La nonviolenza e' in cammino. 1416



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1416 del 12 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara: 1973
2. Tutti lo sappiamo
3. Gabriele Polo intervista Pietro Ingrao
4. Severino Vardacampi: Il salto. Una postilla
5. Lea Melandri: La violenza, la cultura
6. Augusto Illuminati presenta "Storia del Medio Oriente. 1798-2005" di
Massimo Campanini
7. Ristampe: Dante Alighieri, Commedia. Purgatorio
8. Riedizioni: Dante Alighieri, La divina commedia
9. Riedizioni: Jacques Prevert, Poesie
10. Riedizioni: David Ricardo, Note a Malthus e Saggi e note
11. Valdemaro Scatarroni: Smascherato un bolscevico
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: 1973

Mi sembra importante che in tutto il mondo finalmente si commemorino le
vittime dell'11 settembre, e si esprima sdegno per i responsabili e i
complici di quell'atroce crimine.
Che sono ancora in gran parte impuniti: in Cile, negli Usa, in Vaticano, e
in molti altri luoghi ancora.

2. RIFLESSIONE. TUTTI LO SAPPIAMO

Tutti lo sappiamo: non saranno le guerre a sconfiggere il terrorismo. A
cinque anni dalla tragedia dell'11 settembre 2001 il terrorismo si e'
ingigantito. L'invasione americana dell'Afghanistan, poi quella dell'Iraq,
oltre ad essere esse stesse atti di terrorismo, hanno fatto crescere ed
espandere il terrorismo ovunque.
Tutti lo sappiamo: occorre il ripudio della guerra, degli eserciti e delle
armi (e la proibizione della produzione, del commercio, del possesso e
dell'uso delle armi); occorre una politica internazionale di cooperazione e
di giustizia; occorre la scelta della nonviolenza.
*
L'attuale governo italiano, come gia' il precedente, sta fondando la sua
politica internazionale sulla guerra, l'esercito, le armi: violando con cio'
stesso la Costituzione della Repubblica Italiana.
A questa politica illegale e criminale noi ci opponiamo: in nome del diritto
alla vita dell'umanita' intera e di ogni essere umano, e in nome della
Costituzione della Repubblica Italiana, fondamento e presidio del nostro
ordinamento giuridico.
Noi sappiamo che la presenza militare italiana in Iraq che tuttora perdura
e' illegale e criminale.
Noi sappiamo che la partecipazione militare italiana alla guerra in corso in
Afghanistan e' illegale e criminale.
Noi sappiamo che la spedizione militare italiana in Libano non e' un'azione
di pace, ma un gettarsi allucinato e funesto in una guerra mai conclusa - ma
solo interrotta da una fragile tregua -, guerra che potra' essere fermata
solo con un'azione nonviolenta.
Ma l'azione nonviolenta che occorre e' ovviamente del tutto incompatibile
con la complicita' con gli eserciti e i gruppi armati, con l'uso dello
strumento miltare.
E finche' si sperpereranno immense risorse per gli eserciti e le armi, non
potra' adeguatamente dispiegarsi da parte delle istitituzioni l'azione di
pace che occorre, la quale azione di pace richiede interposizione e
mediazione nonviolenta, negoziato politico per il disarmo di tutte le parti
in conflitto, ingenti aiuti umanitari a tutte le vittime, dialogo e
cooperazione tra i popoli, ripristino del rispetto del diritto
internazionale e dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
La nonviolenza e' la via che conduce alla pace e alla convivenza.
Le spedizioni militari, gli eserciti, le guerre, non sono parte della
soluzione del problema: sono parte del problema. Non sono strumenti
utilizzabili contro il terrorismo e il totalitarismo: sono il terrorismo e
il totalitarismo, e del terrorismo e del totalitarismo la riproduzione.
Tutti lo sappiamo.
E' ora di cominciare ad agire sulla base di questa cognizione: e' ora di
proporre alle istituzioni come ai movimenti la scelta della nonviolenza come
azione politica, come principio giuriscostituente, come unico possibile
adeguato governo dei conflitti, come alternativa necessaria e urgente.

