece possibile modello di una soggettivita' fondata sull'etica della cura, intesa come ascolto, compassione, assunzione su di se' del dolore dell'Altro, in una parola empatia. * Empatia, autorita' vs potere, pratica delle relazioni Mi sembra di rilievo che in quest'ottica che la riconduce al materno, anche l'empatia, nozione fondamentale della nonviolenza, acquisti un approfondimento di spessore e di senso. A partire dalla lettura della Einfuehlung di Edith Stein, l'empatia puo' essere intesa non solo nel significato di dono gratuito di se' all'altro, "forma originaria di accesso al mondo", "apertura amorosa che e' capacita' di avere presente cio' che sente l'altra, l'altro" (15), ma anche come tratto costitutivo del se' intimamente connesso alla struttura relazionale dell'essere. Suggerisce Luisa Muraro di "intendere l'essere come la relazione che c'e' tra la terra e il mare, fatta di continui avanzamenti e ritiri, avvicinamenti e allontanamenti. E che questo stesso 'intendere l'essere' prenda la forma di un accostarsi e ritrarsi: essere e intendere che vanno e vengono dall'uno all'altro, una reversibilita' del due in uno e un farsi due dell'uno, mantenendo dunque la relazione di alterita' senza pero' lo schema soggetto-oggetto" (16). Occorre ancora risalire alla relazione materna per trovare l'essenza stessa dell'empatia, definibile come "un'esperienza di essere in relazione con l'altro da se' nel passaggio dalla continuita' alla contiguita', e che questa esperienza manifesta la capacita', nel senso di capienza dell'essere" (17). E ancora: se l'empatia e' coessenziale all'essere in quanto capace di accoglienza, allora puo' fondare nuove pratiche di relazione in grado di trasformare il sapere della razionalita' in "una nuova logica impregnata dell'intensita' di sentire", un nuovo sapere cioe' cui si puo' dare il nome di sapienza dell'affettivita', la capacita' di sostenere il vuoto dentro di se' per fare spazio al sentire dell'altro. D'altra parte, in quanto apre a nuove pratiche che trasformano la qualita' delle relazioni, l'empatia immette un elemento di trasformazione anche nella realta' e dunque puo' divenire prassi politica (18). Alla riflessione sul materno si ricollega un'altra importante nozione elaborata dal pensiero femminile, quella di autorita', contrapposta nettamente alla nozione di potere, e che per cio' stesso puo' risultare efficace all'interno della nonviolenza, che tra i suoi primi e fondamentali obiettivi ha sempre posto appunto l'opposizione al potere che, con le relazioni di dominio che instaura, rappresenta il principale ostacolo alla realizzazione di una societa' nella quale il potenziale di violenza venga progressivamente diminuito. Da questo punto di vista puo' essere significativa ed esemplare la storia del femminismo per via dell'atteggiamento con cui le donne, maturata la consapevolezza della loro secolare oppressione, hanno gestito la loro lotta decennale contro il gruppo maschile oppressore: infatti loro intento non e' mai stato quello di sostituire il loro potere al potere dominante, ma destrutturare la nozione stessa di potere. Questa caratteristica ha avuto visibili ricadute soprattutto nelle modalita' di gestione del conflitto, che non hanno mai conosciuto le forme delle violenza rivoluzionaria, ma al contrario hanno reso il femminismo una rivoluzione autenticamente nonviolenta. Gia' dai primi scritti militanti emerge questa peculiare visione dei rapporti col potere. Per esempio, ridiscutendo la dialettica hegeliana servo/padrone Carla Lonzi, autrice del primo manifesto femminista del 1970, afferma con nettezza: "Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere (...) sul piano donna-uomo non esiste una soluzione che elimini l'altro, quindi si vanifica il traguardo della presa di potere" (19). La "messa in questione del concetto di potere" trovera un sorprendente sviluppo nella elaborazione appunto della nozione di autorita', centrale nella riflessione e nella pratica femminili. Un punto di partenza e' costituito dall'importante saggio di Hannah Arendt, Che cos'e' l'autorita', che distingue con precisione