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La nonviolenza e' in cammino. 1416
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1416
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 12 Sep 2006 09:32:00 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1416 del 12 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Giobbe Santabarbara: 1973 2. Tutti lo sappiamo 3. Gabriele Polo intervista Pietro Ingrao 4. Severino Vardacampi: Il salto. Una postilla 5. Lea Melandri: La violenza, la cultura 6. Augusto Illuminati presenta "Storia del Medio Oriente. 1798-2005" di Massimo Campanini 7. Ristampe: Dante Alighieri, Commedia. Purgatorio 8. Riedizioni: Dante Alighieri, La divina commedia 9. Riedizioni: Jacques Prevert, Poesie 10. Riedizioni: David Ricardo, Note a Malthus e Saggi e note 11. Valdemaro Scatarroni: Smascherato un bolscevico 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: 1973 Mi sembra importante che in tutto il mondo finalmente si commemorino le vittime dell'11 settembre, e si esprima sdegno per i responsabili e i complici di quell'atroce crimine. Che sono ancora in gran parte impuniti: in Cile, negli Usa, in Vaticano, e in molti altri luoghi ancora. 2. RIFLESSIONE. TUTTI LO SAPPIAMO Tutti lo sappiamo: non saranno le guerre a sconfiggere il terrorismo. A cinque anni dalla tragedia dell'11 settembre 2001 il terrorismo si e' ingigantito. L'invasione americana dell'Afghanistan, poi quella dell'Iraq, oltre ad essere esse stesse atti di terrorismo, hanno fatto crescere ed espandere il terrorismo ovunque. Tutti lo sappiamo: occorre il ripudio della guerra, degli eserciti e delle armi (e la proibizione della produzione, del commercio, del possesso e dell'uso delle armi); occorre una politica internazionale di cooperazione e di giustizia; occorre la scelta della nonviolenza. * L'attuale governo italiano, come gia' il precedente, sta fondando la sua politica internazionale sulla guerra, l'esercito, le armi: violando con cio' stesso la Costituzione della Repubblica Italiana. A questa politica illegale e criminale noi ci opponiamo: in nome del diritto alla vita dell'umanita' intera e di ogni essere umano, e in nome della Costituzione della Repubblica Italiana, fondamento e presidio del nostro ordinamento giuridico. Noi sappiamo che la presenza militare italiana in Iraq che tuttora perdura e' illegale e criminale. Noi sappiamo che la partecipazione militare italiana alla guerra in corso in Afghanistan e' illegale e criminale. Noi sappiamo che la spedizione militare italiana in Libano non e' un'azione di pace, ma un gettarsi allucinato e funesto in una guerra mai conclusa - ma solo interrotta da una fragile tregua -, guerra che potra' essere fermata solo con un'azione nonviolenta. Ma l'azione nonviolenta che occorre e' ovviamente del tutto incompatibile con la complicita' con gli eserciti e i gruppi armati, con l'uso dello strumento miltare. E finche' si sperpereranno immense risorse per gli eserciti e le armi, non potra' adeguatamente dispiegarsi da parte delle istitituzioni l'azione di pace che occorre, la quale azione di pace richiede interposizione e mediazione nonviolenta, negoziato politico per il disarmo di tutte le parti in conflitto, ingenti aiuti umanitari a tutte le vittime, dialogo e cooperazione tra i popoli, ripristino del rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani di tutti gli esseri umani. * La nonviolenza e' la via che conduce alla pace e alla convivenza. Le spedizioni militari, gli eserciti, le guerre, non sono parte della soluzione del problema: sono parte del problema. Non sono strumenti utilizzabili contro il terrorismo e il totalitarismo: sono il terrorismo e il totalitarismo, e del terrorismo e del totalitarismo la riproduzione. Tutti lo sappiamo. E' ora di cominciare ad agire sulla base di questa cognizione: e' ora di proporre alle istituzioni come ai movimenti la scelta della nonviolenza come azione politica, come principio giuriscostituente, come unico possibile adeguato governo dei conflitti, come alternativa necessaria e urgente. 3. MEMORIA. GABRIELE POLO INTERVISTA PIETRO INGRAO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 settembre 2006. L'intervista e' accompagnata dal seguente commento-recensione: "Una scelta di vita racchiusa in un 370 densissime pagine. L'esperienza, in una felice armonia tra pubblico e privato, e' quella di Pietro Ingrao e il libro e' Volevo la luna (Einaudi, euro 18,50). Un libro in cui il dirigente del Pci, l'ex-presidente della Camera ripercorre la sua militanza nel Pci, la lenta formazione di un'attitudine al dubbio maturata in una aspra militanza comunista. Un pezzo di storia del Novecento raccontata da chi, appunto, 'voleva la luna'. Ingrao, nel volume, guarda alla storia che ha alle spalle con sguardo impetoso. L'educazione sentimentale a Lenola, paese abbarbicato su uno dei 'mammelloni' che diradano verso il mare di Sperlonga e Fondi. L'universita' a Roma, la scelta antifascista, l'entrata nel Pci, la tanto discussa scelta di partecipare alle organizzazioni fasciste per minare all'interno il regime mussoliniano. E poi la clandestinita', la lotta partigiana in citta', infine la militanza nel Pci. Giornalista dell''Unita'', funzionario di partito, il rapporto complesso con Palmiro Togliatti. Infine, le scelte difficili attorno all'invasione sovietica dell'Ungheria e la pubblicazione del