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La nonviolenza e' in cammino. 1417
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1417
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 13 Sep 2006 02:55:17 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1417 del 13 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Cindy Sheehan: Falsita' 2. Danilo Dolci: E' stato ripetuto giustamente 3. L'esperienza di "Parents' Circle - Families Forum" 4. Ida Dominijanni: Cinque anni dopo 5. Augusto Cavadi: Riflessioni sul sacro 6. Riletture: Quentin Bell, Virginia Woolf 7. Riletture: Simone Petrement, La vita di Simone Weil 8. Riletture: Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE: CINDY SHEEHAN: FALSITA' [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] "Non te ne e' mai fregato nulla di tuo figlio, e sei una falsa!", mi ha urlato l'uomo irato (e probabilmente alticcio) mentre seguiva me, la mia figlia ventenne e due sue amiche fuori dal negozio in cui avevamo fatto la spesa, nella nostra ex citta' di residenza, Vacaville in California. Mesi e mesi di attivismo, e la vita in genere, mi hanno insegnato qualche lezione: una delle quali e' "non metterti mai a discutere con una persona ubriaca". Questa e' una lezione appresa dalla vita. Il mio attivismo me ne ha insegnata qualche altra, che ho dovuto apprendere nel modo piu' duro. Da quando la guerra del terrore di Bush e compagnia si e' presa la vita del mio figlio maggiore, una delle principali cose che ho imparato e' che non si deve neppure mai mettersi a discutere con qualcuno che e' ancora cosi' cieco, o cosi' ingenuo, da credere al "vangelo secondo George Bush", per il quale Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa o era legato ad al-Qaida. Quei pochi nostri compatrioti che ancora sostengono George e gli altri menzogneri neoconservatori dovrebbero essere commiserati e raccomandati al loro dio, non ci si puo' discutere perche', credetemi, e' una situazione in cui tutti perdono, e sempre. Mi sarebbe piaciuto discutere in modo razionale con il Signor Ubriaco Repubblicano (in vino veritas) quando ha urlato a me ed alle ragazze che io non mi sono mai curata di mio figlio. Come puo' qualcuno, persino un sostenitore di Bush, credere che a una madre non importi nulla dei suoi figli? Ha quell'uomo brillo, con sua madre, la stessa relazione che apparentemente George ha con la propria? Pensa veramente che non me freghi nulla di Casey, e che io non pianga il suo inutile omicidio ad ogni momento del giorno? Ma quest'uomo aveva due problemi: l'ubriachezza e l'ingenuita' sufficiente per credere ancora alle mostruose bugie di Bush. Avrei voluto potergli mostrare l'articolo del "Washington Post" che riportava le nuove dichiarazioni del Senato sull'intenzionalmente fallimentare attivita' di spionaggio usata per giustificare l'invasione dell'Iraq, quando ha dato della "falsa" a me. Quando il "portabugie" del presidente, Tony Snow, e' stato interrogato a proposito del rapporto del Senato, si e' limitato a dichiarare che era "roba vecchia" ed ha aggiunto che se c'e' della gente che "vuole di nuovo discutere questa causa, e adire le vie legali, lo faccia pure". La dichiarazione di Snow e' un'altra falsita': quando mai il rapporto del Senato sull'intelligence e' stato discusso per la prima volta? La porzione di questo documento che e' appena stata resa pubblica e' stata tenuta segreta per due anni, cosi' da non uscire prima della debacle presidenziale del 2004. Vorrei proprio che le vie legali fossero adite, proprio ora. Mi riterrei contenta se solo i membri del regime Bush venissero accusati formalmente e portati in tribunale a rispondere del modo in cui hanno fraudolentemente condotto il nostro paese in una guerra immorale ed illegale, basata sulle menzogne e sulle mistificazioni. Vorrei finalmente avere giustizia per l'assassinio di mio figlio e le innumerevoli morti di decine di migliaia di innocenti, che potrebbero essere vivi se la nostra amministrazione non fosse bugiarda. Non troppo tempo fa, George Bush ha mentito ancora, quando ha detto di non aver mai fatto collegamenti fra Saddam Hussein e Osama bin Laden. Con quante altre menzogne devono ingozzarci, prima che noi, la gente, si provi nausea e si esca dalle nostre zone confortevoli per chiedere responsabilita' e