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La nonviolenza e' in cammino. 1428
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1428
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 24 Sep 2006 00:17:11 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1428 del 24 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana: Incontriamoci a Verona 2. "La politica della nonviolenza", un seminario promosso dal Movimento Nonviolento il 21-22 ottobre a Verona 3. Enrico Piovesana: Italiani in guerra 4. Enrico Piovesana: Un anno dopo 5. Alberto Burgio: Cosa aspettiamo in Afghanistan? 6. Emanuela Ceva: Giustizia procedurale e pluralismo dei valori (parte seconda e conclusiva) 7. Riletture: Adriana Cavarero, Nonostante Platone 8. Riletture: Luce Irigaray, Speculum 9. Riletture: Julia Kristeva, Sole nero 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: INCONTRIAMOCI A VERONA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] "Seminario" e' il luogo, fisico o spirituale, della semina. Selezionare le sementi migliori, piantarle, innaffiarle, concimarle, vederle germogliare, averne cura, farle diventare delle piante che a loro volta fruttificano, producono e moltiplicano nuovi semi. Nei seminari si formano le persone destinate a compiere una certa missione o a coltivare una determinata disciplina. Nel nostro caso si tratta di una materia davvero speciale: la nonviolenza. L'obiettivo del seminario di Verona e' definire e verificare i fondamenti, i fini e i mezzi, di una possibile strategia della nonviolenza in Italia. L'appuntamento di ottobre 2006 e' una tappa del lungo cammino che abbiamo intrapreso nel 2000 con la marcia nonviolenta Perugia-Assisi "Mai piu' eserciti e guerre", proseguito nel 2004 con la camminata Assisi-Gubbio "In cammino per la nonviolenza", poi nel 2004 con il Congresso "Nonviolenza e' politica" e infine nel 2006 con il convegno di Firenze "Nonviolenza e politica". Il seminario e' aperto a tutte le amiche e gli amici della nonviolenza che si sentono a disagio per quanto sta avvenendo in questi mesi nel movimento per la pace, sia nella base che a livello istituzionale, dopo le vicende del voto parlamentare sull'Afghanistan, dopo la missione militare in Libano, dopo l'iniziativa della Tavola della pace ad Assisi, dopo la proposta di una campagna per il disarmo atomico, dopo i tanti appelli lanciati ma troppo spesso lasciati cadere... Ci sembra che una seria riflessione di chi si riconosce nella nonviolenza organizzata, sia a questo punto doverosa. Invitiamo tutti i singoli e le associazioni che sentono la difficolta' del dibattito, l'urgenza del confronto, e l'importanza dell'agire, a partecipare al seminario, portando un contributo positivo. Arrivederci a Verona. 2. INCONTRI. "LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA", UN SEMINARIO PROMOSSO DAL MOVIMENTO NONVIOLENTO IL 21-22 OTTOBRE A VERONA Si svolgera' a Verona il 21 e 22 ottobre il seminario sul tema "La politica della nonviolenza (alla prova della guerra)" promosso dal Movimento Nonviolento. * Programma: - Sabato 21 ottobre, ore 10: relazione introduttiva. Prima sessione "La teoria della nonviolenza, sulla guerra" (mattina, ore 10-13). Seconda sessione "La pratica della nonviolenza, nella politica" (pomeriggio, ore 15-19). Serata libera, con due proposte: a) visita guidata alla mostra "Mantegna a Verona", b) laboratorio del "Teatro dell'oppresso" sui temi discussi. - Domenica 22 ottobre, ore 9. Terza sessione "La strategia della nonviolenza, le iniziative" (mattina, ore 9-11). Conclusioni (ore 11-13). Ogni sessione verra' sollecitata da una griglia di domande. Il Seminario si svolgera' presso la Sala "Comboni" dei padri comboniani, in vicolo Pozzo 1, Verona. * Per informazioni e prenotazioni: Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 3. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: ITALIANI IN GUERRA [Da www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 20 settembre 2006 di Enrico Piovesana, "Italiani in guerra. Nuova offensiva anti-talebana nell'ovest. Coinvolte forze del contingente italiano". Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e' stato in Afghanistan in qualita' di inviato] I soldati italiani sono impiegati in un'operazione militare, avviata ieri nella provincia occidentale di Farah "in risposta al crescente numero di attacchi terroristici" verificatisi nella zona: la stessa dove l'8 settembre quattro incursori della Marina Italiana (Comsubin) sono stati feriti in un'imboscata dei talebani. La notizia e' stata data oggi dal comandante Usa Michael Horan, capo delle operazioni di Isaf nella provincia occidentale di Farah. L'operazione, nome in codice "Wyconda Pincer" (Tenaglia Wyconda - localita' del Missouri), interessa i distretti di Bala Baluk e Pusht-e Rod, e coinvolge truppe italiane, statunitensi, spagnole e afgane in un numero che non e' stato reso noto. "Lo scopo di questa operazione - ha spiegato Horan - e' coinvolgere i leader tribali locali allo scopo di migliorare la sicurezza nella provincia e opporsi alle forze talebane qui coinvolte in attivita' criminali e in attivita' di reclutamento". Ma sara' proprio cosi'? * Un coinvolgimento limitato Il capitano Giancarlo Ciaburro, addetto stampa del contingente italiano ad Herat, non nasconde un certo imbarazzo. "La diffusione di questa notizia