rapporto Kruscev sull'operato di Stalin. Ed e' su questo crinale che matura quell'attitudine al dubbio che segnera', in seguito, la sua vita di militante. Attitudine al dubbio che emerge anche nei ricordi personali. Il rapporto con l'amata Laura, i suoi figli e figlie, gli adorati fratello e sorelle, gli amatissimi nipoti. Pietro Ingrao non si sottrae di fronte ai nodi irrisolti della storia del Pci di una vita 'privata' cosi' intrecciata con quella pubblica. E dunque l'XI congresso e la sconfitta politica degli 'ingraiani'. Una carrellata di ricordi, di rielaborazioni che giunge fino al Sessantotto, alla radiazione del gruppo del 'Manifesto' e oltre. Fino a quando il suo partito propone il compromesso storico. E dunque Berlinguer, la stagione dell'unita' nazionale e della lotta armata, verso la quale Ingrao non nasconde il dissenso. E poi gli anni della controrivoluzione liberista vista dal punto prospettico di un'anomalia italiana che vuol cessare di essere tale. Ma anche il grande amore per la poesia, dove emerge con forza la passione intellettuale di chi, una sera d'estate, ama discutere fino a notte fonda di Montale, Ungaretti e Leopardi. Un libro che si consegna ai lettori per quello che e'. Non una autobiografia, ne' un libro di memorie, bensi' il prodotto di una pratica politica perche' letteraria, una pratica letteraria perche' politica. Fino a quando l'esercizio del dubbio non cancella quell'imprinting iniziale di 'volere la luna'". Gabriele Polo e' giornalista e condirettore del quotidiano "Il manifesto". Pietro Ingrao e' nato nel 1915 a Lenola (Lt), laureato in giurisprudenza e lettere, partecipa alla lotta clandestina antifascista e alla Resistenza. Giornalista, direttore de "L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del Pci al Parlamento per varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente della Camera dei Deputati. Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui movimenti, le istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali attuali. Tra le opere di Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977; Crisi e terza via, Editori Riuniti, Roma 1978; Tradizione e progetto, De Donato, Bari 1982; Il dubbio dei vincitori, Mondadori, Milano 1986; Le cose impossibili, Editori Riuniti, Roma 1990; Interventi sul campo, Cuen, Napoli 1990; L'alta febbre del fare, Mondadori, Milano 1994; (con Rossana Rossanda ed altri), Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; Variazioni serali, Il Saggiatore, Milano 2000; (con Franco Fortini, Alberto Olivetti, Gianni Scalia), Conversazioni su Il dubbio dei vincitori, Cadmo, Roma 2002; (con Alessandro Zanotelli), Non ci sto!, Piero Manni, Lecce 2003; La guerra sospesa, Dedalo, Bari 2003; Una lettera di Pietro Ingrao, Cadmo, Roma 2005; Volevo la luna, Einaudi, Torino 2006. Opere su Pietro Ingrao: Antonio Galdo, Pietro Ingrao. Il compagno disarmato, Sperling & Kupfer, Milano 2004, 2006] Guardarsi alle spalle per riflettere su una vita intensamente politica, per raccontare le virtu' di un mondo ma soprattutto e impietosamente i suoi "peccati", gli errori. In una confessione pubblica che non cerca assoluzioni ma ragioni. Pietro Ingrao manda in libreria Volevo la luna (Einaudi, pp. 376, euro 18,50) piu' che un'autobiografia un percorso di ricerca in cui racconta se stesso "come parte di un soggetto che si sentiva protagonista del mondo e del suo cambiamento". Il soggetto e' il movimento comunista - meglio, il comunismo italiano - che e' il centro di tutta la narrazione. Con i suoi problemi aperti. * - Gabriele Polo: Il ripensamento autocritico e' il filo conduttore di tutto il libro. Cosa hai voluto trasmettere con questo tuo lavoro? - Pietro Ingrao: La sensazione molto netta di una sconfitta di cui mi convinco alla fine degli anni Settanta, con la necessita' di ragionare a fondo sulla nostra storia e sulla realta', per riaggiornare le nostre categorie e riflettere sul soggetto politico. Dovevamo ridisegnare le nostre "mappe". * - Gabriele Polo: Vuoi dire che soltanto nelle sconfitte si puo' arrivare a scorgere le verita' e a poterle dichiarare? - Pietro Ingrao: E' un'affermazione troppo secca, anche se forse per alcuni e' cosi'. Per me c'era il farsi strada della convinzione netta di una sconfitta concreta e drammatica. Pensa a che colpo fu per noi l'occupazione sovietica di Praga del 1968 che poneva fine a un tentativo di rinnovamento democratico del socialismo che noi in Italia sostenevamo. Tutto il nostro mondo era in subbuglio da tempo e noi eravamo un po' fermi nell'elaborazione. Con il '68-'69, soprattutto in Italia, viene messo in discussione il concetto di rappresentanza - per quanto riguarda il sindacato nei metalmeccanici il processo e' addirittura travolgente - e da li' sorge in me una domanda che riguarda l'agire politico in generale. Non solo cosa fa il Partito comunista italiano o cos'e' l'Unione Sovietica, ma proprio che cos'e' la politica, piu' nel profondo la convinzione che il soggetto rivoluzionario sia, come scrivo nel libro, "un farsi del molteplice, l'incontro fluttuante di una pluralita' oppressa che costruiva e verificava nella lotta il suo volto". E' qualcosa di piu' di una critica da sinistra dello stalinismo. * - Gabriele Polo: Il '68-'69 sembrava essere una grande occasione che non annunciava nessuna sconfitta, anzi. Perche' questa "occasione" non e' stata colta dal