La domenica della nonviolenza. 92



==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 92 del 24 settembre 2006

In questo numero:
1. Sven Nykvist
2. Valeria Ando': Nonviolenza e pensiero femminile. Un dialogo da iniziare
3. Irene Comins Mingol: Etica della cura
4. Giobbe Santabarbara: Brevi tre note

1. LUTTI. SVEN NYKVIST

E' deceduto a Stoccolma Sven Nykvist.
Era stato direttore della fotografia - pressoche' eponimo - di innumerevoli
capolavori di Ingmar Bergman che sono un brano della nostra stessa carne, un
tratto della nostra vita piu' autenticamente vissuta; ma anche di film di
Andrej Tarkovskij, Louis Malle, Roman Polanski, Woody Allen.
E' anche col suo occhio che abbiamo visto per la prima volta il mondo, i
suoi colori e il suo silenzio, la sua grana e il suo spegnersi, i suoi vuoti
e i suoi baluginanti varchi, la sua infinita disperazione, la stoffa di luce
e di ombra e di tempo e di strazio di cui consistiamo nel ratto nostro
apparire, svanire.

2. RIFLESSIONE. VALERIA ANDO': NONVIOLENZA E PENSIERO FEMMINILE. UN DIALOGO
DA INIZIARE
[Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) per averci messo a
disposizione il seguente saggio apparso nell'ultimo volume dei "Quaderni
satyagraha" monografico sul tema "La nonviolenza delle donne" curato da
Giovanna Providenti. RIngraziamo altresi' i "Quaderni satyagraha" per il
consenso a riproporlo qui.
Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di Palermo, e' tra
le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo di riflessione
e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap (Centro
interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di trasmissione
del sapere nelle societa' antiche e moderne), tutor del laboratorio su
"Pensiero femminile e nonviolenza di genere", autrice di molti saggi, ha tra
l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della donna, Rizzoli, Milano
2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi bocciati. Riforma
dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002; con
Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?,
Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica,
Carocci, Roma 2005.
I "Quaderni satyagraha" sono una prestigiosa rivista italiana di studi sulla
nonviolenza diretta da Rocco Altieri e Martina Pignatti Morano,
l'abbonamento annuo e' di 30 euro con versamento sul conto corrente postale
n. 000019254531 intestato a "Centro Gandhi associazione per la nonviolenza
onlus", via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa]

Premessa
Un dialogo da iniziare, quello tra nonviolenza e pensiero femminile: due
forme di riflessione e di elaborazione filosofica che, lontane entrambe da
esigenze meramente speculative e teoretiche, trovano espressione nella loro
assunzione nella dimensione etica. Come il pensiero femminile si traduce
infatti, direi immediatamente, in trasformazione profonda di se', in pratica
di vita e azione politica, allo stesso modo la nonviolenza e' una forma di
pensiero che puo' esprimersi solo attraverso la sua incorporazione, in
quanto percorso spirituale in grado di tradurre la ricca elaborazione
teorica in stile di vita e in forme di lotta. Pensieri incarnati dunque, e
per cio' stesso resi manifesti immediatamente in pratiche.
Pensieri che, nonostante questa forte base comune, si sono finora
reciprocamente ignorati, ma il cui intreccio puo' essere portatore di grande
ricchezza per entrambi.
Di questo intreccio e di questo dialogo sento con sempre maggiore urgenza la
necessita', mossa da un disagio che avverto con nettezza.
Nel mio percorso ho incontrato dapprima il pensiero femminile, cioe' la
riflessione condotta da filosofe che, a partire dagli anni Ottanta, hanno
dato spessore speculativo ai fermenti intellettuali e politici del
neofemminismo degli anni Settanta, il movimento che, superata la fase
emancipazionista e rivendicativa, sottolineava la irriducibilita' della
differenza contro il rischio dell'omologazione al maschile sotteso
all'ottica dell'uguaglianza che aveva caratterizzato il primo femminismo
(1). Alla matrice politica si e' accompagnata, specie in Italia, la ripresa
dei temi di riflessione di maestre come Hannah Arendt, Simone Weil, Maria
Zambrano.
Da questo pensiero mi sono lasciata attraversare interamente, con la
radicalita' che il femminismo comporta direi strutturalmente. L'assunzione
di consapevolezza della mia differenza femminile ha determinato una scelta
irreversibile di cambiamento, nella mia visione del mondo, nel mio modo di
vivere le relazioni, nella mia volonta' di impegno nella sfera pubblica. Ho
sperimentato la pratica delle relazioni tra donne in quanto struttura
portante dell'agire politico, ho ridato senso al mio insegnamento
universitario, ho scoperto valori nuovi nella mia maternita', ho sentito la
gioia di un pensiero liberato.
In seguito, a meta' degli anni Novanta mi sono imbattuta nel pensiero della
nonviolenza, sentendone tutta la carica rivoluzionaria, la portata
spirituale e al contempo di strategia di lotta, ma soprattutto il carattere
di svolta necessaria in questo momento della storia. Mi si e' imposta dunque
un'altra scelta radicale e irreversibile, fatta la quale non si puo' piu'
tornare indietro.
Eppure, nel corso degli anni, ho cominciato ad avvertire che nei testi di
riferimento del pensiero della nonviolenza sembra mancare una considerazione
della differenza di genere, nonostante la nonviolenza sia sapere incarnato e
per cio' stesso imprescindibile dai corpi sessuati. Le donne vengono infatti
menzionate per sottolinearne la quasi totale estraneita' ad atti di
violenza, o per evidenziarne l'impegno, in diversi momenti della storia, in
azioni politiche contro la guerra o altre forme di ingiustizia sociale,
condotte con metodologia nonviolenta: sullo sfondo di questo approccio mi
pare affiorare una visione del femminile portatore di istanze di pace, per
la sua prossimita' antropologica alla riproduzione della vita e per la
pratica del lavoro di cura (2). Per quanto importante sia il riconoscimento
delle azioni delle donne per la costruzione di una cultura di pace, tuttavia
non solo le pratiche a mio avviso vanno considerate, ma occorre volgersi
alla riflessione teorica, avviando uno scambio dialogico e una circolarita'
tra la nonviolenza e la filosofia femminile, per trarne motivo di crescita e
approfondimento reciproci.