da parte di Isaf e' stata un grave errore perche' da' luogo ad equivoci. Questa operazione di guerra contro i talebani e i narcotrafficanti locali e' condotta esclusivamente dalle forze di polizia e dell'esercito afgano. Le forze Isaf si limitano ad attivita' di controllo e sorveglianza del territorio e di contatto con i leader delle comunita' locali". Sulla zona delle operazioni, Ciaburro rivela che essa "si svolge a cavallo tra la zona di competenza del Comando Regionale Ovest, a guida italiana, e quella che ricade sotto il Comando Regionale Sud, a guida britannica. In pratica - spiega l'ufficiale - a cavallo delle province di Farah ed Helmand". Quest'ultima e' da quattro mesi zona di guerra tra talebani e forze Nato britanniche. Sul numero dei militari italiani coinvolti nell'operazione, Ciaburro si limita a parlare delle "solite pattuglie che, come avviene da quando Isaf ha preso il comando delle operazioni nel sud, svolgono missioni di perlustrazioni a lungo raggio per garantire la sicurezza dei principali assi di comunicazione, in particolare della strada Kandahar-Herat". * Tagliare le vie di fuga ai talebani Il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo, rincara la dose. "Questa operazione non e' una novita'. Non si differenzia dalle operazioni che i militari italiani stanno svolgendo a Farah gia' da diverso tempo, ovvero da quando e' iniziata l'offensiva anti-talebana nelle vicine province di Helmand e Kandahar. Si tratta di operazioni di interdizione, ovvero di pattugliamento del territorio allo scopo di impedire ai talebani, in fuga dai bombardamenti, di scappare verso il confine iraniano. Cosa pensate che stessero facendo l'8 settembre, proprio nel distretto di Bala Baluk, i nostri incursori di Marina?". 4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: UN ANNO DOPO [Da www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 19 settembre 2006 di Enrico Piovesana, "Afghanistan, un anno dopo le elezioni. La guerra e' ricominciata, peggio che nel 2001. 'E durera' anni', ammette il comandante di Isaf"] Un anno fa, il 18 settembre 2005, veniva eletto il primo parlamento afgano del dopoguerra. Per gli Stati Uniti era la prova del successo della strategia di Washington in Afghanistan, la dimostrazione che la democrazia e la pace si possono imporre con le bombe e l'occupazione militare. Il voto come panacea di tutti i mali. Poco importava che il voto fosse stato caratterizzato da brogli e irregolarita' di ogni genere, che gli eletti fossero in maggioranza signori della guerra votati per denaro o per paura, che la ricostruzione del Paese fosse completamente fallita, che la produzione di oppio fosse tornata a livelli record e che i talebani si stessero riorganizzando nel sud del Paese, completamente fuori dal controllo del governo di carta di Hamid Karzai. All'amministrazione Bush serviva un risultato eclatante per poter dire al mondo, e ai suoi elettori, "missione compiuta" e giustificare cosi' il disimpegno militare Usa da un fronte, quello afgano, che era sul punto di esplodere, di trasformarsi in un nuovo - politicamente insostenibile - Iraq. Le elezioni di un anno fa erano il trofeo perfetto da esibire a tutti. * Disimpegno Usa e intervento Nato Finito il teatrino elettorale, Washington ha annunciato il ritiro di buona parte delle sue truppe proprio da quel sud del paese dove si stavano addensando i nuvoloni neri della resistenza talebana. La patata bollente veniva lasciata nelle mani degli alleati della Nato, fermamente sollecitati a inviare migliaia di soldati per prendere il controllo delle province meridionali. Sapendo bene a cosa sarebbero andati incontro, i paesi dell'alleanza hanno nicchiato. Solo i "fedelissimi" britannici e canadesi hanno subito risposto alla chiamata alle armi, accettando di spartirsi le due province piu' pericolose: Kandahar e Helmand. Il passaggio ufficiale delle consegne venne fissato per il primo agosto 2006, giorno in cui il comando delle operazioni nel sud dell'Afghanistan sarebbe passato dalla missione Usa "Enduring Freedom" alla missione Nato Isaf, che cosi' si trasformava da missione di pace a missione di guerra al terrorismo. Una metamorfosi che ha suscitato accesi dibattiti in tutti i paesi Nato, tranne in Italia, all'epoca in preda alla campagna elettorale. * Operazione "Avanzata Montana" Con l'arrivo della primavera, migliaia di truppe britanniche e canadesi sono iniziate ad affluire nel sud afgano. Il "benvenuto" dei talebani non si e' fatto attendere e la loro preannunciata offensiva nel sud e' iniziata in aprile, con un'intensita' che ha spaventato gli stati maggiori della Nato, ancora alle prese con il cosiddetto "irrobustimento" delle regole d'ingaggio che la missione Isaf, vista la sua nuova natura, avrebbe dovuto avere. Il Pentagono - gia' impegnato nell'est con l'operazione "Leone di montagna" - in maggio ha avviato nel sud una massiccia campagna di bombardamenti aerei e in giugno ha sferrato la piu' massiccia operazione bellica dal 2001: l'operazione "Mountain Thrust", Avanzata montana, che ha visto impegnati, accanto a 2.300 soldati Usa, 3.300 militari britannici e 2.200 canadesi (oltre a 3.500 soldati afgani), armati di artiglieria pesante, mezzi corazzati e cacciabombardieri. * Operazione "Medusa" Alla scadenza del primo agosto, dopo oltre un mese di feroci battaglie e