Pci e, per esempio, non ti ha impedito di commettere - le parole sono le tue - un errore grave come la radiazione del gruppo del "Manifesto"? Perche' ha prevalso il primato della fedelta' all'organizzazione? - Pietro Ingrao: Perche' io non credo al minoritarismo. Con i compagni del "Manifesto" c'era e c'e' sempre stato un grande rapporto di solidarieta' e amicizia, ma mi e' parso che non ci fosse da parte loro una proposta valida sul tema del soggetto politico. Mi ricordo le discussioni con loro. Io conoscevo bene il Pci e avevo detto a loro: "Vi mettono fuori". Ma entrando piu' nel merito non trovavo in quella che facevano una proposta chiara sul soggetto da mettere in campo. Purtroppo, per parte mia, commisi l'errore pesante e assurdo di votare la loro radiazione. Questo limite nella costruzione di un nuovo soggetto poltico l'ho poi ritrovata in voi del "Manifesto", compresa l'esperienza che ho vissuto nella "Rivista" degli anni '90. Un minoritarisimo di testimonianza che non mi ha mai persuaso. * - Gabriele Polo: Quindi la tua autocritica e' essenzialmente etica, come di fronte a un peccato... - Pietro Ingrao: No, non faccio valutazioni morali. Fu un doppio errore, il mio. Il primo senza dubbio umano, abbandonavo i miei amici. Soprattutto la radiazione fu una scelta politicamente stupida, non apriva una discussione positiva, non faceva avanzare la coscienza comune valutando e comprendendo le ragioni del dissenso in campo. * - Gabriele Polo: Pero' allora ci fu una grande discussione nel Partito comunista, in tutte le federazioni, gli atti furono pubblicati... - Pietro Ingrao: Ma era gia' tutto stabilito dall'inizio, quella discussione fu solo una formalizzazione di una decisione gia' presa. Invece bisognava usare quella frattura per misurarsi con la crisi del leninismo. Tale era il nodo da affrontare. * - Gabriele Polo: A proposito di leninismo, sempre nel passaggio sul "Manifesto", tu parli di fare i conti "con il suo doloroso tramonto". Quel "doloroso" sembra quasi un lamento, come a dire che bisogna ammettere quel fallimento ma che si e' in presenza di un'assenza di alternative, di fronte a un vuoto. - Pietro Ingrao: Dire che non c'era alternativa e' troppo povero e alla fine inutile: ma sicuramente il cibo di cui ci eravamo nutriti non era piu' utilizzabile. Tutti sapevamo che nell'Urss non c'erano piu' interlocutori. Ma il vuoto di cui tu parli e' piu' forte proprio in assenza di una riflessione sulla necessita' di creare un nuovo soggetto che sia frutto della "molteplicita'" di cui parlavo prima. * - Gabriele Polo: Il "molteplice" prevede un grande senso della democrazia non solo come serie di regole da rispettare, ma soprattutto come pratica, a partire dal rispetto del dissenso. Era proprio cosi' impossibile, prima degli anni '70, permettere la manifestazione del dissenso fuori da ristretti gruppi dirigenti? - Pietro Ingrao: Di fatto e' stato cosi'. Chi dissentiva la pagava duramente, fino a metodi polizieschi, soprattutto nella vecchia guardia. Come scrivo nel mio libro erano tempi difficili... * - Gabriele Polo: Tempi difficili ma molto "pieni". Oggi magari sono piu' facili ma forse ti appaiono piu' "vuoti". - Pietro Ingrao: La domanda e' provocatoria perche' si potrebbe accusare un vecchio come me di nostalgia per la sua gioventu'. Io pero' non voglio cancellare un grande fatto che ha segnato l'Italia: noi siamo stati sconfitti, ma abbiamo vissuto una stagione straordinaria, che ha fatto crescere un'esperienza di milioni di persone che hanno fatto politica cambiando il paese, democratizzandolo. E, poi, il nostro orizzonte non guardava solo all'Italia: eravamo parte di un "mondo" e di una pratica collettiva alta e vitale in tante parti del pianeta. Quando sono andato in Vietnam e sono sceso nelle citta' sotterranee costruite per sfuggire ai bombardamenti americani, io in quei cunicoli bui divisi da muri di fango mi sentivo in uno spazio aperto e illuminato da una lotta creativa. Oggi, a volte, l'orizzonte della politica mi sembra diventato piu' piccolo e angusto. * - Gabriele Polo: Ma allora il tuo dirti comunista ancor oggi, nonostante la sconfitta, gli errori e le autocritiche, e' legato piu' a questo passato che all'oggi? - Pietro Ingrao: Noi - quelli della mia generazione - non siamo riusciti a trovare la risposta alla crisi indiscutibile del leninismo-stalinismo. E, prima di tutto per questo, siamo degli sconfitti. Pero', da un lato in questo paese ci sono state milioni di persone che sono cresciute anche culturalmente nella lotta politica e che sono state una parte decisiva dell'esperienza democratica italiana; d'altro canto oggi continuo a vedere milioni di oppressi nei drammatici mutamenti della globalizzazione. E, poi, vediamo il riemergere apologetico della guerra come realta' pressante e distruttiva che dilaga nel mondo, mentre e' stata cancellata dal vocabolario la parola disarmo: non c'e' piu' nessuno che la pronunci, nemmeno voi sul "Manifesto". Non ti sembrano buoni motivi per continuare a dirsi comunisti e a lavorare per la costruzione di un soggetto politico su scala necessariamente internazionale? * - Gabriele Polo: Scusa la digressione: tu hai ammesso nel tuo libro gli errori che hai fatto rispetto al gruppo del "Manifesto". Quali errori commette oggi il "Manifesto" nei confronti dei suoi lettori e della sinistra? - Pietro Ingrao: Ma perche' mi fai questa