3. MEMORIA. GABRIELE POLO INTERVISTA PIETRO INGRAO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 settembre 2006.
L'intervista e' accompagnata dal seguente commento-recensione: "Una scelta
di vita racchiusa in un 370 densissime pagine. L'esperienza, in una felice
armonia tra pubblico e privato, e' quella di Pietro Ingrao e il libro e'
Volevo la luna (Einaudi, euro 18,50). Un libro in cui il dirigente del Pci,
l'ex-presidente della Camera ripercorre la sua militanza nel Pci, la lenta
formazione di un'attitudine al dubbio maturata in una aspra militanza
comunista. Un pezzo di storia del Novecento raccontata da chi, appunto,
'voleva la luna'. Ingrao, nel volume, guarda alla storia che ha alle spalle
con sguardo impetoso. L'educazione sentimentale a Lenola, paese abbarbicato
su uno dei 'mammelloni' che diradano verso il mare di Sperlonga e Fondi.
L'universita' a Roma, la scelta antifascista, l'entrata nel Pci, la tanto
discussa scelta di partecipare alle organizzazioni fasciste per minare
all'interno il regime mussoliniano. E poi la clandestinita', la lotta
partigiana in citta', infine la militanza nel Pci. Giornalista
dell''Unita'', funzionario di partito, il rapporto complesso con Palmiro
Togliatti. Infine, le scelte difficili attorno all'invasione sovietica
dell'Ungheria e la pubblicazione del rapporto Kruscev sull'operato di
Stalin. Ed e' su questo crinale che matura quell'attitudine al dubbio che
segnera', in seguito, la sua vita di militante. Attitudine al dubbio che
emerge anche nei ricordi personali. Il rapporto con l'amata Laura, i suoi
figli e figlie, gli adorati fratello e sorelle, gli amatissimi nipoti.
Pietro Ingrao non si sottrae di fronte ai nodi irrisolti della storia del
Pci di una vita 'privata' cosi' intrecciata con quella pubblica. E dunque
l'XI congresso e la sconfitta politica degli 'ingraiani'. Una carrellata di
ricordi, di rielaborazioni che giunge fino al Sessantotto, alla radiazione
del gruppo del 'Manifesto' e oltre. Fino a quando il suo partito propone il
compromesso storico. E dunque Berlinguer, la stagione dell'unita' nazionale
e della lotta armata, verso la quale Ingrao non nasconde il dissenso. E poi
gli anni della controrivoluzione liberista vista dal punto prospettico di
un'anomalia italiana che vuol cessare di essere tale. Ma anche il grande
amore per la poesia, dove emerge con forza la passione intellettuale di chi,
una sera d'estate, ama discutere fino a notte fonda di Montale, Ungaretti e
Leopardi. Un libro che si consegna ai lettori per quello che e'. Non una
autobiografia, ne' un libro di memorie, bensi' il prodotto di una pratica
politica perche' letteraria, una pratica letteraria perche' politica. Fino a
quando l'esercizio del dubbio non cancella quell'imprinting iniziale di
'volere la luna'".
Gabriele Polo e' giornalista e condirettore del quotidiano "Il manifesto".
Pietro Ingrao e' nato nel 1915 a Lenola (Lt), laureato in giurisprudenza e
lettere, partecipa alla lotta clandestina antifascista e alla Resistenza.
Giornalista, direttore de "L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del
Pci al Parlamento per varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente
della Camera dei Deputati. Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui
movimenti, le istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali
attuali. Tra le opere di Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti,
Roma 1977; Crisi e terza via, Editori Riuniti, Roma 1978; Tradizione e
progetto, De Donato, Bari 1982; Il dubbio dei vincitori, Mondadori, Milano
1986; Le cose impossibili, Editori Riuniti, Roma 1990; Interventi sul campo,
Cuen, Napoli 1990; L'alta febbre del fare, Mondadori, Milano 1994; (con
Rossana Rossanda ed altri), Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri,
Roma 1995; Variazioni serali, Il Saggiatore, Milano 2000; (con Franco
Fortini, Alberto Olivetti, Gianni Scalia), Conversazioni su Il dubbio dei
vincitori, Cadmo, Roma 2002; (con Alessandro Zanotelli), Non ci sto!, Piero
Manni, Lecce 2003; La guerra sospesa, Dedalo, Bari 2003; Una lettera di
Pietro Ingrao, Cadmo, Roma 2005; Volevo la luna, Einaudi, Torino 2006. Opere
su Pietro Ingrao: Antonio Galdo, Pietro Ingrao. Il compagno disarmato,
Sperling & Kupfer, Milano 2004, 2006]