L'indagine che propongo, naturalmente a lungo termine e che non puo'
esaurirsi in poche pagine, si articola su un duplice livello. Da un lato la
rilettura dei testi della nonviolenza col taglio del pensiero della
differenza sessuale e dalla prospettiva di genere, per metterne in rilievo,
accanto allo straordinario contributo speculativo, anche la non neutralita'
del punto di vista: la consapevolezza della differenza di genere, primaria
in quanto ci attraversa tutti e tutte, limita infatti l'universalita' del
soggetto, esclude la totalita', impone il riconoscimento reciproco, e apre
al rispetto delle altre molteplici differenze (3). Ampliando l'ottica e la
prospettiva, potranno emergere nuovi spazi di riflessione, vasti ed
inclusivi, in cui la specificita' femminile possa trovare modi di
espressione e forme di significazione.
Dall'altro lato, si tratta di portare alla luce i moltissimi elementi
presenti nel pensiero femminile, che contiene, gia' nell'atto sorgivo del
suo originarsi, nodi concettuali, spunti teorici e pratiche di relazione che
mi appaiono autenticamente e direi strutturalmente nonviolenti.
Da questo scambio potranno derivarne effetti fecondi. Le donne potranno fare
della nonviolenza un significativo approdo del loro percorso di riflessione
e di pratiche, attorno al quale costruire, in forma esplicita, una nuova
progettualita' politica, nominando la nonviolenza finora taciuta, mettendola
a tema, inserendola in modo organico e consapevole nel loro orizzonte. Gli
uomini potranno a loro volta, attingendo al patrimonio di pensiero e di
pratiche femminili, aprirsi alle prospettive che tale patrimonio puo'
offrire al pensiero e alla pratica della nonviolenza.
Se questo e' lo schema complessivo della mia proposta, in queste pagine
vorrei tratteggiare una sorta di saggio di indagine, soffermandomi
soprattutto su alcuni dei principali elementi che potrebbero contribuire
alla ricchezza dello scambio.
*
Il materno come metafora nel pensiero della nonviolenza
Il problema della violenza, in quanto fenomeno che si oppone strutturalmente
alla razionalita' del logos, ha sollecitato la riflessione filosofica.
Soprattutto nel Novecento, con gli orrori della seconda guerra mondiale e
dell'Olocausto, la filosofia ha tentato delle risposte, analizzando la
funzione del pensiero come unico limite all'esplosione della violenza
irrazionale (4), oppure, al contrario, individuando proprio nel logos di cui
e' portatore il Soggetto uno strumento intrinsecamente violento in quanto
per sua natura limitante l'espressione dell'Altro. Se luogo fondativo della
violenza e' dunque la soglia tra Se' e l'Altro, le risposte fornite su
questo tema variano al variare delle concezioni dei diversi filosofi circa
il problema di costituzione dell'identita' e dell'alterita' (5). E' da
questo specifico nodo teorico che mi pare che lo scambio che propongo possa
avviarsi.
Nell'ambito della filosofia della nonviolenza, vorrei soffermarmi, per il
suo carattere paradigmatico, sulla posizione di Aldo Capitini, perche' mi
pare esprima in forma estrema una concezione che fonda sull'alterita'
l'essenza del Se', e per il confronto che offre col pensiero femminile. Nel
pensatore umbro infatti l'apertura al tu come veicolo costitutivo del
proprio essere si moltiplica fino ad abbracciare la totalita' degli esseri
viventi e persino di quelli scomparsi: la compresenza e' la tensione di tipo
religioso che lega ogni essere ad ogni altro essere a partire dall'atto
originario comune della loro esistenza. Il riconoscimento del legame con
l'origine consente l'apertura di tipo ontologico dell'essere, che e' anche
apertura di tipo religioso in quanto immette nella realta' liberata e
riscattata dai limiti imposti dalla contingenza. A fondamento e al contempo
conseguenza di questa concezione capitiniana della compresenza originaria si
pone la nonviolenza, che e' pertanto coessenziale alla costituzione
dell'essere e della realta': l'etica, la prassi sociale e politica sono
strutturalmente nonviolente proprio perche' modellate su una visione del
reale che e' essenzialmente unita' d'amore (6).
"Con la nonviolenza, dunque, s'impara concretamente che i modi di
manifestarsi attuali della realta' (tra cui la separazione, il dolore, la
morte) non sono permanenti, ma possono trasformarsi verso il meglio; e
percio' la nonviolenza e' appello al mondo per una grande mobilitazione
dell'unita' amore, con l'apertura alla trasformazione della realta' stessa"
(7).
L'intuizione capitiniana di porre l'apertura alla compresenza nel momento
originario di ingresso nella vita consente di radicare nella nascita, pur se
non esplicitamente tematizzata, la possibilita' di compartecipazione
all'unita' d'amore di tutti gli esseri e dell'intera realta'. Leggiamo
ancora: "Troppe nefandezze sono oggi compiute 'a fin di bene'; gli uomini
sono considerati come cose; ucciderli e' un rumore, un oggetto caduto. E
bisogna rifarsi dal fondamento originario (che non esclude tutto il resto),
dall'inizio, dal basso, dall'esistenza dei singoli proprio come esistenti,
ed amarli proprio come tali, come fa la madre" (8).
Nella riflessione capitiniana la qualita' materna dell'amore e' ricondotta
alla concezione dell'amore di Dio, datore di vita e di liberazione dalle
catene della finitezza e del male contingente. Come materno e' l'amore
divino, allo stesso modo l'atteggiamento di apertura all'altro deve avere la
stessa qualita': "Basta che io pensi che colui che incontro potrebbe essere
mio figlio. (...) io penso che sempre nei riguardi di un essere umano debbo
richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui. (...) La
nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalita' altrui, e' anche un
potenziamento del tu, e dell'interesse che l'altro viva, si svolga, e come
un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perche' l'altro esiste, un
appassionamento alla radice" (9).
In questa concezione, a mio avviso, il materno viene richiamato in senso
metaforico, nel senso che l'amore verso l'altro, consentendo di scendere
nell'essenza piu' intima della vita stessa, riattualizza in tale intimita' e
vicinanza tra se' e tutti i viventi l'amore di Dio-madre.
*
Saper amare la madre nel pensiero femminile
Proprio sul tema del materno il pensiero femminile offre un contributo
insostituibile. La grande ed essenziale rivoluzione simbolica operata dalle
filosofe, segnatamente in Italia, e' consistita infatti nella costruzione di
un nuovo ordine in cui proprio la nascita, e da un corpo di donna, viene
valorizzata in quanto momento incipitario nel quale ciascun essere si
costituisce originariamente come essere parte. Riconoscere nella madre,
intesa non metaforicamente, colei alla quale dobbiamo il dono della vita e'
il primo passo perche' possa scaturire la capacita' di amore consapevole e
di riconoscenza. Il saper amare la madre puo' divenire gesto inaugurale
della filosofia in quanto, riscattando il pensiero dal matricidio operato
dalla cultura occidentale (10), fonda un nuovo ordine simbolico in grado di
restituire l'autentico senso dell'essere.