conseguente azione? Le ragazze ed io siamo infine riuscite a liberarci dall'ignorante urlatore nel parcheggio, ma nessuno ci liberera' mai dal fatto che Casey non e' piu' vivo e non tornera' a casa, mai piu'. Non saremo mai capaci di far diventare la sua morte "roba vecchia", perche' e' stato ucciso dalle bugie e dal complice silenzio di molti. Bush e compagnia hanno ferito molti membri della famiglia di Casey, molti suoi amici, ma per quante persone dobbiamo moltiplicare questa sofferenza? La scia di dolore lasciata da Bush e compagnia e' terribilmente tagliente, e neppure misurabile. Per favore, unite le vostre voci a quelle che si stanno alzando a Washington, a Camp Democracy, nel chiedere responsabilita' ed azione. Non aspettate sino a che il militarismo strisciante ed il fascismo in boccio dello "stato-Bush" verranno a bussare alla vostra porta, per portar via qualcuno che amate. Accadra', a meno che noi non ci si alzi e si dica "no", con le nostre voci piu' alte e persistenti. Non e' "roba vecchia" per me, signor Tony Snow, lo so che le sue bugie sono profondamente personali. 2. MAESTRI. DANILO DOLCI: E' STATO RIPETUTO GIUSTAMENTE [Da Danilo Dolci, La struttura maieutica e l'evolverci, La nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1996, p. 184. Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004. Tra i vari siti che contengono molti utili materiali di e su Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.net, www.danilodolci.toscana.it, danilo1970.interfree.it, www.nonviolenti.org] E' stato ripetuto giustamente: "Possiamo aiutare un albero a crescere nutrendone le radici, non tirandone i rami". 3. ESPERIENZE. L'ESPERIENZA DI "PARENTS' CIRCLE - FAMILIES FORUM" [Dal sito di "Una citta'" (www.unacitta.it) riprendiamo il seguente testo, estratto dall'introduzione del libro Per mano. Per mano dell'altro, per mano con l'altro. Una raccolta di interviste a israeliani e palestinesi che hanno avuto un familiare ucciso e che militano insieme nell'associazione pacifista Parents' Circle - Families Forum, edito dalla casa editrice Una citta' di Forli'] I Parents' Circle, oggi Families Forum, si definiscono "un gruppo di famiglie in lutto che sostengono la pace, la riconciliazione e la tolleranza". Il fondatore, Yitzhak Frankenthal, e' nato nel 1951 a Bnei Brak, Tel Aviv, in una famiglia ortodossa. Il 7 luglio 1994 il corpo di suo figlio Arik, 19 anni, venne rinvenuto in un villaggio vicino a Ramallah, crivellato di proiettili e ferite da accoltellamento. Arik, soldato dell'esercito israeliano ed ebreo ortodosso, stava andando a casa in congedo quando venne rapito e assassinato da alcuni membri di Hamas. Arik aveva 19 anni. Stava tornando a casa dalla base militare, prese un taxi, dentro c'erano tre palestinesi, ma lui non li aveva riconosciuti perche' erano vestiti da ebrei ortodossi e stavano ascoltando musica israeliana. Appena entrato in auto gli dissero che erano di Hamas, inizio' una colluttazione, l'autista fu colpito alla gamba, ma Arik fu colpito alla testa e quella fu la sua fine. * Quello stesso anno Frankenthal abbandono' il lavoro e fondo' i Parents' Circle, di cui e' stato presidente fino al 2004. Allora vivevo in un paesino non lontano dall'aeroporto Ben Gurion, un villaggio ortodosso. Iniziai a parlare coi miei amici circa la mia intenzione di iniziare a impegnarmi per una riconciliazione tra i due popoli. A un tratto mi ritrovai senza amici. Non riuscivano a capacitarsi che io volessi mettermi a lavorare per la pace e la riconciliazione con chi aveva ucciso mio figlio. Il mio primo passo fu una lettera inviata al primo ministro Yitzhak Rabin, a Shimon Peres e a Ehud Barak: li incoraggiavo a continuare a cercare una soluzione pacifica a questo conflitto. Rabin venne a trovarci a casa, diventammo amici. In Israele la gente era sotto una forte pressione. Da un lato il governo di Yitzhak Rabin e Shimon Peres pareva fortemente impegnato nel processo di pace avviato a Oslo. Dall'altro tv e giornali sbattevano in prima pagina immagini di terrore, disperazione e morte. Tutti ricordavano le parole di Yitzhak Rabin alla Casa Bianca quello storico 13 settembre 1993, quando avvenne il primo incontro pubblico, aperto e ufficiale, con i leader palestinesi: "Permettetemi di dirvi, palestinesi: noi siamo destinati a vivere assieme, sulla