la nozione di autorita' da quelle di potere e di violenza, con cui spesso viene confusa. L'autorita' infatti esclude l'uso della coercizione e della forza, come pure quello della persuasione, dal momento che quest'ultima presuppone relazioni di uguaglianza, mentre i rapporti di autorita' sono di tipo gerarchico (20). Piu' esplicitamente, nel celebre scritto Sulla violenza, in cui la distinzione terminologica e concettuale si approfondisce ulteriormente, la Arendt precisa che caratteristica specifica dell'autorita' "e' il riconoscimento indiscusso da parte di coloro cui si chiede di obbedire" (21). Dunque l'autorita' e' in gioco all'interno di relazioni non paritetiche ma dispari, ed e' riconosciuta dal soggetto piu' debole della relazione al soggetto gerarchicamente superiore: nessun esercizio di potere dunque, esercitato con forza e dall'alto, ma consapevole attribuzione di autorita', dal basso, secondo un movimento in cui, paradossalmente, chi obbedisce mantiene integra la sua liberta'. L'autorita' infatti presenta, nella riflessione arendtiana, un carattere di trascendenza, in quanto collocata solitamente in un sistema superiore di leggi, in principi guida di natura divina, risalenti al passato, al momento fondativo dell'origine. E' proprio la fedelta' all'origine, luogo in cui si fonda l'ordine basato sulla liberta', che la liberta' stessa viene continuamente accresciuta nelle relazioni di autorita'. Partendo dunque da questa base di riflessione, le filosofe italiane hanno introdotto una modalita' di lettura e interpretazione che individua il modello di autorita', come dicevo, nella relazione materna, spostando pertanto la nozione arendtiana dal piano sociale al piano simbolico. E' la madre la forza ordinatrice grazie alla quale, come ho detto nelle pagine precedenti, ha luogo la nascita, il venire al mondo tra gli uomini che e' momento incipitario della vita di ciascuno/a (22). Se si individua nel legame originario con la madre l'imprescindibile origine, la fonte da cui scaturisce la possibilita' stessa di essere e agire nel mondo, il riconoscimento del vincolo di dipendenza apre paradossalmente spazi di liberta', sicche' la relazione materna puo' divenire modello simbolico dei rapporti di disparita' (23). Gia' i gruppi femministi avevano sperimentato la disparita' delle relazioni e la pratica di affidamento (24); il riferimento alla relazione materna, reale e simbolica, consente adesso di introdurre l'autorita' come ponte, mediazione tra se' e il mondo. Si riconosce autorita' cioe' a colei che, nella parola e nell'azione, viene sentita in grado di orientare e dare voce al proprio desiderio di muoversi nel reale per trasformarlo, con una adesione profonda al proprio bisogno (25). Ora, se la nonviolenza intende sostituire relazioni in cui prevale lo schema Maggiore-minore con relazioni di Equivalenza, la nozione di autorita' puo' divenire chiave di accesso efficace in tutti i casi di relazioni strutturalmente asimmetriche e dunque potenzialmente violente. E' il caso, tra gli altri, della relazione pedagogica, fondante il processo educativo e dunque oggetto di specifica attenzione da parte del pensiero della nonviolenza. Mi sembra significativo che Pat Patfoort introduca il termine di "autorita' diversa" nella sua proposta di costruzione di educazione nonviolenta, che nella sua definizione e' "lungi dal voler essere antiautoritaria o cosiddetta liberale (in cui il bambino spesso assume una posizione di Maggiore) come dal voler essere autoritaria (quella in cui l'adulto assume una posizione di Maggiore)" (26). La nozione di autorita' messa in gioco nell'educazione nonviolenta mi pare possa essere arricchita dal richiamo al simbolico materno a fondamento dell'autorita' femminile. La consapevolezza di continuare l'opera della madre mette al riparo l'educazione da qualunque rischio di dominio in quanto la relazione pedagogica viene fondata sullo scambio di fiducia che, per sua natura, include la disponibilita' reciproca a lasciarsi modificare dall'incontro (27). La potenziale violenza dell'educazione non si manifesta solo nella relazione