L'esperienza sulla quale occorre ritornare a riflettere e' appunto quella
che ci consente di risalire alle origini stesse della vita, alla relazione
che fonda l'esistenza di tutti e tutte. Scrive Luisa Muraro: "E'
l'esperienza di un soggetto in relazione con la matrice della vita, soggetto
distinguibile dalla matrice ma non dalla sua relazione con essa. Non si
tratta dunque, propriamente, di una relazione tra due. E' una relazione
dell'essere con l'essere (...) che mi pare di poter correttamente concepire
secondo la relazione dell'esser parte" (11).
Che la relazione preceda e fondi l'essere non e' qui basato su un argomento
di natura religiosa, ne' su speculazioni di ontologia metafisica, ma sul
dato di realta' della nascita da donna che solo se assunto nella sua
concretezza puo' tradursi in ordine simbolico. E' la madre reale, non
metaforica, a dare vita all'essere in quanto essere in relazione, con un
gesto gratuito di amore cui rispondere con amore cosciente. Saper amare la
madre, che ci ha fatto dono assieme alla vita anche della parola, e basare
su questa sapienza d'amore il fondamento ontologico del nostro essere, ci
radica in un nuovo simbolico, immettendoci in una genealogia che ci fa
risalire fino alle scaturigini della vita.
Questo gesto semplicissimo, accessibile a tutti e a tutte, consente di
riconoscerci come esseri costitutivamente in relazione, per di piu'
originariamente in una relazione sostanziata e strutturata nell'amore, in
grado dunque di orientare il soggetto verso una necessaria apertura
all'alterita'. La coscienza del distacco, della separazione dalla matrice
della vita ci segna infatti come esseri carenti, segnati da una ferita che
l'altro puo' colmare.
Una riflessione sull'amore materno consente inoltre di valutare la portata
paradigmatica di tale propensione nei confronti dell'Altro.
Divenire madri non e' narcisistico e onnipotente ripiegamento su di se', ma,
al contrario, tensione, apertura all'Altro, disposizione a decentrare il
proprio se' in un altro essere.
"Nascere donna vuol dire nascere predisposta allo sbilanciamento del centro
di gravita' che si sposta in altro, fuori di se'" (12).
Questo strutturale decentramento del proprio essere, la relazionalita'
intrinseca alla maternita' si sostanziano appunto del sentimento d'amore.
"C'e' qualcosa perche' c'e' mancanza che chiama senza disperarsi, c'e'
essere perche' l'amore fa del niente un passaggio al suo avvenimento" (13).
L'amore materno cioe' si attualizza in una forma di contenimento, sospeso
tra se' e l'Altro, che non impone vincoli o catene, ma anzi, perche' l'Altro
esista occorre che l'amore rinunci al possesso, facendolo esistere altro da
se', e in questo trovare una nuova misura del proprio stesso essere. In tal
modo la soggettivita' materna si costruisce come costitutiva tensione verso
l'alterita', come ricerca di relazioni reciproche in cui l'offerta di se'
rivela al contempo il proprio bisogno: in quanto essere umano
strutturalmente carente, divengo soggetto che da' cura ma anche oggetto di
cura, definita da Elena Pulcini come "la risposta psichica ed emotiva di un
soggetto 'contaminato': di un soggetto cioe' cosciente della propria
'ferita' e della propria insufficienza, che lo espone permanentemente
all'alterita' e alla ricerca desiderante dell'altro. (...) La ferita
dell'incompletezza apre il soggetto all'altro che diventa cosi', in maniera
indisgiungibile, esso stesso soggetto/oggetto sia di desiderio sia di cura,
in una dinamica circolare e reciproca. (...) reciprocita' tra soggetti
egualmente aperti alla contaminazione ed egualmente bisognosi di cura" (14).
In tal modo il materno viene sottratto alla presunta oblativita' naturale
attribuita dalla retorica del maternage, per diventare invece possibile
modello di una soggettivita' fondata sull'etica della cura, intesa come
ascolto, compassione, assunzione su di se' del dolore dell'Altro, in una
parola empatia.
*
Empatia, autorita' vs potere, pratica delle relazioni
Mi sembra di rilievo che in quest'ottica che la riconduce al materno, anche
l'empatia, nozione fondamentale della nonviolenza, acquisti un
approfondimento di spessore e di senso. A partire dalla lettura della
Einfuehlung di Edith Stein, l'empatia puo' essere intesa non solo nel
significato di dono gratuito di se' all'altro, "forma originaria di accesso
al mondo", "apertura amorosa che e' capacita' di avere presente cio' che
sente l'altra, l'altro" (15), ma anche come tratto costitutivo del se'
intimamente connesso alla struttura relazionale dell'essere. Suggerisce
Luisa Muraro di "intendere l'essere come la relazione che c'e' tra la terra
e il mare, fatta di continui avanzamenti e ritiri, avvicinamenti e
allontanamenti. E che questo stesso 'intendere l'essere' prenda la forma di
un accostarsi e ritrarsi: essere e intendere che vanno e vengono dall'uno
all'altro, una reversibilita' del due in uno e un farsi due dell'uno,
mantenendo dunque la relazione di alterita' senza pero' lo schema
soggetto-oggetto" (16).
Occorre ancora risalire alla relazione materna per trovare l'essenza stessa
dell'empatia, definibile come "un'esperienza di essere in relazione con
l'altro da se' nel passaggio dalla continuita' alla contiguita', e che
questa esperienza manifesta la capacita', nel senso di capienza dell'essere"
(17).
E ancora: se l'empatia e' coessenziale all'essere in quanto capace di
accoglienza, allora puo' fondare nuove pratiche di relazione in grado di
trasformare il sapere della razionalita' in "una nuova logica impregnata
dell'intensita' di sentire", un nuovo sapere cioe' cui si puo' dare il nome
di sapienza dell'affettivita', la capacita' di sostenere il vuoto dentro di
se' per fare spazio al sentire dell'altro. D'altra parte, in quanto apre a
nuove pratiche che trasformano la qualita' delle relazioni, l'empatia
immette un elemento di trasformazione anche nella realta' e dunque puo'
divenire prassi politica (18).