domanda? * - Gabriele Polo: Perche' ci interessa l'opinione di un lettore importante che e' stato anche direttore di un giornale politico. - Pietro Ingrao: Va bene. Allora diciamo che a volte - scusa l'impertinenza - sembrate una setta aristocratica. E lo dico con tutto l'affetto possibile e l'interesse per quello che scrivete. * - Gabriele Polo: Torniamo al libro, al suo titolo, "Volevo la luna". La senti piu' lontana o piu' vicina di un tempo quella luna, metafora di un mondo diverso? - Pietro Ingrao: Ti ripeto che questo e' un libro che racconta una sconfitta... * - Gabriele Polo: Ma non pensi che questa tua ricerca lunga una vita sia stata in qualche modo utile e fruttuosa? - Pietro Ingrao: Per gli altri non spetta a me dire. Per me sicuramente e' stata utile e fruttuosa. La passione politica mi ha fatto capire il mondo ed e' diventata un pane necessario. La "luna" mi sembra ora un po' piu' distante: non rispetto all'inizio del mio percorso, ma negli ultimi anni mi pare essersi un pochino allontanata. Io sono arrivato alla politica sotto la spinta di una necessita'. Come tanti altri della mia generazione e della mia estrazione sociale avrei voluto fare altre cose - il cinema, per esempio. Poi sono stato spinto dagli eventi, a calci nel sedere; e la guerra civile spagnola e' stato il momento di passaggio che mi ha trascinato nella lotta politica. Da li' e' cominciato un cammino che mi ha riempito di cose straordinarie, che mi ha fatto uscire dal guscio dell'individualismo entrando in comunicazione con milioni di esseri umani. Questa e' stata l'esperienza dei comunisti italiani. Pero' e' andata in crisi la forma che ha storicamente assunto il soggetto politico. Questo oggi mi sembra pesante, persino doloroso, perche' non vedo una risposta all'altezza degli eventi che sono maturati. La mia generazione ha pagato il prezzo di una forma restrittiva della molteplicita' (ricordi il mio discorso di prima?) dell'attore politico. Qui e' l'enorme, straordinario campo dell'innovazione. Il senso del mio libro, alla fine, si riduce tutto nel fornire il mio piccolo ragionamento per questa grande e nuova ricerca. 4. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: IL SALTO. UNA POSTILLA Leggendo in questi giorni la regressione di vecchi e autorevoli redattori (la grottesca e sovente delirante confusione dei giovani non mi interessa e non mi riguarda) del "Manifesto" su posizioni di sostegno alla politica militarista, riarmista e guerrafondaia del governo; e leggendo mesi fa il - peraltro bellissimo - libro di memorie della Rossanda; e leggendo nel corso degli scorsi anni i libriccini - preziosi e incandescenti: "et urendo clarescit" - di Pintor; e leggendo ora questa breve intervista di Ingrao, un pensiero mi torna e ritorna alla mente, come la falena che continua a danzare e sbattere intorno e addosso al vetro della lampada: che il senso di fallimento, di scacco, di disperazione infine di vecchi maestri e compagni dipenda anche da un loro limite: il limite di non aver saputo aprire e protendere il loro marxismo - peraltro coltissimo di tutte le scienze e le sapienze - verso la scelta epistemologica ed assiologica della nonviolenza come proposta politica e sociale. E non come rinuncia e ricambio, ma come approfondimento, portato, apertura ulteriore che nell'esperienza del movimento operaio e dei movimenti di liberazione, e massime in quello delle donne - e in quella pratica teorica che chiamiamo marxismo come corrente calda di liberazione che collutta e confligge per la vita e per la morte contro quella corrente fredda e anzi diaccia di disperazione che si chiama marxismo come ossificazione totalitaria - e' intima e costitutiva. La scelta della nonviolenza e' il passo ermeneutico e politico che salva e oltrepassa, ed oltrepassando eredita e quindi salva, l'esperienza socialista e rivoluzionaria novecentesca facendo i conti - tutti i conti - con gli errori e gli orrori suoi. La scelta della nonviolenza, non come ideologia di ricambio, non come sincretismo per anime belle, ma come incipit di una nuova e quindi antica storia, all'altezza della tragedia attuale, in grado di contrastare l'apocalisse, di disvelare il disvelamento e sostenerne lo sguardo, di essere ponte dell'umanita' oltre l'abisso della guerra e del terrore, di essere lotta la piu' nitida e la piu' intransigente contro tutti i gulag e tutti i lager, contro Auschwitz e contro Hiroshima, per un'umanita' di persone eguali e diverse, libere e solidali, capaci di rispettare ed amare l'unico mondo che abbiamo, di esserne responsabili ciascuna sapendo di dover esssere, ed essere quindi, cuore pensante, che mette al mondo il mondo, altra dell'altro, vicenda comune, incontro di voci e di volti, condivisione, responsabilita'. Ripudio dell'uccidere. Una sola umanita'. 5. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: LA VIOLENZA, LA CULTURA [Dal quotidiano "Liberazione" del 5 settembre 2006. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] La condanna di qualsiasi discriminazione nei confronti della donna, sostenuta a gran voce dalle manifestazioni e dalle assemblee del femminismo nel corso delle due ultime vicende elettorali, e' balzata all'improvviso in testa a quei "valori" che la nostra civilta' vorrebbe vedere sottoscritti da tutti coloro che, venendo da "fuori", desiderano farne parte. A produrre questo slancio di sensibilita', finora marcatamente latente, sono stati, per un verso, casi estremi di violenza contro le donne, omicidi e stupri, ad opera per la maggior parte di immigrati, e, per l'altro, la discussione che ha fatto seguito alla proposta di Giuliano Amato di abbreviare gli anni necessari per la richiesta della cittadinanza. Le prime considerazioni che mi vengono da fare sono ovvie, quasi banali. Per un singolare capovolgimento, la violenza manifesta diventa il segnale di allarme privilegiato - per non dire unico in grado di scuotere coscienze maschili, e purtroppo anche femminili, intorpidite - di quella prevaricazione o dominio maschile che ne e', se non la causa, il terreno sociale, psicologico, culturale, in cui cresce, di cui si alimenta e da cui trae soprattutto la sua legittimazione. * La violenza contro le donne ha avuto ed ha tuttora una molteplicita' di forme e di espressioni: a volte parla silenziosa e perfettamente mimetizzata il linguaggio dell'amore, del pregiudizio inconsapevole, delle consuetudini ereditate, dei fantasmi collettivi; altre volte, veste decisamente i panni del privilegio e dell'arroganza, garantiti da ragioni di forza o di poteri acquisiti storicamente; altre ancora, non esita a usare le parole e le armi dell'odio. Ignorare che c'e' un continuum tra "discriminazioni" di vario genere e violenza esplicita, che l'aggressione subita per strada ha il suo epicentro nelle case, nei legami famigliari e amorosi, far finta che il patriarcato sia solo "la riviviscenza fondamentalista" dell'"incontro disperato dell'Islam con la modernita'" ("Il foglio", 21 agosto 2006), e' ancora una volta il tentativo, debole e sempre piu' scoperto, di non assumersi la responsabilita' di una storia - nostra, quanto di altre civilta' -, che si porta dietro, primo tra i suoi "mali", l'oppressione di un sesso da parte dell'altro. Nel momento in cui si sposta il rapporto tra uomo e donna - che come tale risente di una rimozione millenaria e di radici ancora inconsce - sul terreno, oggi sentito con piu' urgenza e inquietudine, della mescolanza di popoli e culture, e' chiaro che si finisce ancora una volta per affossarlo, per inalberare da una parte la propria "innocenza" di occidentali democratici, liberi, rispettosi almeno formalmente delle donne, e, dall'altra, la "barbarie" di costumi stranieri, tribali e minacciosi per il nostro quieto vivere. In questa polarizzazione, a cui ci hanno ormai abituato, sulla scena mondiale, le guerre "umanitarie", la democrazia esportata con i bombardamenti, la crociata del Bene contro il Male, sparisce ogni possibilita' di interrogare se stessi, prima ancora che gli altri, di chiederci se alcuni dei "nostri valori" non celino altrettanto fondamentalismo, se l'altro, il diverso, non sia lo schermo facile su cui proiettare aspetti disturbanti della nostra identita'. Che cosa significa, altrimenti, farsi scudo della nostra Costituzione, delle nostre leggi, e tacere sul fatto che, dai sommi vertici istituzionali fino al piu' diseredato dei cittadini, pochi di quei principi vengono rispettati? Diritti, liberta', principi etici, a cui giustamente si riconosce una valenza universale, convivono con una cultura e una materiale, solidissima tradizione di rapporti di forza - nella famiglia, nel lavoro, nelle istituzioni sociali e politiche -, su cui si preferisce chiudere gli occhi. Se la nostra identita' scricchiola, nell'incontro con altre comunita', e' perche' si scopre essa stessa piu' simile di quanto immaginasse, nei comportamenti se non nei principi, ai "forestieri" che la invadono, incline allo stesso modo a enfatizzare le proprie differenze, ad alzare sbarramenti, a stigmatizzare nell'altro cio' che passa la proprio interno nella generale indifferenza. E' il caso degli stupri e degli omicidi di donne, cronaca quotidiana che passa quasi sempre inosservata nelle notizie "in breve", e che diventa questione politica, istituzionale, solo quando si puo' attribuirla all'invasione minacciosa dell'Islam. * E' per questo che anche l'affannosa ricerca di misure di sicurezza lascia perplessi. Se puo' far piacere avere una citta' piu' vivibile per uomini e donne, grazie a una migliore illuminazione e a una maggiore disponibilita' di taxi e bus nelle ore notturne, resta comunque il sospetto che l'"emergenza", riguardo agli stupri, quanto meno per la citta' di Milano, venga usata prevalentemente per sgombrare campi nomadi, ripulire l'ingresso della stazione dagli immigrati che vi soggiornano, togliere dalla vista dei cittadini la miseria e sostituirla con le lucenti vetrine dell'ennesimo ipermercato. Fa uno strano effetto leggere Magdi Allam ("Corriere della sera", primo settembre 2006) che parla dell'"annullamento del corpo" e dell'"umiliazione della personalita' femminile" a proposito della donna egiziana che si e' presentata col burqa a ricevere, insieme alla famiglia, la cittadinanza dalla sindaca di Valmozzola (Parma). Quante barriere, molto piu' pesanti di un vestito, continuano a separare le donne dalla societa'? Quando mai ci si e' chiesti se a discriminare le donne non sia proprio il "valore" che si continua ipocritamente ad attribuire alla loro disponibilita' a sacrificarsi per gli altri, al dono di se' di cui sono prodighe, nella cura di bambini, malati, anziani? Chi si chiede se le case non siano ancora per la vita pubblica quell'"altrove" che ne garantisce la