pedagogica ma anche, e forse soprattutto, nelle forme in cui si realizza la costruzione del sapere e dei suoi contenuti. Anche in questo specifico terreno la riflessione femminile prospetta una nuova epistemologia in grado di superare la logica positivista quantitativa e oggettivante. L'epistemologia femminile prende le distanze dall'ossessione per la logica del separare e autorizza un diverso concetto di oggettivita', dove il soggetto puo' stare in relazione con l'oggetto e attivare un tipo di conoscenza che si lascia guidare anche dalla sfera emozionale (28). Solo se e' in gioco il proprio sentire allora l'atto cognitivo acquista senso in quanto il pensiero e la conoscenza prodotti rispondono intimamente ai vissuti. E' la "scienza del cuore", secondo la definizione di Maria Zambrano, quella che "riesce a fare scienza senza cessare di vivere, senza potere ne' volere diventare impassibile e indipendente, ma restando sempre e in ogni istante, persino nella sua scienza, vivo, ovvero passivo e dipendente" (29). La passivita', nel senso di valorizzazione e ascolto del "patire", e la relazionalita' sono dunque gli atteggiamenti epistemici che ci aprono a conoscenze fondate su un nuovo ordine di verita', non esterna e autoritativa, ma quella che diventa tanto piu' vera in quanto in grado di illuminare l'esperienza e orientare il nostro agire. Un sapere dunque autentico, eticamente fondato e responsabile, che ci abilita all'azione politica. * Partire da se' nella nonviolenza e nel pensiero femminile C'e' una formula che sintetizza ed esprime quanto detto finora, il partire da se', di cui vorrei ancora una volta mettere in evidenza i possibili scambi col pensiero della nonviolenza. Parola d'ordine della politica delle donne gia' dai gruppi di autocoscienza degli anni Settanta, anche il partire da se' ha assunto lo statuto di principio speculativo. Esso infatti puo' sostanziare l'attivita' filosofica, almeno quella che trova espressione nella definizione che Simone Weil da' della filosofia, cioe' di "cosa esclusivamente in atto e pratica" (30). Se infatti la filosofia pratica ha per oggetto la modificazione del reale a partire dalla trasformazione di se' in rapporto al mondo, allora partire da se' "non ti fa trovare dove gli altri ti aspettano (...), ti situa, di volta in volta, nella traiettoria del tuo essere che cambia, si muove, cerca" (31). Prospettiva del partire da se' e' dunque la continua modificazione attuata nello stare al mondo mantenendo la fedelta' a se', uscendo dai ruoli socialmente codificati, per risalire all'esperienza dei propri vissuti e all'ascolto dei propri desideri. Questa pratica, se interpretata non come chiusura nell'intimita' ma come modo di rendere significanti nella realta' i vissuti, e' la base dell'azione politica, quella che, secondo la grande lezione di Hannah Arendt, consente il manifestarsi del se' dell'agente: "Partire da se' (...) significa 'iniziare' qualcosa, o meglio farsi inizio. (...) mettersi in gioco in una realta', facendola essere e cosi' facendosi essere. Qualcosa, questo, che puo' avvenire solo in una dimensione di apertura di se' allo spazio a sua volta aperto alle relazioni con altri nel mondo" (32). In tal modo, se riattraversata dalla pratica del partire da se', l'azione politica cambia radicalmente di senso, assume la dimensione di impulso trasformatore del reale e di se' nel reale. Se questa e' l'interpretazione elaborata dalla politica delle donne, il pensiero della nonviolenza puo' a sua volta fornire al partire da se' nuove valenze che ne arricchiscono il senso. Il valore immediato puo' essere sintetizzato dalla felice frase gandhiana "Sono un irriducibile ottimista perche' credo in me" (33), dove mi pare si esprima quella necessita' dell'autostima, della fiducia nelle proprie capacita', indispensabili per intraprendere un'azione con coraggio. Ma il significato di maggiore spessore che la nonviolenza puo' suggerire a questa formula e' quello prospettato nelle situazioni di conflitto, quando cioe' proprio "l'autoconsapevolezza emozionale", la coscienza delle proprie "matrici percettivo-valutative" favoriscono