stessa terra. Noi, soldati tornati dalla battaglia macchiati di sangue, che abbiamo visto parenti e amici uccisi sotto i nostri occhi, che abbiamo presenziato ai loro funerali senza poter guardare negli occhi i loro genitori, noi che veniamo da un paese dove i genitori seppelliscono i figli, che abbiamo combattuto contro di voi, palestinesi. Noi oggi vi diciamo con parole chiare e a voce alta: basta sangue e lacrime. Basta". Non tutti pero' condivisero le successive considerazioni di Rabin. "Non aneliamo alla vendetta. Non vi portiamo rancore. Noi, come voi, vogliamo solo poter costruire la nostra casa, piantare un albero, amare, vivere accanto a voi, in dignita', con empatia, come esseri umani, come uomini liberi. Oggi stiamo dando una possibilita' alla pace e vi ripetiamo: preghiamo assieme che venga presto il giorno in cui tutti diremo ora basta, addio alle armi". L'Associazione per le vittime del terrorismo (Tva) era uno degli oppositori piu' strenui al processo avviato da Rabin. Ogni qualvolta c'era un attentato, l'associazione era la', all'entrata dell'ufficio del primo ministro, a esprimere la propria rabbia e disperazione con appelli alla vendetta e alla violenza contro i palestinesi. Anche il 7 luglio del 1994 erano la'. Il brutale assassinio di Arik, un giovane soldato con un profilo cosi' affine a quello dei coloni, certamente incoraggio' l'associazione ad alzare la propria voce. Tuttavia quel giorno qualcosa accadde, qualcosa di rivoluzionario. Il padre di Arik, anch'egli ebreo ortodosso, affronto' il gruppo dicendo: "Voi non rappresentate ne' me ne' la mia famiglia. Il mio giudaismo non ha nulla a che fare con vendetta e odio". Io sono un ebreo religioso, ortodosso, come si dice. Ma per me giudaismo significa pace, non occupazione. Dal mio punto di vista l'occupazione e' una forma di terrorismo. Tenere milioni di palestinesi senza uno Stato, senza un'economia, con l'80% di disoccupazione, senza permettere loro di muoversi liberamente... Se non e' terrorismo questo... e la reazione sono i kamikaze. Ma li abbiamo spinti noi nell'angolo, noi li abbiamo portati alla disperazione. * Questa voce inedita venne presto seguita da altre famiglie in lutto. Il Forum era accanto a Rabin, Peres e Arafat quando a questi ultimi venne conferito il premio Nobel. Era stato Rabin a invitarmi a seguirlo a Oslo. Proprio allora c'era stata una forte protesta da parte delle famiglie in lutto che gli chiedevano di interrompere ogni dialogo con i palestinesi. Quello stesso giorno mi recai da lui e gli dissi che quella gente non parlava a mio nome. "Mi faccia avere la lista delle famiglie colpite da un lutto a causa di questo conflitto e le trovero' un gruppo di almeno quindici, venti persone che la pensano come me, che vi sosterranno". Lui sorrise ed espresse delle perplessita' sul numero di persone che sarei riuscito a mettere assieme. Io pero' ribadii che ero sicuro di trovarne molte, "almeno quindici, venti". Rispose che era impossibile. In realta' non potei ottenere la lista di queste famiglie, per via della legge sulla privacy. Andai allora in un'emeroteca e mi misi a guardare tutti i giornali dal 1977, anno in cui Begin era diventato primo ministro, fino al 1995, diciotto anni. Individuai 422 famiglie israeliane colpite da un lutto. Mandai una lettera a 350 di loro in cui facevo una precisa richiesta. "So bene che tanti di voi pensano che non c'e' con chi fare la pace e che mi considerano naif perche' io invece penso che si possa fare la pace con i palestinesi. So anche che la maggior parte di voi non e' d'accordo con me, pero' ho ricevuto parecchie telefonate di genitori in lutto che mi hanno chiesto: perche' non ci organizziamo? Per questo motivo vi indirizzo questa lettera. Mi scuso in anticipo se qualcuno di voi si offendera' per queste righe e spero che nessuno pensi che lo faccia per qualche scopo non dichiarato. Lo faccio solo per il bene del popolo israeliano e perche' i nostri figli possano vivere in questo paese in pace e in sicurezza. Non sono un uomo politico, non sostengo nessun partito... Sono un uomo che ha perso la cosa piu' cara che aveva e vorrei proteggere altre famiglie da una simile tragedia. Vi chiedo di prendere parte a questo gruppo di famiglie in lutto che sostengono la pace e la necessita' di dare ai palestinesi il diritto