sopravvivenza, "liberandola" da tante responsabilita' che la costringerebbero a profondi cambiamenti, quel luogo appartato che illude le donne di una loro domestica "potenza", espropriandole di fatto di ogni potere decisionale che conta? Il femminismo e' "silenzioso" solo per chi vorrebbe tenerlo sottomesso, a portata di mano, pronto a manifestare su ordinazione, a indignarsi a comando, a esecrare il "mostro" di turno. Non e' l'attesa di una "rivoluzione copernicana" che costringe a prendere tempo per la riflessione. La rivoluzione e' gia' cominciata nel momento in cui alcune donne hanno preso parola per dire della loro liberta' e della loro complicita', della storia che le ha volute "straniere" nella citta' dell'uomo e "intime" nella sua famiglia. Come ha scritto Angela Azzaro su "Liberazione", da questo cambiamento profondo non si torna indietro, per presentarsi al mondo ancora una volta come "vittime" bisognose di "tutela". * Se si vuole affrontare il problema della violenza contro le donne, non si puo' farlo solo sull'onda dell'allarmismo e di quella che si vorrebbe presentare come "emergenza" di stupri e omicidi. E' vero che per il solo fatto di parlarne, accanto a un prevedibile effetto contagio, si apre anche una maggiore possibilita' che la violenza venga denunciata, ma non e' indifferente il modo in cui se ne parla e il modo di affrontare una questione che definire "attuale" e' davvero ridicolo. Bisogna dire a chiare lettere che l'accanimento contro i corpi delle donne non e' un problema che riguarda solo la legge, o l'ordine pubblico, ma una cultura segnata dal potere che la comunita' storica degli uomini si e' arrogata, dove convivono valore e svalorizzazione del femminile, amore e odio, civilta' e schiavitu'. Senza questa esplicita presa di coscienza e di responsabilita', non c'e' protezione che conti, ne' sistemi di monitoraggio e pronto soccorso che, come ha scritto giustamente Stefano Bertazzaghi su "La repubblica" (31 agosto 2006) tranquillizzano solo l'ansia di chi ci governa. 6. LIBRI. AUGUSTO ILLUMINATI PRESENTA "STORIA DEL MEDIO ORIENTE. 1798-2005" DI MASSIMO CAMPANINI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 settembre 2006. Augusto Illuminati, nato a Perugia nel 1937, e' docente di filosofia politica all'Universita' di Urbino; tra le sue molte opere segnaliamo particolarmente Sociologia e classi sociali, Einaudi, Torino 1967, 1977; Kant politico, La Nuova Italia, Firenze 1971; Lavoro e rivoluzione, Mazzotta, Milano 1974; Rousseau e la fondazione dei valori borghesi, Il Saggiatore, Milano 1977; Classi sociali e crisi capitalistica, Mazzotta, Milano 1977; Gli inganni di Sarastro, Einaudi, Torino 1980; La citta' e il desiderio, Manifestolibri, Roma 1992; Esercizi politici. Quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994. Massimo Campanini insegna nelle Universita' di Milano e Urbino, ha curato fondamentali edizioni italiane di opere di alcuni dei piu' grandi pensatori islamici. Tra le opere di Massimo Campanini: La Surah della Caverna. Meditazione filosofica sull'Unicita' di Dio, La Nuova Italia, Firenze 1986; La teoria del socialismo in Egitto, Centro Alfarabi, Palermo 1987; L'Intelligenza della fede. Filosofia e religione in Averroe' e nell'Averroismo, Lubrina, Bergamo 1989; introduzione, traduzione e note a Averroe', Il Trattato Decisivo, Rizzoli, Milano 1994; introduzione, traduzione e note a al-Farabi, La citta' virtuosa, Rizzoli, Milano, 1996; introduzione, traduzione e note a Averroe', L'Incoerenza dell'incoerenza dei filosofi, Utet, Torino 1997; Islam e politica, Il Mulino, Bologna 1999, 2003; introduzione, traduzione e note a al-Ghazali, Le perle del Corano, Rizzoli, Milano 2000; introduzione, traduzione e note a Avempace, Il regime del solitario, Rizzoli, Milano 2002 (in collaborazione con A. Illuminati); Introduzione alla filosofia islamica, Laterza, Roma-Bari 2004; Il Corano e la sua interpretazione, Laterza, Roma-Bari 2004; introduzione, traduzione e note ad al-Ghazali, La bilancia dell'azione ed altri scritti, Utet, Torino 2005; (a cura di), Dizionario dell'Islam, Rizzoli, Milano 2005; Il pensiero islamico contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2005; Storia dell'Egitto contemporaneo, Edizioni Lavoro, Roma 2005; Storia del Medio Oriente. 1798-2005, Il Mulino, Bologna 2006] Con la Storia del Medio Oriente. 1798-2005 (il Mulino, pp. 257, euro 13) Massimo Campanini unisce brillantemente - e mai momento fu ahime' piu' opportuno - la storia dei due ultimi secoli di colonizzazione e resistenza mediorientale e la filosofia politica sottostante, nelle grandi varianti di un adattamento all'Occidente o di una via islamica alla modernizzazione. In quest'ultima, contrariamente alle banalita' correnti e alle proclamazioni ideologiche, rientra anche l'integralismo, di cui sono arcaiche solo le forme e la retorica, non gli obiettivi e i mezzi. I movimenti messianici o riformistici di rinnovamento dell'Islam, ivi compreso il conservatore wahhabismo, si manifestano nell'universo arabo e islamico prima e a prescindere dal contatto con l'Occidente (meta' del XVIII secolo), come moto interno di purificazione dei costumi e revisione dottrinaria, salvo fondersi rapidamente con il nascente movimento anticoloniale. Vanno cioe' considerati come forza riflessiva e autonoma, non semplicemente reattiva, e il loro volgersi alle origini e alle fonti