bombardamenti aerei sulle roccaforti talebane del sud, la resistenza talebana sembrava ancora piu' forte di prima. I comandi Usa sostenevano di aver ucciso almeno 1.100 combattenti, ma nella realta' gran parte di questi erano civili morti sotto le bombe. Il risentimento popolare suscitato da questi fatti ha aumentato il sostegno ai talebani e ingrossato le loro fila. Gli attacchi contro le truppe Isaf sono infatti proseguiti a ritmo serrato per tutto agosto. E alla fine del mese e' ripresa l'offensiva alleata sotto il nuovo comando Nato: l'operazione "Medusa", condotta dalle truppe Isaf britanniche, canadesi e statunitensi. Seguendo l'esempio dell'aviazione israeliana in Libano, le forze Isaf hanno lanciato migliaia di volantini sui villaggi dei distretti di Panjwayi e Zhari, nel deserto a ovest di Kandahar, invitando i civili ad evacuare la zona e affermando che chiunque fosse rimasto sarebbe stato considerato un combattente. Migliaia di famiglie si sono affrettate a lasciare le proprie case, accampandosi alla periferia di Kandahar: sfollati senza nessun tipo di assistenza umanitaria. Molti hanno fatto in tempo a scappare (85.000 i profughi fuggiti a Kandahar e Lashkargah). Molti altri no. In due settimane di scontri e bombardamenti aerei (con bombe da 500 libre) si sono contati piu' di 500 morti: tutti talebani secondo la Nato, in gran parte civili secondo talebani e fonti locali. Autorita' governative locali, ufficiali di polizia e fonti mediche del posto hanno riferito numerosi casi di massacri di civili. * Operazione "Furia Montana" Sabato scorso, il comando Isaf ha annunciato la conclusione dell'operazione "Medusa". "L'operazione e' stata un successo - ha dichiarato il generale canadese David Fraser - perche' abbiamo eliminato la presenza dei talebani da questi distretti, riportando la sicurezza nella seconda citta' del paese, Kandahar". Due giorni dopo, quattro soldati canadesi sono morti a Kandahar in un attentato suicida. Domenica, il comando Usa - ancora in carico per le operazioni nell'est del paese - ha annunciato l'inizio dell'operazione "Furia Montana", un'altra imponente offensiva militare (3.000 soldati Usa e 4.000 soldati afgani) nelle province meridionali di Khost, Paktia, Paktika e Ghazni: le uniche rimaste finora immuni dalle offensive della Coalizione. Lunedi', il comandante della missione Isaf, il generale britannico David Richards, ha detto che per vincere la guerra contro i talebani ci vorranno altri tre anni, forse cinque. E quanti altri morti? 5. DOCUMENTAZIONE. ALBERTO BURGIO: COSA ASPETTIAMO IN AFGHANISTAN? [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 settembre 2006. Alberto Burgio, docente universitario, saggista, e' uno dei quattro parlamentari che hanno votato contro la prosecuzione della partecipazione italiana alla guerra afgana. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosfiche riprendiamo la seguente scheda: "Nato a Palermo nel 1955, Alberto Burgio si e' laureato in lettere moderne a Pavia e in filosofia a Milano. Dal 1989 al l993 ha svolto la propria attivita', in qualita' di Ricercatore, presso la facolta' di magistero dell'Universita' di Urbino. Dal 1993 e' Professore di Storia della filosofia moderna presso la facolta' di lettere e filosofia dell'Universita' di Bologna. E' membro del Comitato editoriale di 'Studi settecenteschi' e del Comitato di direzione di 'Marxismo oggi'. E' membro del Praesidium della Internationale Gesellschaft fuer dialektische Philosophie - Societas Hegeliana, nell'ambito della quale svolge, dal 1991, le funzioni di segretario generale". Opere di Alberto Burgio: Eguaglianza interesse unanimita'. La politica di Rousseau, Bibliopolis, Napoli 1988; (a cura di, con Gianmario Cazzaniga e Domenico. Losurdo), Massa, folla, individuo, Quattroventi, Urbino, 1992; (con Luciano Casali), Studi sul razzismo italiano, Clueb, Bologna 1996; Tra Montesquieu e Robespierre. Rousseau, la politica e la storia, Guerini e Associati, Milano 1996; L'invenzione delle razze: studi su razzismo e revisionismo storico, Manifestolibri, 1998; (a cura di, con Antonio Santucci), Gramsci e la rivoluzione in Occidente, Editori Riuniti, Roma 1999; Modernita' del conflitto, DeriveApprodi, 1999; Strutture e catastrofi. Kant Hegel Marx, Editori Riuniti, Roma 2001; La guerra delle razze, Manifestolibri, Roma 2001; La forza e il diritto, DeriveApprodi, 2003; Gramsci storico, Laterza, Roma-Bari 2003; Guerra, DeriveApprodi, 2004; (con Manlio Dinucci, Vladimiro Giacche'), Escalation. Anatomia della guerra infinita, DeriveApprodi 2005; Per un lessico critico del contrattualismo moderno, La Scuola di Pitagora, 2006. Ha curato, inoltre, l'edizione di testi di Hegel, Beccaria, Althusser, Eric Weil, Antonio Banfi] Se cercassimo la polemica, diremmo che il governo fa davvero poco per rassicurare il popolo della pace. Ma rifuggiamo da inutili querelles. La situazione e' talmente drammatica che quel che conta - anziche' litigare - e' prendere le giuste decisioni. Le sole coerenti con le valutazioni degli stessi governi. "La situazione e' perfino piu' difficile di quanto ci aspettassimo", ha detto l'altroieri il ministro della difesa britannico Des Browne. Ancor piu' esplicito era stato giorni fa il nostro ministro degli esteri, parlando brutalmente di "fallimento". Se non fosse chiaro, stiamo trattando dell'Afghanistan. Come