Guardarsi alle spalle per riflettere su una vita intensamente politica, per
raccontare le virtu' di un mondo ma soprattutto e impietosamente i suoi
"peccati", gli errori. In una confessione pubblica che non cerca assoluzioni
ma ragioni. Pietro Ingrao manda in libreria Volevo la luna (Einaudi, pp.
376, euro 18,50) piu' che un'autobiografia un percorso di ricerca in cui
racconta se stesso "come parte di un soggetto che si sentiva protagonista
del mondo e del suo cambiamento". Il soggetto e' il movimento comunista -
meglio, il comunismo italiano - che e' il centro di tutta la narrazione. Con
i suoi problemi aperti.
*
- Gabriele Polo: Il ripensamento autocritico e' il filo conduttore di tutto
il libro. Cosa hai voluto trasmettere con questo tuo lavoro?
- Pietro Ingrao: La sensazione molto netta di una sconfitta di cui mi
convinco alla fine degli anni Settanta, con la necessita' di ragionare a
fondo sulla nostra storia e sulla realta', per riaggiornare le nostre
categorie e riflettere sul soggetto politico. Dovevamo ridisegnare le nostre
"mappe".
*
- Gabriele Polo: Vuoi dire che soltanto nelle sconfitte si puo' arrivare a
scorgere le verita' e a poterle dichiarare?
- Pietro Ingrao: E' un'affermazione troppo secca, anche se forse per alcuni
e' cosi'. Per me c'era il farsi strada della convinzione netta di una
sconfitta concreta e drammatica. Pensa a che colpo fu per noi l'occupazione
sovietica di Praga del 1968 che poneva fine a un tentativo di rinnovamento
democratico del socialismo che noi in Italia sostenevamo. Tutto il nostro
mondo era in subbuglio da tempo e noi eravamo un po' fermi
nell'elaborazione. Con il '68-'69, soprattutto in Italia, viene messo in
discussione il concetto di rappresentanza - per quanto riguarda il sindacato
nei metalmeccanici il processo e' addirittura travolgente - e da li' sorge
in me una domanda che riguarda l'agire politico in generale. Non solo cosa
fa il Partito comunista italiano o cos'e' l'Unione Sovietica, ma proprio che
cos'e' la politica, piu' nel profondo la convinzione che il soggetto
rivoluzionario sia, come scrivo nel libro, "un farsi del molteplice,
l'incontro fluttuante di una pluralita' oppressa che costruiva e verificava
nella lotta il suo volto". E' qualcosa di piu' di una critica da sinistra
dello stalinismo.
*
- Gabriele Polo: Il '68-'69 sembrava essere una grande occasione che non
annunciava nessuna sconfitta, anzi. Perche' questa "occasione" non e' stata
colta dal Pci e, per esempio, non ti ha impedito di commettere - le parole
sono le tue - un errore grave come la radiazione del gruppo del "Manifesto"?
Perche' ha prevalso il primato della fedelta' all'organizzazione?
- Pietro Ingrao: Perche' io non credo al minoritarismo. Con i compagni del
"Manifesto" c'era e c'e' sempre stato un grande rapporto di solidarieta' e
amicizia, ma mi e' parso che non ci fosse da parte loro una proposta valida
sul tema del soggetto politico. Mi ricordo le discussioni con loro. Io
conoscevo bene il Pci e avevo detto a loro: "Vi mettono fuori". Ma entrando
piu' nel merito non trovavo in quella che facevano una proposta chiara sul
soggetto da mettere in campo. Purtroppo, per parte mia, commisi l'errore
pesante e assurdo di votare la loro radiazione. Questo limite nella
costruzione di un nuovo soggetto poltico l'ho poi ritrovata in voi del
"Manifesto", compresa l'esperienza che ho vissuto nella "Rivista" degli anni
'90. Un minoritarisimo di testimonianza che non mi ha mai persuaso.
*
- Gabriele Polo: Quindi la tua autocritica e' essenzialmente etica, come di
fronte a un peccato...
- Pietro Ingrao: No, non faccio valutazioni morali. Fu un doppio errore, il
mio. Il primo senza dubbio umano, abbandonavo i miei amici. Soprattutto la
radiazione fu una scelta politicamente stupida, non apriva una discussione
positiva, non faceva avanzare la coscienza comune valutando e comprendendo
le ragioni del dissenso in campo.
*
- Gabriele Polo: Pero' allora ci fu una grande discussione nel Partito
comunista, in tutte le federazioni, gli atti furono pubblicati...
- Pietro Ingrao: Ma era gia' tutto stabilito dall'inizio, quella discussione
fu solo una formalizzazione di una decisione gia' presa. Invece bisognava
usare quella frattura per misurarsi con la crisi del leninismo. Tale era il
nodo da affrontare.
*
- Gabriele Polo: A proposito di leninismo, sempre nel passaggio sul
"Manifesto", tu parli di fare i conti "con il suo doloroso tramonto". Quel
"doloroso" sembra quasi un lamento, come a dire che bisogna ammettere quel
fallimento ma che si e' in presenza di un'assenza di alternative, di fronte
a un vuoto.
- Pietro Ingrao: Dire che non c'era alternativa e' troppo povero e alla fine
inutile: ma sicuramente il cibo di cui ci eravamo nutriti non era piu'
utilizzabile. Tutti sapevamo che nell'Urss non c'erano piu' interlocutori.
Ma il vuoto di cui tu parli e' piu' forte proprio in assenza di una
riflessione sulla necessita' di creare un nuovo soggetto che sia frutto
della "molteplicita'" di cui parlavo prima.
*
- Gabriele Polo: Il "molteplice" prevede un grande senso della democrazia
non solo come serie di regole da rispettare, ma soprattutto come pratica, a
partire dal rispetto del dissenso. Era proprio cosi' impossibile, prima
degli anni '70, permettere la manifestazione del dissenso fuori da ristretti
gruppi dirigenti?
- Pietro Ingrao: Di fatto e' stato cosi'. Chi dissentiva la pagava
duramente, fino a metodi polizieschi, soprattutto nella vecchia guardia.
Come scrivo nel mio libro erano tempi difficili...
*
- Gabriele Polo: Tempi difficili ma molto "pieni". Oggi magari sono piu'
facili ma forse ti appaiono piu' "vuoti".
- Pietro Ingrao: La domanda e' provocatoria perche' si potrebbe accusare un
vecchio come me di nostalgia per la sua gioventu'. Io pero' non voglio
cancellare un grande fatto che ha segnato l'Italia: noi siamo stati
sconfitti, ma abbiamo vissuto una stagione straordinaria, che ha fatto
crescere un'esperienza di milioni di persone che hanno fatto politica
cambiando il paese, democratizzandolo. E, poi, il nostro orizzonte non
guardava solo all'Italia: eravamo parte di un "mondo" e di una pratica
collettiva alta e vitale in tante parti del pianeta. Quando sono andato in
Vietnam e sono sceso nelle citta' sotterranee costruite per sfuggire ai
bombardamenti americani, io in quei cunicoli bui divisi da muri di fango mi
sentivo in uno spazio aperto e illuminato da una lotta creativa. Oggi, a
volte, l'orizzonte della politica mi sembra diventato piu' piccolo e
angusto.
*
- Gabriele Polo: Ma allora il tuo dirti comunista ancor oggi, nonostante la
sconfitta, gli errori e le autocritiche, e' legato piu' a questo passato che
all'oggi?
- Pietro Ingrao: Noi - quelli della mia generazione - non siamo riusciti a
trovare la risposta alla crisi indiscutibile del leninismo-stalinismo. E,
prima di tutto per questo, siamo degli sconfitti. Pero', da un lato in
questo paese ci sono state milioni di persone che sono cresciute anche
culturalmente nella lotta politica e che sono state una parte decisiva
dell'esperienza democratica italiana; d'altro canto oggi continuo a vedere
milioni di oppressi nei drammatici mutamenti della globalizzazione. E, poi,
vediamo il riemergere apologetico della guerra come realta' pressante e
distruttiva che dilaga nel mondo, mentre e' stata cancellata dal vocabolario
la parola disarmo: non c'e' piu' nessuno che la pronunci, nemmeno voi sul
"Manifesto". Non ti sembrano buoni motivi per continuare a dirsi comunisti e
a lavorare per la costruzione di un soggetto politico su scala
necessariamente internazionale?
*
- Gabriele Polo: Scusa la digressione: tu hai ammesso nel tuo libro gli
errori che hai fatto rispetto al gruppo del "Manifesto". Quali errori
commette oggi il "Manifesto" nei confronti dei suoi lettori e della
sinistra?
- Pietro Ingrao: Ma perche' mi fai questa domanda?
*
- Gabriele Polo: Perche' ci interessa l'opinione di un lettore importante
che e' stato anche direttore di un giornale politico.
- Pietro Ingrao: Va bene. Allora diciamo che a volte - scusa
l'impertinenza - sembrate una setta aristocratica. E lo dico con tutto
l'affetto possibile e l'interesse per quello che scrivete.
*
- Gabriele Polo: Torniamo al libro, al suo titolo, "Volevo la luna". La
senti piu' lontana o piu' vicina di un tempo quella luna, metafora di un
mondo diverso?
- Pietro Ingrao: Ti ripeto che questo e' un libro che racconta una
sconfitta...
*
- Gabriele Polo: Ma non pensi che questa tua ricerca lunga una vita sia
stata in qualche modo utile e fruttuosa?
- Pietro Ingrao: Per gli altri non spetta a me dire. Per me sicuramente e'
stata utile e fruttuosa. La passione politica mi ha fatto capire il mondo ed
e' diventata un pane necessario. La "luna" mi sembra ora un po' piu'
distante: non rispetto all'inizio del mio percorso, ma negli ultimi anni mi
pare essersi un pochino allontanata. Io sono arrivato alla politica sotto la
spinta di una necessita'. Come tanti altri della mia generazione e della mia
estrazione sociale avrei voluto fare altre cose - il cinema, per esempio.
Poi sono stato spinto dagli eventi, a calci nel sedere; e la guerra civile
spagnola e' stato il momento di passaggio che mi ha trascinato nella lotta
politica. Da li' e' cominciato un cammino che mi ha riempito di cose
straordinarie, che mi ha fatto uscire dal guscio dell'individualismo
entrando in comunicazione con milioni di esseri umani. Questa e' stata
l'esperienza dei comunisti italiani. Pero' e' andata in crisi la forma che
ha storicamente assunto il soggetto politico. Questo oggi mi sembra pesante,
persino doloroso, perche' non vedo una risposta all'altezza degli eventi che
sono maturati. La mia generazione ha pagato il prezzo di una forma
restrittiva della molteplicita' (ricordi il mio discorso di prima?)
dell'attore politico. Qui e' l'enorme, straordinario campo dell'innovazione.
Il senso del mio libro, alla fine, si riduce tutto nel fornire il mio
piccolo ragionamento per questa grande e nuova ricerca.

4. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: IL SALTO. UNA POSTILLA

Leggendo in questi giorni la regressione di vecchi e autorevoli redattori
(la grottesca e sovente delirante confusione dei giovani non mi interessa e
non mi riguarda) del "Manifesto" su posizioni di sostegno alla politica
militarista, riarmista e guerrafondaia del governo; e leggendo mesi fa il -
peraltro bellissimo - libro di memorie della Rossanda; e leggendo nel corso
degli scorsi anni i libriccini - preziosi e incandescenti: "et urendo
clarescit" - di Pintor; e leggendo ora questa breve intervista di Ingrao, un
pensiero mi torna e ritorna alla mente, come la falena che continua a
danzare e sbattere intorno e addosso al vetro della lampada: che il senso di
fallimento, di scacco, di disperazione infine di vecchi maestri e compagni
dipenda anche da un loro limite: il limite di non aver saputo aprire e
protendere il loro marxismo - peraltro coltissimo di tutte le scienze e le
sapienze - verso la scelta epistemologica ed assiologica della nonviolenza
come proposta politica e sociale.
E non come rinuncia e ricambio, ma come approfondimento, portato, apertura
ulteriore che nell'esperienza del movimento operaio e dei movimenti di
liberazione, e  massime in quello delle donne - e in quella pratica teorica
che chiamiamo marxismo come corrente calda di liberazione che collutta e
confligge per la vita e per la morte contro quella corrente fredda e anzi
diaccia di disperazione che si chiama marxismo come ossificazione
totalitaria - e' intima e costitutiva.
La scelta della nonviolenza e' il passo ermeneutico e politico che salva e
oltrepassa, ed oltrepassando eredita e quindi salva, l'esperienza socialista
e rivoluzionaria novecentesca facendo i conti - tutti i conti - con  gli
errori e gli orrori suoi.
La scelta della nonviolenza, non come ideologia di ricambio, non come
sincretismo per anime belle, ma come incipit di una nuova e quindi antica
storia, all'altezza della tragedia attuale, in grado di contrastare
l'apocalisse, di disvelare il disvelamento e sostenerne lo sguardo, di
essere ponte dell'umanita' oltre l'abisso della guerra e del terrore, di
essere lotta la piu' nitida e la piu' intransigente contro tutti i gulag e
tutti i lager, contro Auschwitz e contro Hiroshima, per un'umanita' di
persone eguali e diverse, libere e solidali, capaci di rispettare ed amare
l'unico mondo che abbiamo, di esserne responsabili ciascuna sapendo di dover
esssere, ed essere quindi, cuore pensante, che mette al mondo il mondo,
altra dell'altro, vicenda comune, incontro di voci e di volti, condivisione,
responsabilita'. Ripudio dell'uccidere. Una sola umanita'.