a vivere nel loro Stato, nella sicurezza di Israele". Un centinaio di lettere torno' indietro perche' l'indirizzo non era corretto, ma duecentocinquanta persone avevano ricevuto la mia lettera. Mi arrivarono due risposte molto brutte, che mi davano del pazzo, a dir poco, ma quarantaquattro risposero positivamente e con questi creammo un gruppo. Al primo incontro dissi loro che volevo provare a contattare anche qualche famiglia palestinese che fosse ugualmente decisa a lottare per la pace e la riconciliazione insieme a noi. Il primo incontro con una famiglia palestinese me lo ricordo ancora. Fu difficilissimo. Proprio sul piano emotivo. Quei genitori avevano perduto la figlioletta di soli tre mesi. Era stata uccisa dagli israeliani, certo non intenzionalmente, e tuttavia era morta a causa dell'occupazione. Uscii da quell'appartamento in lacrime: una bambina di tre mesi. Arik aveva 19 anni, almeno lui aveva vissuto. Quella bambina era stata al mondo tre mesi... * Frankenthal era accanto a Rabin anche la tragica notte dell'assassinio. Il 5 novembre 1995, durante le manifestazioni tenutesi a Tel Aviv, io parlai pubblicamente. Dieci minuti dopo Rabin venne assassinato. Finito il mio discorso, lui era venuto ad abbracciarmi e baciarmi e sua moglie aveva detto alla mia: "Guarda quanto si vogliono bene i due Yitzhak". * Yitzhak Frankenthal scrivera' una seconda lettera nel 2000, dopo la morte del piu' giovane dei figli dell'amico Roni Hirshenson, indirizzata agli abitanti di Netzarim. Una lettera aperta, durissima, nella quale censurava in termini gravi e amari la pervicacia con cui stavano abbarbicati al loro insediamento, situato nel cuore stesso di Gaza. "Agli abitanti di Netzarim. Stamattina alle otto ho ricevuto una telefonata dal mio caro amico e collega Roni Hirshenson che mi ha informato che suo figlio Elad si e' suicidato. Ha lasciato una lettera in cui ha scritto che non poteva continuare a vivere dopo la morte del suo migliore amico David, ucciso a Netzarim... Roni e Miri, i genitori di Elad, avevano gia' seppellito un figlio, Amir, ucciso nell'attentato di Beit Lid, nel gennaio del 1995 e ora ne stanno seppellendo un altro. Scrivo questa lettera dal profondo del cuore, scosso da una sorta di furia, e la mia anima trema al rumore dei sacchi di sabbia che verranno vuotati sulla sua bara. Guardate cos'e' accaduto alla nostra gente e al nostro paese a causa della mancanza di pace... Ogni individuo sano di mente sa che Netzarim sara' uno degli insediamenti che andranno evacuati non appena tra noi e i palestinesi verra' raggiunta la pace... In nome della divina misericordia, perche' mai volete continuare ad abitare questo luogo maledetto, al quale tante vite umane sono gia' state sacrificate? Dove sta l'amore che avete per i vostri figli, se poi mettete a rischio le loro esistenze? Avete ridotto il vostro messianismo alla difesa di un insediamento che niente ha a che fare con la sicurezza di Israele. Non ho bisogno della vostra compassione, voglio la vostra comprensione. Voglio che capiate che con le vostre azioni state provocando un numero infinito di tragedie per la gente di Israele. Non crederete davvero di star aiutando la sicurezza di Tel Aviv. I cittadini di Tel Aviv non hanno bisogno della vostra protezione. Hanno piuttosto bisogno di essere protetti da voi. Davvero pensate che Israele possa avere la sicurezza senza la pace, che ci potra' essere la pace senza compromessi dolorosi per ambedue le parti? Al posto dei palestinesi forse non avremmo compiuto gli stessi attentati per avere un nostro Stato? Perche' i palestinesi dovrebbero essere differenti? Di nuovo, per favore, non datemi del disfattista. Ho combattuto per la pace, assieme a Roni, per molti anni, proprio per evitare altre inutili e tragiche morti. Per noi la terra di Israele e' importante e amata. Ma puo' la terra essere piu' importante di un essere umano? Cosa vi fa credere che questo dannato buco dimenticato da tutti - Netzarim - che gia' tante vite e' costato, valga la vita dei figli che stiamo mandando al macello?". La lettera proseguiva citando le parole della madre di Amir e Elad. "Si e' mai vista una madre seppellire non uno, ma due dei suoi figli? Li ho messi al mondo per dargli la vita. Li ho mandati a combattere nei loro anni migliori e mi sono tornati morti. Giusto