i lettori del "Manifesto" ricordano, lo scorso luglio la questione del rifinanziamento della missione militare a Kabul fu materia di aspro confronto in seno all'Unione. Alla fine il governo ottenne il via libera non solo perche' pose la fiducia, ma anche perche' assunse solennemente alcuni impegni. Promise che le regole d'ingaggio non sarebbero state modificate, che il contingente italiano non sarebbe stato accresciuto, che i nostri soldati non avrebbero varcato i confini della zona di competenza del Comando regionale Ovest (le province di Herat e di Farah) e che un comitato parlamentare di monitoraggio avrebbe vegliato sulla conformita' dell'azione delle nostre truppe agli scopi pacifici di una missione finalizzata a sostenere la ricostruzione e la "transizione democratica" del paese. Adesso, trascorsi due mesi di notizie sempre piu' allarmanti dall'Afghanistan, occorre tentare un bilancio. Cominciamo proprio dallo stato di cose sul terreno. Quest'estate, mentre la coltivazione del papavero raggiungeva livelli record, corrispondenti al 92% della produzione mondiale dell'eroina, la guerra, dapprima confinata nella regione di Kandahar, e' venuta dilagando verso nord-ovest, coinvolgendo le province di Helmand (sotto il controllo inglese) e di Farah (sotto controllo italiano). Per un puro miracolo l'8 settembre scorso non c'e' scappato il morto in una imboscata a danno dei militari italiani del Comsubin (gli incursori della Marina). Nell'altalena tra attacchi della guerriglia e rappresaglie Isaf si sono succeduti bombardamenti aerei pesanti e massicce offensive di terra contro citta' e villaggi. Le stragi di civili sono all'ordine del giorno. Il comandante della missione, il generale britannico David Richards, ha messo le mani avanti, chiarendo che in una guerra come questa "a volte non e' possibile evitare perdite tra i civili". Molto ragionevole. Speriamo lo spieghi anche ai suoi soldati, che - come ha documentato proprio ieri "Peacereporter" - hanno il vizio di mettere dei fucili accanto ai cadaveri quando si accorgono di avere massacrato gente inerme. In questa situazione, che ne e' delle regole d'ingaggio? Ancora Richards: dato il livello di pericolo, sono ormai "le piu' dure mai stabilite dalla Nato" e tali da consentire "azioni militari preventive". Sono cambiate o no? Del resto, come sarebbe possibile il contrario, se i nostri stessi servizi segreti parlano senza mezzi termini di "irachizzazione" della guerra afgana? E che ne e' del numero dei militari italiani in Isaf? In luglio erano 1.350, adesso sono 1.938. Sono aumentati o no? Conosciamo la risposta: sono pur sempre meno dei 2.400 stanziati in passato dal governo Berlusconi. Giudichi il lettore la qualita' dell'argomento. Quanto alla zona di dislocazione delle truppe, basti considerare che dal 6 agosto le forze italiane sono inserite nel "Comando regionale della capitale", competente sull'87% del territorio afghano. Infine, per quanto concerne il comitato di monitoraggio, presentato come emblema di "discontinuita'", non se n'e' ancora vista l'ombra. Questo e' lo stato dell'arte. Ci chiediamo che cos'altro dovrebbe accadere, a questo punto, perche' finalmente il governo riconosca la necessita' di procedere in Afghanistan come in Iraq, portando via al piu' presto i nostri soldati. Tanto piu' che nel frattempo ci si e' assunti l'impegno dell'interposizione in Libano, alla cui credibilita' certo non giova il fatto che altrove l'Italia continui a far la guerra. Un fatto ad ogni modo e' certo. La discussione sulla missione Isaf deve riaprirsi al piu' presto, anzi subito. Per evitare che sotto l'urgenza delle decisioni le differenze si esasperino, rischiando di impedire il reciproco ascolto. 6. RIFLESSIONE. EMANUELA CEVA: GIUSTIZIA PROCEDURALE E PLURALISMO DEI VALORI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Dal sito della Societa' italiana di filosofia politica (www.sifp.it) riprendiamo il seguente saggio di Emanuela Ceva pubblicato originariamente in M. Ricciardi, C. Del Bo' (a cura di), Pluralismo e liberta' fondamentali, Milano, Giuffre', 2004 (la Societa' italiana di filosofia politica "ringrazia la casa editrice Giuffre' per aver autorizzato la pubblicazione"). Emanuela Ceva, studiosa di filosofia politica (laurea in filosofia presso l'univerista' di pavia, master in filosofia politica presso l'Universita' di York, dottorato (PhD) in teoria politica presso l'Universita' di Manchester) lavora presso l'universita' di Bari; le sue principali aree di interesse accademico sono la teoria e la filosofia politica contemporanea; in particolare, la sua ricerca attuale si concentra sull'idea di pluralismo e sulle teorie della giustizia procedurale; "Piu' precisamente, sto al momento studiando la possibilita' di definire i tratti essenziali caratterizzanti procedure giuste per la gestione di conflitti di valore. Queste dovrebbero essere in grado di affrontare le sfide di convivenza pacifica sollevate dal riconoscimento di una pluralita' di valori e di concezioni del bene all'interno delle comunita' politiche contemporanee". Autrice di vari saggi e contributi a lavori collettanei e convegni, suoi scritti sono disponibili nella rete telematica (in questo ambito collaboro con lo Swif - Sito web italiano per la filosofia, e fa parte della segreteria di redazione del Bollettino