5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: LA VIOLENZA, LA CULTURA
[Dal quotidiano "Liberazione" del 5 settembre 2006. Lea Melandri, nata nel
1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista
"L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata
nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di
Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba
voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore,
Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della
memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita'
indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati
Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo
la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e
nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una
Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme
ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio
Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato
l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi
1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di
questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono
testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio
1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 (
ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

La condanna di qualsiasi discriminazione nei confronti della donna,
sostenuta a gran voce dalle manifestazioni e dalle assemblee del femminismo
nel corso delle due ultime vicende elettorali, e' balzata all'improvviso in
testa a quei "valori" che la nostra civilta' vorrebbe vedere sottoscritti da
tutti coloro che, venendo da "fuori", desiderano farne parte. A produrre
questo slancio di sensibilita', finora marcatamente latente, sono stati, per
un verso, casi estremi di violenza contro le donne, omicidi e stupri, ad
opera per la maggior parte di immigrati, e, per l'altro, la discussione che
ha fatto seguito alla proposta di Giuliano Amato di abbreviare gli anni
necessari per la richiesta della cittadinanza.
Le prime considerazioni che mi vengono da fare sono ovvie, quasi banali. Per
un singolare capovolgimento, la violenza manifesta diventa il segnale di
allarme privilegiato - per non dire unico in grado di scuotere coscienze
maschili, e purtroppo anche femminili, intorpidite - di quella
prevaricazione o dominio maschile che ne e', se non la causa, il terreno
sociale, psicologico, culturale, in cui cresce, di cui si alimenta e da cui
trae soprattutto la sua legittimazione.
*
La violenza contro le donne ha avuto ed ha tuttora una molteplicita' di
forme e di espressioni: a volte parla silenziosa e perfettamente mimetizzata
il linguaggio dell'amore, del pregiudizio inconsapevole, delle consuetudini
ereditate, dei fantasmi collettivi; altre volte, veste decisamente i panni
del privilegio e dell'arroganza, garantiti da ragioni di forza o di poteri
acquisiti storicamente; altre ancora, non esita a usare le parole e le armi
dell'odio. Ignorare che c'e' un continuum tra "discriminazioni" di vario
genere e violenza esplicita, che l'aggressione subita per strada ha il suo
epicentro nelle case, nei legami famigliari e amorosi, far finta che il
patriarcato sia solo "la riviviscenza fondamentalista" dell'"incontro
disperato dell'Islam con la modernita'" ("Il foglio", 21 agosto 2006), e'
ancora una volta il tentativo, debole e sempre piu' scoperto, di non
assumersi la responsabilita' di una storia - nostra, quanto di altre
civilta' -, che si porta dietro, primo tra i suoi "mali", l'oppressione di
un sesso da parte dell'altro. Nel momento in cui si sposta il rapporto tra
uomo e donna - che come tale risente di una rimozione millenaria e di radici
ancora inconsce - sul terreno, oggi sentito con piu' urgenza e inquietudine,
della mescolanza di popoli e culture, e' chiaro che si finisce ancora una
volta per affossarlo, per inalberare da una parte la propria "innocenza" di
occidentali democratici, liberi, rispettosi almeno formalmente delle donne,
e, dall'altra, la "barbarie" di costumi stranieri, tribali e minacciosi per
il nostro quieto vivere.
In questa polarizzazione, a cui ci hanno ormai abituato, sulla scena
mondiale, le guerre "umanitarie", la democrazia esportata con i
bombardamenti, la crociata del Bene contro il Male, sparisce ogni
possibilita' di interrogare se stessi, prima ancora che gli altri, di
chiederci se alcuni dei "nostri valori" non celino altrettanto
fondamentalismo, se l'altro, il diverso, non sia lo schermo facile su cui
proiettare aspetti disturbanti della nostra identita'. Che cosa significa,
altrimenti, farsi scudo della nostra Costituzione, delle nostre leggi, e
tacere sul fatto che, dai sommi vertici istituzionali fino al piu'
diseredato dei cittadini, pochi di quei principi vengono rispettati?
Diritti, liberta', principi etici, a cui giustamente si riconosce una
valenza universale, convivono con una cultura e una materiale, solidissima
tradizione di rapporti di forza - nella famiglia, nel lavoro, nelle
istituzioni sociali e politiche -, su cui si preferisce chiudere gli occhi.
Se la nostra identita' scricchiola, nell'incontro con altre comunita', e'
perche' si scopre essa stessa piu' simile di quanto immaginasse, nei
comportamenti se non nei principi, ai "forestieri" che la invadono, incline
allo stesso modo a enfatizzare le proprie differenze, ad alzare sbarramenti,
a stigmatizzare nell'altro cio' che passa la proprio interno nella generale
indifferenza. E' il caso degli stupri e degli omicidi di donne, cronaca
quotidiana che passa quasi sempre inosservata nelle notizie "in breve", e
che diventa questione politica, istituzionale, solo quando si puo'
attribuirla all'invasione minacciosa dell'Islam.
*
E' per questo che anche l'affannosa ricerca di misure di sicurezza lascia
perplessi. Se puo' far piacere avere una citta' piu' vivibile per uomini e
donne, grazie a una migliore illuminazione e a una maggiore disponibilita'
di taxi e bus nelle ore notturne, resta comunque il sospetto che
l'"emergenza", riguardo agli stupri, quanto meno per la citta' di Milano,
venga usata prevalentemente per sgombrare campi nomadi, ripulire l'ingresso
della stazione dagli immigrati che vi soggiornano, togliere dalla vista dei
cittadini la miseria e sostituirla con le lucenti vetrine dell'ennesimo
ipermercato.
Fa uno strano effetto leggere Magdi Allam ("Corriere della sera", primo
settembre 2006) che parla dell'"annullamento del corpo" e dell'"umiliazione
della personalita' femminile" a proposito della donna egiziana che si e'
presentata col burqa a ricevere, insieme alla famiglia, la cittadinanza
dalla sindaca di Valmozzola (Parma). Quante barriere, molto piu' pesanti di
un vestito, continuano a separare le donne dalla societa'? Quando mai ci si
e' chiesti se a discriminare le donne non sia proprio il "valore" che si
continua ipocritamente ad attribuire alla loro disponibilita' a sacrificarsi
per gli altri, al dono di se' di cui sono prodighe, nella cura di bambini,
malati, anziani? Chi si chiede se le case non siano ancora per la vita
pubblica quell'"altrove" che ne garantisce la sopravvivenza, "liberandola"
da tante responsabilita' che la costringerebbero a profondi cambiamenti,
quel luogo appartato che illude le donne di una loro domestica "potenza",
espropriandole di fatto di ogni potere decisionale che conta?
Il femminismo e' "silenzioso" solo per chi vorrebbe tenerlo sottomesso, a
portata di mano, pronto a manifestare su ordinazione, a indignarsi a
comando, a esecrare il "mostro" di turno. Non e' l'attesa di una
"rivoluzione copernicana" che costringe a prendere tempo per la riflessione.
La rivoluzione e' gia' cominciata nel momento in cui alcune donne hanno
preso parola per dire della loro liberta' e della loro complicita', della
storia che le ha volute "straniere" nella citta' dell'uomo e "intime" nella
sua famiglia. Come ha scritto Angela Azzaro su "Liberazione", da questo
cambiamento profondo non si torna indietro, per presentarsi al mondo ancora
una volta come "vittime" bisognose di "tutela".
*
Se si vuole affrontare il problema della violenza contro le donne, non si
puo' farlo solo sull'onda dell'allarmismo e di quella che si vorrebbe
presentare come "emergenza" di stupri e omicidi. E' vero che per il solo
fatto di parlarne, accanto a un prevedibile effetto contagio, si apre anche
una maggiore possibilita' che la violenza venga denunciata, ma non e'
indifferente il modo in cui se ne parla e il modo di affrontare una
questione che definire "attuale" e' davvero ridicolo.
Bisogna dire a chiare lettere che l'accanimento contro i corpi delle donne
non e' un problema che riguarda solo la legge, o l'ordine pubblico, ma una
cultura segnata dal potere che la comunita' storica degli uomini si e'
arrogata, dove convivono valore e svalorizzazione del femminile, amore e
odio, civilta' e schiavitu'. Senza questa esplicita presa di coscienza e di
responsabilita', non c'e' protezione che conti, ne' sistemi di monitoraggio
e pronto soccorso che, come ha scritto giustamente Stefano Bertazzaghi su
"La repubblica" (31 agosto 2006) tranquillizzano solo l'ansia di chi ci
governa.