l'incontro con l'altro, l'avversario. Considerare le emozioni "passi di danza", e non gabbie che giustificano i propri comportamenti, consente di concentrarsi sulla responsabilita' delle proprie reazioni e sull'innescarsi del meccanismo vittimario. Solo partendo da se', riconoscendo la propria carica emozionale attiva nel giocare il proprio ruolo tra le due parti in conflitto, e' possibile "cambiare danza" e avviarsi alla risoluzione (34). Quest'ultimo aspetto relativo alla gestione dei conflitti rappresenta a mio avviso uno degli esempi in cui si manifesta il peculiare e insostituibile contributo offerto dal pensiero della nonviolenza. Ma naturalmente non solo. Come ho detto in apertura, in questo momento di crisi di civilta' la nonviolenza e' la prospettiva alla quale tutti e tutte possiamo volgerci, per trarne un deciso orientamento. Auspico pero', ed e' cio' cui tendono queste pagine, che il pensiero della nonviolenza assuma la differenza di genere come taglio e che il femminile possa costituire riferimento costante al suo interno, riconoscendo in esso la capacita' di "mettere al mondo un mondo nonviolento" (35). * Note 1. In queste pagine faro' riferimento soprattutto alle pensatrici italiane e francesi. Per un inquadramento piu' ampio cfr. per esempio Franco Restaino-Adriana Cavarero, Le filosofie femministe, Torino, Paravia, 1999. 2. Cfr. per esempio Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Milano, Esperia edizioni, 2000, pp. 73-89, in cui l'autore denuncia il patriarcato in quanto artefice delle tre forme di violenza, diretta, strutturale e culturale, e discute il dato che il 95% della violenza e' commessa dagli uomini. Mohandas K. Gandhi, Antiche come le montagne, Milano, Mondadori, 1987, pp. 215-224, definisce le donne "le naturali messaggere del vangelo della nonviolenza" (p. 223). Sara Ruddick, Il pensiero materno. Pacifismo, antimilitarismo, nonviolenza: il pensiero della differenza per una nuova politica, Como, Red Edizioni, 1993, parla di identita' materna, costruita sul concreto quotidiano lavoro di cura, che si traduce in impegno per la pace. 3. Per la valenza fondatrice che la differenza di genere puo' assumere nella costruzione della soggettivita' mi riferisco soprattutto al pensiero di Luce Irigaray, di cui si veda almeno Io amo a te. Verso una felicita' nella storia, Torino, Bollati Boringhieri, 1993. 4. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Pisa, Plus Pisa University Press, 2004, afferma: "Noi vogliamo sostenere che la rivolta del pensiero davanti alla violenza che fa soffrire gli uomini e' l'atto fondatore della filosofia. Noi vogliamo affermare che il rifiuto di ogni legittimazione di questa violenza fonda il principio nonviolenza" (p. 22). 5. Cfr. Giusi Strummiello, Il logos violato. La violenza nella filosofia, Bari, Dedalo, 2001. 6. Recenti sintesi del pensiero capitiniano in Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Foggia, Edizioni del Rosone, 1999 e Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Assisi, Cittadella Editrice, 2004. 7. Aldo Capitini, Religione aperta, Parma, Guanda, 1955, p. 548. 8. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, Bari, Laterza, 1937, pp. 61-62. 9. Aldo Capitini, Il problema religioso attuale, Parma, Guanda, 1948, ora in Il messaggio di Aldo Capitini. Antologia degli scritti a cura di Giovanni Cacioppo, Manduria, Lacaita editore, 1977, pp. 226-227. 10. Cfr. soprattutto Luce Irigaray, Sessi e genealogie, Milano, La Tartaruga, 1988, pp. 17-32, per questa idea dell'uccisione della potenza materna a fondamento del nostro ordine sociale e culturale. 11. Luisa Muraro, L'ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 41. Il volume rappresenta un punto di partenza ineliminabile per la riflessione sul materno nel pensiero femminile. 12. Luisa Muraro, La maestra di Socrate e la mia, in Diotima, Approfittare dell'assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Liguori, Napoli, 2002, pp. 27-43 (la cit. a p. 38). 13. Ibid., p. 43. 