una settimana fa gli avevo comperato un paio di scarpe. Non ha nemmeno fatto in tempo ad indossarle. Io sono una madre che si prende cura dei suoi figli... Con che cuore ora lo lascio qui? Avevo cinque figli. Me ne sono rimasti tre. Come faro' a rientrare nella mia casa mentre Amir e Elad sono qui sul Monte Hertzel? A quale tomba faro' visita per prima? Perche' continuare a vivere? Non ne ho piu' la forza. Chi mai avrebbe potuto immaginare che a me sarebbe toccato due volte. Grazie a voi, coloni di Netzarim, una linea rossa e' stata tracciata dal vostro insediamento al monte Hertzel. Ho cresciuto i miei figli perche' contribuissero alla crescita e alla sicurezza del Paese e cosa ho avuto indietro? Due bare, due tombe ed entrambi avevano solo 19 anni, nessuno dei due e' arrivato a 20. Non avro' piu' le loro maglie da stirare, i loro letti da rifare. Solo due stanze vuote". Yitzhak Frankenthal concludeva con un ultimo accorato appello: "Prima di lasciare il cimitero, il caro Roni mi ha chiesto di scrivervi una lettera. Spero di essere riuscito, almeno in parte, a trasmettervi il dolore per la perdita dei nostri figli. Vi prego, per favore, prendete le vostre cose e tornate in Israele". * I processi di riconciliazione sono spesso legati agli scenari post-bellici, tuttavia solo questo permette che entrambi i contendenti cambino in qualche modo la loro visione dell'altro, creando quella fiducia, che rappresenta il prerequisito di qualsiasi processo di pace che voglia ottenere il sostegno di entrambe le societa'. Cosa significa riconciliazione? Per me vuol dire voltare pagina, essere pronti a dire: "Mi dispiace", e offrire una compensazione, un risarcimento. E soprattutto essere pronti, ciascuno dentro di se', a fare la pace, e anche a riconoscere che abbiamo sbagliato. Entrambi. Un mese prima che morisse, durante una discussione, Arik mi disse che se fosse stato un palestinese avrebbe ucciso i soldati israeliani, per ottenere uno Stato, come noi avevamo fatto con gli inglesi. L'empatia verso il dolore provato anche dal "nemico" per la perdita dei propri cari e' un passaggio chiave nel processo di riconciliazione. Solo il sentire assieme, la condivisione, puo' provocare quella "scossa emotiva" (cosi' l'ha definita Aaron Barnea) necessaria per impegnarsi a rivedere le proprie credenze e stereotipi. Consapevoli che "i nostri membri hanno tutti gia' pagato un prezzo molto alto" e che la linea di separazione non passa tra le due nazioni, ma tra chi persegue una pace giusta e chi no, i membri del Families Forum, che conta ormai un gruppo di 500 famiglie israeliane e palestinesi, non intendono limitarsi a offrire una pura testimonianza, per quanto esemplare, di dialogo improntato alla riconciliazione. L'associazione persegue i propri obiettivi attraverso iniziative concrete, tra cui, principalmente, gli incontri pubblici e nelle scuole, dove si cerca di dare un'idea meno semplificata del conflitto, e di aumentare la consapevolezza del prezzo pagato da entrambe le parti, anche attraverso la condivisione delle proprie storie e dei propri sentimenti. 4. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: CINQUE ANNI DOPO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 settembre 2006. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] Il numero di "Internazionale" in edicola commemora il quinto anniversario dell'11 settembre 2001 ripubblicando le prime pagine dei principali quotidiani del giorno dopo di tutto il mondo. Tornare a sfogliarle fa bene: riporta a quel primo shock della ragione e dell'inconscio, della parola e dell'immaginario, che prese tutto il mondo di fronte al collasso delle Torri gemelle in diretta tv. E aiuta a rispondere alla domanda che tutte le prime pagine del mondo si pongono in questi giorni, tornando a loro volta a quel "piu' niente sara' come prima" che si disse allora: che cosa e' cambiato in realta' in questi cinque anni? tutto, poco, niente? Le risposte, come sempre, dipendono dal metro di misura. Ed e' uno strano metro di misura, iperrealistico, quello di chi sostiene, cifre e macrotendenze alla mano (l'autorevole Foreign Affairs, ma anche e altrettanto autorevolmente Immanuel Wallerstein), che in verita' e' cambiato poco o nulla - nel sistema-mondo, nella politica estera americana, nei flussi del capitalismo mondiale, nel