scritte coraniche non e' poi molto differente dai grandi movimenti occidentali di restaurazione dell'antico e della purezza evangelica, che in realta' furono momenti di rivoluzione culturale e politico-economica. * Campanini, sempre attento alla necessita' didattica di sottrarre la storia mediorientale alla nebbia di un presunto immobilismo e indifferenziazione geopolitica, segna alcune tappe fondamentali dei processi di modernizzazione e riforma contrapposti al colonialismo europeo e al suo alone culturale di "orientalismo": le riforme di Muhammad 'Ali nell'Egitto post-napoleonico e la tortuosa opposizione liberale e nazionale al susseguente protettorato britannico, il movimento messianico del Mahdi Muhammad Ahmad in Sudan, che portera' nel 1885 alla conquista di Khartoum e alla morte del generale Gordon (prima vittoria anticoloniale sul campo, insieme ad Adua), le riforme ottomane (tanzimat) fra il 1839 e il 1876, che cercano una mediazione fra Legge religiosa e legislazione laica preparando la strada alla rivoluzione panturanica dei Giovani Turchi agli albori del secolo successivo, la rivoluzione costituzionale persiana del 1906-1911, la resistenza anticoloniale nei paesi del Maghreb e nella Libia invasa tardivamente dagli italiani sotto Giolitti e piu' tardi durante il fascismo. Parallelamente a questi eventi si sviluppa su vari piani un risorgimento politico-culturale (nahda), che si manifesta nel giornalismo, nelle istituzioni culturali, nella formazione di concetti politici moderni destinati a giocare in seguito un ruolo rilevante (nazione-patria, watan, e liberta', hurriyya), nonche' in una rivalutazione della tradizione filosofica araba medievale, polemica verso l'interpretazione riduttiva di Ernest Renan, che pure aveva fatto riscoprire Averroe'. Significativo e' il fatto che in tale discussione si impegnino a fondo due intellettuali quali Muhammad 'Abduh e Jamal al-Afghani, protagonisti eminenti del progetto di islamizzazione della modernita' (salafiyya), che concepiva l'Islam come una ideologia perfettamente in grado di anticipare e governare la modernita' senza sottostare a particolari restrizioni o modificazioni. Adepto di tale tendenza, sia pure nella variante piu' conservatrice, fu anche il siriano Rashid Rida' che, trasferitosi al Cairo, influi' in modo decisivo sul fondatore dei ben noti Fratelli Musulmani, al-Banna. Venendo a tempi piu' recenti, Campanini nelle conclusioni privilegia - ancor piu' che il movimento salafita - quella che chiama efficacemente una teologia islamica della liberazione. I maggiori esponenti (analizzati piu' in dettaglio in due libri precedenti, Islam e politica, 2003, Il pensiero islamico contemporaneo, 2005) ne sono l'egiziano Hasan Hanafi, che mira a trasformare la teologia in antropologia e ideologia rivoluzionaria, passando da una concezione verticale a una orizzontale per cui il tawhid (unicita' di Dio) e' interpretato come distruzione del dispotismo, l'iraniano sciita 'Ali Shari'ati che legge nel profetismo monoteista il primo riconoscimento del ruolo decisivo delle masse nella storia, e soprattutto Muhammad Mahmud Taha, cui si deve una rilettura del Corano tanto originale quanto indispensabile per una riforma dell'Islam dall'interno. Questo pensatore e agitatore politico sudanese, che fu fatto giustiziare dal dittatore militare Nimeiry nel 1985, sostenne che, contrariamente alla tesi corrente rivelazionistica per cui le sure posteriori abrogano quelle anteriori, nel Corano vanno distinte due parti, una universale e anteriore (quella meccana) e una posteriore, condizionata dall'esperienza organizzativa medinese e ormai storicamente esaurita - con il che la shari'a viene largamente svuotata, ferma restando la sacralita' del Libro. * La vera e propria storia politica del XX secolo, con la chiara esposizione dell'articolazione dei protettorati nel primo dopoguerra e l'ovvia centralita' della questione palestinese nel secondo, sino ai piu' recenti sviluppi iracheni e libanesi, occupa la maggior parte dei capitoli e ci limitiamo qui a segnalare alcune definizioni poco consuete a chi si sia formato sulla letteratura orientalistica a' la Lewis o, a livello ancora peggiore, sulle veline in stile Magdi Allam o agente Betulla. Per esempio, la netta differenza fra il salafismo e il riformismo dei Fratelli Musulmani da una parte e i gruppi fondamentalisti contemporanei come al-Qa'ida dall'altra e persino tra il fondamentalismo violento degli anni Settanta e il terrorismo degli anni Novanta. Salafiti e islamisti integralisti condividono gli obiettivi ma non la strategia, puntando i primi a una islamizzazione dal basso mediante la propaganda e l'organizzazione sociale, i secondi a una islamizzazione dall'alto mediante la lotta armata e la sovversione dei governi "miscredenti". Laddove tali organizzazioni non godano del sostegno popolare, scivolano facilmente verso il terrorismo. Diversa e' la composizione sociologica degli stessi gruppi islamici militanti degli anni Settanta, di provenienza urbana e di istruzione medio-alta, rispetto ai giovanissimi di origine contadina e di bassa cultura degli anni Novanta, prodotti dell'emarginazione e della repressione. Tale proletarizzazione accentua il carattere terroristico e il loro isolamento rispetto alle masse arabe e musulmane, anche se non va ignorata la loro diffusione negli ambienti dell'emigrazione anche di seconda e terza generazione, dove incontrano radicate frustrazioni e maggiore liberta' d'azione rispetto ai regimi polizieschi dei paesi di origine. Questa tendenza e' accentuata dalla difficolta' delle organizzazioni islamiche moderate di farsi valere legalmente a causa della repressione dei governi arabi, terrorizzati da qualsiasi movimento politico-religioso, e trova naturalmente molteplici occasioni di indignazione e proselitismo negli errori e crimini commessi dall'imperialismo, soprattutto dall'amministrazione Bush e dai governi israeliani di Sharon e Olmert. 