14. Elena Pulcini, Il potere di unire. Femminile, desiderio, cura, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. XXVIII-XXIX. 15. Cfr. Laura Boella-Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Milano, Cortina, 2000, pp. 10 e 12. 16. Luisa Muraro, Sull'essere in relazione come capacita' di essere, in Amore ed empatia. Ricerche in corso, a cura di Francesca Brezzi, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 13-22, citazione a p. 17. L'autrice sviluppa la concezione dello psicanalista Donald W. Winnicott, Gioco e realta', Roma, Armando Editore, 1977, pp. 119-150, secondo il quale l'elemento femminile puro, non spinto cioe' dalla pulsione a entrare in rapporto con l'oggetto, e' quello alla base della capacita' di essere; a p. 144 afferma: "L'elemento maschile fa mentre l'elemento femminile (in maschi o femmine) e'". 17. Ibid., p. 21. 18. A. Buttarelli, C'e' una pratica dell'empatia?, in Amore ed empatia cit., pp. 23-31, citazione a p. 29. 19. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta femminile, Milano 1974 (il saggio e' del 1970), pp. 19-61, le citazioni sono tratte da pp. 20 e 27. 20. Hannah Arendt, Che cos'e' l'autorita', in Tra passato e futuro, Milano, Garzanti, 1991 (ed. orig. 1954), pp. 130-192. 21. Hannah Arendt, Sulla violenza, Parma, Guanda, 1996 (ed. orig. 1970), pp. 48-49. L'autrice distingue e definisce le nozioni di potere, potenza, forza, autorita', violenza. 22. Cfr. per esempio Diana Sartori, Dare autorita', fare ordine, in Diotima, Il cielo stellato dentro di noi, Milano, La Tartaruga, 1992, pp. 123-161. 23. Cfr. Wanda Tommasi, Il lavoro del servo, in Diotima, Oltre l'uguaglianza. Le radici femminili dell'autorita', Napoli, Liguori, 1995, pp. 59-84; a p. 81: " Vi e' quindi un paradosso nella dipendenza: esso consiste nel fatto che, solo ammettendola, si comincia a essere liberi". 24. Una vivida testimonianza in Non credere di avere dei diritti, curato dalla Libreria delle donne di Milano, Torino, Rosenberg & Sellier, 2005 (1987). 25. Cfr. Chiara Zamboni, Ordine simbolico e ordine sociale, in Diotima, Oltre l'uguaglianza cit., pp. 31-48; a pp. 40-41: "L'autorita' e' dunque la mediazione simbolica piu' efficace, affinche' venga messa in circolazione negli scambi sociali la ricchezza del desiderio individuale. (...) Si desidera qualcosa e l'altra e' sentita come colei che puo' aprire la strada alla realizzazione del proprio desiderio. All'altra si riconosce autorita'". 26. Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti, Molfetta, Edizioni La Meridiana, 2000, p. 74. 27. Cfr. Anna Maria Piussi, Sulla fiducia, in Diotima, Approfittare dell'assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Napoli, Liguori, 2002, pp. 129-141. 28. Luigina Mortari, Verso un'epistemologia femminile, in "Studium educationis. Rivista per la formazione delle professioni educative", II, 2003, Genere e educazione, pp. 365-380 (citazione a p. 378). 29. Maria Zambrano, Verso un sapere dell'anima, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, p. 50. 30. Simone Weil, Quaderni, 4 voll., Milano, Adelphi, 1982-1993, IV, p. 396. 31. Luisa Muraro, Partire da se' e non farsi trovare..., in Diotima, La sapienza di partire da se', Napoli, Liguori, 1996, pp. 5-21 (citazione a p. 8). 32. Diana Sartori, Nessuno e' l'autore della propria storia: identita' e azione, ibid., pp. 23-57 (citazione a p. 55). 33. Mohandas K. Gandhi, Antiche come le montagne, cit., p. 110. 34. Si veda per questo aspetto il volume di Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Milano, Le Vespe, 2002, da cui desumo le espressioni poste tra virgolette; alle pp. 136-137 l'autrice prospetta l'uso di questa doppia visione anche nel conflitto tra i sessi vissuto dal femminismo, per evitare che le donne restino prigioniere del "mito della spontaneita'". 35. Variando il titolo di uno dei volumi di Diotima, Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettivita' alla luce della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 1990. 