6. LIBRI. AUGUSTO ILLUMINATI PRESENTA "STORIA DEL MEDIO ORIENTE. 1798-2005"
DI MASSIMO CAMPANINI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 settembre 2006.
Augusto Illuminati, nato a Perugia nel 1937, e' docente di filosofia
politica all'Universita' di Urbino; tra le sue molte opere segnaliamo
particolarmente Sociologia e classi sociali, Einaudi, Torino 1967, 1977;
Kant politico, La Nuova Italia, Firenze 1971; Lavoro e rivoluzione,
Mazzotta, Milano 1974; Rousseau e la fondazione dei valori borghesi, Il
Saggiatore, Milano 1977; Classi sociali e crisi capitalistica, Mazzotta,
Milano 1977; Gli inganni di Sarastro, Einaudi, Torino 1980; La citta' e il
desiderio, Manifestolibri, Roma 1992; Esercizi politici. Quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994.
Massimo Campanini insegna nelle Universita' di Milano e Urbino, ha curato
fondamentali edizioni italiane di opere di alcuni dei piu' grandi pensatori
islamici. Tra le opere di Massimo Campanini: La Surah della Caverna.
Meditazione filosofica sull'Unicita' di Dio, La Nuova Italia, Firenze 1986;
La teoria del socialismo in Egitto, Centro Alfarabi, Palermo 1987;
L'Intelligenza della fede. Filosofia e religione in Averroe' e
nell'Averroismo, Lubrina, Bergamo 1989; introduzione, traduzione e note a
Averroe', Il Trattato Decisivo, Rizzoli, Milano 1994; introduzione,
traduzione e note a al-Farabi, La citta' virtuosa, Rizzoli, Milano, 1996;
introduzione, traduzione e note a Averroe', L'Incoerenza dell'incoerenza dei
filosofi, Utet, Torino 1997; Islam e politica, Il Mulino, Bologna 1999,
2003; introduzione, traduzione e note a al-Ghazali, Le perle del Corano,
Rizzoli, Milano 2000; introduzione, traduzione e note a Avempace, Il regime
del solitario, Rizzoli, Milano 2002 (in collaborazione con A. Illuminati);
Introduzione alla filosofia islamica, Laterza, Roma-Bari 2004; Il Corano e
la sua interpretazione, Laterza, Roma-Bari 2004; introduzione, traduzione e
note ad al-Ghazali, La bilancia dell'azione ed altri scritti, Utet, Torino
2005; (a cura di), Dizionario dell'Islam, Rizzoli, Milano 2005; Il pensiero
islamico contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2005; Storia dell'Egitto
contemporaneo, Edizioni Lavoro, Roma 2005; Storia del Medio Oriente.
1798-2005, Il Mulino, Bologna 2006]