Alla riflessione sul materno si ricollega un'altra importante nozione
elaborata dal pensiero femminile, quella di autorita', contrapposta
nettamente alla nozione di potere, e che per cio' stesso puo' risultare
efficace all'interno della nonviolenza, che tra i suoi primi e fondamentali
obiettivi ha sempre posto appunto l'opposizione al potere che, con le
relazioni di dominio che instaura, rappresenta il principale ostacolo alla
realizzazione di una societa' nella quale il potenziale di violenza venga
progressivamente diminuito.
Da questo punto di vista puo' essere significativa ed esemplare la storia
del femminismo per via dell'atteggiamento con cui le donne, maturata la
consapevolezza della loro secolare oppressione, hanno gestito la loro lotta
decennale contro il gruppo maschile oppressore: infatti loro intento non e'
mai stato quello di sostituire il loro potere al potere dominante, ma
destrutturare la nozione stessa di potere. Questa caratteristica ha avuto
visibili ricadute soprattutto nelle modalita' di gestione del conflitto, che
non hanno mai conosciuto le forme delle violenza rivoluzionaria, ma al
contrario hanno reso il femminismo una rivoluzione autenticamente
nonviolenta.
Gia' dai primi scritti militanti emerge questa peculiare visione dei
rapporti col potere. Per esempio, ridiscutendo la dialettica hegeliana
servo/padrone Carla Lonzi, autrice del primo manifesto femminista del 1970,
afferma con nettezza: "Il porsi della donna non implica una partecipazione
al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere (...)
sul piano donna-uomo non esiste una soluzione che elimini l'altro, quindi si
vanifica il traguardo della presa di potere" (19).
La "messa in questione del concetto di potere" trovera un sorprendente
sviluppo nella elaborazione appunto della nozione di autorita', centrale
nella riflessione e nella pratica femminili.
Un punto di partenza e' costituito dall'importante saggio di Hannah Arendt,
Che cos'e' l'autorita', che distingue con precisione la nozione di autorita'
da quelle di potere e di violenza, con cui spesso viene confusa. L'autorita'
infatti esclude l'uso della coercizione e della forza, come pure quello
della persuasione, dal momento che quest'ultima presuppone relazioni di
uguaglianza, mentre i rapporti di autorita' sono di tipo gerarchico (20).
Piu' esplicitamente, nel celebre scritto Sulla violenza, in cui la
distinzione terminologica e concettuale si approfondisce ulteriormente, la
Arendt precisa che caratteristica specifica dell'autorita' "e' il
riconoscimento indiscusso da parte di coloro cui si chiede di obbedire"
(21).
Dunque l'autorita' e' in gioco all'interno di relazioni non paritetiche ma
dispari, ed e' riconosciuta dal soggetto piu' debole della relazione al
soggetto gerarchicamente superiore: nessun esercizio di potere dunque,
esercitato con forza e dall'alto, ma consapevole attribuzione di autorita',
dal basso, secondo un movimento in cui, paradossalmente, chi obbedisce
mantiene integra la sua liberta'.
L'autorita' infatti presenta, nella riflessione arendtiana, un carattere di
trascendenza, in quanto collocata solitamente in un sistema superiore di
leggi, in principi guida di natura divina, risalenti al passato, al momento
fondativo dell'origine. E' proprio la fedelta' all'origine, luogo in cui si
fonda l'ordine basato sulla liberta', che la liberta' stessa viene
continuamente accresciuta nelle relazioni di autorita'.
Partendo dunque da questa base di riflessione, le filosofe italiane hanno
introdotto una modalita' di lettura e interpretazione che individua il
modello di autorita', come dicevo, nella relazione materna, spostando
pertanto la nozione arendtiana dal piano sociale al piano simbolico. E' la
madre la forza ordinatrice grazie alla quale, come ho detto nelle pagine
precedenti, ha luogo la nascita, il venire al mondo tra gli uomini che e'
momento incipitario della vita di ciascuno/a (22). Se si individua nel
legame originario con la madre l'imprescindibile origine, la fonte da cui
scaturisce la possibilita' stessa di essere e agire nel mondo, il
riconoscimento del vincolo di dipendenza apre paradossalmente spazi di
liberta', sicche' la relazione materna puo' divenire modello simbolico dei
rapporti di disparita' (23).
Gia' i gruppi femministi avevano sperimentato la disparita' delle relazioni
e la pratica di affidamento (24);  il riferimento alla relazione materna,
reale e simbolica, consente adesso di introdurre l'autorita' come ponte,
mediazione tra se' e il mondo. Si riconosce autorita' cioe' a colei che,
nella parola e nell'azione, viene sentita in grado di orientare e dare voce
al proprio desiderio di muoversi nel reale per trasformarlo, con una
adesione profonda al proprio bisogno (25).
Ora, se la nonviolenza intende sostituire relazioni in cui prevale lo schema
Maggiore-minore con relazioni di Equivalenza, la nozione di autorita' puo'
divenire chiave di accesso efficace in tutti i casi di relazioni
strutturalmente asimmetriche e dunque potenzialmente violente.
E' il caso, tra gli altri, della relazione pedagogica, fondante il processo
educativo e dunque oggetto di specifica attenzione da parte del pensiero
della nonviolenza. Mi sembra significativo che Pat Patfoort introduca il
termine di "autorita' diversa" nella sua proposta di costruzione di
educazione nonviolenta, che nella sua definizione e' "lungi dal voler essere
antiautoritaria o cosiddetta liberale (in cui il bambino spesso assume una
posizione di Maggiore) come dal voler essere autoritaria (quella in cui
l'adulto assume una posizione di Maggiore)" (26).
La nozione di autorita' messa in gioco nell'educazione nonviolenta mi pare
possa essere arricchita dal richiamo al simbolico materno a fondamento
dell'autorita' femminile. La consapevolezza di continuare l'opera della
madre mette al riparo l'educazione da qualunque rischio di dominio in quanto
la relazione pedagogica viene fondata sullo scambio di fiducia che, per sua
natura, include la disponibilita' reciproca a lasciarsi modificare
dall'incontro (27).
La potenziale violenza dell'educazione non si manifesta solo nella relazione
pedagogica ma anche, e forse soprattutto, nelle forme in cui si realizza la
costruzione del sapere e dei suoi contenuti. Anche in questo specifico
terreno la riflessione femminile prospetta una nuova epistemologia in grado
di superare la logica positivista quantitativa e oggettivante.
L'epistemologia femminile prende le distanze dall'ossessione per la logica
del separare e autorizza un diverso concetto di oggettivita', dove il
soggetto puo' stare in relazione con l'oggetto e attivare un tipo di
conoscenza che si lascia guidare anche dalla sfera emozionale (28).