telematico di filosofia politica). Tra le opere di Emanuela Ceva: Liberal pluralism and pluralist liberalism, in "Res Publica", vol.11, 2005; "The principle of adversary argument. Justice between substance and procedures", in Mancept Working Papers, Manchester Centre for Political Theory, University of Manchester, 2005; Impure procedural justice and the management of conflicts about values", in Mancept Working Papers, Manchester Centre for Political Theory, University of Manchester, 2005; "Giustizia procedurale e pluralismo dei valori", in Ricciardi, M., Del Bo', C. (a cura di), Pluralismo e liberta' fondamentali, Milano: Giuffre', 2004; Le molte facce del pluralismo. Un approccio procedurale, in "Il Politico", LXIX (1), 2004; Verso una definizione di pluralismo, in "Dissensi. Rivista Italiana di Scienze Sociali", 3, 2003] 5. Modelli di giustizia procedurale Alla luce di tali indicazioni generali, mi sembra interessante scendere nei dettagli di alcuni modelli di giustizia procedurale. A tal fine, mi concentrero' sui tre modelli di proceduralismo presentati da John Rawls in A Theory of Justice. In particolare, cerchero' di introdurre questi modelli evidenziandone i punti forti e le mancanze nella speranza di evidenziare, tramite questo percorso, alcuni spunti di riflessione e possibili linee di ricerca. Come anticipato, Rawls analizza l'idea di giustizia procedurale introducendo la descrizione di tre forme differenti che essa puo' prendere: quelle, cioe', di proceduralismo (i) perfetto, (ii) imperfetto e (iii) puro. (i) Nel caso del proceduralismo perfetto, un criterio per definire il giusto risultato di una conversazione sulla giustizia e' dato precedentemente - e indipendentemente da - la definizione e l'attuazione delle procedure che dovrebbero condurre alla sua individuazione. Ne deriva che le procedure verranno definite per raggiungere quel particolare risultato che e' gia' previsto e ricercato in quanto giusto, e che offre, a ben vedere, una giustificazione per la procedura stessa. Per illustrare questa concezione di giustizia, Rawls costruisce questo esempio: "Un certo numero di uomini deve dividere una torta: assumendo che una divisione in parti uguali e' equa, che tipo di procedura puo' dare questo risultato? Lasciando da parte i particolari tecnici, la soluzione piu' ovvia e' quella di far si' che un uomo divida la torta e prenda l'ultima fetta, lasciando che gli altri la scelgano prima di lui. Egli dividera' in parti eguali la torta, perche' in questo modo puo' garantirsi la parte piu' grande possibile" (17). (ii) Secondo una concezione imperfetta di giustizia procedurale, un criterio indipendente per la definizione del giusto risultato viene ugualmente adottato prima dell'inizio effettivo di ogni interazione, ma non vi sono garanzie che una specifica procedura per il raggiungimento di un simile risultato possa davvero essere costruita. Rawls esemplifica questa concezione di giustizia facendo riferimento al processo penale: "Il risultato desiderato e' che l'accusato sia dichiarato colpevole se e solo se ha commesso il crimine di cui e' accusato. La procedura processuale e' strutturata in modo da ricercare e stabilire la verita' al riguardo. Sembra pero' impossibile concepire norme giuridiche in modo che esse forniscano sempre un risultato corretto" (18). (iii) All'interno di una concezione di giustizia procedurale pura (19), invece, non ci sono ne' limiti sostantivi, ne' un criterio indipendente per definire a priori la sostanza di un risultato giusto, in vista del quale la procedura possa essere elaborata. In realta', le procedure devono essere effettivamente applicate e portate avanti prima che un qualsiasi tratto della sostanza dell'esito sia individuabile. Una simile concezione di giustizia procedurale pura viene illustrata da Rawls tramite il riferimento al gioco d'azzardo: "Se un certo numero di persone fanno una serie di scommesse eque, la distribuzione del denaro dopo l'ultima scommessa risulta equa, o almeno non iniqua, qualunque essa sia" (20). Tali definizioni possono essere raggruppate in due famiglie distinte sulla base delle differenti strategie offerte per la definizione e la giustificazione delle procedure di giustizia. Da un lato, (a) possiamo porre le concezioni di giustizia procedurale (i) perfetta e (ii) imperfetta quali componenti della stessa famiglia di teorie per la quale le procedure di giustizia vengono definite e fondate alla luce di un risultato desiderato che viene previsto e sostenuto prima della definizione delle procedure e indipendentemente da esse. Dall'altro lato, (b) possiamo porre, invece, (iii) il proceduralismo puro, per il quale l'unico criterio di definizione di un esito giusto e' la corretta applicazione di una procedura di giustizia, definita indipendemente dal riferimento alla sostanza di un esito desiderabile. Possiamo, alla luce di queste considerazioni preliminari, procedere nel vedere quali sono le caratteristiche essenziali di queste concezioni di proceduralismo. Da un lato, (i) e (ii) offrono un contesto di discussione stabile e ben strutturato, suggerendo principi sostantivi di giustizia l'impegno nei confronti dei quali puo' motivare i soggetti a adottare le procedure definite per il raggiungimento del risultato desiderato e conformarsi alle loro regole. Dall'altro lato, invece, le concezioni