Con la Storia del Medio Oriente. 1798-2005 (il Mulino, pp. 257, euro 13)
Massimo Campanini unisce brillantemente - e mai momento fu ahime' piu'
opportuno - la storia dei due ultimi secoli di colonizzazione e resistenza
mediorientale e la filosofia politica sottostante, nelle grandi varianti di
un adattamento all'Occidente o di una via islamica alla modernizzazione. In
quest'ultima, contrariamente alle banalita' correnti e alle proclamazioni
ideologiche, rientra anche l'integralismo, di cui sono arcaiche solo le
forme e la retorica, non gli obiettivi e i mezzi.
I movimenti messianici o riformistici di rinnovamento dell'Islam, ivi
compreso il conservatore wahhabismo, si manifestano nell'universo arabo e
islamico prima e a prescindere dal contatto con l'Occidente (meta' del XVIII
secolo), come moto interno di purificazione dei costumi e revisione
dottrinaria, salvo fondersi rapidamente con il nascente movimento
anticoloniale. Vanno cioe' considerati come forza riflessiva e autonoma, non
semplicemente reattiva, e il loro volgersi alle origini e alle fonti scritte
coraniche non e' poi molto differente dai grandi movimenti occidentali di
restaurazione dell'antico e della purezza evangelica, che in realta' furono
momenti di rivoluzione culturale e politico-economica.
*
Campanini, sempre attento alla necessita' didattica di sottrarre la storia
mediorientale alla nebbia di un presunto immobilismo e indifferenziazione
geopolitica, segna alcune tappe fondamentali dei processi di modernizzazione
e riforma contrapposti al colonialismo europeo e al suo alone culturale di
"orientalismo": le riforme di Muhammad 'Ali nell'Egitto post-napoleonico e
la tortuosa opposizione liberale e nazionale al susseguente protettorato
britannico, il movimento messianico del Mahdi Muhammad Ahmad in Sudan, che
portera' nel 1885 alla conquista di Khartoum e alla morte del generale
Gordon (prima vittoria anticoloniale sul campo, insieme ad Adua), le riforme
ottomane (tanzimat) fra il 1839 e il 1876, che cercano una mediazione fra
Legge religiosa e legislazione laica preparando la strada alla rivoluzione
panturanica dei Giovani Turchi agli albori del secolo successivo, la
rivoluzione costituzionale persiana del 1906-1911, la resistenza
anticoloniale nei paesi del Maghreb e nella Libia invasa tardivamente dagli
italiani sotto Giolitti e piu' tardi durante il fascismo.
Parallelamente a questi eventi si sviluppa su vari piani un risorgimento
politico-culturale (nahda), che si manifesta nel giornalismo, nelle
istituzioni culturali, nella formazione di concetti politici moderni
destinati a giocare in seguito un ruolo rilevante (nazione-patria, watan, e
liberta', hurriyya), nonche' in una rivalutazione della tradizione
filosofica araba medievale, polemica verso l'interpretazione riduttiva di
Ernest Renan, che pure aveva fatto riscoprire Averroe'.
Significativo e' il fatto che in tale discussione si impegnino a fondo due
intellettuali quali Muhammad 'Abduh e Jamal al-Afghani, protagonisti
eminenti del progetto di islamizzazione della modernita' (salafiyya), che
concepiva l'Islam come una ideologia perfettamente in grado di anticipare e
governare la modernita' senza sottostare a particolari restrizioni o
modificazioni. Adepto di tale tendenza, sia pure nella variante piu'
conservatrice, fu anche il siriano Rashid Rida' che, trasferitosi al Cairo,
influi' in modo decisivo sul fondatore dei ben noti Fratelli Musulmani,
al-Banna.
Venendo a tempi piu' recenti, Campanini nelle conclusioni privilegia - ancor
piu' che il movimento salafita - quella che chiama efficacemente una
teologia islamica della liberazione. I maggiori esponenti (analizzati piu'
in dettaglio in due libri precedenti, Islam e politica, 2003, Il pensiero
islamico contemporaneo, 2005) ne sono l'egiziano Hasan Hanafi, che mira a
trasformare la teologia in antropologia e ideologia rivoluzionaria, passando
da una concezione verticale a una orizzontale per cui il tawhid (unicita' di
Dio) e' interpretato come distruzione del dispotismo, l'iraniano sciita 'Ali
Shari'ati che legge nel profetismo monoteista il primo riconoscimento del
ruolo decisivo delle masse nella storia, e soprattutto Muhammad Mahmud Taha,
cui si deve una rilettura del Corano tanto originale quanto indispensabile
per una riforma dell'Islam dall'interno. Questo pensatore e agitatore
politico sudanese, che fu fatto giustiziare dal dittatore militare Nimeiry
nel 1985, sostenne che, contrariamente alla tesi corrente rivelazionistica
per cui le sure posteriori abrogano quelle anteriori, nel Corano vanno
distinte due parti, una universale e anteriore (quella meccana) e una
posteriore, condizionata dall'esperienza organizzativa medinese e ormai
storicamente esaurita - con il che la shari'a viene largamente svuotata,
ferma restando la sacralita' del Libro.
*
La vera e propria storia politica del XX secolo, con la chiara esposizione
dell'articolazione dei protettorati nel primo dopoguerra e l'ovvia
centralita' della questione palestinese nel secondo, sino ai piu' recenti
sviluppi iracheni e libanesi, occupa la maggior parte dei capitoli e ci
limitiamo qui a segnalare alcune definizioni poco consuete a chi si sia
formato sulla letteratura orientalistica a' la Lewis o, a livello ancora
peggiore, sulle veline in stile Magdi Allam o agente Betulla. Per esempio,
la netta differenza fra il salafismo e il riformismo dei Fratelli Musulmani
da una parte e i gruppi fondamentalisti contemporanei come al-Qa'ida
dall'altra e persino tra il fondamentalismo violento degli anni Settanta e
il terrorismo degli anni Novanta. Salafiti e islamisti integralisti
condividono gli obiettivi ma non la strategia, puntando i primi a una
islamizzazione dal basso mediante la propaganda e l'organizzazione sociale,
i secondi a una islamizzazione dall'alto mediante la lotta armata e la
sovversione dei governi "miscredenti". Laddove tali organizzazioni non
godano del sostegno popolare, scivolano facilmente verso il terrorismo.
Diversa e' la composizione sociologica degli stessi gruppi islamici
militanti degli anni Settanta, di provenienza urbana e di istruzione
medio-alta, rispetto ai giovanissimi di origine contadina e di bassa cultura
degli anni Novanta, prodotti dell'emarginazione e della repressione.
Tale proletarizzazione accentua il carattere terroristico e il loro
isolamento rispetto alle masse arabe e musulmane, anche se non va ignorata
la loro diffusione negli ambienti dell'emigrazione anche di seconda e terza
generazione, dove incontrano radicate frustrazioni e maggiore liberta'
d'azione rispetto ai regimi polizieschi dei paesi di origine. Questa
tendenza e' accentuata dalla difficolta' delle organizzazioni islamiche
moderate di farsi valere legalmente a causa della repressione dei governi
arabi, terrorizzati da qualsiasi movimento politico-religioso, e trova
naturalmente molteplici occasioni di indignazione e proselitismo negli
errori e crimini commessi dall'imperialismo, soprattutto
dall'amministrazione Bush e dai governi israeliani di Sharon e Olmert.