7. RISTAMPE. DANTE ALIGHIERI: COMMEDIA. PURGATORIO Dante Alighieri, Commedia. Purgatorio, Mondadori, Milano 1994, 2006, pp. XLVIII + 1008, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Nell'edizione curata da Anna Maria Chiavacci Leonardi, bellissima ed accuratissima, reduplicasi la gioia di ancora e ancora rileggere Dante. 8. RIEDIZIONI. DANTE ALIGHIERI: LA DIVINA COMMEDIA Dante Alighieri, La divina commedia, La nuova Italia, Firenze 1955, Fabbri editori, Milano 2006, pp. 1224, s.i.p. ma euro 9,90 (in vendita in edicola). Nell'edizione curata e commentata da Natalino Sapegno (nell'ultima sua revisione - la terza edizione del 1985, dopo la prima del '55 e la seconda del '68) e con in apertura oltre al saggio introduttivo su "Dante e la Divina Commedia" anche il testo della conferenza tenuta a Yale nel 1967 su "Come nasce la Commedia" (trascrizione primieramente pubblicata nel 2002 presso l'editore torinese Aragno), e purtroppo senza i sempre utili e acuti riassunti introduttivi ai singoli canti inseriti dalla seconda edizione, ne' le succinte ma tutt'altro che disutili indicazioni bibliografiche poste a chiusa di commento canto per canto (omissioni non solo di questa edizione, ma anche di quella in tre volumi per la Biblioteca Treccani del 2005), e tuttavia con una bibliografia generale e un indice dei nomi e delle cose notevoli (ma ve ne sono di alquanto migliori anche in altre edizioni del medesimo commento). Detto tutto cio' (e sono minuzie) resta il testo di Dante (nell'edizione critica curata da Giorgio Petrocchi) e resta il commento di Natalino Sapegno. La Commedia e' un capolavoro, ma anche il commento non scherza: sebbene, come e' ovvio, non finiresti mai di collezionare e collazionare commenti a Dante, questo di Sapegno e' di quelli che piu' restano nel cuore; per chi scrive queste righe su tutti del pari con quello, certo assai diverso ma ugualmente - chiedo venia - militante, ed antifascista, di Attilio Momigliano. L'ho detta la parola: antifascista: poiche' leggere Dante e combattere contro il fascismo e' una cosa sola. 9. RIEDIZIONI. JACQUES PREVERT: POESIE Jacques Prevert, Poesie, Guanda, Parma 1999, Gruppo editoriale L'espresso, Roma 2006, pp. XIV + 240, s.i.p. (ma euro 6,90 in supplemento al settimanale "L'espresso"). Una bella antologia, quantunque rastremata rappresentativa dell'intera vicenda poetica di Prevert (ma una via migliore per accostarsi a Prevert e' prendere in mano Paroles e tuffarcisi dentro a capofitto). Tutti siamo cresciuti alla scuola di Prevert, quella scuola anarchica e felice che si frequentava senza parere, sedendo indolenti davanti ai caffe', inseguendo i sogni e accoccolandosi nella pigrizia, rifiutando il principio di prestazione e la massimizzazione del profitto, sbertucciando ogni paludato sussiego, ogni divisa, ogni livrea, ogni prominenza, eminenza, eccellenza sua, ridendo di ogni sbatter di tacchi, di ogni stentoreo comando e fiero cipiglio infischiandosene, e dicendo infine semplice e chiaro, con lievi e saporite quotidiane parole, che bello e' vivere liberi e che ogni potere e' assassino. 10. RIEDIZIONI. DAVID RICARDO: NOTE A MALTHUS E SAGGI E NOTE David Ricardo, Note a Malthus e Saggi e note, Utet, Torino 1987, 2005, Istituto geografico De Agostini - Milano Finanza Editori, Novara-Milano 2006, pp. 896, euro 12,90 (in supplemento a "Milano Finanza"). Sappiamo gia' l'obiezione: son testi troppo specialistici, che interesseranno solo a studiosi innamorati di Sraffa (di cui sono le note introduttive ai singoli testi), o comunque strettamente interessati a Ricardo, o a Malthus, o a Bentham, o a un tema cosi' peculiare come quello del prezzo dell'oro e dei metalli preziosi. O ancora: valgono questi testi solo se messi in relazione all'opera maggiore di Ricardo (nuovamente edita in questa medesima collana e gia' segnalata nel n. 1369 di questo foglio). Certo. E tuttavia tu apri una pagina a caso e subito t'appassiona. 11. LE ULTIME COSE. VALDEMARO SCATARRONI: SMASCHERATO UN BOLSCEVICO Un noto agente della sovversione internazionale, tale George W. Bush, avrebbe dichiarato che la Cia, nota fondazione benemerita dell'umanita', avrebbe gestito in varie parti del mondo prigioni segrete: ovvero fatto pratica di terrorismo e tortura e violazione di ogni principio di legalita'. Attendiamo che solerti i ministri degli esteri dell'Occidente uniti come un sol uomo nella santa alleanza dei volenterosi ancora una volta respingano con sdegno simili calunnie, e che quel propalatore di una si' iniquissima diffamazione ai ferri venga messo, anzi alla gogna. Perdindirindina, ne va del buon nome della nostra civilta'. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1416 del 12 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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