Solo se e' in gioco il proprio sentire allora l'atto cognitivo acquista
senso in quanto il pensiero e la conoscenza prodotti rispondono intimamente
ai vissuti. E' la "scienza del cuore", secondo la definizione di Maria
Zambrano, quella che "riesce a fare scienza senza cessare di vivere, senza
potere ne' volere diventare impassibile e indipendente, ma restando sempre e
in ogni istante, persino nella sua scienza, vivo, ovvero passivo e
dipendente" (29).
La passivita', nel senso di valorizzazione e ascolto del "patire", e la
relazionalita' sono dunque gli atteggiamenti epistemici che ci aprono a
conoscenze fondate su un nuovo ordine di verita', non esterna e
autoritativa, ma quella che diventa tanto piu' vera in quanto in grado di
illuminare l'esperienza e orientare il nostro agire. Un sapere dunque
autentico, eticamente fondato e responsabile, che ci abilita all'azione
politica.
*
Partire da se' nella nonviolenza e nel pensiero femminile
C'e' una formula che sintetizza ed esprime quanto detto finora, il partire
da se', di cui vorrei ancora una volta mettere in evidenza i possibili
scambi col pensiero della nonviolenza.
Parola d'ordine della politica delle donne gia' dai gruppi di autocoscienza
degli anni Settanta, anche il partire da se' ha assunto lo statuto di
principio speculativo. Esso infatti puo' sostanziare l'attivita' filosofica,
almeno quella che trova espressione nella definizione che Simone Weil da'
della filosofia, cioe' di "cosa esclusivamente in atto e pratica" (30). Se
infatti la filosofia pratica ha per oggetto la modificazione del reale a
partire dalla trasformazione di se' in rapporto al mondo, allora partire da
se' "non ti fa trovare dove gli altri ti aspettano (...), ti situa, di volta
in volta, nella traiettoria del tuo essere che cambia, si muove, cerca"
(31).
Prospettiva del partire da se' e' dunque la continua modificazione attuata
nello stare al mondo mantenendo la fedelta' a se', uscendo dai ruoli
socialmente codificati, per risalire all'esperienza dei propri vissuti e
all'ascolto dei propri desideri.
Questa pratica, se interpretata non come chiusura nell'intimita' ma come
modo di rendere significanti nella realta' i vissuti, e' la base dell'azione
politica, quella che, secondo la grande lezione di Hannah Arendt, consente
il manifestarsi del se' dell'agente: "Partire da se' (...) significa
'iniziare' qualcosa, o meglio farsi inizio. (...) mettersi in gioco in una
realta', facendola essere e cosi' facendosi essere. Qualcosa, questo, che
puo' avvenire solo in una dimensione di apertura di se' allo spazio a sua
volta aperto alle relazioni con altri nel mondo" (32).
In tal modo, se riattraversata dalla pratica del partire da se', l'azione
politica cambia radicalmente di senso, assume la dimensione di impulso
trasformatore del reale e di se' nel reale.
Se questa e' l'interpretazione elaborata dalla politica delle donne, il
pensiero della nonviolenza puo' a sua volta fornire al partire da se' nuove
valenze che ne arricchiscono il senso. Il valore immediato puo' essere
sintetizzato dalla felice frase gandhiana "Sono un irriducibile ottimista
perche' credo in me" (33), dove mi pare si esprima quella necessita'
dell'autostima, della fiducia nelle proprie capacita', indispensabili per
intraprendere un'azione con coraggio.
Ma il significato di maggiore spessore che la nonviolenza puo' suggerire a
questa formula e' quello prospettato nelle situazioni di conflitto, quando
cioe' proprio "l'autoconsapevolezza emozionale", la coscienza delle proprie
"matrici percettivo-valutative" favoriscono l'incontro con l'altro,
l'avversario. Considerare le emozioni "passi di danza", e non gabbie che
giustificano i propri comportamenti, consente di concentrarsi sulla
responsabilita' delle proprie reazioni e sull'innescarsi del meccanismo
vittimario. Solo partendo da se', riconoscendo la propria carica emozionale
attiva nel giocare il proprio ruolo tra le due parti in conflitto, e'
possibile "cambiare danza" e avviarsi alla risoluzione (34).
Quest'ultimo aspetto relativo alla gestione dei conflitti rappresenta a mio
avviso uno degli esempi in cui si manifesta il peculiare e insostituibile
contributo offerto dal pensiero della nonviolenza.
Ma naturalmente non solo. Come ho detto in apertura, in questo momento di
crisi di civilta' la nonviolenza e' la prospettiva alla quale tutti e tutte
possiamo volgerci, per trarne un deciso orientamento.
Auspico pero', ed e' cio' cui tendono queste pagine, che il pensiero della
nonviolenza assuma la differenza di genere come taglio e che il femminile
possa costituire riferimento costante al suo interno, riconoscendo in esso
la capacita' di "mettere al mondo un mondo nonviolento" (35).
*
Note
1. In queste pagine faro' riferimento soprattutto alle pensatrici italiane e
francesi. Per un inquadramento piu' ampio cfr. per esempio Franco
Restaino-Adriana Cavarero, Le filosofie femministe, Torino, Paravia, 1999.
2. Cfr. per esempio Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Milano, Esperia
edizioni, 2000, pp. 73-89, in cui l'autore denuncia il patriarcato in quanto
artefice delle tre forme di violenza, diretta, strutturale e culturale, e
discute il dato che il 95% della violenza e' commessa dagli uomini. Mohandas
K. Gandhi, Antiche come le montagne, Milano, Mondadori, 1987, pp. 215-224,
definisce le donne "le naturali messaggere del vangelo della nonviolenza"
(p. 223). Sara Ruddick, Il pensiero materno. Pacifismo, antimilitarismo,
nonviolenza: il pensiero della differenza per una nuova politica, Como, Red
Edizioni, 1993, parla di identita' materna, costruita sul concreto
quotidiano lavoro di cura, che si traduce in impegno per la pace.
3. Per la valenza fondatrice che la differenza di genere puo' assumere nella
costruzione della soggettivita' mi riferisco soprattutto al pensiero di Luce
Irigaray, di cui si veda almeno Io amo a te. Verso una felicita' nella
storia, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
4. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
Pisa, Plus Pisa University Press, 2004, afferma: "Noi vogliamo sostenere che
la rivolta del pensiero davanti alla violenza che fa soffrire gli uomini e'
l'atto fondatore della filosofia. Noi vogliamo affermare che il rifiuto di
ogni legittimazione di questa violenza fonda il principio nonviolenza" (p.