di proceduralismo perfetto e imperfetto sembrano troppo rigide nelle loro assunzioni sulla sostanza del risultato finale e non lasciano alcuno spazio aperto per ulteriori modifiche, o ridiscussioni relative agli specifici contesti dove ha concretamente luogo l'interazione e alle differenti istanze che possono emergere durante l'applicazione delle procedure. Questi due casi di proceduralismo sembrano essere in realta' due casi di giustizia sostantiva (secondo la definizione suggerita in precedenza). La discussione procedurale stessa risulta essere notevolmente impoverita nel suo ruolo all'interno della teoria: la definizione a priori della sostanza del risultato finale rende l'interazione tra i differenti soggetti su differenti istanze incapace di influenzarne attivamente la definizione. Il proceduralismo puro (iii) suggerisce, invece, un modello di giustizia molto aperto che sembra essere in grado di accomodare numerose posizioni differenti, data l'assenza di limitazioni sostantive precedenti all'applicazione delle procedure di interazione circa l'accettabilita' del risultato finale della stessa. Di conseguenza, le procedure riacquistano qui la propria funzione centrale nell'effettiva definizione della sostanza del risultato dell'interazione. Sfortunatamente, una simile apertura non e' solo la forza maggiore di un simile modello di proceduralismo, ma anche il suo limite piu' grande. La definizione che Rawls da' del proceduralismo puro nella situazione del gioco d'azzardo e' intenzionalmente molto vaga. Seguendo alla lettera le indicazioni che ci vengono date da Rawls in questo contesto, siamo portati a pensare che una qualsiasi procedura riconosciuta come giusta (qualunque formulazione essa abbia) conduca a risultati giusti, qualunque essi siano. Una simile caratterizzazione e' senza dubbio efficace nel catturare uno degli aspetti essenziali di una teoria della giustizia procedurale che voglia prendere le distanze da un impegno sostantivo nei confronti della definizione di un esito giusto. Ma una caratterizzazione di questo genere - se, ripeto, presa alla lettera - appare anche essere altamente discutibile. Nell'esempio proposto, Rawls usa due volte l'attributo "equo" per caratterizzare il tipo di procedure che devono regolare le scommesse senza spiegare cosa un simile attributo implichi o richieda. Seguendo questo ragionamento, Rawls avrebbe potuto usare al posto di equo l'aggettivo blu e la sua descrizione sarebbe stata egualmente corretta (21). Questo e' essenzialmente dovuto al fatto che la definizione dell'attributo in se' sembra non essere importante per cio' che Rawls vuole argomentare qui. Rawls pone l'accento sull'idea-chiave per cui, all'interno di un modello di proceduralismo puro, e' la procedura a trasferire le proprie qualita', qualunque esse siano, al risultato che originera' da essa. Dunque, se (e sottolineo se) la teoria definira' procedure eque (o giuste), il risultato a cui condurranno sara' equo (o giusto) indipendentemente dal suo contenuto. Una simile caratterizzazione sembra suggerire che il modo in cui la procedura viene definita e' del tutto contingente rispetto al contesto di giustizia preso in esame. Portando questo ragionamento alle sue conseguenze piu' estreme, sembra che la teoria qui abbia un ruolo assai debole, in quanto i soggetti sono lasciati senza alcuna indicazione generale su cio' che e' giusto, sia da un punto di vista procedurale, sia da un punto di vista sostantivo. Per ritornare all'esempio proposto da Rawls, sembrerebbe che agli scommettitori non venga dato nessun principio per definire che cosa sia una giusta procedura fuori dal particolare contesto in cui sono inseriti; una giusta procedura potrebbe essere una procedura che massimizza il guadagno personale, o che minimizza le perdite collettive, o un qualsiasi altro criterio che gli agenti vogliano adottare. Cio' che essi sanno e' che qualsiasi procedura verra' adottata in quanto giusta, condurra' a risultati giusti una volta messa in pratica. Un simile approccio sembra essere troppo vago in quanto lascia troppi elementi (tra cui la giustificazione della procedura stessa) alla valutazione contingente dei singoli casi. Una simile caratterizzazione del proceduralismo puro sembra essere, tuttavia, la sola capace di catturare l'essenza della purezza delle procedure, nell'assenza di un criterio esterno ad esse, normativamante fissato, sia per la definizione dell'esito giusto, sia per l'elaborazione della procedura. Ma a questo punto sembra essere legittimo chiedersi se una simile definizione di proceduralismo sia soddisfacente e se, di riflesso, sia proprio la definizione che Rawls ci voleva suggerire. Per quanto riguarda la prima questione, ponendo l'accento sull'assenza di un criterio indipendente per la definizione di un esito giusto, il proceduralismo puro sembra far passare sotto silenzio il ruolo del riferimento a un criterio di giustizia indipendente per la definizione di una procedura giusta. Ma da una simile prospettiva non esistono, a mio modo di vedere, procedure pure. Cio' che vorrei suggerire qui e' la necessita' di fare riferimento ad un criterio di giustizia esterno alla procedura, espresso in termini valoriali, che la fondi e la definisca come giusta. Una procedura priva di riferimento a un criterio di giustizia esterno sarebbe lasciata