3. RIFLESSIONE. IRENE COMINS MINGOL: ETICA DELLA CURA [Da Mario Lopez Martinez (dir.), Enciclopedia de Paz y Conflictos, Editorial Universidad de Granada - Instituto de la paz y los conflictos - Junta de Andalucia, Granada 2004, vol. I, pp. 446-447. Ci sia consentito aggiungere che questa cospicua opera in due volumi cui hanno collaborato studiose e studiosi internazionali (tra cui gli italiani - o in Italia operanti - Antonino Drago, Rosa Maria Grillo, Alberto l'Abate, Mercedes Mas Sole', Giuliano Pontara) meriterebbe un'edizione nella nostra lingua. Irene Comins Mingol, dottoressa in filosofia, ricercatrice presso la cattedra Unesco di filosofia della pace dell'Universita' Jaume I di Castellon, ha svolto ricerche sull'etica della cura e realizzato varie pubblicazioni sulla relazione tra pace e genere. Mario Lopez Martinez e' uno dei piu' autorevoli studiosi e operatori della nonviolenza a livello internazionale; storico, docente universitario di storia contemporanea, direttore dell'Istituto sulla pace e i conflitti dell'Universita' di Granada (Spagna); mediatore nei conflitti in Colombia e in Messico; ha tenuto corsi e seminari a ex-guerriglieri in Colombia; e' uno dei principali diffusori della nonviolenza in Spagna e in alcuni paesi dell'America Latina; ha svolto fondamentali ricerche e realizzato rilevanti pubblicazioni sul tema della riconciliazione in America Latina. Tra le opere recenti di Mario Lopez Martinez: Historia de la paz. Espacios, tiempos y actores, 2002; ha diretto (coordinando un gruppo internazionale di studiose e studiosi di altissimo livello) la monumentale Enciclopedia de paz y conflictos, 2 voll., 2004. Carol Gilligan, docente di psicologia alla New York University, e' una delle piu' influenti pensatrici femministe contemporanee. Tra le opere di Carol Gilligan: Con voce di donna, 1982, tr. it. Feltrinelli, Milano 1987; La nascita del piacere, 2002, tr. it. Einaudi, Torino 2003. Opere su Carol Gilligan: Bianca Beccalli, Chiara Martucci (a cura di), Con voci diverse. Un confronto sul pensiero di Carol Gilligan, La Tartaruga, Milano 2005] L'etica della cura si puo' collocare tra le cosiddette etiche femministe. Questo tipo di etiche denunciano i tratti patriarcali delle etiche vigenti che tendono ad oscurare l'esperienza delle donne, e propongono nuovi valori partendo dall'esperienza femminile. L'etica della cura e' relativamente giovane. Ha la sua origine nell'opera di Carol Gilligan, In a Different Voice, del 1982. Carol Gilligan e' docente all'Universita' di Harvard ed ha svolto ricerche tanto nell'ambito della psicologia cognitiva quanto in quello dello sviluppo morale. Il suo contributo principale e' stata la revisione e l'ampliamento della teoria attuale dello sviluppo morale per riuscire a dar conto dell'esperienza morale delle donne. Nonostante la sua giovinezza l'etica della cura ha avuto un profonda ripercussione non solo nel campo della filosofia morale ma anche nel campo dell'assistenza e della salute, dell'ambiente, delle relazioni familiari, del lavoro sociale, etc. L'etica della cura rivendica l'importanza del valore ignorato della "cura" come complemento dell'etica vigente piu' centrata sul valore della "giustizia". Cio' che propone non e' creare una contrapposizione tra l'importanza della "cura" e della "giustizia" come molti hanno interpretato, bensi' arricchire il valore indubbiamente necessario della "giustizia" con il valore della "cura". Noi esseri umani non abbiamo bisogno solo di leggi e istituzioni giuste. Abbiamo bisogno anche di tenerezza, affetto, solidarieta', vicinanza e cura. I movimenti sociali attuali come le ong, le associazioni, etc., ci stanno dimostrando che la solidarieta', la cura, la compassione e la bonta' sono importanti tanto quanto la giustizia. Entrambe le cose sono necessarie nella costruzione di una cultura della pace. Le donne sono state storicamente relegate al ruolo del lavoro di cura, tanto dei bambini come dei malati e degli anziani. Di fatto questo e' servito anche come elemento di subordinazione della donna all'ambito domestico. Ora non si tratta affatto di rivendicare il valore di questa subordinazione, ma di riformulare e ricostruire il valore della cura come pratica sociale di costruzione della pace tanto da parte degli uomini quanto da parte delle donne. * Bibliografia - Seyla Benhabib e Drucilla Cornell (a cura di), Teoria feminista y teoria critica, Edicion Alfons el Magnanim, Valencia 1990. - Carol Gilligan, La moral y la teoria. Psicologia del desarrollo femenino, Fce, Citta' del Messico 1985. 4. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: BREVI TRE NOTE Tengo per ferme le tesi seguenti. 1. Che la nonviolenza sia eminentemente un insieme di esperienze storiche di lotta sociale e politica - e di riflessioni ad esse connesse - il cui nucleo e' l'opporsi alla violenza nel modo piu' nitido e piu' intransigente. 2. Che la nonviolenza sia un insieme di insiemi (scelte epistemologiche, assiologiche, ermeneutiche, metodologiche - in campo sia deliberativo che operativo -, sociali, economiche-ecologiche, politiche); che essa sia dialettica e contestuale, che sia sperimentale ed aperta; che si dia solo nella concretezza del conflitto: al di fuori del conflitto non si da' nonviolenza, ed essendo essa sempre relativa a una situazione di violenza cui concretamente si oppone, essa conseguentemente non e' mai un assoluto, ma solo si da' come prassi viva e incarnata, mai astratta, mai "pura", ma sempre nel fuoco del farsi, quindi sempre ad un tempo in verita' ed errore, nella parzialita' e nel limite del suo dispiegarsi non sciolto ma sempre intrecciato al dato reale, al conflitto instante. 3. La nonviolenza non e' quindi un canone di autorita', non e' una schidionata di dogmi, non si esercita ex cathedra: la nonviolenza e' la lotta concreta, la piu' nitida e la piu' intransigente possibile, contro la concreta violenza di ogni oppressione, menzogna, vulnerazione e negazione di umanita'. 4. Credo che le esperienze del pensiero delle donne e del movimento di liberazione delle donne - i femminismi - siano la corrente calda, il flusso principale, della nonviolenza come storicamente, inventivamente, inesauribilmente si e' data e si da'. 5. Molte altre esperienze date si sono che nonviolente chiamare possiamo, certo; e tra esse mi preme mettere in particolare rilievo cio' che e' vivo e vivifica - cio' che piu' vale - della storia del movimento di liberazione delle classi oppresse; e le Resistenze contro i totalitarismi. 6. Poiche', in somma delle somme, la nonviolenza non e' una scuola di buona creanza (vi sono stati assassini elegantissimi, gli autori di impeccabili baciamano hanno menato strage per tutti i continenti, Cesare scriveva una prosa eccellente) ma lotta, lotta, lotta la piu' nitida e la piu' intransigente, incessante conflitto contro la violenza - dispiegata e cristallizzata, flagrante e occulta, eruttiva e strutturale, grossolana e sottilissima, dalle infinitamente proliferanti forme: l'oppressione, l'ingiustizia, la menzogna, l'alienazione, l'asservimento, l'uccisione -; lotta contro la violenza che sempre ritorna e che tu di nuovo e di nuovo devi contrastare. 7. La nonviolenza sa che la sua lotta non finira' mai. Ma sa anche che solo la sua affermazione, il suo rinnovato incarnarsi nelle donne e negli uomini di volonta' buona, il suo sempre piu' limpido ed esteso farsi cultura condivisa di civile convivenza, puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. 8. La nonviolenza non ha una parola per tutto, essa non e' un'ennesima ideologia, e neppure una teoria conchiusa, ma solo una guida per l'azione: vive del confronto e dell'eredita' di esperienze teoretiche e pratiche, morali e giuridiche, le piu' variegate, e ad esse esperienze apporta la sua aggiunta; vive dell'incessante ricerca e sperimentazione di forme di lotta e di vie di riconoscimento di umanita', di liberazione e dialogo, di convivenza civile. 