22).
5. Cfr. Giusi Strummiello, Il logos violato. La violenza nella filosofia,
Bari, Dedalo, 2001.
6. Recenti sintesi del pensiero capitiniano in Antonio Vigilante, La realta'
liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Foggia, Edizioni del
Rosone, 1999 e Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo
Capitini, Assisi, Cittadella Editrice, 2004.
7. Aldo Capitini, Religione aperta, Parma, Guanda, 1955, p. 548.
8. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, Bari, Laterza, 1937,
pp. 61-62.
9. Aldo Capitini, Il problema religioso attuale, Parma, Guanda, 1948, ora in
Il messaggio di Aldo Capitini. Antologia degli scritti a cura di Giovanni
Cacioppo, Manduria, Lacaita editore, 1977, pp. 226-227.
10. Cfr. soprattutto Luce Irigaray, Sessi e genealogie, Milano, La
Tartaruga, 1988, pp. 17-32, per questa idea dell'uccisione della potenza
materna a fondamento del nostro ordine sociale e culturale.
11. Luisa Muraro, L'ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti,
1991, p. 41. Il volume rappresenta un punto di partenza ineliminabile per la
riflessione sul materno nel pensiero femminile.
12. Luisa Muraro, La maestra di Socrate e la mia, in Diotima, Approfittare
dell'assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Liguori, Napoli, 2002,
pp. 27-43 (la cit. a p. 38).
13. Ibid., p. 43.
14. Elena Pulcini, Il potere di unire. Femminile, desiderio, cura, Torino,
Bollati Boringhieri, 2003, pp. XXVIII-XXIX.
15. Cfr. Laura Boella-Annarosa  Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a
partire da Edith Stein, Milano, Cortina, 2000, pp. 10 e 12.
16. Luisa Muraro, Sull'essere in relazione come capacita' di essere, in
Amore ed empatia. Ricerche in corso, a cura di Francesca Brezzi, Milano,
Franco Angeli, 2003, pp. 13-22, citazione a p. 17. L'autrice sviluppa la
concezione dello psicanalista Donald W. Winnicott, Gioco e realta', Roma,
Armando Editore, 1977, pp. 119-150, secondo il quale l'elemento femminile
puro, non spinto cioe' dalla pulsione a entrare in rapporto con l'oggetto,
e' quello alla base della capacita' di essere; a p. 144 afferma: "L'elemento
maschile fa mentre l'elemento femminile (in maschi o femmine) e'".
17. Ibid., p. 21.
18. A. Buttarelli, C'e' una pratica dell'empatia?, in Amore ed empatia cit.,
pp. 23-31, citazione a p. 29.
19. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta femminile, Milano 1974
(il saggio e' del 1970), pp. 19-61, le citazioni sono tratte da pp. 20 e 27.
20. Hannah Arendt, Che cos'e' l'autorita', in Tra passato e futuro, Milano,
Garzanti, 1991 (ed. orig. 1954), pp. 130-192.
21. Hannah Arendt, Sulla violenza, Parma, Guanda, 1996 (ed. orig. 1970), pp.
48-49. L'autrice distingue e definisce le nozioni di potere, potenza, forza,
autorita', violenza.
22. Cfr. per esempio Diana  Sartori, Dare autorita', fare ordine, in
Diotima, Il cielo stellato dentro di noi, Milano, La Tartaruga, 1992, pp.
123-161.
23. Cfr. Wanda Tommasi, Il lavoro del servo, in Diotima, Oltre
l'uguaglianza. Le radici femminili dell'autorita', Napoli, Liguori, 1995,
pp. 59-84; a p. 81: " Vi e' quindi un paradosso nella dipendenza: esso
consiste nel fatto che, solo ammettendola, si comincia a essere liberi".
24. Una vivida testimonianza in Non credere di avere dei diritti, curato
dalla Libreria delle donne di Milano, Torino, Rosenberg & Sellier, 2005
(1987).
25. Cfr. Chiara Zamboni, Ordine simbolico e ordine sociale, in Diotima,
Oltre l'uguaglianza cit., pp. 31-48; a pp. 40-41: "L'autorita' e' dunque la
mediazione simbolica piu' efficace, affinche' venga messa in circolazione
negli scambi sociali la ricchezza del desiderio individuale. (...) Si
desidera qualcosa e l'altra e' sentita come colei che puo' aprire la strada
alla realizzazione del proprio desiderio. All'altra si riconosce autorita'".
26. Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti,
Molfetta, Edizioni La Meridiana, 2000, p. 74.
27. Cfr. Anna Maria Piussi, Sulla fiducia, in Diotima, Approfittare
dell'assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Napoli, Liguori, 2002,
pp. 129-141.
28. Luigina Mortari, Verso un'epistemologia femminile, in "Studium
educationis. Rivista per la formazione delle professioni educative", II,
2003, Genere e educazione, pp. 365-380 (citazione a p. 378).
29. Maria Zambrano, Verso un sapere dell'anima, Milano, Raffaello Cortina
Editore, 1996, p. 50.
30. Simone Weil, Quaderni, 4 voll., Milano, Adelphi, 1982-1993, IV, p. 396.
31. Luisa Muraro, Partire da se' e non farsi trovare..., in Diotima, La
sapienza di partire da se', Napoli, Liguori, 1996, pp. 5-21 (citazione a p.
8).
32. Diana Sartori, Nessuno e' l'autore della propria storia: identita' e
azione, ibid., pp. 23-57 (citazione a p. 55).
33. Mohandas K. Gandhi, Antiche come le montagne, cit., p. 110.
34. Si veda per questo aspetto il volume di Marianella Sclavi, Arte di
ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte,
Milano, Le Vespe, 2002, da cui desumo le espressioni poste tra virgolette;
alle pp. 136-137 l'autrice prospetta l'uso di questa doppia visione anche
nel conflitto tra i sessi vissuto dal femminismo, per evitare che le donne
restino prigioniere del "mito della spontaneita'".
35. Variando il titolo di uno dei volumi di Diotima, Mettere al mondo il
mondo. Oggetto e oggettivita' alla luce della differenza sessuale,  Milano,
La Tartaruga, 1990.