rapporto fra il colosso americano e il colosso cinese emergente o fra il nord e il sud del mondo -, e che il grande evento con cui tutt'ora ci troviamo a fare i conti non e' tanto l'11 settembre quanto il crollo dell'Urss e dell'ordine mondiale bipolare. Altre cifre crude e altri crudi fatti - le guerre fatte in risposta all'11 settembre e i cadaveri relativi, la centralita' conquistata dal mondo islamico, l'inasprirsi del conflitto in Medioriente, i nuovi muri in Palestina e alle frontiere piu' calde dell'immigrazione, i diritti sacrificati sull'altare della sicurezza - basterebbero a replicare che in realta' molto e' cambiato eccome. Ma non e' solo questo il punto, perche' quello che l'11 settembre ha cambiato non si puo' misurare solo con il metro, sempre discutibile, dell'oggettivita'. Per quanto poco o molto l'11 settembre abbia cambiato nel mondo, di certo ha cambiato la nostra percezione del mondo. E accanto alle guerre combattute sul campo, altre ne ha aperte - "guerre culturali" le chiamano infatti - nella nostra interpretazione del mondo. Per questo fa bene rivedere le prime pagine di cinque anni fa, e ripensare quel "siamo senza parole" che ricorreva nei titoli come nella vita quotidiana, a significare che lo sfondamento delle Torri era anche uno sfondamento dei nostri schemi mentali e delle nostre categorie interpretative. In quei quattro aerei-cyborg nel cielo americano non c'era solo l'attacco inaudito alla grande potenza, la volonta' di potenza del terrorismo internazionale, la fine della favola bella della "fine della storia", di una globalizzazione senza conflitti e di una democrazia senza resistenze che era spuntata dalle macerie del mondo bipolare. C'era, in quei quattro aerei cosi' alieni e insieme cosi' familiari, un'improvvisa epifania del mondo globale che ci piombava in casa via tv come un mondo interconnesso ma drammaticamente fratturato, secolarizzato nell'uso della tecnologia e teologico nella deriva apocalittica, multiculturale nei suoi flussi reali (di 63 etnie erano le vittime delle Torri) e identitario nei suoi proclami di guerra. Non eravamo attrezzati a interpretarlo, tutto andava ripensato, le geometrie mentali dovevano aprirsi e adeguarsi a quella nuova geometria non euclidea del mondo globale. Il seguito e', in larga parte, storia del conflitto fra chi ha lottato appunto per aprirle e chi per richiuderle. La "grande narrazione" dello "scontro di civilta'" che, allestita prima dell'11 settembre, ne ha interpretato il dopo, altro non rappresenta che questo tentativo di riportare il "disordine" del mondo globale al rassicurante ordine del due del mondo bipolare perduto: l'Occidente contro l'Islam, la democrazia contro il Nemico ritrovato, l'identita' contro la minaccia dell'alterita' e delle diversita'. Una litania speculare a quella di Bin Laden, che maschera e ingabbia le fratture reali che lacerano da dentro i due campi, e invalida i legami altrettanto reali che possono fluidificarli. Tutto il resto ne consegue, ed e' appunto la posta in gioco - politica, geopolitica, culturale, antropologica - del cambiamento in corso, che dentro la grande e la piccola cronaca di questi cinque anni ha riscritto l'agenda del presente. * Dalla concezione della vita e della morte ai criteri della convivenza internazionale, dalla concezione dell'Occidente a quella della democrazia, dal multiculturalismo ai rapporti fra i sessi nulla ne e' rimasto esente. Se la pratica sacrificale del terrorismo suicida ha attaccato alla radice il dispositivo primario della deterrenza, cioe' la difesa della propria vita, la dottrina e il dispiegamento della guerra preventiva ha fatto fuori a sua volta il tabu' primario della guerra su cui la convivenza internazionale si era retta - non senza infrazioni - dopo la seconda guerra mondiale. Con l'11 settembre il costituzionalismo novecentesco e' finito sia nelle relazioni internazionali, sia all'interno degli stati democratici: lo stato d'eccezione e' diventato la norma, Guantanamo incombe sulla coscienza occidentale. La democrazia, esportata con la forza fuori dall'Occidente, si svuota nelle societa' occidentali; i diritti sono le sue munizioni, da imporre agli altri e soprattutto alle altre con il nostro linguaggio e i nostri tempi. L'Occidente universalistico torna cosi' a mostrare la sua faccia