7. RISTAMPE. DANTE ALIGHIERI: COMMEDIA. PURGATORIO
Dante Alighieri, Commedia. Purgatorio, Mondadori, Milano 1994, 2006, pp.
XLVIII + 1008, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori).
Nell'edizione curata da Anna Maria Chiavacci Leonardi, bellissima ed
accuratissima, reduplicasi la gioia di ancora e ancora rileggere Dante.

8. RIEDIZIONI. DANTE ALIGHIERI: LA DIVINA COMMEDIA
Dante Alighieri, La divina commedia, La nuova Italia, Firenze 1955, Fabbri
editori, Milano 2006, pp. 1224, s.i.p. ma euro 9,90 (in vendita in edicola).
Nell'edizione curata e commentata da Natalino Sapegno (nell'ultima sua
revisione - la terza edizione del 1985, dopo la prima del '55 e la seconda
del '68) e con in apertura oltre al saggio introduttivo su "Dante e la
Divina Commedia" anche il testo della conferenza tenuta a Yale nel 1967 su
"Come nasce la Commedia" (trascrizione primieramente pubblicata nel 2002
presso l'editore torinese Aragno), e purtroppo senza i sempre utili e acuti
riassunti introduttivi ai singoli canti inseriti dalla seconda edizione, ne'
le succinte ma tutt'altro che disutili indicazioni bibliografiche poste a
chiusa di commento canto per canto (omissioni non solo di questa edizione,
ma anche di quella in tre volumi per la Biblioteca Treccani del 2005), e
tuttavia con una bibliografia generale e un indice dei nomi e delle cose
notevoli (ma ve ne sono di alquanto migliori anche in altre edizioni del
medesimo commento). Detto tutto cio' (e sono minuzie) resta il testo di
Dante (nell'edizione critica curata da Giorgio Petrocchi) e resta il
commento di Natalino Sapegno. La Commedia e' un capolavoro, ma anche il
commento non scherza: sebbene, come e' ovvio, non finiresti mai di
collezionare e collazionare commenti a Dante, questo di Sapegno e' di quelli
che piu' restano nel cuore; per chi scrive queste righe su tutti del pari
con quello, certo assai diverso ma ugualmente - chiedo venia - militante, ed
antifascista, di Attilio Momigliano. L'ho detta la parola: antifascista:
poiche' leggere Dante e combattere contro il fascismo e' una cosa sola.

9. RIEDIZIONI. JACQUES PREVERT: POESIE
Jacques Prevert, Poesie, Guanda, Parma 1999, Gruppo editoriale L'espresso,
Roma 2006, pp. XIV + 240, s.i.p. (ma euro 6,90 in supplemento al settimanale
"L'espresso"). Una bella antologia, quantunque rastremata rappresentativa
dell'intera vicenda poetica di Prevert (ma una via migliore per accostarsi a
Prevert e' prendere in mano Paroles e tuffarcisi dentro a capofitto). Tutti
siamo cresciuti alla scuola di Prevert, quella scuola anarchica e felice che
si frequentava senza parere, sedendo indolenti davanti ai caffe', inseguendo
i sogni e accoccolandosi nella pigrizia, rifiutando il principio di
prestazione e la massimizzazione del profitto, sbertucciando ogni paludato
sussiego, ogni divisa, ogni livrea, ogni prominenza, eminenza, eccellenza
sua, ridendo di ogni sbatter di tacchi, di ogni stentoreo comando e fiero
cipiglio infischiandosene, e dicendo infine semplice e chiaro, con lievi e
saporite quotidiane parole, che bello e' vivere liberi e che ogni potere e'
assassino.

10. RIEDIZIONI. DAVID RICARDO: NOTE A MALTHUS E SAGGI E NOTE
David Ricardo, Note a Malthus e Saggi e note, Utet, Torino 1987, 2005,
Istituto geografico De Agostini - Milano Finanza Editori, Novara-Milano
2006, pp. 896, euro 12,90 (in supplemento a "Milano Finanza"). Sappiamo gia'
l'obiezione: son testi troppo specialistici, che interesseranno solo a
studiosi innamorati di Sraffa (di cui sono le note introduttive ai singoli
testi), o comunque strettamente interessati a Ricardo, o a Malthus, o a
Bentham, o a un tema cosi' peculiare come quello del prezzo dell'oro e dei
metalli preziosi. O ancora: valgono questi testi solo se messi in relazione
all'opera maggiore di Ricardo (nuovamente edita in questa medesima collana e
gia' segnalata nel n. 1369 di questo foglio). Certo. E tuttavia tu apri una
pagina a caso e subito t'appassiona.

11. LE ULTIME COSE. VALDEMARO SCATARRONI: SMASCHERATO UN BOLSCEVICO

Un noto agente della sovversione internazionale, tale George W. Bush,
avrebbe dichiarato che la Cia, nota fondazione benemerita dell'umanita',
avrebbe gestito in varie parti del mondo prigioni segrete: ovvero fatto
pratica di terrorismo e tortura e violazione di ogni principio di legalita'.
Attendiamo che solerti i ministri degli esteri dell'Occidente uniti come un
sol uomo nella santa alleanza dei volenterosi ancora una volta respingano
con sdegno simili calunnie, e che quel propalatore di una si' iniquissima
diffamazione ai ferri venga messo, anzi alla gogna.
Perdindirindina, ne va del buon nome della nostra civilta'.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1416 del 12 settembre 2006

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