3. RIFLESSIONE. IRENE COMINS MINGOL: ETICA DELLA CURA
[Da Mario Lopez Martinez (dir.), Enciclopedia de Paz y Conflictos, Editorial
Universidad de Granada - Instituto de la paz y los conflictos - Junta de
Andalucia, Granada 2004, vol. I, pp. 446-447. Ci sia consentito aggiungere
che questa cospicua opera in due volumi cui hanno collaborato studiose e
studiosi internazionali (tra cui gli italiani - o in Italia operanti -
Antonino Drago, Rosa Maria Grillo, Alberto l'Abate, Mercedes Mas Sole',
Giuliano Pontara) meriterebbe un'edizione nella nostra lingua.
Irene Comins Mingol, dottoressa in filosofia, ricercatrice presso la
cattedra Unesco di filosofia della pace dell'Universita' Jaume I di
Castellon, ha svolto ricerche sull'etica della cura e realizzato varie
pubblicazioni sulla relazione tra pace e genere.
Mario Lopez Martinez e' uno dei piu' autorevoli studiosi e operatori della
nonviolenza a livello internazionale; storico, docente universitario di
storia contemporanea, direttore dell'Istituto sulla pace e i conflitti
dell'Universita' di Granada (Spagna); mediatore nei conflitti in Colombia e
in Messico; ha tenuto corsi e seminari a ex-guerriglieri in Colombia; e' uno
dei principali diffusori della nonviolenza in Spagna e in alcuni paesi
dell'America Latina; ha svolto fondamentali ricerche e realizzato rilevanti
pubblicazioni sul tema della riconciliazione in America Latina. Tra le opere
recenti di Mario Lopez Martinez: Historia de la paz. Espacios, tiempos y
actores, 2002; ha diretto (coordinando un gruppo internazionale di studiose
e studiosi di altissimo livello) la monumentale Enciclopedia de paz y
conflictos, 2 voll., 2004.
Carol Gilligan, docente di psicologia alla New York University, e' una delle
piu' influenti pensatrici femministe contemporanee. Tra le opere di Carol
Gilligan: Con voce di donna, 1982, tr. it. Feltrinelli, Milano 1987; La
nascita del piacere, 2002, tr. it. Einaudi, Torino 2003. Opere su Carol
Gilligan: Bianca Beccalli, Chiara Martucci (a cura di), Con voci diverse. Un
confronto sul pensiero di Carol Gilligan, La Tartaruga, Milano 2005]

L'etica della cura si puo' collocare tra le cosiddette etiche femministe.
Questo tipo di etiche denunciano i tratti patriarcali delle etiche vigenti
che tendono ad oscurare l'esperienza delle donne, e propongono nuovi valori
partendo dall'esperienza femminile.
L'etica della cura e' relativamente giovane. Ha la sua origine nell'opera di
Carol Gilligan, In a Different Voice, del 1982. Carol Gilligan e' docente
all'Universita' di Harvard ed ha svolto ricerche tanto nell'ambito della
psicologia cognitiva quanto in quello dello sviluppo morale. Il suo
contributo principale e' stata la revisione e l'ampliamento della teoria
attuale dello sviluppo morale per riuscire a dar conto dell'esperienza
morale delle donne. Nonostante la sua giovinezza l'etica della cura ha avuto
un profonda ripercussione non solo nel campo della filosofia morale ma anche
nel campo dell'assistenza e della salute, dell'ambiente, delle relazioni
familiari, del lavoro sociale, etc.
L'etica della cura rivendica l'importanza del valore ignorato della "cura"
come complemento dell'etica vigente piu' centrata sul valore della
"giustizia". Cio' che propone non e' creare una contrapposizione tra
l'importanza della "cura" e della "giustizia" come molti hanno interpretato,
bensi' arricchire il valore indubbiamente necessario della "giustizia" con
il valore della "cura". Noi esseri umani non abbiamo bisogno solo di leggi e
istituzioni giuste. Abbiamo bisogno anche di tenerezza, affetto,
solidarieta', vicinanza e cura. I movimenti sociali attuali come le ong, le
associazioni, etc., ci stanno dimostrando che la solidarieta', la cura, la
compassione e la bonta' sono importanti tanto quanto la giustizia. Entrambe
le cose sono necessarie nella costruzione di una cultura della pace.
Le donne sono state storicamente relegate al ruolo del lavoro di cura, tanto
dei bambini come dei malati e degli anziani. Di fatto questo e' servito
anche come elemento di subordinazione della donna all'ambito domestico. Ora
non si tratta affatto di rivendicare il valore di questa subordinazione, ma
di riformulare e ricostruire il valore della cura come pratica sociale di
costruzione della pace tanto da parte degli uomini quanto da parte delle
donne.
*
Bibliografia
- Seyla Benhabib e Drucilla Cornell (a cura di), Teoria feminista y teoria
critica, Edicion Alfons el Magnanim, Valencia 1990.
- Carol Gilligan, La moral y la teoria. Psicologia del desarrollo femenino,
Fce, Citta' del Messico 1985.

4. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: BREVI TRE NOTE

Tengo per ferme le tesi seguenti.
1. Che la nonviolenza sia eminentemente un insieme di esperienze storiche di
lotta sociale e politica - e di riflessioni ad esse connesse - il cui nucleo
e' l'opporsi alla violenza nel modo piu' nitido e piu' intransigente.
2. Che la nonviolenza sia un insieme di insiemi (scelte epistemologiche,
assiologiche, ermeneutiche, metodologiche - in campo sia deliberativo che
operativo -, sociali, economiche-ecologiche, politiche); che essa sia
dialettica e contestuale, che sia sperimentale ed aperta; che si dia solo
nella concretezza del conflitto: al di fuori del conflitto non si da'
nonviolenza, ed essendo essa sempre relativa a una situazione di violenza
cui concretamente si oppone, essa conseguentemente non e' mai un assoluto,
ma solo si da' come prassi viva e incarnata, mai astratta, mai "pura", ma
sempre nel fuoco del farsi, quindi sempre ad un tempo in verita' ed errore,
nella parzialita' e nel limite del suo dispiegarsi non sciolto ma sempre
intrecciato al dato reale, al conflitto instante.
3. La nonviolenza non e' quindi un canone di autorita', non e' una
schidionata di dogmi, non si esercita ex cathedra: la nonviolenza e' la
lotta concreta, la piu' nitida e la piu' intransigente possibile, contro la
concreta violenza di ogni oppressione, menzogna, vulnerazione e negazione di
umanita'.
4. Credo che le esperienze del pensiero delle donne e del movimento di
liberazione delle donne - i femminismi - siano la corrente calda, il flusso
principale, della nonviolenza come storicamente, inventivamente,
inesauribilmente si e' data e si da'.