piu' parziale ed etnocentrica. Il dopo-11 settembre ha inciso potentemente su questo punto sempre in bilico della nostra storia, piegando la societa' multiculturale americana, e due decenni di lotte per il riconoscimento, su una concezione tradizionalista, e irrigidendo a loro volta le societa' europee. Al centro dei conflitti culturali, la liberta' femminile e i rapporti fra i sessi sono diventati la posta in gioco dei backlash patriarcali, fuori dall'Occidente e dentro, e dell'espansionismo democratico: non si vede solo dai tentativi di legittimare in nome delle donne le guerre in Afghanistan e in Iraq, si vede dagli ordinari episodi di cronaca che affliggono la nostra provincia, e dalle ordinarie leggi come quella francese contro l'uso del velo in nome della laicita', a sua volta diventata, nella guerra contro il fondamentalismo, un valore aggressivo. Le cose potevano prendere un'altra piega? Potevano e possono. La fine dell'invulnerabilita' americana sancita dall'11 settembre poteva esser letta ed elaborata come un memento dell'interdipendenza, dell'esposizione all'altro, della fragilita' che ovunque unifica la condizione umana. Poteva, puo' derivarne non un arroccamento identitario ma un'apertura alla differenza; non un affossamento ma un ripensamento della democrazia. La storia ufficiale di questi cinque anni dice che non e' stato cosi'. La memoria sotterranea del trauma, quella che non passa nei media mainstream ma traspare nei romanzi di Safran Foer e nei film di Spike Lee, puo' restituire altre impronte e altre soluzioni, e attende ancora di essere ascoltata e rappresentata. Dopo l'11 settembre tutto e' cambiato, ma tutto e' ancora in gioco. 5. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: RIFLESSIONI SUL SACRO [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at alice.it) per averci messo a disposizione il seguente articolo pubblicato nell'edizione palermitana del quotidiano "La repubblica" il 5 settembre 2006. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore, Trapani 2006. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa). Rene' Girard, nato ad Avignone nel 1923, pensatore poliedrico, fondamentali le sue riflessioni sulla violenza e sul sacro. Opere di Rene' Girard: Menzogna romantica e verita' romanzesca (1961), Bompiani, Milano 1965; Dostoevskij dal doppio all'unita' (1963), SE, Milano 1996; La violenza e il sacro (1972), Adelphi, Milano 1980; Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1978), Adelphi, Milano 1983; Il capro espiatorio (1982), Adelphi, Milano 1987; L'antica via degli empi (1985), Adelphi, Milano 1994; Shakespeare. Il teatro dell'invidia (1990), Adelphi, Milano 1998; La vittima e la follia. Violenza del mito e cristianesimo, Santi Quaranta, Treviso 1998; Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell'uomo contemporaneo, Cortina, Milano 1999; Vedo Satana cadere come la folgore (1999), Adelphi, Milano 2001. Opere su Rene' Girard: A. Carrara, Violenza, sacro, rivelazione biblica. Il pensiero di Rene' Girard, Vita e pensiero, Milano 1985; S. Tomelleri, Rene' Girard. La matrice sociale della violenza, Angeli, Milano 1996; Claudio Tugnoli, Girard. Dal mito ai Vangeli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2001. Paul Tillich, 1886-1965, uno dei massimi teologi contemporanei; docente universitario in Germania, destituito all'avvento del nazismo, dal 1933 si trasferisce in America. Opere di Paul Tillich: segnaliamo particolarmente La mia ricerca degli assoluti, Ubaldini-Astrolabio, Roma 1968 (un libro aperto da un'ampia autopresentazione, impreziosito dagli stupendi disegni di Saul Steinberg); Lo spirito borghese e il kairos, Claudiana, Torino (consiste dell'edizione italiana curata da A. Banfi ed edita da Doxa, Roma 1929); cfr. ovviamente anche la fondamentale Teologia sistematica, il primo dei quattro volumi e' stato finalmente edito in italiano dalla Claudiana di Torino nel 1996. Opere su Paul Tillich: cfr. l'interessante volume di Stefano Mistura, Paul Tillich, teologo della nuova psichiatria, Claudiana, Torino 1978] Il sacro nella societa' contemporanea a proposito del pellegrinaggio multietnico alla grotta di santa Rosalia: parliamone - invita sul nostro giornale [il quotidiano "La repubblica", nell'edizione palermitana - ndr] don Carmelo Torcivia - al di la' dei