aperta alle contingenze: qualsiasi procedura fosse riconosciuta come giusta in un dato contesto, sarebbe allora in grado di produrre risultati giusti. In questo modo il ruolo normativo della teoria risulterebbe drasticamente impoverito alla luce dello spazio che sembrerebbe venire accordato, invece, alle contingenze. Di qui la necessita' per una teoria della giustizia procedurale di mantenere la sua purezza rispetto all'assenza di un criterio indipendente per la definizione di un esito giusto, insieme pero' all'impegno nei confronti di un criterio indipendente, che venga normativamente fissato dalla teoria, per la definizione di una procedura giusta. A ben vedere, credo che questo fosse cio' che lo stesso Rawls aveva in mente nella sua caratterizzazione del proceduralismo puro. Cio' e' sicuramente visibile nella definizione normativa della sua proposta di giustizia come equita' (al di la' del fatto che poi Rawls abbia piu' o meno avuto successo nell'elaborazione della sua definizione di giustizia procedurale); cosi' come appare essere evidente nell'esempio del gioco d'azzardo, che sembra funzionare solo se pensiamo vi sia una definizione di scommessa equa (possibilmente nei termini di scelta razionale), indipendente dalla procedura, e alla luce della quale la procedura stessa viene definita. Ma se accettiamo la necessita' della presenza di un criterio esterno alla procedura per la definizione della procedura stessa, la caratterizzazione di una teoria della giustizia procedurale come pura appare essere inesatta e fuorviante. Non esistono procedure di giustizia pure, o almeno non del tutto pure. Se sono pure in relazione alla definizione dell'esito di giustizia (differenziandosi cosi' dal proceduralismo perfetto e imperfetto), esse non lo possono essere quanto alla loro definizione, che sempre fa riferimento a un qualche valore esterno alla procedura che ne qualifica la giustizia (sia esso espresso nei termini di equita', di una qualche forma di eguaglianza, imparzialita', o mutuo vantaggio). Solo in questi termini la teoria puo' mantenere il proprio impegno normativo nella definizione di linee guida per la formulazione di procedure di giustizia sottratte all'influenza delle contingenze. Ora, potremmo sicuramente continuare a chiamare "pura" una simile categoria di giustizia procedurale, facendo attenzione a specificare l'estensione limitata di una simile purezza, ma questo sarebbe inutilmente fuorviante e creerebbe confusione interpretativa. Suggerisco, allora, di abbandonare una simile terminologia e utilizzarne una nuova, piu' precisa. In altre parole, vorrei suggerire qui la necessita' di concentrare gli sforzi di ricerca nella direzione di un'integrazione del modello rawlsiano, ridefinendo la caratterizzazione del proceduralismo puro in termini che rispecchino maggiormente questo impegno normativo. Anche se questo saggio non ha la presunzione di spingersi cosi' lontano nella definizione di un modello cogente di proceduralismo, vorrei proporre, in conclusione, alcune indicazioni promettenti che vanno in questa direzione. Suggerisco, allora, di abbandonare la dicitura di proceduralismo puro, per sostituirla con la piu' appropriata definizione di proceduralismo impuro, che e' cio' che si avvicina di piu' all'idea di purezza che credo lo stesso Rawls avesse in mente. Se si rimane fedeli alla purezza della procedura quanto all'assenza di assunzioni sulla sostanza del risultato finale, questo non impedisce di fare riferimento, invece, a un valore fondamentale (ed inclusivo) sulla base del quale dare una definizione trans-contestuale (e tendente all'universalita') di cosa rende una procedura giusta, al di la' degli esiti contingenti ai quali la sua applicazione condurra'. La definizione di proceduralismo impuro permette cosi' di sottrarsi all'ambiguita' linguistica legata all'uso dell'attributo "puro", sottolineando esplicitamente il carattere combinato di una teoria della giustizia procedurale di questo genere; una teoria che e' impura perche' offre un criterio di giustizia indipendente dalla, ed esterno alla, procedura, pur mantenendosi fedele all'assenza di una determinazione della sostanza dell'esito finale precedente all'applicazione della procedura stessa. Secondo questa versione di proceduralismo, nessun criterio indipendente viene suggerito per individuare cosa sia un risultato giusto prima della definizione e applicazione della procedura di giustizia, ma alcune assunzioni di base (espresse per mezzo di un criterio di giustizia valoriale) vengono elaborate per definire in che cosa consista una procedura giusta. Cio' che distingue, allora, il proceduralismo impuro da quello perfetto/imperfetto e' il fatto che questo valore esterno alla procedura non definisce la sostanza dell'esito giusto (lasciandola sempre aperta all'applicazione della procedura stessa), ma la procedura, in modo trans-contestuale (22). * 6. Conclusione Non e' mia intenzione entrare qui nei dettagli di una simile proposta, offrendo una particolare formulazione di simili assunzioni valoriali. L'intento principale di questo saggio e' stato quello di offrire alcune considerazione introduttive sulle problematiche che il riconoscimento della pluralita' dei valori puo' portare per l'elaborazione di una teoria della giustizia che voglia essere, nel contempo, sufficientemente