5. Molte altre esperienze date si sono che nonviolente chiamare possiamo,
certo; e tra esse mi preme mettere in particolare rilievo cio' che e' vivo e
vivifica - cio' che piu' vale - della storia del movimento di liberazione
delle classi oppresse; e le Resistenze contro i totalitarismi.
6. Poiche', in somma delle somme, la nonviolenza non e' una scuola di buona
creanza (vi sono stati assassini elegantissimi, gli autori di impeccabili
baciamano hanno menato strage per tutti i continenti, Cesare scriveva una
prosa eccellente) ma lotta, lotta, lotta la piu' nitida e la piu'
intransigente, incessante conflitto contro la violenza - dispiegata e
cristallizzata, flagrante e occulta, eruttiva e strutturale, grossolana e
sottilissima, dalle infinitamente proliferanti forme: l'oppressione,
l'ingiustizia, la menzogna, l'alienazione, l'asservimento, l'uccisione -;
lotta contro la violenza che sempre ritorna e che tu di nuovo e di nuovo
devi contrastare.
7. La nonviolenza sa che la sua lotta non finira' mai. Ma sa anche che solo
la sua affermazione, il suo rinnovato incarnarsi nelle donne e negli uomini
di volonta' buona, il suo sempre piu' limpido ed esteso farsi cultura
condivisa di civile convivenza, puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
8. La nonviolenza non ha una parola per tutto, essa non e' un'ennesima
ideologia, e neppure una teoria conchiusa, ma solo una guida per l'azione:
vive del confronto e dell'eredita' di esperienze teoretiche e  pratiche,
morali e giuridiche, le piu' variegate, e ad esse esperienze apporta la sua
aggiunta; vive dell'incessante ricerca e sperimentazione di forme di lotta e
di vie di riconoscimento di umanita', di liberazione e dialogo, di
convivenza civile.
9. La nonviolenza e' la scelta umana di lottare per l'umanita' contro la
violenza. Nel modo piu' nitido. E piu' intransigente.
*
Nella tradizione delle esperienze nonviolente - che per essere concrete e
situate, contestuali e dialettiche, non si danno mai come forme pure, ma
sempre nella pesantezza e nel chiaroscuro del vivo conflitto, sempre come
"scelte tragiche" esposte all'errore e di errore impastate, mai come
perfezione ed unanimita' - ovviamente non mancano i tratti discutibili
derivanti dalla peculiare contestualizzazione e fin inculturazione in cui
volta a volta quelle esperienze si sono date.
Ad esempio in alcune delle esperienze e delle figure per molti versi piu'
luminose e aggettanti, ed a parere di taluni fin imprescindibili, non sono
mancati tratti patriarcali e maschilisti, non sono mancati atteggiamenti
autoritari e dogmatici, non sono mancate repressioni sessuofobiche e
umiliazioni e scotomizzazioni della corporeita', non sono mancate molteplici
alienazioni, non sono mancati errori anche tragici.
E' bene saperlo: non si e' persone amiche della nonviolenza se si pensa che
le persone amiche della nonviolenza siano infallibili: le persone amiche
della nonviolenza hanno un atteggiamento pluralista e sperimentale, sanno di
essere sempre esposte all'errore, non rifuggono dalla lotta ma sanno anche
che di rado la ragione e' tutta da una parte, sanno che il mondo e'
complesso e complicato, scelgono di stare nel conflitto sapendo che nel
conflitto anche con se stessi in conflitto si e'.
Sapendosi fallibili si impegnano a ricercare la massima coerenza tra i mezzi
e i fini, adottano sempre il principio di precauzione, mai si concedono
buona coscienza, semrpe si attengono al "principio responsabilita'". Sanno
di aver scelto una dura fatica, segnata dall'incertezza e dal limite; sanno
che affrontare la violenza non e' indolore.
Le persone amiche della nonviolenza sanno che non esistono persone
"nonviolente", e che chi si definisse tale si rivelerebbe per cio' stesso
palesemente lontano le mille miglia dalla nonviolenza.
Occorre costante una critica nonviolenta della tradizione nonviolenta, per
cogliere, contrastare e superare i tratti violenti ed ambigui che anche in
essa sono presenti. Senza l'illusione di una impossibile perfezione, ma
nella coscienza della possibilita' di un sempre piu' limpido e profondo
comprendere e comprendersi, di un sempre piu' fine ed acuto sapere che
potenzia la nostra capacita' di lotta contro la violenza, la nostra
capacita' di combattere anche ed in primo luogo la violenza di cui noi
stessi, noi tutti, siamo portatori.
Pare a chi scrive queste righe che una critica della nonviolenza dal punto
di vista del femminismo - dei femminismi - sia straordinariamente proficua.
*
Ma altrettanto proficua e' anche una critica delle esperienze dei femminismi
dal punto di vista della nonviolenza.
Alcuni filoni del femminismo, del pensiero delle donne, questa analisi e
questo travaglio hanno da tempo intrapreso. Ed e' anche per questo che non
solo l'esperienza del movimento di liberazione delle donne nel suo insieme
ci pare essere la piu' rilevante manifestazione storica della nonviolenza in
cammino, ma anche ci sembra che in alcune riflessioni autoanalitiche dei
femminismi si sia svolta una critica di se' "a partire da se'" la cui
fecondita' ermeneutica e' immensa.
Chiunque legge queste righe sa che vi sono temi - particolarmente quelli che
piu' strettamente afferiscono alla nascita, alla vita, alla morte, nella
concretezza piu' estrema - su cui la riflessione e il dibattito sono assai
articolati, frastagliati, vivacissimi. E' bene che cosi' sia.
*
Fin dalla nascita di questo foglio nulla ci e' parso cosi' urgente e cosi'
decisivo come  promuovere la consapevolezza che il pensiero delle donne e'
filone centrale della nonviolenza in cammino: che il lavoro teorico di
Virginia Woolf, di Simone Weil, di Edith Stein, di Etty Hillesum, di Hannah
Arendt, di Simone de Beauvoir, di Franca Ongaro Basaglia, di Luce Fabbri, di
Vandana Shiva - per citare solo i primissimi nomi che ci vengono in mente -
e' un punto di riferimento imprescindibile per tutte le persone amiche della
nonviolenza, e' pensiero della nonviolenza in atto.
Fin dalla nascita di questo foglio nulla ci e' parso cosi' urgente e cosi'
decisivo come promuovere la consapevolezza che le esperienze del movimento
delle donne costituiscono la corrente calda della nonviolenza in cammino.

==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 92 del 24 settembre 2006

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it