dogmatismi ecclesiastici ma anche dei pregiudizi tardoilluministici. Invito santo, verrebbe da dire: purche' si sappia che si entra in territori esplosivi. Cos'e' infatti il sacro secondo l'antropologia contemporanea? Se lo usiamo, inoffensivamente, come sinonimo di religioso, confessionale, rituale, possiamo intrecciare pacifiche conversazioni accademiche. Ma se scaviamo un po' piu' dentro il significato del termine, ci imbattiamo - gia' con il fenomenologo Otto - in una definizione inquietante: sacro e' tutto cio' che affascina e atterrisce. E che cosa attira e respinge l'essere umano piu' che il vuoto, il nulla, la morte? Sacro e' dunque tutto cio' che ci mette al cospetto della morte, che ci immerge nell'angoscia dell'annullamento e ci fa balenare una qualche forma di restituzione a noi stessi: una qualche forma di "salvezza". Gia' questa prima, generica concettualizzazione mette in crisi molte affermazioni correnti. Per esempio che le nostre processioni rumorose e sbadiglianti dietro ad una statua della Santuzza o della Madonna siano manifestazioni sacre (sia pur impastate di profano): forse sono invenzioni collettive profane per esorcizzare il sacro. Un po' come abbiamo rischiato qualche anno fa a Segesta quando una lungimirante amministrazione locale paventava l'erezione di un parco mistico nella zona archeologica: una sorta di festival idolatrico (in quanto centrato su enormi statue di Redentori e Padri Pii) destinato a vanificare l'aura di sacralita' - di silenzio, di smarrimento, di spiazzamento rispetto alle certezze quotidiane - che il tempio greco emana e custodisce. Non tutte le manifestazioni cultuali sono dunque "sacre". Ma bisogna aggiungere: per fortuna. Perche' l'antropologo cattolico Rene' Girard ha scritto negli ultimi decenni diversi volumi per dimostrare che il sacro, proprio in quanto scaturisce dall'angoscia del nulla, provoca violenza. Non accidentalmente: piuttosto per essenza. Dove c'e' sacro c'e' ricerca di un capro espiatorio, sacrificio, sangue: ragazze vergini, prigionieri di guerra, primogeniti d'animali, ma anche infedeli da infilzare, eretici da bruciare, omosessuali da ghettizzare. Se questi cenni sono fondati, non possono essere differite nel tempo le possibili terapie. La prima riguarda i teologi cristiani: a cui spetta il compito - per la verita' non lieve - di mostrare che Girard ha ragione di sostenere che l'unica religione non "sacra" (cioe': non violenta) e' il vangelo. E, conseguentemente, il compito di vigilare sulle comunita' cristiane affinche' non riproducano al proprio interno i meccanismi violenti (emarginazione, persecuzione, giustizia vendicativa...) tipici di ogni altra religione. La seconda terapia riguarda non solo i teologi, ma ogni intelligenza responsabile: per dirla con Paul Tillich consiste nell'usare il profano per purificare continuamente il sacro. In altri termini: usare le acquisizioni scientifiche (storiche, esegetiche, psicologiche, sociologiche, etnologiche...) per ripensare continuamente la dimensione religiosa, evitandone le derive infantilistiche ed esaltandone le risorse etiche. Solo se chi vive un'esperienza di fede teologica accetta le sfide della laicita' piu' avvertita, provando - come dice un brano neotestamentario - a "rendere ragione della speranza" che e' in lui, si puo' camminare verso la citta' del futuro: dove si sentano a casa i credenti di ogni orientamento, anche quelli che credono soltanto nella giustizia, nella liberta' e nella bellezza in questo mondo. 6. RILETTURE. QUENTIN BELL: VIRGINIA WOOLF Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974, 1994, pp. 557, lire 26.000. Una bella biografia di una delle nostre maestre maggiori. 7. RILETTURE. SIMONE PETREMENT: LA VITA DI SIMONE WEIL Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994, pp. XXIV + 688, lire 85.000. Una bella biografia di una delle nostre maestre maggiori. 8. RILETTURE. ELISABETH YOUNG-BRUEHL: HANNAH ARENDT Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975. Per amore del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1990, 1994, pp. 642, lire 40.000. Una bella biografia di una delle nostre maestre maggiori. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1417 del 13 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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