9. La nonviolenza e' la scelta umana di lottare per l'umanita' contro la violenza. Nel modo piu' nitido. E piu' intransigente. * Nella tradizione delle esperienze nonviolente - che per essere concrete e situate, contestuali e dialettiche, non si danno mai come forme pure, ma sempre nella pesantezza e nel chiaroscuro del vivo conflitto, sempre come "scelte tragiche" esposte all'errore e di errore impastate, mai come perfezione ed unanimita' - ovviamente non mancano i tratti discutibili derivanti dalla peculiare contestualizzazione e fin inculturazione in cui volta a volta quelle esperienze si sono date. Ad esempio in alcune delle esperienze e delle figure per molti versi piu' luminose e aggettanti, ed a parere di taluni fin imprescindibili, non sono mancati tratti patriarcali e maschilisti, non sono mancati atteggiamenti autoritari e dogmatici, non sono mancate repressioni sessuofobiche e umiliazioni e scotomizzazioni della corporeita', non sono mancate molteplici alienazioni, non sono mancati errori anche tragici. E' bene saperlo: non si e' persone amiche della nonviolenza se si pensa che le persone amiche della nonviolenza siano infallibili: le persone amiche della nonviolenza hanno un atteggiamento pluralista e sperimentale, sanno di essere sempre esposte all'errore, non rifuggono dalla lotta ma sanno anche che di rado la ragione e' tutta da una parte, sanno che il mondo e' complesso e complicato, scelgono di stare nel conflitto sapendo che nel conflitto anche con se stessi in conflitto si e'. Sapendosi fallibili si impegnano a ricercare la massima coerenza tra i mezzi e i fini, adottano sempre il principio di precauzione, mai si concedono buona coscienza, semrpe si attengono al "principio responsabilita'". Sanno di aver scelto una dura fatica, segnata dall'incertezza e dal limite; sanno che affrontare la violenza non e' indolore. Le persone amiche della nonviolenza sanno che non esistono persone "nonviolente", e che chi si definisse tale si rivelerebbe per cio' stesso palesemente lontano le mille miglia dalla nonviolenza. Occorre costante una critica nonviolenta della tradizione nonviolenta, per cogliere, contrastare e superare i tratti violenti ed ambigui che anche in essa sono presenti. Senza l'illusione di una impossibile perfezione, ma nella coscienza della possibilita' di un sempre piu' limpido e profondo comprendere e comprendersi, di un sempre piu' fine ed acuto sapere che potenzia la nostra capacita' di lotta contro la violenza, la nostra capacita' di combattere anche ed in primo luogo la violenza di cui noi stessi, noi tutti, siamo portatori. Pare a chi scrive queste righe che una critica della nonviolenza dal punto di vista del femminismo - dei femminismi - sia straordinariamente proficua. * Ma altrettanto proficua e' anche una critica delle esperienze dei femminismi dal punto di vista della nonviolenza. Alcuni filoni del femminismo, del pensiero delle donne, questa analisi e questo travaglio hanno da tempo intrapreso. Ed e' anche per questo che non solo l'esperienza del movimento di liberazione delle donne nel suo insieme ci pare essere la piu' rilevante manifestazione storica della nonviolenza in cammino, ma anche ci sembra che in alcune riflessioni autoanalitiche dei femminismi si sia svolta una critica di se' "a partire da se'" la cui fecondita' ermeneutica e' immensa. Chiunque legge queste righe sa che vi sono temi - particolarmente quelli che piu' strettamente afferiscono alla nascita, alla vita, alla morte, nella concretezza piu' estrema - su cui la riflessione e il dibattito sono assai articolati, frastagliati, vivacissimi. E' bene che cosi' sia. * Fin dalla nascita di questo foglio nulla ci e' parso cosi' urgente e cosi' decisivo come promuovere la consapevolezza che il pensiero delle donne e' filone centrale della nonviolenza in cammino: che il lavoro teorico di Virginia Woolf, di Simone Weil, di Edith Stein, di Etty Hillesum, di Hannah Arendt, di Simone de Beauvoir, di Franca Ongaro Basaglia, di Luce Fabbri, di Vandana Shiva - per citare solo i primissimi nomi che ci vengono in mente - e' un punto di riferimento imprescindibile per tutte le persone amiche della nonviolenza, e' pensiero della nonviolenza in atto. Fin dalla nascita di questo foglio nulla ci e' parso cosi' urgente e cosi' decisivo come promuovere la consapevolezza che le esperienze del movimento delle donne costituiscono la corrente calda della nonviolenza in cammino. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 92 del 24 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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