strutturata ed altamente inclusiva di fronte all'eterogeneita' che caratterizza le comunita' politiche contemporanee. A questo fine, ho cercato di proporre una definizione essenziale di pluralismo (come riconoscimento della presenza di differenti soggetti portatori di valori e concezioni del bene differenti) e di mostrare in quale senso esso possa rappresentare una circostanza di giustizia significativa. Sulla base di queste considerazioni (dopo aver illustrato i possibili problemi connessi alla formulazione di teorie della giustizia sostantive) ho preso in esame differenti modelli di proceduralismo, seguendo la classificazione rawlsiana di teorie della giustizia procedurali perfette, imperfette e pure. Dopo aver suggerito i possibili problemi legati a tali modelli, ho evidenziato la necessita' di integrare la classificazione rawlsiana con una nuova formulazione della terza categoria di proceduralismo, abbandonando la strada del proceduralismo puro per abbracciare una definizione impura di proceduralismo. In altre parole, il nuovo modello puo' essere posto a integrazione della seconda famiglia di teorie dalla giustizia procedurali, in sostituzione del proceduralismo puro (che ho cercato di mostrare essere fonte di fraintendimenti e vaghezza argomentativa), in virtu' del comune rifiuto ad adottare assunzioni sostantive circa la definizione (indipendente dall'applicazione della procedura) di un risultato giusto. Il proceduralismo impuro, pur astenendosi dal porre vincoli sostantivi sulle caratteristiche del risultato finale, chiede alla teoria di fissare una definizione di procedura giusta, in virtu' del riferimento normativo a un criterio di giustizia esterno alla procedura, che possa essere posta, al di la' delle differenti realta' contestuali, alla base di diversi discorsi di giustizia. Una simile caratterizzazione fa del proceduralismo impuro una teoria che e' piu' sottile (thin) ed aperta ai vari contesti e problematiche considerate rispetto ai modelli di proceduralismo perfetto e imperfetto; ma comunque ben strutturata, poiche', come abbiamo visto, anche se nessuna assunzione sostantiva viene posta dalla teoria sull'accettabilita' dell'esito di un discorso sulla giustizia, alcune assunzioni di base devono venire comunque normativamente fissate dalla teoria prima dell'applicazione della procedura di giustizia, come suo sostegno e fondamento. E' proprio verso l'individuazione e la giustificazione di simili assunzioni, espresse nei termini valoriali di un criterio di giustizia, che, credo, gli sforzi vanno orientati al fine di elaborare una teoria della giustizia procedurale che sia sensibile al pluralismo radicale dei valori e alle esigenze di stabilita' e inclusione che esso porta con se'. * Riferimenti bibliografici - Archard, D. 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Dieci lezioni sull'idea di giustizia, Milano, Feltrinelli, 2002. * Note 17. Rawls, Una teoria della giustizia cit., p. 85. 18. Rawls, op. cit., p. 85. 19. Per ragioni di semplificazione espositiva e argomentativa, prendero' qui in considerazione, come caso di giustizia procedurale pura, solamente l'esempio del gioco d'azzardo proposto da Rawls. In realta', Rawls porta avanti l'argomento suggerendo che la procedura di giustizia da lui proposta (la cui pietra miliare e' l'idea di posizione originaria) puo' essere considerata come un esempio di proceduralismo puro. In questo saggio, il mio interesse principale non e' quello di stabilire se la posizione originaria possa davvero essere considerata come il fondamento di una procedura pura di giustizia, come Rawls sembra invece voler sostenere. Basti qui suggerire che la proposta rawlsiana sembra piu' propriamente rappresentare un caso di giustizia procedurale perfetta, poiche' la sua elaborazione appare essere di fatto uno strumento per giustificare a posteriori i due principi sostantivi di giustizia che sono proposti e sostenuti dalla teoria nel suo insieme (vedi Veca, La bellezza e gli oppressi cit., pp. 55-57). Ma, come gia' accennato, non e' interesse di questo contributo l'entrare nei dettagli di una simile questione. 20. Rawls, Una teoria della giustizia cit., p. 86. 21. Ringrazio Hillel Steiner per i suoi commenti su questo punto. 22. Per un'esposizione maggiormente dettagliata delle caratteristiche di questo modello impuro di proceduralismo vedi Ceva, Le molte facce del pluralismo. Un approccio procedurale cit. (Parte seconda - Fine) 7. RILETTURE. ADRIANA CAVARERO: NONOSTANTE PLATONE Adriana Cavarero, Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica, Editori Riuniti, Roma 1990, 1991, pp. VI + 136, lire 22.000. Penelope, la servetta di Tracia, Demetra, Diotima, nella lettura acuta e appassionata di una profonda pensatrice. 8. RILETTURE. LUCE IRIGARAY: SPECULUM Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, 1989, pp. 352, lire 19.000. Un libro che segno' un punto di svolta. 9. RILETTURE. JULIA KRISTEVA: SOLE NERO Julia Kristeva, Sole nero. Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano 1988, 1989, pp. 216, lire 30.000. Dinanzi al dolore piu' oscuro, una ricognizione che si avvale dei molteplici strumenti di cui l'autrice dispone. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1428 del 24 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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